giovedì 21 ottobre 2021

MASSIMO CAMISASCA, VESCOVO DI REGGIO EMILIA, PARLA DEL SINODO


“Uscire dalle canoniche e badare più alla fede che alla sociologia

«Il tempo dirà se il grande Sinodo sulla sinodalità inaugurato domenica 10 ottobre sarà un Vaticano III sotto mentite spoglie, se cioè dalla "base", dal popolo di Dio infallibile in credendo emergeranno istanze che non potranno essere ignorate dall'episcopato una volta che si ritroverà riunito a Roma, nell'autunno del 2023. Prima di allora, però, si lavora in diocesi. 

Mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia- Guastalla, aprendo il percorso locale, ha insistito sulla necessità di "aprire i confini della nostra tenda". L'esortazione cioè a uscire davvero dalle chiese e dalle case per andare incontro agli altri. E' forse questo, gli chiediamo, il rimedio a un ripiegamento che le comunità cristiane ( e cattoliche in particolare, specie alle nostre latitudini) stanno ormai conoscendo da tempo? 

Come ridestare questo "desiderio incontenibile" di uscire verso gli altri? "Tutto il pontificato di Papa Francesco si può raccogliere in un invito alla missionarietà", risponde mons. Camisasca: "Almeno questo è ciò che io ho raccolto e rilanciato nella mia Chiesa. Tutto il resto mi sembra relativo a questo invito e deve essere giudicato da esso. Papa Francesco viene da terre lontane, che sono state evangelizzate cinque secoli fa e che hanno messo nel suo animo questa tensione alla testimonianza. E' in quest' ottica che leggo il prossimo Sinodo dei vescovi e i cammini sinodali che hanno iniziato le chiese in tutto il mondo con maggiore o minore passione, con maggiore o minore consapevolezza. Non si tratta perciò di un invito nuovo, ma di una ripresentazione nuova delle parole conclusive di Gesù: ' Andate, predicate e battezzate'. Non potrebbe essere diversamente. Cosa c'è di nuovo allora? Nulla? No, c'è molto di nuovo. Innanzitutto l'insistenza a uscire.

Le nostre chiese sono spesso ripiegate su se stesse. Le forme che la pastorale ha assunto dopo gli anni Sessanta hanno privilegiato gli uffici, i piani pastorali, la burocrazia, la proliferazione dei ministeri. Tutto ciò ha avuto come risultato non solo una chiusura della Chiesa in se stessa, ma anche, agli occhi del mondo, l'identificazione dell'evento ecclesiale e della sua proposta con i problemi interni alla sua vita.

L'esempio più clamoroso di questo è il dibattito attorno al diaconato femminile, come se aggiungere qualche presenza sull'altare rendesse più luminoso e affascinante il volto della Chiesa. Si è creata così una situazione paradossale: da una parte, l'indebolirsi della fede ha portato ad assumere sempre più la logica del mondo, a vedere la Chiesa come un'istituzione umana, dominata dalle logiche della maggioranza e della minoranza, del potere e della accondiscendenza al mondo. Dall'altra, ci si è sempre più allontanati dagli uomini e dalle donne, dalla loro vita concreta, dai loro desideri più profondi". E' la novità di metodo proposta dal cammino sinodale, prosegue il vescovo: "Lasciare le nostre comode canoniche, andare verso le persone, accompagnarsi alle loro giornate, ascoltarle fino a cogliere la profondità della loro attesa e della loro domanda, oltre gli schemi soliti con cui abbiamo pensato il rapporto tra la Chiesa e il mondo. Sarebbe un cammino salutare. Saremo capaci di compierlo?". "Andare coraggiosamente incontro all'uomo ( tra l'altro questo era già l'invito di san Giovanni Paolo II che egli realizzò con la pluralità dei suoi viaggi) - prosegue mons. Massimo Camisasca - implica una fede profonda e un cuore libero, un forte radicamento nella preghiera e nella vita sacramentale, una vita comunitaria serena e profonda. Non c'è missione senza comunione vissuta".

Il Papa più volte ha detto che è necessario non confondere la Chiesa con una moderna democrazia, con un sistema costituito da maggioranze e minoranze. La storia più recente dei Sinodi, però - e lo vediamo ad esempio in Germania così come lo vedemmo in occasione del doppio Sinodo sulla famiglia - testimonia che le divisioni e la conta all'ultimo voto sono la prassi. Come ci si può incamminare in un percorso che si ripropone di essere l'inizio di una nuova missione della Chiesa evitando di trasformare il Sinodo in una sorta di caotico Parlamento?

Si può, risponde il vescovo di Reggio Emilia, "distinguendo radicalmente le logiche della sociologia dalle logiche della fede. Il Santo Padre ha richiamato più volte che il cammino sinodale deve avere come fondamento il sensus fidei fidelium, la coscienza di fede del popolo cristiano. Essa è come un fiume che attraversa i secoli, talvolta gonfio di acque, talaltra ridotto a un piccolo rigagnolo. Non si tratta perciò di cercare ciò che accontenta i più, ma di mettere in evidenza ciò che sempre la Chiesa ha creduto. Naturalmente riproponendolo alla luce delle nuove domande. Esse non potranno avere necessariamente delle risposte immediate o concordi. Non possiamo eliminare il lavoro del tempo come è stato necessario sempre, ad esempio per i concili. La bellezza della verità proposta da Cristo emergerà poco a poco, come da un'acqua mossa e torbida che, placandosi, diventa chiara e fa emergere i colori del fondo. La Tradizione non è un passato, ma è la contemporaneità della morte e resurrezione di Cristo al nostro tempo. Occorrono gli occhi della fede, come diceva Rousselot, amore alla verità, pazienza, ascolto reciproco, chiarezza di direttiva da parte dei pastori, coraggio di proposta, affidamento allo Spirito che guida la Chiesa"».

Intervista di Matteo Matzuzzi, il Foglio

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