mercoledì 19 dicembre 2018

GIUSSANI : FEDE, FAMIGLIA ED ETICA



Don Giussani dice che il potere ha tutto l’interesse a distruggere la famiglia perché rimane l’ultimo e più forte baluardo che consente all’uomo di resistere naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce. Più solo è l’uomo e più facilmente è manipolabile. La famiglia è l’esempio più impressionante della Incarnazione.

Sicari intervista don Giussani

Sicari: È per questo che oggi il potere ha interesse a distruggere i legami familiari stabili?
Giussani: L’interesse del potere è duplice: prima di tutto, distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato: l’uomo solo è senza forza, è privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità: e si piega facilmente al dettato delle convenienze.

Sicari: Quindi dietro a tutti i cedimenti sociali a riguardo della famiglia (aborto, divorzio, convivenze, permissivismo sessuale ecc.) c’è sempre uno stesso scopo: quello di far dimenticare che libertà e appartenenza sono la stessa cosa…
Giussani: Certamente, perché così l’uomo resta un pezzo di materia, un cittadino anonimoLa famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, e non abbia tradizioni in modo che non veicoli responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere.
 La seconda ragione, più profonda, è questa: che distruggendo la famiglia si attacca l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, di cui il potere è funzione: vale a dire, intendere la realtà atomisticamente, materialisticamente, una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

Sicari: Io penso che il problema più grave della Chiesa di oggi stia nel modo in cui molti cristiani concepiscono il rapporto tra natura e soprannatura: o in modo spiritualistico (in cui la fede non c’entra con la vita concreta) o in modo moralistico (la fede c’entra, ma solo come sostegno etico di un progetto naturale). In ambedue i casi si dimentica l’innesto sostanziale con cui Dio ha legato assieme ciò che è naturale e ciò che è soprannaturale, in modo indissolubile, in un unico ordine. Ora a me sembra che proprio per questo motivo il futuro della fede si giochi nella famiglia. Il matrimonio è l’unica realtà naturale che diventa soprannaturale (sacramento) per il solo fatto di essere il gesto di due battezzati. (…) Il matrimonio-sacramento è il punto della storia in cui la realtà naturale e quella soprannaturale più perfettamente si innestano l’una nell’altra senza confondersi, in forza del battesimo, in forza della fede.
Giussani: Vuoi dire che proprio là dove la natura più si esprime, più dimostra di essere stata indissolubilmente legata con la soprannatura…

Sicari: Sì, nella famiglia la natura umana si esprime in tutta la sua concretezza: ogni cosa, anche la più materiale (la casa, il lavoro, il cibo…), tutto viene finalizzato e umanizzato. Per questo credere che il matrimonio è un sacramento suggerisce anche un modo totalizzante di considerare il proprio essere cristiano: impedisce alla radice ogni dualismo, ogni falso spiritualismo. Cosa manca allora nel modo abituale con cui si educano i giovani a capire il sacramento del matrimonio?
Giussani: Manca la fede nella sua vera natura. C’è nel migliore dei casi una preoccupazione morale dignitosa e un vago sentimento di soggezione a Dio. Invece occorrerebbe guardare alla famiglia come all’esempio più impressionante della Incarnazione. (…)

Sicari: Proprio qui io credo che si innesti nel modo più autentico la problematica morale. La morale cristiana non è possibile, non è liberante, se non nasce da uno stupore davanti al dono di Dio, se non è risposta umile e generosa alla grandezza del dono che Dio ci fa. Dunque bisogna prima educare i cristiani allo stupore davanti al miracolo del loro matrimonio. Ma cos’è che fa percepire come buona, percorribile, la concreta legge morale: quella, ad esempio, che governa la vita sessuale?
Giussani: Per amare la morale cristiana e osservarla, bisogna essere coinvolti concretamente nel fatto di Cristo, bisogna che Cristo sia divenuto veramente il Signore di tutti, fino ad amare obbedientemente le leggi che Lui ha messo nella sua creazione. Bisogna che in casa domini Cristo.

Sicari: Eppure è sempre più frequente trovare dei cristiani, anche tra i nostri amici, che sono infastiditi dal fatto che il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) parli spesso della morale sessuale. Dicono che ormai quelle cose non le capisce più nessuno (…) e non è più possibile partire dall’etica o insistere subito su questo.
Giussani: Io non sono affatto d’accordo. E per due motivi diversi, anche se legati tra loro. Il primo è che il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) insiste sugli aspetti fondamentali, essenziali per la costruzione di ogni società: il valore della persona, della ragionevolezza, dell’“atto”. Si tratta dell’uomo; è la natura dell’uomo che è in gioco in quei problemi sessuali che sembrerebbero così particolari. Il secondo motivo è che un cristiano, quando riflette sulle indicazioni del Magistero, anche se gli sembra che esso parta da lontano, è costretto subito a ritrovare l’imponenza di Cristo sulla sua vita.

Sicari: (…) Si dice: bisogna riproporre il fatto di Cristo, non un’etica.
Giussani: Ma se non si giunge a un’etica, non si comprende il fatto di Cristo. Non si è coinvolti nel fatto, se non si entra nel movimento morale che il fatto implica.

Sicari: A volte però si sente dire, anche da persone autorevoli: se fosse per le indicazioni morali, io non starei nel cristianesimo, perché sarebbe solo addossarsi altri pesi. Ci resto perché mi dà gioia, soddisfa le mie esigenze…
Giussani: Io sto nel cristianesimo perché è la verità; perché riconoscere il fatto di Cristo e la sua presenza mi converte, mi sospinge, mi attira a cambiare il mio modo di entrare in rapporto con tutte le cose, mi fa diventare più vero fin nei particolari. Incontrando il fatto cristiano, anche il rapporto affettivo diventa più doloroso e più vero: si accetta una maggiore “dolorosità”, perché lo si vuole più vero. Quando una donna vuole bene ad un uomo, se lui viene mandato dalla sua ditta per sei mesi in America, lei l’attende, è tesa a lui, gli resta unita. Il fatto stupefacente del loro amore, della loro unità è dentro la serietà etica della loro reciproca attesa.



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