domenica 31 marzo 2019

DON GIUSSANI: “LA FAMIGLIA È ATTACCATA PERCHÉ L’UOMO SIA PIÙ SOLO”


Don Giussani dice che il potere ha tutto l’interesse a distruggere la famiglia perché rimane l’ultimo e più forte baluardo che consente all’uomo di resistere naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce. Più solo è l’uomo e più facilmente è manipolabile. La famiglia è l’esempio più impressionante della Incarnazione.

Sicari: È per questo che oggi il potere ha interesse a distruggere i legami familiari stabili?
Giussani: L’interesse del potere è duplice: prima di tutto, distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato: l’uomo solo è senza forza, è privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità: e si piega facilmente al dettato delle convenienze.
Sicari: Quindi dietro a tutti i cedimenti sociali a riguardo della famiglia (aborto, divorzio, convivenze, permissivismo sessuale ecc.) c’è sempre uno stesso scopo: quello di far dimenticare che libertà e appartenenza sono la stessa cosa…
Giussani: Certamente, perché così l’uomo resta un pezzo di materia, un cittadino anonimoLa famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, e non abbia tradizioni in modo che non veicoli responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere. La seconda ragione, più profonda, è questa: che distruggendo la famiglia si attacca l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, di cui il potere è funzione: vale a dire, intendere la realtà atomisticamente, materialisticamente, una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

L’intera intervista a don Giussani la trovate qui.

https://www.sabinopaciolla.com/don-giussani-proporre-cristo-senza-giungere-a-unetica-non-si-comprende-fatto-cristiano/

venerdì 29 marzo 2019

CULTURA DELLA MORTE



Nel Vermont la peggiore legge degli Stati Uniti cancella il diritto alla vita fino al nono mese

«Ogni individuo (sic!) che resti incinta ha il diritto fondamentale di portare a termine una gravidanza, di dare alla luce un bambino o di praticare un aborto»

"Nessuna autorità statale o locale potrà perseguire un individuo per avere indotto o eseguito oppure tentato di indurre o di eseguire l’aborto [nel corpo] di quell’individuo". Con un tratto di penna, il legislatore dello Stato del Vermont (nordest degli Stati Uniti) ha cancellato il diritto di vita di tutti i nascituri fino al nono mese di gravidanza.


Lo Stato del Vermont ha detto sì alla peggior legge sull’aborto di tutti gli Stati Uniti, della loro storia e dunque della storia umana. Lo ha fatto mercoledì 20 febbraio, di sera, ora locale, approvando, nel modo più democratico possibile, visto che in democrazia si vota anche su tabù come l’intangibilità della vita umana innocente, la proposta di legge H57.

Che sia la legge peggiore lo dice la legge stessa: «Questo disegno di legge propone di riconoscere come diritto fondamentale la libertà di scelta riproduttiva e di vietare a qualsiasi entità pubblica di interferire o di limitare il diritto di un individuo a porre termine alla propria gravidanza». Non lo si può tradurre letteralmente perché in italiano diventerebbe cacofonico, ma il testo originale è ancora più cinico e metallico: parla di «[…] the right of an individual to terminate the individual’s pregnancy», «[…] il diritto di un individuo a terminare la gravidanza di quell’individuo». La medesima noncuranza con cui spegniamo il televisore alla sera, nascosta dietro il paravento del “faccio quel che mi pare”

Questa del Vermont è la legge peggiore degli Stati Uniti perché è peggiore della legge varata dallo Stato di New York che già era la legge peggiore di tutte. Approvata il 22 gennaio scorso nell’anniversario esatto della legalizzazione dell’aborto a livello federale nel 1973 , la legge dello Stato di New York mantiene infatti almeno formalmente il limite dell’aborto alla 24esima settimana benché introduca la liceità ferale di andare oltre nei casi in cui la salute della madre sia a rischio. Tutti sanno che è solo il modo per spalancare le porte all’aborto disinvolto fino al nono mese, ma se non altro c’è un po’ di tattica.
la lobby PLANNED PARENTHOOD 

La legge del Vermont non si trincera nemmeno dietro a mezza scusa, non sfoggia neanche un po’ di ipocrisia: lascia campo libero totale a chiunque voglia ammazzare un bambino nella propria pancia in ogni momento e per qualunque ragione. Dice, concisa e secca, la legge: «Nessuna autorità statale o locale potrà perseguire un individuo per avere indotto o eseguito oppure tentato di indurre o di eseguire l’aborto [nel corpo] di quell’individuo». E continua: «Ogni individuo che resti incinta ha il diritto fondamentale di portare a termine una gravidanza, di dare alla luce un bambino o di praticare un aborto».
Ora, la legge parla solo di “individuo”. A dar scandalo non è però tanto quel termine in sé. A dare scandalo vero è invece il linguaggio asessuato che la legge usa: non esistono infatti “individui che restano incinta”, ma solo donne che diventano madri (anche se sopprimono il proprio bambino prima ancora di darlo alla luce) per natura, per vocazione e per scelta. La scomparsa della persona si annida lì, dove l’automa senza tratti distintivi prende il posto dell’umano.

