giovedì 28 novembre 2019

«COMUNIONE È LIBERAZIONE». NEL 1969, LA NASCITA DI UN NOME



Nel novembre 1969 all’Università Statale di Milano inizia a circolare un ciclostilato con una strana intestazione: «Comunione e Liberazione» e un altrettanto inusuale titolo:
 "Costruire la Chiesa è liberare l'uomo"



Pier Alberto Bertazzi, tra i protagonisti di quell’inizio, ricorda: «La cosa sembrava funzionare, almeno per noi. Ci sentivamo come se stesse continuando l’esperienza del movimento iniziata al liceo». Gli universitari decidono, allora, di passare dal ciclostilato a un «quartino» a stampa. Ma il nome deve essere più diretto. «Mi venne in mente che noi volevamo parlare di due cose: la liberazione, ovvero l’istanza che condividevamo con tutti; e la comunione, ovvero ciò che secondo la nostra esperienza poteva realizzarla. Comunione/liberazione: le due cose a cui tenere.» Bertazzi si domanda se non possa essere quello il titolo, ma ai più appare una formula troppo pesante per un bollettino universitario. Un tardo pomeriggio dell’autunno 1969, in via Bagutta, nella sede della Jaca Book, ne discute con Sante Bagnoli – responsabile della casa editrice e tra i più stretti collaboratori di Giussani. «Alla fine disse anche lui che poteva andar bene. E lui era l’editore di mestiere, quindi il titolo passò.»

Nel volgere di qualche mese vengono stampati tre numeri di quei quartini, uno rosso e due blu. È ancora Bertazzi a raccontare: «C’erano gruppetti di nostri amici in molte facoltà e tutti cominciarono a usare quel titolo con accanto il simbolo (protocristiano) stilizzato del pesce (ι′χθυ′ς) anche per volantini, avvisi, eccetera». Senza che sia stato programmato, Comunione e Liberazione comincia a diventare un segno di riconoscimento. «Gli altri avevano, infatti, cominciato per primi a chiamarci quelli di, i gruppi di “Comunione e Liberazione”, riferendosi ai nostri stampati» sottolinea Bertazzi.

Poche settimane dopo la diffusione del primo quartino alla Statale, quella strana formula compare anche all’Università Cattolica. È il cardinale Giacomo Biffi a raccontare il fatto. Nel 1969 è parroco a Milano; preoccupato della situazione intraecclesiale, dice a se stesso: «Possibile che lo Spirito Santo abbia abbandonato la sua Chiesa?». Egli ricorda che «tutto si disfaceva, non risorgeva niente». In quei mesi Biffi scrive un piccolo libro, Alla destra del Padre; incontra qualche difficoltà a trovare un editore, finché Vita e Pensiero (la casa editrice dell’Università Cattolica) lo accetta: e così, entrando in ateneo nel dicembre del 1969, Biffi vede esposto un tazebao intitolato «Comunione e Liberazione», con alcuni principi e l’invito a trovarsi per chi è interessato. Per Biffi è una sorpresa: «Come un raggio di sole dopo un cielo assolutamente plumbeo. Non sapevo che ci fosse dietro Giussani, l’ho capito dopo. Credo fosse proprio il primo giorno in cui nasceva, dalle ceneri della vecchia GS, questo movimento nuovo chiamato “Comunione e Liberazione”».




Quel gruppetto di universitari ha un punto di appoggio nella sede del Centro Péguy, in via Ariosto 16. Qualcuno di loro affigge all’esterno della stanza che li ospita il testo firmato «Comunione e Liberazione». E un giorno, Bertazzi lo ricorda perfettamente, durante un incontro al Péguy, gli occhi di Giussani cadono su quel foglio: «Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari» esclama guardandolo. E continua: «Perché comunione è liberazione».

