mercoledì 12 febbraio 2020

MONSIGNOR CAMISASCA: «NON CI SONO DUE PAPI. SACERDOTI SPOSATI? SONO CONTRARIO»


Il vescovo di Reggio Emilia: «I politici cattolici litigano tra di loro». «Oggi i preti lavorano molto e hanno tantissime responsabilità. Vogliamo aggiungere anche la famiglia?»

Monsignor Camisasca, nel suo ultimo libro «Abita la terra e vivi con fede» lei scrive che siamo a un tornante della storia dell’uomo. Perché?
«Perché oggi l’uomo è in grado, attraverso la scienza e la tecnologia, di scendere alle radici della vita. L’uomo potrebbe “creare” l’uomo. Ma quale uomo? Questa “creazione” può coincidere con la sua distruzione. L’uomo può creare anche macchine che lo dominino, finendo quindi per diventare schiavo di ciò che lui stesso ha voluto. Enormi benefici possono capovolgersi nella distruzione dell’umano».

Gli sconvolgimenti sembrano riguardare anche la Chiesa. Come la si governa al tempo dei due Papi?
«Non ci sono due Papi. C’è un Papa solo: Francesco. Il ministero petrino ha assunto negli ultimi decenni una rilevanza mondiale sempre più vasta. La voce del Papa è ascoltata e contraddetta in tutto il mondo. I giornali non solo parlano del Papa, ma ne creano anche un’immagine. Ma il Papa deve essere libero da ciò che il mondo pensa di lui. Egli deve essere eco della parola di Cristo. Certamente tale parola avrà anche un influsso politico, ma non deve pensare a questo».

Francesco è più amato dai non credenti che dai praticanti?
«È la prima impressione che si ha guardando i giornali, ma non è la verità. Molti non credenti pensano che Francesco abbia addolcito il giogo di Cristo, abolendo dogmi e regole; ma questo non li avvicina a Cristo. Alcuni invece sono attratti dalla carità e dalla forza con cui Francesco va incontro agli uomini. Questo converte. Per quanto riguarda i credenti: penso che occorra discernere continente per continente. Francesco è il primo Papa sudamericano. Porta in Europa un occhio nuovo. Occorre un lavoro di meditazione delle sue parole essenziali. La pletora di libri che escono su di lui rende più difficile concentrarsi su ciò che è davvero importante. Non fanno bene neppure coloro che continuano a ripetere alcune sue frasi, come “Chiesa in uscita”, a mo’ di slogan, ma senza aiutarci a coglierne lo spessore».

C’è qualcuno che lavora contro il Papa?
«I primi che lavorano contro il Papa sono gli adulatori, che impediscono di vedere la verità. Quando Giovanni Paolo II fu eletto, il vescovo Andrea Deskur, suo amico, gli disse: “D’ora in poi non saprai più chi sono i tuoi amici”. Era un’esagerazione, ma conteneva una verità. Ci sono poi coloro che sono a priori “per” o “contro”, senza fare la fatica di entrare nelle parole di questo pontificato. Ma c’è anche chi vorrebbe canonizzare ogni parola del Papa, come se fosse uguale ciò che dice sull’aereo o in un documento solenne».

Non lo è?
«Il Papa è Pietro. Non è necessario aderire a ogni particolare della sua personalità. Il Papa deve essere amato e riconosciuto come guida della Chiesa. Soprattutto è necessario chiedersi cosa Cristo vuol dire attraverso di lui a tutti noi».

Per i vescovi tedeschi il Papa non fa abbastanza, per quelli americani fa sin troppo. C’è il rischio di uno scisma «da sinistra» e di uno «da destra»?
«Credo che la situazione della Chiesa tedesca sia drammatica. Profondamente segnata dalla terribile contraddizione di essere una Chiesa ricca ma senza fedeli, pensa di recuperarli inseguendo la logica del mondo. La Chiesa americana invece è molto viva. Ma non penso che ci siano vescovi americani contro il Papa».

Lei è favorevole a consentire l’ordinazione di uomini sposati, almeno in Amazzonia e nelle zone spopolate? Il celibato è davvero irrinunciabile?
«Sono assolutamente contrario all’ordinazione di uomini sposati. Ciò che è stato chiesto per l’Amazzonia diventerebbe una premessa per tutta la Chiesa. Il celibato fu innanzitutto la scelta di Cristo per la sua vita. Egli poi chiamò anche tra gli uomini sposati alcuni suoi apostoli, come ad esempio Pietro. Anche a loro Gesù chiese di lasciare tutto, compresa la famiglia, per seguirlo. Oggi i sacerdoti lavorano molto e portano moltissime responsabilità. Vogliamo aggiungere anche le responsabilità di una famiglia? Come potrebbero poi essere disponibili a spostarsi? E i preti divorziati? Mi sembra una grande saggezza riaffermare l’assoluta convenienza del celibato».