Di più, e fino in fondo: «Per la legge del Vermont un uovo fecondato, un embrione o un feto non avranno diritti indipendenti». Si accaniscono sul feto, sull’embrione, arrivano addirittura fino al microscopico uovo impiegando quell’insopportabile linguaggio algido, fintamente tecnico, come di chi stia facendo del bene nell’annientare un virus. Non li chiamano mai vita, bambini, figli. Per questo la legge del Vermont è la peggiore della storia.

Alcun ente pubblico potrà «proibire a un operatore sanitario, che agisca nell’ambito della licenza del fornitore di assistenza sanitaria, di interrompere o di assistere alla cessazione della gravidanza di un paziente
Questa pessima legge del Vermont era stata presentata il 22 gennaio è stata approvata dalla Camera locale. Adesso tocca al Senato del Vermont pronunciarsi, un Senato dove i Democratici godono di una maggioranza schiacciante.
Bernie Sanders
In quell’aula siede tra l’altro anche Bernie Sanders, che ha appena annunciato di ricandidarsi per le presidenziali del 2020. Sanders è il miglior emblema di un Vermont votato al radicalismo spinto e il presidente Donald J. Trump ci ha visto giusto ancora una volta. Nel discorso sullo Stato dell’Unione ha infatti lucidamente descritto i nemici degli Stati Uniti di oggi: aborto e socialismo. Il Vermont gli dà ragione.

tratto da la nuova bussola



CONGRESSO FAMIGLIE: UN PROBLEMA DI LIBERTA’


INIZIA A VERONA IL CONGRESSO DELLE FAMIGLIE
Domenica finalmente ci sarà questo benedetto e maledetto Congresso mondiale delle famiglie. L’auspicio è che si capisca di che si tratta, e che gli animi si plachino: mai manifestazione, convegno, assemblea è stata più osteggiata e messa alla berlina pregiudizialmente, con un livore inedito e un furore ideologico.

Inedito neanche tanto, per chi ricorda anni lontani, in cui schierarsi contro la legge sull’aborto significava rischiare macchine e teste sfondate, e l’epiteto insultante era lo stesso: “fascisti”. Ecco, siamo ancora e sempre lì, a usare il fango e la gogna per contrapporsi alle idee che non si condividono. Per giudicare realtà che non si conoscono né si vogliono conoscere. Che faranno mai questi pericolosi antagonisti della modernità e del libero pensiero a Verona? Quali barricate prepareranno, quali sanpietrini e molotov tireranno in testa ai poliziotti, che minacce di morte segneranno con la vernice sui muri?

Perché si ingaggino gare per “contromobilitazioni”, presentazioni parlamentari,  manifesti di docenti universitari, trasmissioni televisive per esporre alla pubblica piazza gli organizzatori con ludibrio e disprezzo? L’Italia è attraversata da cortei e manifestazioni tutto l’anno, sfilate di nudi piumati e passamontagna, antagonisti che spaccano le vetrine, sedicenti partigiani che sventolano le loro bandiere di un colore solo.
Tutti hanno diritto a occupare piazze e gridare, anche chi non ne avrebbe diritto perché uso alla violenza e all’insulto. E mettono paura migliaia di famiglie con passeggini al seguito all’ora del pranzo domenicale, nella città di Romeo e Giulietta?

Va bene, ci andrà Salvini, con qualche ministro a fargli compagnia. Errore, sia per Salvini che per il Congresso: le etichette chiudono, legano, determinano. Il tema della famiglia è troppo importante per appaltarlo a una parte politica. Si tratta pur sempre del 60 per cento e oltre degli italiani, che vive e si arrabatta come può, ma ben lieto, in quelle che ormai si chiamano “famiglie tradizionali”, con un termine considerato dispregiativo che non bisognerebbe mai e poi mai accettare.

Sono stati invitati solo esponenti politici di paesi a traino cosiddetto “sovranista”. Sbagliato. Sbagliato per tutti gli altri politici italiani ed europei, ugualmente invitati, declinare la partecipazione. Io i politici non li avrei proprio invitati, per evitare strumentalizzazioni in tempi accesi di campagne elettorali. In Europa ci sono sociologi, filosofi, teologi, mamme e papà e nonni sufficientemente in grado di parlare di famiglia, con più libertà e competenze.

