mercoledì 14 novembre 2018

QUELLO CHE SIAMO


GIANCARLO CESANA

Oltre i programmi (e i capricci)
Le risorse “politiche”che nessun governo potrà mai trovare

Foto Ansa
Prevalente è la domanda se io sono effettivamente pessimista sulla situazione del nostro paese, che, come penso, è ridotto così male anche a  causa della cultura sessantontina che tuttora lo pervade. Sì, sono abbastanza pessimista. Giuliano Ferrara dice che stiamo andando verso l’America latina. Condivido. Anzi chi mi conosce sa che lo dico da anni. L’idea o la sensazione mi venne a Buenos Aires parecchio tempo fa, nel 1990 o giù di lì. L’Argentina andava su e giù, come al solito, ma quello che mi colpì furono i lamenti a causa del freddo; non a causa della temperatura reale, che era in inverno sui 15 gradi, ma della temperatura percepita, più bassa e più umida.

Non so voi, ma io, a quel tempo, l’espressione temperatura percepita non l’avevo mai sentita e mi fece l’effetto di una sensibilità un po’ ridicola e piagnona. Adesso, la temperatura percepita è arrivata anche qui.
Ne parlano tutti, anche televisione e giornali. Se fa caldo o se fa freddo, fa più caldo e più freddo.
Il percepito domina pure in politica, conta più della realtà, che se non combacia con esso è ostile e complottista.
Tutti – ci richiamerà anche la Nasa, ha ironizzato Luigi Di Maio – dicono che i programmi del nostro governo sono impossibili, ma il nostro governo dice di avere ragione e diritto a fare quello che fa. Da vero statista Salvini ha detto che lui dell’Europa se ne frega. Ammettendo il grande complotto dei poteri forti e degli Stati egemoni nell’Unione Europea, per spolpare l’Italia, sarebbero opportuni prudenza e realismo. Anche il Vangelo lo suggerisce: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? » (Lc 14,31).

Niente. Il popolo è d’accordo con il governo gialloverde; il gradimento aumenta soprattutto per la Lega. Non bisogna stupirsi. La democrazia non è sinonimo di ragione, tanto meno di verità. È il miglior sistema di governo possibile, diceva Churchill (e io sono d’accordo con lui), ma è anche il dominio della mentalità comune o maggioritaria. Questa attribuisce le difficoltà economiche e politiche dell’Italia non ai comportamenti da cicala degli anni passati, ma ai cattivi che non fan fare quello che si vuole.
Il desiderio, il percepito, prevale sulla realtà. Chi non è d’accordo venga a farsi votare e buona notte! Consigli, avvertimenti e suggerimenti grondano, ma appaiono assai poco efficaci. Come se ne esce?

Parecchi anni fa, una quarantina più o meno, scrissi un volantino che uscì firmato da Cl e divenne abbastanza popolare: “La prima politica è vivere”. Lo scrissi la notte dell’ultimo dell’anno, durante una vacanza di responsabili universitari, a Bratto, nelle montagne di Bergamo. C’era anche don Giussani che ci aveva fortemente sollecitato a esprimere un giudizio in grado di affrontare l’ambiente post-sessantottino che ci opprimeva. Altro che vacanze e festa di Capodanno, bisognava muoversi e impegnarsi, appunto vivere nonostante l’ostilità che ci circondava. Bisognava non semplicemente adattarsi o reagire, ma trovare in noi le risorse di un’esperienza originale, presente e piena di speranza.
In fondo è sempre così, ma lo è soprattutto nei momenti di confusione e mancanza di prospettiva come l’attuale.

Non un’utopia ma un’amicizia

Le risorse per vivere, anche la politica, cioè la preoccupazione per il bene comune, che, come dice il Papa coerentemente con i suoi predecessori, deve essere se non in cima, tra le cime dei nostri pensieri, non sono un programma di governo, nuovo o alternativo che sia.
Possiamo avere qualche competenza, ma non siamo in grado di formulare un piano generale. Sembra che facciano discorsi da bar quelli del governo; figurarsi se ci mettiamo anche noi, che siamo più ignoranti e incerti. Le risorse “politiche” – se così si può dire – le dobbiamo trovare in contenuti di esperienza che realizzino un metodo di vita personale e sociale. Per spiegare quello che ho in mente ricorro a una lettera-volantino scritta con Stefano Parisi per le elezioni politiche del marzo scorso. La lettera è stata ripresa da Tempi, ma come la campagna elettorale di Parisi non ha avuto molta fortuna. Mi permetto di riprendere qui alcuni passaggi, a mio avviso fondamentali, a cominciare dalla citazione introduttiva di Toqueville:
«Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla libertà».

