PERCORSO DI CULTURA

giovedì 28 ottobre 2021

IL FRUTTO DELLA PRESUNZIONE


Il cosidetto Ddl Zan in archivio

Un ambizioso ma brutto disegno di legge nato per contrastare in modo specifico omofobia e transfobia (e che ostinatamente non si è voluto ben calibrare se non per renderlo ancora meno centrato sull'obiettivo dichiarato) è stato fermato. Ma non è un bel giorno per la società italiana.


E «il modo ancor m’offende». Non certo per il libero voto dei senatori della Repubblica, bensì per l’insensata prova di forza che ha prodotto quest’esito deludente e per il solito coro zeppo di luoghi comuni che, con qualche felice eccezione, dalle opposte sponde si è subito levato. «Genderofili» (perdenti) contro «omofobi» (vincenti), in una sorta di bipartitismo caricaturale e insopportabile.

Ma l’Italia, grazie a Dio e alla civiltà di tantissimi suoi cittadini e cittadine, non è una terra di odiatori e menatori seriali e neanche di ideologi dell’indifferenza (umana, morale e sessuale). È perciò politicamente e civilmente assurdo e autolesionista forzare per incasellarci tutti in questa scatola di ferro spaccata a metà.

Così si semina vento e si raccoglie tempesta, aggravando fenomeni reali ed esaltando gli esaltati. Che pure ci sono. Sì, ci sono quelli che insultano e vessano le persone omosessuali e transessuali, così come ci sono quelli che pretendono, nel nome dell’«infinita possibilità», di negare la realtà della differenza sessuale, di maternità e paternità e persino la libertà di affermarle. Ecco perché argini espliciti a tutto ciò – alla violenza verbale e fisica sulle persone e a ogni illiberale rimozione e intimidazione antropologica – vanno posti o mantenuti. E bisogna farlo in modo semplice e chiaro. Come anche la Chiesa italiana ha raccomandato, per voce dei suoi vescovi, con buona pace dei, variamente distribuiti, seminatori di slogan a buon mercato e di pessimo contenuto.

Il ddl Zan era e resta sbagliato, e su queste pagine l’abbiamo scritto e documentato a fondo, dando spazio a tante voci, trasversali agli schieramenti eppure silenziate o stravolte dalle pretese caricaturali di cui sopra. Quella proposta 'idolatrata' da persuasori e influencer decisi a darla già per approvata in forza di un plebiscitarismo digitale e mediatico da far accapponare la pelle, era fuori centro in più punti sul piano concettuale, dell’architettura giuridica e delle sue conseguenze.


Non lo si è voluto ammettere e ora si raccolgono i frutti della presunzione. Ma meglio nessuna legge di una cattiva legge, perché di leggi vigenti e cattive o incattivite (come quelle sulle migrazioni e sulla cittadinanza) ne abbiamo già troppe, e perché quando si tratta di reati e di libertà, cioè 'dei delitti e delle pene', non si può essere approssimativi e avventurosamente 'filosofici'. Lo strepito che si sente non è incoraggiante, ma speriamo che di questo fallimento si sappia far tesoro.

Marco Tarquinio Avvenire

giovedì 28 ottobre 2021

 

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