Ma anche i distinguo sono pelosi: perché il tema non è che il Congresso sia organizzato bene o male, che ci piacciano le idee che esprime, che i relatori siano rappresentativi delle variegate realtà del mondo, non solo cattolico, che sostiene la famiglia come base e motore della società. Il tema è la libertà, com’era a cavallo dei terribili anni 70 e 80. Ci sarà o no il diritto di esprimere idee e desideri in modo pacifico? O per forza bisognerà passare per fascisti, retrogradi, medievali, con un’ignoranza della storia e una spocchia che fanno penare, se pensiamo a come vengono educati i nostri figli? Si potrà poi giudicare dopo, se questo enfatizzato incontro sarà da commendare, per i toni e i contenuti? Dalla Gruber a Del Debbio, toccherà a loro farci lezione di morale, di educazione civica, di onorabilità pubblica? Tagliando gli interventi scomodi, mostrando dei pazzi raccattati per strada per sminuire o ridicolizzare quelli che vengono identificati come “nemici”. Ma perché? Perché ritengono che qualche diritto debba essere riconosciuto alla maggioranza delle famiglie, quelle con un papà e una mamma, come natura vuole, che piaccia o meno agli ideologi del gender? Quelli che ritengono che i figli non si comprano in embrione, che non si affittano gli uteri delle nuove schiave?

Vedo una corsa ambigua a smarcarsi, anche di tanti che condividono gli stessi valori. Non ci piace il Congresso? Pazienza. Sosteniamo però la sua libertà. L’ha detto splendidamente, fuor da ogni polemica, il cardinale Parolin, che agli altri Congressi della famiglia era stato presente (questo è il tredicesimo, sarà il numero che porta male?) Siamo d’accordo sulla sostanza, forse avremmo scelto altre modalità.

E la sostanza l’ha rimarcata il papa in visita straordinaria a Loreto: “nella difficile situazione del mondo odierno, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna assume una importanza e una missione essenziali.  E’ necessario riscoprire il disegno tracciato da Dio per la famiglia, per ribadirne la grandezza e l’insostituibilità a servizio della vita e della società”. 

Monica Mondo IL SUSSIDIARIO.NET

giovedì 28 marzo 2019

CATTOLICI NEL CENTRODESTRA A CESENA : LE RAGIONI DI UNA SCELTA


  UN ASSESSORATO 
ALLA FAMIGLIA E AL WELFARE

Cattolici nel centrodestra e non del centrodestra. 
Lo chiarisce subito Tommaso Marcatelli, medico  e già consigliere comunale, nel corso della conferenza stampa svoltasi poco fa al caffè Barriera. "Nel, e non del, perché siamo un gruppo di cattolici che ha deciso di stare da questa parte. Di cattolici ce ne sono tanti".
"Ci presentiamo nella lista civica del candidato sindaco Andrea Rossi - aggiunge Marcatelli - perché oggi i partiti sono connotati in maniera negativa".

Arturo Alberti, noto pediatra cesenate fondatore di Avsi e oggi presidente di Orizzonti, spiega le ragioni della scelta: "In quanto cattolici - dice - siamo appassionati all'uomo e a ciò che accade attorno a noi. Tutto ci interessa. Basiamo il nostro impegno sulla Dottrina sociale della Chiesa, un bene per tutti. 
Facciamo riferimento ad alcuni principi: la sussidiarietà, la centralità della famiglia come cellula fondamentale della società, la promozione della natalità, la libertà di educazione, il lavoro, l'accoglienza verso chi è nel bisogno, donne incinte o immigrati".Poi una stoccata al Pd: "Ha fatto scelte irreversibili - aggiunge Alberti -. La sussidiarietà è vista come supplenza e la famiglia si è trasformata in famiglie. L'aborto viene vissuto come un diritto e non come un dramma e la gestione della cosa pubblica senza tener conto della libertà. Con Rossi non siamo d'accordo su tutto, ma facciamo un tratto di strada assieme".
Il consigliere comunale Stefano Spinelli mette in luce la continuità di un'esperienza, dentro a una storia e a una passione politica. Quella della tradizione cattolica popolare liberale. "L'alternanza è un valore in sé per la democrazia. Dopo 49 anni, c'è la necessità di un cambiamento. Si rischia la gestione del potere, dopo tanti anni, come ho visto con l'esperienza in consiglio comunale".
Poi i punti del programma. "Molte nostre proposte sono finite nel programma di Rossi (ancora non noto, ndr). Proponiamo un assessorato alla famiglia e al welfare e un'effettiva parità tra scuole statali e paritarie, come indicato dalla legge Berlinguer del 2000. Con la candidatura di Enrico Castagnoli intendiamo rafforzare la lista di Rossi".
Castagnoli, 30 anni il prossimo 27 maggio, insegnante di religione alle Medie, racconta come è nato il suo impegno. "Dopo l'appello di papa Francesco in piazza del Popolo il primo ottobre 2017 a non balconare, ho deciso di impegnarmi. Il mio orizzonte sarà quello del servizio e sui temi già indicati da chi mi ha preceduto".Castagnoli ha un passato da giovane di Forza Italia e con Stefano Angeli in "Libertà e futuro". Già presidente parrocchiale di Azione cattolica a San Pietro, da alcuni anni non aderisce più all'Ac. Diverse le esperienze ecclesiali diocesane e oltre, ha scelto come slogan #io servo.
In chiusura di conferenza stampa ha preso la parola il candidato sindaco Andrea Rossi: "Enrico è una grande opportunità per la nostra lista - aggiunge Rossi -. La sua passione la mia possono essere un valore per Cesena. Il nostro è un progetto ampio, fatto di scambio e confronto di idee. Con i cattolici nel centrodestra il percorso è molto lineare".