Resta da chiedersi come sia stato possibile che, nell’impaccio che ha afferrato tutti durante i fatti del Sessantotto, abbia cominciato a prendere corpo una risposta. A tutti i ragazzi che incontra alla Cattolica e gli domandano: «Cosa rispondiamo?», «Cosa dobbiamo fare?», Giussani dice, un po’ provocatoriamente: «Ma voi sentite di amare meno dei vostri compagni contestatori la libertà dell’uomo, la liberazione della vita, sentite meno di loro il desiderio di una giustizia autentica?». E quelli gli rispondono di no, ma che proprio per questo sono in crisi.
1968 Un gruppo di studenti della Cattolica


In questa situazione gli universitari e Giussani si dicono: «Anche noi vogliamo la liberazione dell’uomo e della società, più di loro, se è possibile, perché noi annunciamo al mondo Cristo, che è venuto a liberare realmente l’uomo». Per Giussani la risposta da dare agli altri è questa: «Più edificheremo la Chiesa più contribuiremo alla liberazione vera del mondo, correggendo continuamente l’illusione generale». E per non lasciare spazio ad alcun fraintendimento delle sue intenzioni, ribadisce che la risposta alla provocazione della contestazione è: «Moltiplicare […] la comunità cristiana», perché «questo è il nostro apporto ai nostri fratelli uomini. Aperti a valorizzare anche l’infinitesimale spunto che l’intuizione altrui ci palesa, pronti a collaborare con ogni fatto che, alla luce della fede, ci appare giusto».

Il 9 novembre 1969, Giussani partecipa a un raduno studentesco. Titolo dell’incontro: «Gruppi di studio universitari e liceali». Ne dà notizia un ciclostilato di cinque pagine. A un certo punto, interviene e precisa: «Il gruppo di studio, in quanto analizza la situazione, non può essere isolato dal fenomeno comunità cristiana dell’ambiente nella sua interezza».

Giussani chiarisce che «una teoria sulla situazione, […] una lettura vera dei bisogni può nascere solo dalla condivisione di essi, […] altrimenti la lettura diventa aprioristica», dettata «dalle teorie in voga». Per Giussani l’unico a priori teoretico e pratico è la comunione cristiana: «Condividere il bisogno è l’unico modo per leggerlo, ma la lettura sarebbe realtà mondana se non partisse dalla tradizione cristiana. […] L’inizio della presenza dentro l’ambiente non è l’ambiente, ma qualcosa che viene prima. […] L’annuncio non viene dalla nostra intelligenza nel dirimere le questioni, ma viene prima, è qualcosa che ci è dato e in cui ci troviamo dentro, da cui partiamo continuamente». Qualcosa che viene prima: è questo il contenuto della sfida che Giussani lancia. Sa di andare controcorrente rispetto alla tendenza generale, che vuole prima l’analisi e che sottolinea l’urgenza di fare.

Per Giancarlo Cesana, all’epoca studente di Medicina all’Università Statale di Milano (poi professore universitario), in quel frangente burrascoso Giussani riproponeva il cristianesimo nella sua natura e forza originali, con una «impostazione sperimentale» che affrontava a viso aperto obiezioni e resistenze.

Cesana proviene da un’esperienza di sinistra. Un motivo personale rimette in moto tutto in lui: «Mi ero innamorato, lei non ci stava, e mi sono detto: ma come, io sto facendo la rivoluzione per cambiare il mondo e l’unica cosa che voglio non ce l’ho? Dov’è la giustizia?”». In quel preciso momento si imbatte in Giussani, ma secondo una modalità strana: «Ero andato a trovare un amico che era in vacanza con l’oratorio; […] dopo aver viaggiato tutta la notte, stavo in un grande tendone che serviva da refettorio […]. Ero stancamente, distrattamente seduto a un tavolo dove c’era un registratore e, non sapendo che cosa fare, ho schiacciato un tasto». Da quel registratore comincia a uscire la voce rauca di un tale che dice: «“Quali sono le prime parole con cui Gesù ha cominciato la sua missione?” Silenzio. Il tizio con la voce rauca ripete la domanda; una voce risponde: “Ha detto: ‘Amatevi’”. […] “No, anche perché non avrebbero capito. Per spiegarvi che cosa ha detto Gesù quando ha cominciato la sua missione, […] mi rifaccio a un’esperienza di ieri sera. Ho bevuto un ottimo vino, un barolo. Come si fa a capire se un vino è buono?” Risposta dal gruppo, immediata: “Bisogna berlo!”. “Ecco, […] Gesù ha cominciato così. A quelli che gli domandavano: ‘Ma tu chi sei?’, non ha risposto: ‘Io sono il Figlio di Dio, mia madre mi ha concepito verginalmente,’”». Cesana cita a senso le parole ascoltate «“non ha risposto queste cose, non avrebbero capito, ma ha detto loro: ‘Venite e vedete’. E loro andarono e stettero con Lui tutto il pomeriggio fino alla sera, e provarono, e videro che la cosa andava bene per loro. Ecco, Gesù ha cominciato così”».
Ascoltare quelle parole, imbattersi in questa «impostazione sperimentale dell’esperienza cristiana, è stata come la caduta di un velo, […] di una nebbia». Ricorda: «Mi sono immediatamente informato di chi fosse il signore che parlava, e mi dissero che era don Giussani».
Per Cesana quell’incontro introduce nella vita una trasformazione radicale: «Siamo stati costretti, con lui, a ripensare tutto. Il modo di giudicare, di interloquire, il linguaggio… Da questo punto di vista è stata un’esperienza ricchissima».

