mercoledì 16 ottobre 2019

NEWMANN E LA COSCIENZA



Domenica 13 ottobre, papa Francesco ha celebrato in piazza San Pietro la canonizzazione del cardinale John Henry Newman,  grande difensore della coscienza nel suo senso più pieno.

Così nel 1991 il futuro papa Benedetto XVI spiegò la concezione del cardinale inglese del rapporto tra coscienza, verità, libertà e potere in uno scritto “Elogio della Coscienza”, pubblicato da Il Sabato; eccone alcuni stralci.

Cardinale Joseph Ratzinger


 (…) Vorrei solo cercare di indicare il posto dell’idea di coscienza nell’insieme della vita e del pensiero di Newman. Comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà. Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la veritàNon esito ad affermare che quella di verità è l’idea centrale della concezione intellettuale di Newman; la coscienza occupa un posto centrale nel suo pensiero proprio perché al centro c’è la verità. (…)

La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale. Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera soggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio.
È significativo il verso, che Newman compose in Sicilia nel 1833:
«Amavo scegliere e capire la mia strada. Ora invece prego: Signore, guidami tu!».

Ciò che per Newman era importante era il dovere di obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, addirittura anche in contrasto con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia e di una comune formazione.

Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù sottolinei il primato della verità sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente: egli mette in risalto il primato della verità sul consenso, sulla capacità di accomodazione di gruppo. Direi quindi: quando parliamo di un uomo di coscienza, intendiamo qualcuno dotato di tali disposizioni interiori. Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante.

In questo Newman si ricollega all’altro grande testimone britannico della coscienza: Tommaso Moro, per il quale la coscienza non fu in alcun modo espressione di una sua testardaggine soggettiva o di eroismo caparbio. Egli stesso si pose nel numero di quei martiri angosciati, che solo dopo esitazioni e molte domande hanno costretto se stessi ad obbedire alla coscienza: ad obbedire a quella verità, che deve stare più in alto di qualsiasi istanza sociale e di qualsiasi forma di gusto personale.

Si evidenziano così due criteri per discernere la presenza di un’autentica voce della coscienza: essa non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale.
L’individuo non può pagare il suo avanzamento, il suo benessere, a prezzo di un tradimento della verità riconosciuta.

Tocchiamo qui il punto veramente critico della modernità: l’idea di verità è stata nella pratica eliminata e sostituita con quella di progresso. Il progresso stesso "è" la verità. La teoria della relatività formulata da Einstein concerne, come tale, il mondo fisico. A me sembra però che possa descrivere adeguatamente anche la situazione del mondo spirituale del nostro tempo. La teoria della relatività afferma che all’interno dell’universo non si dà nessun sistema fisso di riferimento. Quanto è stato detto a proposito del mondo fisico, riflette anche la seconda svolta "copernicana" verificatasi nel nostro atteggiamento fondamentale verso la realtà: la verità come tale, l’assoluto, il vero punto di riferimento del pensiero non è più visibile.

A questo punto diventa chiara l’estrema radicalità dell’odierna disputa sull’etica e sul suo centro, la coscienza. In essa viene messa alla prova la decisione cruciale tra due atteggiamenti fondamentali: la fiducia nella possibilità per l’uomo di conoscere la verità, da una parte, e d’altra parte una visione del mondo in cui l’uomo da se stesso crea i criteri per la sua vita. La rinuncia ad ammettere la possibilità per l’uomo di conoscere la verità conduce dapprima ad un uso puramente formalistico delle parole e dei concetti.

A sua volta la perdita dei contenuti porta ad un mero formalismo dei giudizi, ieri come oggi. Lo specifico dell’uomo in quanto uomo consiste nel suo interrogarsi non sul "potere", ma sul "dovere", nel suo aprirsi alla voce della verità e delle sue esigenze.

Questo fu, a mio parere, il contenuto ultimo della ricerca socratica e questo è anche il senso più profondo della testimonianza di tutti i martiri: essi attestano la capacità di verità dell’uomo quale limite di ogni potere e garanzia della sua somiglianza divina.

È proprio in questo senso che i martiri sono i grandi testimoni della coscienza, della capacità concessa all’uomo di percepire, oltre al potere, anche il dovere e quindi di aprire la via al vero progresso, alla vera ascesa. (…)






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