Francesco Zanotti Corriere cesenate
28/03/2019 di 

IN UNA CRISI NON DELL'ECONOMIA NE' DELLA POLITICA, MA DELLA SPERANZA



 CHE CONTRIBUTO POSSONO DARE I CRISTIANI?


Botticelli
La Primavera
(part.)
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, intervenendo con intelligente tempestività nella situazione, la Chiesa mise comunque l’Italia al sicuro dal possibile bagno di sangue che si prospettava se, come ad esempio accadde invece in Grecia, la collocazione concordemente assegnata al nostro Paese dalle Potenze vincitrici fosse stata rimessa in ballo. Nei trent’anni che seguirono, sotto i governi guidati dalla Democrazia Cristiana quello che era un Paese giunto soltanto alle soglie dell’industrializzazione e poi ridotto in macerie dalla guerra arrivò infine a far parte del G 7, il gruppo delle sette maggiori economie industriali del mondo.

Oggi che tale stagione politica è del tutto conclusa, e in nessun modo ha senso venga ripresa, è tuttavia giusto ricordarne il cruciale valore storico. D’altra parte non soltanto allora ma anche adesso non conviene a nessuno che nel nostro Paese la presenza cristiana sia silente. Tutto conferma che oggi, malgrado la sua posizione dominante, la cultura secolare post-illuminista da sola non ce la fa ad affrontare con successo quella che non è una crisi dell’economia e della politica bensì in primo luogo ed essenzialmente una crisi della speranza.
Nella misura in cui i cristiani sono realmente tali, la visione del mondo cristiana diventa perciò anche una risorsa civile di cui conviene a tutti tener conto. In via preliminare rispetto al dibattito sui nuovi modi in cui essa può riaffacciarsi sulla scena pubblica della società plurale in viviamo, proviamo allora a fare un primo elenco (che beninteso non pretende di essere né indiscutibile né esauriente) di che cosa di buono può venire oggi dalla gente di fede  all’edificazione della casa comune di tutti gli uomini
ü  In primo luogo un saldo e solido fondamento del principio di laicità. Tale principio infatti è radicalmente e originariamente cristiano: entra nella storia con Gesù Cristo e il suo “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt, 22,21), e risulta stabilmente fondato solo in aree e in  culture di matrice cristiana. Altrove si diffonde soltanto per così dire per osmosi, e fatica a trovare spazio e stabilità. Non solo nel mondo islamico ma pure altrove. Nella storia si è ampiamente attuato solo verso la fine dell’età moderna, ma in ultima analisi sempre in forza delle sue antiche radici cristiane. E sono queste che si oppongono alla sua distorsione in forma laicistica. In una forma cioè che mentre pretende di dargli piena espressione in effetti lo contraddice.
ü  La motivata affermazione del valore primario della persona, base essenziale della democrazia, e quindi del suo primato rispetto non solo alle istituzioni politiche, allo Stato, ma anche alle nuove potenze dell’era digitale, oggi spesso più potenti e più penetranti del potere politico tradizionale.
ü  La memoria consapevole delle radici cristiane della cultura  europea, occidentale, che peraltro costituisce il nucleo principale della civiltà contemporanea in quanto tale. Ignorando tali radici non si riesce più a capire e quindi a governare né l’una né l’altra. Perciò i cristiani, che per definizione ne sono i primi eredi, hanno al riguardo un ruolo tanto ineliminabile quanto importante.
ü  Il realismo, tuttavia non cinico, che deriva da una concezione dell’uomo, ispirata alla dottrina del peccato originale, che lo vede orientato al bene ma fragile di fronte al male. Tale dottrina mette al riparo da due equivoci opposti in sé ma uguali nelle loro nefaste conseguenze: quello che consiste nel ritenere l’uomo soltanto buono (in pratica non tutti gli uomini bensì un certo popolo ovvero una certa classe sociale) oppure soltanto cattivo, homo homini lupus. Da ciascuno di tali equivoci derivano culture opposte altrettanto nefaste nelle conseguenze, come la storia dell’età moderna non ha mai smesso di confermare.