È una rivoluzione della quale Giussani parla agli adulti del Centro Péguy il 26 novembre 1969: «Il punto in cui il discorso cristiano porta guerra radicale a qualunque ideologia è la persona». E questo perché «la risoluzione definitiva del problema del mondo passa attraverso il rapporto Dio-singolo, cioè passa attraverso il fenomeno della persona. La persona è il punto su cui cala il bolide divino per mettere a soqquadro o per mettere a posto il terremoto del mondo». È perciò «nel cambiamento della persona che opera l’avvenire più giusto e più sano. È il concetto cristiano di conversione». Ma ci sono due fattori da non perdere di vista: la preghiera e l’amicizia.

Della preghiera Giussani dice che è «il tempo in cui la persona prende coscienza, riconosce e accetta, grida a questo aculeo divino che penetra dentro la sua esistenza, perciò è solo da essa che si può sprigionare una azione reale, indomabile, inesauribile anche se nessuno ti capisce, anche se le cose non vanno bene come avresti pensato. Non ti può fermare nessuno. Ti rendi sicuro di fronte all’universo, sicuro di un Altro».

Quanto all’amicizia, la novità che proprio in quelle settimane sta muovendo i primi passi consente a Giussani di lanciare un avvertimento: «Non boicottiamo, come normalmente facciamo, questo termine alterandolo nel suo valore autentico», perché l’amicizia è «il rapporto che ti richiama alla presenza che ti è venuta dentro, come se si fosse sprigionata tutta l’energia atomica dell’universo».

E conclude, con una certa amarezza: «Noi, amici miei, dopo tanta compagnia dobbiamo riconoscere che sono questi due fattori che non abbiamo. Abbiamo tutto, ma non questi due fattori perché è personale il primo ed è assolutamente personale il secondo». Eppure solo «da questa personalità che non si può scollarci da dosso e demandare ad altro può nascere tutta la vera azione che cambia società, storia e mondo», un’azione che «non arriva a diventare presunzione», ma è «piena di una energia d’ottimismo che tutti gli altri chiamano sogno o pazzia o illusione; ma sono duemila anni esatti che della gente vive e costruisce e capisce sempre di più come questa, che viene chiamata illusione, sia realmente il fattore dominante dal di dentro, imperterrito, la storia».

Alla fine di un raduno del 17 dicembre 1969, viene dato per la prima volta il seguente avviso: «Il gruppo di Comunione e Liberazione invita tutti gli universitari a trovarsi subito dopo qui davanti alla sala». Questo indica chiaramente che il gruppo degli universitari segue la realtà del Centro Péguy e il movimento che si sta ricostituendo attorno a Giussani. Subito dopo Giussani aggiunge: «Vi prego di leggere il manifesto per il Natale fatto dai gruppi universitari di Comunione e Liberazione». Ai suoi occhi cl è già una realtà identificabile.

(da Alberto Savorana, Vita di don Giussani, pp. 417-421, 

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