Procede quindi la lettera come segue. «È stato giustamente osservato che con lo sviluppo della cultura e del costume del mondo occidentale, nelle nostre società l’individuo può trovarsi “nudo”, spogliato delle sue antiche casacche religiose, comunitarie, locali, economiche, familiari, pressoché solo di fronte allo Stato, cui chiede di farsi carico di tutti i suoi bisogni e di tutelarne la libertà. Si tratta però di una libertà ottusa perché disimpegnata, irregimentata dal politicamente corretto e dominata da un’opinione comune che fa fatica a distinguere il vero dal falso. Così il desiderio, che è il motore dell’agire umano, dell’interesse a sé, agli altri e, perché no, alla politica si appiattisce in un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano” (L. Giussani).

La politica gridata e il giustizialismo che la pervade sono l’esempio della mancanza di prospettiva al di fuori di un richiamo ossessivo alle regole, che comunque non riescono a essere adeguatamente osservate.
Il principio associativo e lo spirito di aggregazione si sono mostrati – nel corso della storia – come elementi fondativi e “strutturali” della società. Ciò si è espresso attraverso la formazione nelle diverse epoche di “comunità intermedie”, ad indicare “un’ampia serie di raggruppamenti interpersonali che hanno lo scopo di non lasciare solo – e, anzi, proteggere e integrare – il soggetto, l’individuo, o la persona” (P. Grossi). Così la locuzione “corpo intermedio” ha rappresentato gli aggregati che si collocano fra il singolo individuo e lo Stato, nelle sue diverse manifestazioni storiche e politiche. Il valore delle comunità e dei corpi intermedi discende da una scelta antropologica, che privilegia la nozione di persona in contrapposizione a quella di individuo o di collettività. In una prospettiva libera e relazionale, la comunità costituisce il necessario e insostituibile ambito di sviluppo dell’umana libertà e quindi dell’uomo in tutte le sue dimensioni, pubbliche
e private.
Il disinteresse per la politica e l’assenza di impegno per tentativi di declinazione dei princìpi, delle concezioni e dei valori che fondano l’esistenza portano all’irrilevanza e alla decadenza di ogni cultura: “Il capolavoro della politica pura è l’asservimento consensuale degli altri, la democrazia degli eterodiretti” (A. Del Noce).
Al contrario, le “comunità intermedie”, come espressione del principio associativo, sono l’aspetto dinamico del protagonismo sociale, potenziando la libertà individuale e la sua incidenza sulla società. Comunità di opere sociali, assistenziali ed educative rendono capillarmente e necessariamente presente il primato della società nei confronti dello Stato, e contribuiscono a realizzare il bene comune. Lo Stato, a prezzo di un dispotismo insopportabile e inefficiente, non può sostituire ciò che emerge dalla vita sociale: è il principio di sussidiarietà, espresso anche nella nostra Carta costituzionale.

Il criterio del “più società, meno stato” deve essere ripreso per valutare le diverse offerte politiche. Famiglie, comunità di vita e di lavoro sono modalità di espressione e protezione della persona umana: senza il loro contributo il cittadino resta solo e indifeso, in balìa dei poteri costituiti, delle burocrazie e delle opinioni dominanti. La valorizzazione dei soggetti intermedi permette anche di ripensare – prima ancora della questione della governabilità – quella della rappresentanza, come radicamento sociale e territoriale, effettivo legame tra popolo e, appunto, rappresentanti.
Vogliamo una politica capace di garantire condizioni di vera libertà per tutti, a partire dal valore irriducibile e intangibile della persona umana, alla quale compete la libertà positiva di aggregarsi, creare e costruire il bene comune a cui lo Stato non deve opporsi, ma concorrere».

La lettera chiude quindi con una serie di richieste e proposte funzionali alle elezioni.
La sua sostanza che voglio richiamare qui è che per sviluppare e potenziare la libertà è necessaria una compagnia, una comunità in cui si faccia esperienza di verità – di vita buona direbbe il cardinale Scola – per sé e per tutti.
Dobbiamo quindi amare, proteggere e dilatare l’amicizia che si esprime e si realizza nelle opere educative e sociali, nel sostegno concreto ai bisogni delle persone, nel giudizio operativo capace di individuare e perseguire le risposte alle questioni fondamentali della vita.
Nell’editoriale dell’ultimo numero di Tempi, Emanuele Boffi ha documentato, anche con i numeri, l’efficacia della politica sussidiaria, ovvero di valorizzazione delle iniziative personali e di gruppo, condotta dalla amministrazione di Formigoni per ben 18 anni, dal 1995 al 2013.
Quanto detto sopra, allora, non è utopia o propaganda, oggi del tutto inutile; è stato il contenuto principale, realizzato in iniziative, leggi e azioni concrete, che possono costituire il modello per altri tentativi futuri con una base che non demorde: noi e, con noi, speriamo molti altri.

Per sviluppare e potenziare la libertà è necessaria una compagnia,
una comunità in cui si faccia esperienza di verità – di vita buona direbbe il cardinale
Scola – per sé e per tutti.

 Tratto da TEMPI


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