ü  La disponibilità reale a ragionare in termini di lungo periodo che è tipica di chi, considerandosi all’opera insieme a un Dio eterno creatore, pensa alla vita terrena come alla prima tappa di una vita senza fine. Siccome tutte le grandi idee e i grandi progetti hanno un respiro più che generazionale, nella misura in cui l’ateismo pratico diventa mentalità comune per conseguenza  si blocca lo sviluppo; e per analoghi motivi declina il desiderio di  mettere al mondo dei figli. L’uomo cessa infatti di essere generativo e non pensa ad altro che a sé ed a quanto può raggiungere nella propria personale vita terrena.
La tendenza ad avere uno sguardo equilibrato e inclusivo su tutta la realtà che è propria di chi è stato educato a considerare la realtà in tutti i suoi fattori, e a vedere il tutto in qualsiasi frammento. E a situare normalmente ogni questione nella vastissima prospettiva che è propria di chi vive  nell’orizzonte della Chiesa, plurimillenario in quanto al tempo e planetario in quanto allo spazio.
Per motivi come questi — osserviamo concludendo — i cristiani sono tra l’altro una risorsa politica utile sempre, ma utile più che mai nell’attuale fase di confusa transizione dall’età moderna alla nuova età nascente cui non si sa finora quale nome dare.
Pubblicato il 26 marzo 2019

sabato 23 marzo 2019

FARE FAMIGLIA OGGI



“Fare una famiglia oggi è un atto di eroismo incredibile perché significa andare totalmente controcorrente. Contro un sistema sociale e culturale che privilegia ogni forma di individualismo rispetto alla famiglia e favorisce ogni desiderio al di là di ogni responsabilità. Nonostante questa lunga serie di ostacoli che rendono difficile la vita delle coppie, la famiglia continua ad essere un baluardo, anzi, una roccia della nostra esistenza. La prima cosa di cui oggi c’è assoluto bisogno consiste nel ribadire, con forza, che l’unione matrimoniale tra un uomo e una donna, aperta ai figli, non è una struttura residuale della storia, ma è la cellula fondamentale ed insostituibile del nostro vivere in comune”.
Così ha dichiarato il Card. Bassetti in una recente intervista alla Stampa.

I lavori del XIII Congresso  Mondiale delle Famiglie, in programma a Verona nei prossimi 29-31 marzo, saranno imperniati su questi temi: La bellezza del matrimonio, I diritti dei bambini, Crescita e crisi demografica, Salute e dignità della donna, Tutela giuridica della vita e della famiglia, Politiche aziendali per la famiglia e la natalità. Tutti temi che saranno affrontati anche nella prossima campagna elettorale amministrativa e per l’Europa. E che fanno parte anche del nostro programma elettorale come Cattolici nel Centro destra.

Impressiona purtroppo il livello – basso, per non dire di peggio – delle critiche al convegno di Verona sulla famiglia. E’ stato un susseguirsi di insulti ai partecipanti, fake news, boicottaggi per chi nel capoluogo scaligero vorrebbe, innanzitutto, parlare di famiglia, denatalità, politiche a favore della donna, tutela della vita dalla nascita alla sua fine naturale. 

Ciò che colpisce è la pretesa di sostituire il confronto delle idee con la censura e con la demonizzazione di chi la pensa diversamente. Noi non ci saremmo mai permessi di fare una cosa simile: organizzare una manifestazione “contro” qualcuno, con l’unico scopo di disturbare.

Intorno al tema della vita si giocano oggi tutte le domande che toccano alla radice l’uomo. E queste interessano anche la politica. Per questo ringraziamo coloro che con coraggio hanno accettato di sfidare la macchina del fango e delle menzogne, manifestando anche dentro il governo, l’impegno a sostenere la “bellezza” della famiglia naturale”.

