domenica 19 aprile 2020

“MODELLO ITALIA”


La pandemia ci ha insegnato alcune cose, di cui naturalmente non faremo tesoro.

1.       Costruire un regime autoritario in Italia è facilissimo. Con la lodevole eccezione di Sabino Cassese, nessun giurista o intellettuale o opinionista ha battuto ciglio al cospetto della sospensione drastica delle libertà costituzionali; il Parlamento non si riunisce mentre il governo emette decreti a raffica e insulta l’opposizione; le forze dell’ordine sono libere di fermare, intimidire, multare chiunque; i media, anziché vigilare sui diritti dei cittadini, incitano alla caccia all’uomo; i vicini di casa denunciano i vicini di casa e la delazione è diventata una virtù; la retorica della guerra e il nazionalismo straccione alimentano i sentimenti peggiori diffondendo panico e autocommiserazione; l’arbitrio è la misura di tutte le cose.


2.      Non avremo tuttavia un regime autoritario, perché in Italia lo Stato non esiste. Il governo crea commissari e commissioni, emana decreti e norme, ma non è in grado di produrre e distribuire neppure le mascherine; l’opposizione urla e strilla senza costrutto alcuno; esperti e scienziati si moltiplicano e si contraddicono ogni giorno; molte Regioni del Nord e del Sud hanno di fatto proclamato la secessione senza che nessuno obietti nulla; ogni norma è modificata più volte e, una volta approvata, è cambiata o annullata da questa o quella Regione, da questo o quel Comune, secondo il capriccio del feudatario locale; non c’è nessuna linea di comando visibile e, di conseguenza, non c’è nessuno che si assuma la responsabilità di ciò che accade.


3.      Il pensiero unico antieuropeo, amplificato ogni giorno dai media di ogni parte, è ormai la narrazione comune a maggioranza e opposizione: noi abbiamo il diritto di avere dall’Europa tutti i soldi che vogliamo, ma l’Europa non ha il diritto di chiedere come li spenderemo e quando li restituiremo. Aver sperperato per decenni le finanze pubbliche, essersi indebitati fino al collo, avere il più alto tasso di evasione fiscale e di lavoro nero, aver lasciato alle mafie il controllo indiscusso di intere aree del Paese, bruciare ogni anno miliardi di euro in un apparato statale inefficiente e corrotto, sperperare altri miliardi per mandare in pensione i sessantenni o dare la paghetta ai bamboccioni – tutto ciò non conta nulla: ma se paesi più virtuosi, più educati e più seri di noi si permettono anche soltanto di sollevare un dubbio o di chiedere una garanzia, ci mettiamo a frignare e a scalciare e a puntare il nostro ditino contro l’orrida Europa che, poverina, ha il solo torto di essere un posto normale.

4.      In Italia non esiste più alcuna cultura del lavoro, cioè del benessere e del progresso. Siamo il Paese che ha chiuso per primo, e saremo l’ultimo a riaprire: e a nessuno viene in mente che, se non lavoriamo, tanto e subito, non potremo mai risollevarci. La più grande preoccupazione del sindacato, nel dopoguerra, è stata la riapertura delle fabbriche, perché senza lavoro non c’è il pane, e senza il pane non ci sono neanche le rose: oggi il sindacato ha come unica missione quella di impedire alla gente di lavorare. Tutto il mondo – tutto il mondo! – muove dal presupposto che bisogna ripartire, e poi si chiede come farlo nelle condizioni di sicurezza migliori; in Italia si muove dal presupposto che non bisogna fare niente, e poi magari si concede alle librerie di riaprire (a proposito: il 60% degli italiani non ha mai letto un libro e appena il 14% ne legge uno al mese).

5.      Qualunque cosa succederà nei prossimi mesi, sarà una catastrofe.


TRATTO DAL BLOG DI FABRIZIO RONDOLINO

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