mercoledì 27 maggio 2020

CIO' CHE RIDESTA LACOSCIENZA E' LA PRESENZA DI UNA RISPOSTA


Sintesi Assemblea soci di ESSERCI del 29 aprile 2020 

Una delle speranze, dei richiami, presenti soprattutto in ambiente cattolico, ma non solo, perché c'è anche una preoccupazione di molti che cristiani non sono, è che questa sventura della pandemia almeno ridesti la coscienza, ridesti la coscienza dell'uomo.
Secondo alcune considerazioni questa coscienza appunto sarebbe stata in qualche modo ridestata o smossa. In realtà come hanno osservato bene altri, la difficoltà di per sé non ridesta la coscienza, la agita, la rende inquieta, ma non la ricostituisce. Perché ciò che costituisce la coscienza è la presenza di una risposta. Ciò che ridesta la coscienza è la presenza di una risposta. Ciò che fa emergere la domanda, la fa esprimere, è la presenza di una risposta. Senza di che c’è un’agitazione inconcludente alla fine. 

Da questo punto di vista è molto seria l’osservazione a riguardo della Chiesa che ha abbandonato il popolo, perché la Chiesa che ambisce ad essere il luogo della risposta alla ricerca dell’uomo sembra fragilissima. Per cui l’augurio a che si ridesti la coscienza non ha strumenti, non si realizza: si sente molto questo.

Una delle ragioni per cui abbiamo fatto Esserci, è che la Chiesa non sono solo i preti o i vescovi, la Chiesa siamo noi. Quindi è anche a noi che è affidato il compito di una presenza che possa ridestare la coscienza. Quando De Petro ci legge che Giussani nel momento di difficoltà aveva detto che la nostra fede deve diventare più matura, è perché la Chiesa non sono i preti, non sono gli altri, la Chiesa siamo noi, tutti insieme. Siamo noi come persone e siamo noi come comunità, come corpo. Per cui chi abbandona eventualmente l’uomo, non sono solo i preti, siamo noi che abbandoniamo. La fragilità è veramente diffusa e noi dobbiamo sentirci responsabili di essa, soprattutto nella formazione del giudizio. 

Di qui il contenuto proprio di un’associazione come Esserci, perché si è molto parlato del rischio di un totalitarismo culturale. Ma il totalitarismo culturale in cui siamo immersi oggi non è realizzato attraverso la selezione dell’informazione, anche; ma soprattutto attraverso l’abbondanza e la moltiplicazione delle informazioni. Per esempio, di tutti i rischi e dei pericoli di cui si è parlato questa sera intervenendo, i giornali sono pieni: per esempio sul problema citato della libertà messa in discussione dall’adozione della app, Cioè tutte le cose che noi sentiamo come rischiose, come pericolo per la nostra esistenza presente e futura, sono affrontate nei media con pagine e pagine visive e scritte, dappertutto. Si è parlato appunto di “infodemia”, della epidemia di informazioni: il problema è che l’abbondanza di informazioni a rende tutte le informazioni uguali, cioè vale tutto allo stesso modo. 

Anche perché l’incertezza e l’ignoranza che c’è dietro è così evidente che ormai tutti hanno capito che pure medici e scienziati –certo sanno- ma la sostanza delle cose non la sanno. E vanno a tentoni, come tutti. Come i politici, adesso impauriti dalla riapertura che potrebbe far riaccadere il contagio e non si sa se riaccadrà, non si sa se ricomparirà l’epidemia, non si sa qual è il vaccino, non si sa quali sono le cure, non si sa quanti sono i morti, non si sa quanti sono gli ammalati, non si sanno un sacco di cose. E tutti discutono e dibattono. C’è una pletora di informazioni che distrugge la capacità selettiva del pensiero. 
Arizona, foto tratta da The Atlantic

Se Esserci è un’associazione culturale, deve preoccuparsi soprattutto di questo. E deve preoccuparsi di questo valorizzando l’esperienza degli associati. L’esperienza di chi ci sta, l’esperienza di chi si mette insieme: dobbiamo fidarci di questo, fidarci di questo come sostanziale e ultima possibilità.
L’esperienza non è solo provare le cose, ma è anche giudicarle. È il giudizio sulle cose che si sono provate, che si sono viste e si sono vissute: noi abbiamo un giudizio, dobbiamo fidarci mettendolo alla prova e rendendolo pubblico. Tanto più dobbiamo fidarci a causa della nostra fede cristiana che ci ha messi insieme come segno, come luogo per la scoperta e la conquista della verità. È un compito immane ma è quello che dobbiamo fare. 

Io spero che, almeno per quanto riguarda noi, il motto benedettino Ora et Labora -in fondo il lavoro è equivalente alla preghiera, e la preghiera è equivalente al lavoro, cioè la preghiera trasforma e il lavoro domanda- diventi veramente nostro, diventi ricerca effettiva della risposta e di una proposta che sia di aiuto. 

Non elenco i tanti temi che sono stati citati: lavoriamo per affrontarli a partire dalla nostra esperienza, cercando innanzitutto di aiutare noi stessi a renderci conto di quanto sta succedendo, cercando quindi innanzitutto di aiutare noi stessi a ridestare la coscienza. Perché poi, per fortuna, non tutto dipende da noi, e per questo c’è Dio: ci penserà un po’ anche Lui. 

Giancarlo Cesana
Assemblea Soci Esserci 29 Aprile 2020

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