La famiglia resta, anche in una società sfasciata e sfilacciata, il luogo insostituibile della cura e della premura. Tutto questo, ripeto, può anche essere criticato e ripensato; però una cosa è dissentire, un’altra è bollare la famiglia, questa struttura reale e naturale, oltre che storica, sociale e culturale, come un mostro da abortire.
CATTOLICI NEL CENTRO DESTRA
CESENA
22  MARZO 2019



venerdì 22 marzo 2019

IN MORTE DI ANNA MARIA CÀNOPI


È morta nella festa di San Benedetto la fondatrice del monastero Mater Ecclesiae di San Giulio, sul lago d’Orta. Aveva 87 anni
Madre Anna Maria Cànopi era luce. Luce i suoi occhi, luce il suo sorriso, luce il suo pensiero.
Riprendiamo da Avvenire del 24/12/2011  un’intervista di 
Marina Corradi a Madre Anna Maria Cànopi.

Il cielo di dicembre è grigio sopra lo specchio calmo del lago. Nes­suno, nella piazzetta di Orta. Un battello trasborda sull’isola San Giu­lio. Come sbarchi, ti meraviglia il si­lenzio in cui sprofondi, un silenzio rotto soltanto dallo sciabordio del­l’acqua, al molo. Ti inoltri per il vi­colo verso il monastero benedetti­no Mater Ecclesiæ, seguita solo dal rumore dei tuoi passi. L’edificio del­l’ex seminario, affidato nel 1973 a sei monache, oggi ne ospita 75, di cui 10 novizie e 2 postulanti. Appe­si al portone gli orari della giornata: dalle lodi mattutine delle 4,50 il tem­po è scandito fra preghiera e lavoro fino a compieta, a sera; poi, si leg­ge, è il 'grande silenzio' della not­te. Un silenzio ancora più grande di questo? ti domandi, tu già un po’ smarrita e quasi assordata da que­sta pace.

Anna Maria Cànopi, 80 anni, la Ma­dre superiora, è una donna esile, con due vivi occhi azzurri sul volto magro. È la fondatrice: quando ar­rivò con le prime sorelle, racconta sorridendo, l’edificio era in abban­dono, mancava luce, telefono, per­fino l’acqua bisognava andare a prendere, a un pozzo. Come una fondazione monastica di evi antichi qui, in questo alto Piemonte, a un’o­ra da Milano.

Siamo venuti nel silenzio della clausura a parlare di speranza.

Ma­dre, quanto delle paure e delle an­sie di fuori arriva fra queste mura?

Ho l’impressione che arrivi tutto, perfino ciò che non viene detto. Nel Signore si percepisce ogni cosa, in questo silenzio si sente anche ciò che non è pronunciato. Per iscritto, per e-mail, o di persona, la dome­nica a messa nella basilica di San Giulio o nella settimana, sono mi­gliaia ogni anno le persone che ven­gono a chiedere sostegno per la lo­ro fede, o semplicemente il coraggio di vivere. Questo soprattutto: do­mandano il coraggio di vivere. Tut­ta la vita nostra e la nostra preghie­ra sono date per chi domanda que­sto aiuto, e anche per chi non può o non vuole venire, o non sa neanche di noi; la nostra vita è soprattutto per gli abbandonati, per quelli di cui nessuno si ricorda. Abbiamo una vocazione di materna supplenza a ciò che manca, di fede e di speran­za, agli uomini.

In tempi di crisi la pressione di que­sta domanda di speranza si fa più forte?

Sì, le difficoltà economiche accre­scono l’insicurezza e lo smarrimen­to. C’è perciò sempre più gente che si affida alla nostra preghiera. Ven­gono anche persone che non cre­dono in Dio, ma ci chiedono ugual­mente: pregate per noi! Come cer­cando nel buio una mano che li so­stenga e li accompagni.

La vostra prima preghiera, lei dice, è per gli abbandonati, per gli sco­nosciuti miserabili di cui ignorate anche il nome. Dunque su quest’i­sola apparentemente lontana da­gli uomini voi percepite profonda­mente il dolore che grava sul mon­do.

Certo, sentiamo addosso a noi il pe­so del dolore e del male; anzi, ci sen­tiamo noi stesse peccatrici. La vo­cazione claustrale è interamente immersa nel mistero della Croce. Chi viene qui ci dice: Beate voi, che vivete in questa pace! Sì, è vero: Cri­sto è la nostra pace. Ma questa no­stra casa non è affatto estranea al mondo, e la pace di Cristo non è spensieratezza; è la pace delle Bea­titudini, che annunciano: Beato chi soffre... Qui partecipiamo della Cro­ce, che continua nella storia umana, ma Cristo è risorto e ci libera dalla tristezza e dalla morte.

Non fanno più fatica gli uomini, og­gi, a mantenere la speranza cri­stiana?