La Chiesa in Italia conta di meno. La sua voce esce di rado dalle mura interne. Perché?
«Molti parlano di una Chiesa silente. La Chiesa italiana parla nelle sue comunità attraverso la testimonianza della santità e della speranza: famiglie che attraversano le difficoltà rimanendo unite; persone che lottano contro l’aborto e l’eutanasia, che dedicano la loro vita ad aiutare gli immigrati, i malati e tutti i grandi “scartati” di cui parla papa Francesco. Tutto questo mondo di santità fatica a diventare cultura, giudizio sulla storia e sui trend culturali mondani che vogliono sostituirsi a Dio. Questo è il compito che abbiamo davanti come vescovi e come Chiesa italiana».

C’è spazio in Italia per un partito cattolico?
«In astratto sì, concretamente no. I politici cattolici militano in partiti diversi, non si ascoltano più, si contrappongono tra loro».

Lei ha visto il film «I due Papi»? E «The new Pope» di Sorrentino?
«Ho visto I due Papi. Mi ha affascinato l’attore che interpreta papa Francesco, mentre papa Benedetto è assolutamente sbagliato nella sua resa. Ratzinger rimane uno sconosciuto ai più: non conoscono i suoi scritti e ignorano il suo tratto gentile e timido, assolutamente positivo riguardo all’interlocutore. Non penso che guarderò la serie di Sorrentino».

Si è votato nella Regione in cui lei è vescovo, l’Emilia-Romagna, e Salvini non ha vinto. Come mai? Ha prevalso l’anima rossa di questa terra, a cominciare da Reggio? O Salvini ha esagerato, con il citofono e tutto?
«Ho avuto l’impressione che il centrodestra fosse in vantaggio fino a due-tre settimane prima delle elezioni. Poi l’insistenza su Bibbiano in modo inappropriato, il caso del citofono e certi toni hanno portato molti elettori dal desiderio del cambiamento alla paura del cambiamento. Penso che la sinistra debba ascoltare coloro che hanno votato per il centrodestra. Le loro domande pongono problemi reali e profondi».

Ruini ha consigliato alla Chiesa di dialogare con Salvini. È giusto farlo? 
«Ruini è un ottimo politico. Nelle sue parole però sentii innanzitutto la voce del vescovo. I vescovi devono incontrare tutti, devono ascoltare tutti. Salvini, nel bene e nel male, rappresenta la voce di milioni di persone, perlopiù credenti. Pio XII ricevette in udienza Togliatti, anche se di nascosto. Perché non si dovrebbe incontrare Salvini?».

A che punto è Comunione e Liberazione, di cui lei ha scritto la storia? È stata demonizzata? È ancora viva e influente?
«Certo nel passato è avvenuta una demonizzazione, non senza colpe da parte di Cl. Non è stata capace di mostrare quanto il coraggio dell’azione politica di alcuni suoi membri e gli inevitabili errori dovessero essere legati e distinti dal movimento stesso. Oggi mi pare che i movimenti abbiano fatto tutti passi indietro, anche numericamente. La loro influenza sulle anime la giudica Dio. Sulla storia degli uomini essa è ancora forte. Devono sicuramente crescere nella loro capacità di fare cultura e di esprimere giudizi».

Un capitolo del suo libro è dedicato ai migranti. La Chiesa ha perso un po’ di sintonia con l’opinione pubblica predicando l’accoglienza? Aveva torto Biffi quando diceva che era meglio privilegiare gli arrivi da Paesi di religione cattolica?
«La Chiesa italiana ha fatto molto. L’ho potuto vedere dall’interno. Però non abbiamo saputo rassicurare né influire sui processi di integrazione. Se si accoglie chi non può essere integrato, si fa il male delle persone. Tra l’“accogliamo tutti” e l’“accogliamo nessuno” c’è la linea della prudenza e della saggezza invocata da papa Francesco».

Che cosa significa in concreto?
«Accordi con i Paesi africani per ridurre le partenze; lotta ai mercanti di migranti; stabilizzazione della Libia e dei Paesi limitrofi; cordoni umanitari per accogliere chi fugge dalle violenze; accordi europei per la distribuzione dei profughi; sicurezza nelle nostre strade. Non si può costruire il futuro senza custodire le proprie tradizioni e i propri valori. Vogliamo restare l’Europa, anche con l’aiuto di nuove presenze. Non vogliamo diventare un continente senza volto. Per questo l’insistenza di quindici anni fa sulle radici giudaico-cristiane, forse allora politicamente sbagliata, è la condizione per costruire il futuro».

intervista di ALDO CAZZULLO
Corriere della sera

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