lunedì 28 ottobre 2019

RITORNO SULLA TERRA

Perché la politica del rancore contro i ceti produttivi 
è letale per l'esecutivo.

Batosta della maggioranza in Umbria, Salvini e Meloni vincono con venti punti di distacco. Il governo Conte è in fase di logoramento accelerato, le alleanze locali tra Cinque Stelle e Dem sono già finite.

Il governo non cadrà oggi, ma il suo destino è quello di andare a spegnersi più o meno lentamente. L'alleanza tra Cinque Stelle e Lega a livello locale è finita ancor prima di cominciare, quella del governo a Roma è minata dopo poche settimane di vita. Il voto in Umbria è stato esattamente quello previsto: un grande test di politica nazionale. 


Venti punti di distacco destra e sinistra (Donatella Tesei è al 57,49%, il candidato Pd-M5s, Vincenzo Bianconi, al 37,52%), la polverizzazione della maggioranza giallo-rossa, il tonfo del Movimento Cinque Stelle, l'anonimato e limbo del Pd, il trionfo della Lega,  la crescita forte e costante di Fratelli d'Italia, Salvini che si conferma leader acchiappa-voti sintonizzato con l'elettore, Meloni che è già un'altra opzione rispetto al segretario leghista, un voto che è una chiara rivolta contro la legge di Bilancio e la politica dell'assalto contro i produttori medi e piccoli, un presidente del Consiglio che è lo sconfitto più sconfitto di tutti ma parla come se provenisse da un altro pianeta. Tic tac, c'è un conto alla rovescia, è quello sulla durata del Conte bis.

Il voto in Umbria è una magistrale lezione di politicaIl governo è in carica dal 5 settembre, la guerra di logoramento al suo interno è già partita e finirà per lasciarlo a terra, esanime.  Il segno premonitorio del crash è arrivato con la foto scattata a Narni, l'immagine di Nicola Zingaretti, Roberto Speranza, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Mancava Renzi. Era un memento prima del voto, con questo risultato, l'assenza di Renzi diventa un "buco nero" della maggioranza. È ben visibile "l'orizzonte degli eventi" e si capisce che il rischio di collisione è enorme perché Renzi con la sua assenza marca la distanza, sta dicendo agli elettori che lui e il suo partito sono qualcosa di diverso pur essendo parte fondamentale della coalizione di governo. È un paradosso ma la vita e la politica sono in perenne cortocircuito. Domanda sul taccuino: diverso da cosa? Dal nocciolo radioattivo della politica del governo, un masso di kryptonite che lo sta fiaccando.

Alleanza in disarmo. Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte con il candidato umbro Vincenzo Bianconi. (Foto Ansa)

Il governo ha varato una legge di Bilancio ipotecata dalle clausole di salvaguardia sull'Iva (23 miliardi), al suo interno ci sono una serie di norme su evasione e contante, gabelle di vario genere, che tradiscono un'impostazione ideologica della manovra. Siamo di fronte a una politica del rancore che colpisce i ceti produttivi medio-piccoli, il "popolo delle partite Iva", soggetti considerati dai Cinque Stelle (e purtroppo anche dal Pd) come degli incalliti evasori fiscali. 

Non è in discussione la lotta all'evasione (che sarebbe da unire a una riforma del Fisco e applicazione rigorosa dello Statuto del contribuente), ma il pre-giudizio che appare lampante nella comunicazione quotidiana degli esponenti del governo. Al Torquemada fiscale va aggiunta un'idea di sistema giudiziario - basta leggere cosa dice il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede - in cui con la riforma della prescrizione l'imputato rischia di restare sotto processo a vita. Si tratta di una barbarie che l'Unione Camere Penali, la più autorevole associazione dei penalisti italiani, ha definito in tre parole: "Imputato per sempre". 

Questa politica del rancore impatta contro le aspettative del ceto medio che dalla grande crisi del 2008 si ritrova in un mondo dove ruggiscono i leoni, sono le conseguenze inattese della globalizzazione. Spaesato, inquieto, impaurito, il contribuente italiano è catapultato in un mondo ostile, senza protezione, con il suo peggior nemico che in realtà dovrebbe essere il suo baluardo: lo Stato. In queste condizioni, con questo programma, nessun governo (di qualsiasi segno sia) può pensare di riscuotere la fiducia degli italiani. 

Il voto dell'Umbria è una rivolta contro questa linea politica. Si punta il dito contro Luigi Di Maio, ma il responsabile della politica del governo è il presidente del Consiglio, non bisogna mai dimenticarlo. Ripetiamo quanto scritto su List qualche giorno fa: c'è un problema di leadership enorme alla guida del governo. L'esercizio della premiership da parte di Conte mostra grandi limiti. Il fu avvocato del popolo oggi si smarca dal populismo, incontra il Presidente della Cei Gualtiero Bassetti (e fa sapere di aver chiesto lui l'incontro con il capo dei vescovi), ma gratta gratta egli è esattamente quel che si vede, un politico camaleontico che ha assecondato una politica che sta alienando il ceto medio dai partiti del suo stesso governo. 

Una borghesia spaesata, impaurita, in cerca di rassicurazione e non di vendetta (fiscale e giudiziaria) sta sostenendo la corsa della Lega nel voto regionale, perché la politica del rancore conduce all'estremizzazione dell'elettorato moderato in un paese dove la sinistra non è mai stata maggioranza. Conte non solo non ha fermato questa deriva giacobina che viene dalla confusione post-ideologica dei grillini e dei dem, ma se ne è fatto interprete in una versione da Robin Hood che presto incontrerà il muro della realtà. 

Oggi l'Umbria, domani la Calabria, poi l'Emilia Romagna e via così. Abbiamo anticipato l'esito e i temi del voto. Siamo di fronte a una rivolta. Al netto dei fattori locali, questo turno elettorale misura la stratosferica distanza tra la maggioranza giallo-rossa e il paese reale. Non basta fare un governo contro (Salvini), non è sufficiente avere l'appoggio delle cancellerie internazionali, serve una cosa che si chiama politica. E non può essere quella del rancore. Non si governa contro gli elettori. 

Tratto da LIST

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