In un tempo in cui con la rapida informazione sappiamo ciò che av­viene in tutto il mondo, credo che oggi per molti il rischio sia di sentirsi schiacciati da tante sciagure, care­stie e cataclismi che un tempo i­gnoravamo. Si vive, inoltre, dentro un nichilismo che nega la speran­za. Allora si finisce con il chiedersi: ma è vita, questa? Però, come dice­vo anche stamattina a un’ospite af­franta, io sono certa che non c’è confronto fra le tribolazioni del­l’oggi e la gioia eterna che ci atten­de. Anche la madre che perde un fi­glio deve sapere, nel suo dolore straziante, che quel figlio ora vive in Cristo, e non le è mai stato co­sì vicino, e non le verrà mai più tolto.

Risuona, tra le mura del mo­nastero, una campanella squillante. Chiama all’ora Nona. Madre Cànopi si avvia alla cappella dove, oltre la grata, le monache sono una schiera ordina­ta di veli neri, o bianchi, quelli del­le novizie. Cantano, con le loro vo­ci chiare. Quanti anni avranno le ra­gazze che attendono di pronuncia­re i voti? Come si sceglie, a vent’an­ni, una vita dentro a questo silen­zio? Sull’altra sponda, nei bar di Or­ta, le radio e le tv accese combatto­no contro la densa pace del lago. Che qui sull’isola invece si allarga, sovrana. 

Perché fuori di qui abbiamo così paura del silenzio?

Sorride la Cànopi: un giorno sono andata in città, dal dentista, per u­na operazione. Per tutto il giorno in studio lì si tiene accesa la radio – canzoni, battute, parole vuote. Ma non la spegnete mai?, ho doman­dato. No, non la si spegne… Il ru­more consente di evadere. Se si rien­tra in se stessi si deve cambiare: al­lora si preferisce stordirsi. Chi vie­ne al monastero a volte, all’inizio, è spaventato dal silenzio. Poi si abi­tua e lo gusta, e quando va via desi­dera ritornare.

Anche la vecchiaia fa molta paura, fuori. Lei ha compiuto 80 anni. Co­me vive la sua età?

Si teme la vecchiaia perché non se ne capisce più il valore. Certo, l’uo­mo esteriore invecchia e deperisce, ma nella fede l’uomo interiore cre­sce fino alla statura di Cristo, cioè fino alla vita eterna. Io trovo oggi la mia vita più ricca, più piena che da giovane. Quest’anno sono stata malata due mesi. Non ho avu­to paura, però: la vita vera è Cristo dentro di me.

Ci opprime, fuori, una an­goscia del futuro; molti non hanno figli non solo per ragioni economiche, ma per paura del 'brutto mondo' in cui li mette­rebbero.

Noi non sappiamo come sarà il mondo domani, ma sappiamo che Cristo è il Signore della storia. E sappiamo anche che ogni bambino che viene al mondo porta una nuova speranza. Tutta la vita è nelle mani di Dio; è in questa cer­tezza che sorge il desiderio di dare al mondo nuovi figli.

Come porta, come trasmette lei, a chi viene a cercarla, la certezza del­la sua fede?

Se si crede nella risurrezione di Cri­sto, questa certezza si legge sui no­stri volti.

Ma c’è gente che vorrebbe questa certezza, e non la trova.

Bisogna avere allora l’umiltà di do­mandare, e di accettare anche un piccolo lume, perché diventi fiac­cola. Bisogna attaccarsi alla spe­ranza di chi ce l’ha, come fanno quelli che ci dicono: non ho fede, però preghi per me. Quell’implora­zione è già un principio di speran­za.

Madre, cos’è il Natale per lei?

È un evento che si fa presente, che avviene oggi. La Liturgia ci fa dire: Cristo è nato oggi. Hodie, 'oggi', cantiamo in latino il giorno di Na­tale. E per questa certezza a Natale siamo liete, come quando in una ca­sa nasce un bambino. Nasce davve­ro per noi Gesù, la speranza del mondo.

Chi è Madre Anna Maria Cànopi
Madre Anna Maria Cànopi: originaria dell’Oltrepò pavese, si laurea in Lettere all’Università Cattolica di Milano; dopo un periodo di lavoro come assistente sociale, nel 1960 entra nell’abbazia benedettina di Viboldone. Nel 1973, dietro richiesta dell’allora vescovo di Novara, monsignor Aldo Del Monte, insieme con altre cinque monache dà inizio alla vita benedettina sull’Isola San Giulio, fondando l’Abbazia Mater Ecclesiae, di cui è abbadessa. Benedetta dal Signore, la comunità dell’isola ha raggiunto in breve tempo un sorprendente sviluppo, tanto da rendere possibile la fondazione del Priorato Regina Pacis a Saint-Oyen (Aosta) e quello della Santissima Annunziata a Fossano (Cuneo).


giovedì 21 marzo 2019

ELEZIONI EUROPEE 2019: SI ALL’EUROPA, PER FARLA


ELEZIONI EUROPEE 2019
SI ALL’EUROPA, PER FARLA

Le elezioni europee del maggio 2019 rivestono un’importanza decisiva per il nostro futuro. All’Europa, infatti, sono legate speranze e preoccupazioni: speranze per un progetto che ha garantito oltre 70 anni di pace e di sviluppo; preoccupazioni per un’unità incompiuta e burocratizzata, dimentica delle sue radici.

