martedì 12 giugno 2018

PUO’ NASCERE UNA NUOVA DESTRA?



 MAURO MAGATTI

Sovranista e populista sono i due termini usati per tratteggiare il profilo dei nuovi partiti di destra che si stanno affermando in tutto il mondo. Ampiamente indeterminate e per certi versi confuse, sono però queste le parole utilizzate dai leader emergenti per marcare una discontinuità dall’eredità neo-liberista e globalista di Reagan e Thatcher.
 
Discontinuità che viene cercata nel momento in cui il modello della globalizzazione non è più in grado di creare integrazione attraverso una crescita trainata dalla liberalizzazione dei mercati finanziari. Il cambio di direzione è netto: per affrontare la stagione nella quale viviamo occorre una nuova centralità dello stato come attore fondamentale per difendere gli interessi nazionali in un contesto diventato molto più turbolento e conflittuale.

È questa la via lungo la quale diventa possibile — nella prospettiva dei partiti della nuova destra — riannodare i fili della crescita economica, dell’integrazione sociale e del consenso politico. Come in tutti i cambiamenti di fase, il nuovo schema spiazza il modo di pensare abituale e produce effetti inattesi: non deve dunque stupire che, in tutto il mondo, vi siamo schiere di esperti che non capiscono quelle che sta accadendo. Nè che siano i ceti popolari quelli che in America votano per un miliardario come Trump o che da noi approvano la flat tax, manifestamente a vantaggio dei più ricchi.

Nelle scorse settimane, l’abilità di Salvini è stata quella di attirare il M5S lungo questa strada che costituisce sin dall’inizio l’obiettivo della sua azione.Per quanto scaltra — tanto da essere riuscita a portare a casa, contro tutto e tutti, l’inedita compagine di governo guidata da Conte — la mossa del leader leghista è destinata a scontrarsi con due questioni che saranno poi determinanti nel segnare il destino della Lega, del governo e dell’Italia.

La nuova destra — sovranista e populista — nasce dal naufragio dell’ordine liberale sorto con il 1989. Nel mondo multipolare nel quale ci troviamo oggi a vivere, sono gli stessi interessi economici a rendersi conto di aver bisogno di una politica forte per gestire le tensioni interne (vedi la centralità delle immigrazioni) ed esterne (come si vede dal ritorno di temi quali i dazi o la sovranità monetaria). Per giocare la partita della «seconda globalizzazione» — dove vi sono attori politici diversi in aperta competizione tra loro — occorre una stato autorevole. Esigenza talmente forte da tradursi fuori dall’occidente nella moltiplicazione di regimi autocratici. E proprio qui sta il punto: nel quadro della Ue, l’Italia ha la forza e la stazza per giocare da sola questa partita? In positivo, la sfida di Salvini potrebbe costituire l’occasione per rinegoziare i trattati europei in un modo più favorevole rispetto agli interessi italiani. In negativo, il rischio è che il gioco sia troppo difficile e che il leader leghista sia costretto a venire risucchiato nella logica indipendentista del «fuori euro». Esito che — tenuto conto del livello del debito e di credibilità che abbiamo — porterebbe all’Italia solo un sacco di guai.

Il secondo nodo ha a che fare con le contraddizioni che derivano dal contratto siglato con i M5S. In effetti, con il passaggio elettorale e la formazione del governo, il movimento di Grillo ha ormai subito una doppia trasformazione. Da un parte, si è meridionalizzato: a sorpresa, la rete si è rivelata il canale attraverso cui si sono coagulati gli interessi di quei gruppi che, concentrati nelle regioni più marginali, non riuscivano a far sentire la propria voce; effetto enfatizzato dalla scelta di un leader napoletano come Luigi Di Maio. Dall’altra parte, il Movimento ha ulteriormente accentuato la propria propensione «statalista»: per affrontare gli interessi che lo hanno votato, la soluzione adottata é anche la più semplice, e cioè la vecchia idea di stato visto come ente pagatore in ultima istanza.La proposta del reddito di cittadinanza è la sintesi di questa doppia metamorfosi. Il problema è che ciò è destinato a creare un corto circuito col disegno di Salvini: quanto più lo stato sarà spendaccione e assistenzialista, realizzando le pro-messe del contratto di governo, tanto più perderà di credibilità, finendo così per indebolirsi.

Gli esiti di questa secondo contraddizione possono essere solo due: o l’uscita dall’Euro sull’onda dall’ipotesi che la sovranità monetaria possa essere la via per concretizzare le promesse fatte agli elettori. Tesi falsa, che condannerebbe l’italia a un destino greco-argentino. Oppure la distruzione della coalizione di governo, spingendo le Lega a ricostruire il centro destra dopo aver spaccato il M5S. Esito molto più probabile. Ma non si tratterà comunque di un «ritorno a casa», quanto piuttosto di una profonda mutazione: una nuova destra post-berlusconiana, molto più conservatrice e nazionalista nei modi e nei toni, tentata di usare registri fortemente antieuropei e antistranieri, strumentalizzando i riferimenti cristiani come base culturale delle proprie posizioni. Insomma, un’altra storia.

9 giugno 2018 CORRIERE DELLA SERA



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