Come cristiani l’ideale europeo lo sentiamo totalmente consono alla nostra natura e alla nostra storia e non vogliamo rinunciarvi soprattutto per le opportunità di crescita,benessere e libertà che ha promosso e dovrà promuovere: diciamo sì all’Europa, nella consapevolezza che si deve continuare a farla e farla meglio.



La storia recente dell’integrazione europea è iniziata con i padri fondatori, De
Gasperi, Schuman e Adenauer, basata su un’idea popolare e condivisa di unità culturale e politica, da cui far discendere gli aspetti economici e organizzativi; questo modello voleva soprattutto armonizzare la politica estera e di difesa, far crescere la solidarietà e l’integrazione tra le nazioni e le persone con un sistema libero di mercati ed economie differenziate.

Purtroppo l’idea di un’Europa dei popoli è stata presto abbandonata, con l’adozione dei principi del politicamente corretto nella cultura e nel costume, il dettaglio delle regole del “mercato unico” e la conseguente enfasi burocratica nei rapporti tra gli Stati.

Il rifiuto di menzionare le “radici ebraico-cristiane” nel progetto di costituzione europea (trattato di Nizza) ha sancito una rottura con l’idea originaria di Europa; la conseguente spaccatura fra élites divenute tecnocratiche e il sentimento popolare – insieme all’affrettato processo di adesione di molti Stati – hanno acuito lo scetticismo verso Bruxelles e la richiesta di ritornare alle “identità nazionali”. Più di recente la Brexit ha ulteriormente complicato il quadro. La crisi economica del 2008, il deficit demografico, con la prevista conseguente insostenibilità dell’attuale sistema di welfare, stanno peggiorando la situazione; ma è soprattutto la pressione migratoria (prima sottovalutata e poi non adeguatamente affrontata da alcuni fra i maggiori Stati europei e dalla stessa Unione) a provocare una profonda sfiducia verso l’Europa.

Da un punto di vista politico l’alleanza strategica fra popolari e socialisti è oggi in
crisi perché il modello socialista, a cui troppo spesso anche i popolari hanno ceduto, ha dimostrato di deprimere la libertà economica e sociale delle persone e dei gruppi, mortificando talvolta anche le specifiche eredità e tradizioni popolari in nome di un’artificiosa omogeneità culturale. Hanno così preso piede forze conservatrici, più che identitarie, le quali raccolgono il diffuso malcontento dei cittadini, cadendo però in nazionalismi. Vista l’interconnessione degli Stati europei, in particolare l’Italia, da sola, non riuscirebbe a sostenere la competizione globale e si metterebbe fortemente a rischio il suo raggiunto livello di benessere.

Noi continuiamo a guardare con speranza all’Europa, confidando che la sua radice fatta di democrazia, promozione della pace, dello sviluppo e della solidarietà possa essere recuperata e che l’Europa unita possa così rispondere alle giuste esigenze di libertà, identità e sicurezza sociale.

Siamo per un PPE attento alle nuove esigenze di riforma a favore del rispetto delle culture nazionali e popolari e per un’economia sociale di mercato, capace di equilibrare il liberismo e la finanza senza regole; siamo lontani, invece, da proposte che mettono paradossalmente insieme collettivismo ed estremismo identitario, egualitario e giustizialista.

Alle forze politiche in vista delle elezioni europee chiediamo di promuovere:

v  una concezione della cosa pubblica sussidiaria, capace di valorizzare il protagonismo della persona e il suo potenziamento attraverso le associazioni e gli altri corpi intermedi;
v  un’attenzione alla famiglia come fondamentale fattore di stabilità personale e sociale;
v  una politica che metta al centro il lavoro e il suo significato, con investimenti speciali per i giovani;
v  una libertà di educare a partire dalle convinzioni e dai valori che sono consegnati da una ricchissima tradizione popolare;
v  il rispetto dell’identità anche religiosa dei popoli, certi che questa è in grado di accogliere ed ospitare, con equilibrio e realismo;
v  una ripresa del ruolo centrale dell’Europa nel mondo, attraverso una politica estera e di difesa comune;
v  il rafforzamento delle competenze del Parlamento europeo.

Apriamo una discussione su questi temi, fino ad individuare
 – nelle liste a noi più vicine – candidati a cui attribuire le nostre preferenze.