martedì 28 febbraio 2023

VENI SANCTE SPIRITUS

27 febbraio 2013

Ultima Udienza Generale di Papa Benedetto XVI 

Il giorno prima del termine del suo Pontificato.



 

“Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.

 

domenica 26 febbraio 2023

STANISLAW GRYGIEL, IL VOLO DELL'AQUILA HA RAGGIUNTO LA META

 È morto a 88 anni il filosofo grande amico e stretto collaboratore di san Giovanni Paolo II, che lo chiamò a Roma dove fu tra i fondatori dell'Istituto per gli Studi su Matrimonio e Famiglia. Nell'insegnamento testimoniava che la verità non è una formula ma una Persona da venerare. Il ricordo di un suo discepolo e amico.

- DOSSIER: STANISLAW GRYGIEL PER LA BUSSOLA

DI MONSIGNOR LIVIO MELINA, dal 2006 al 2016 preside dell'Istituto Giovanni Paolo II

Ludmila e Stanislaw Grygiel

Indimenticabile è per me quella prima sua lezione al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, nella quale ci illustrò l’originalità del modo orientale di pensare rispetto a quello dei sillogismi chiari e distinti del ragionare occidentale. L’ancor giovane professore venuto da Cracovia ci propose la metafora del volo di un’aquila, che disegna nel cielo cerchi concentrici sempre più vicini alla sua preda, giri che le permettono di vederla da punti di vista sempre nuovi. La conoscenza di ciò che è vita non può essere definizione di concetti che pretendono di afferrare un oggetto, ci diceva, ma relazione personale di comunione. La verità è avvenimento che accade e sorprende, che non si ripete uguale, ma sempre si approfondisce e chiede quindi la disponibilità ad un pellegrinaggio continuo, l’umiltà di una ricerca orante, l’apertura ad una comunione con gli altri.

Le sue lezioni erano proprio così, come le traiettorie ampie di quell’aquila: ritornavano sugli stessi temi fondamentali, continuamente ripresi da punti di vista sempre nuovi, suscitando domande, destando curiosità, provocando scoperte nella mente e nel cuore degli uditori, così che ascoltarlo risultava un evento per la vita e non solo per l’intelligenza. Mai era solo erudizione, sempre diventava amore della sapienza. Le tematiche dell’antropologia erano ben radicate nella tradizione culturale della sua patria polacca, ricche di aneddoti e di testimonianza personale, eppure nello stesso tempo attuali e universali, capaci di aprire orizzonti. Le letture filosofiche privilegiavano sempre i grandi filosofi, Platone in primo luogo, e i testi classici. Ma erano i poeti soprattutto che offrivano lo spunto per folgoranti intuizioni: Norwid, Rilke, Goethe, Dante.

Soprattutto Stanislaw Grygiel sapeva che la verità non è né una formula da inventare o da ripetere, né un oggetto da manipolare, ma una persona da venerare. Con sant’Agostino ricordava “Quid est veritas? Vir qui adest!”. La Verità è una persona da adorare: è Cristo Gesù, da lui amato, in una familiarità stupenda, così che i vangeli, specialmente certe pagine di san Giovanni, l’Aquila tra gli evangelisti, diventavano luci per la ricerca anche filosofica. Soprattutto il fascino della Bellezza era per lui ciò che poteva attrarre e convincere: una bellezza che non aveva nulla di un estetismo compiaciuto e narcisista, ma che poneva l’uomo davanti all’imperativo esigente della conversione: “ogni punto di questa pietra ti vede. Devi cambiare la tua vita!” (R.M. Rilke, Antico torso di Apollo). Grygiel non legava a sé, ma orientava a Colui che insieme con i discepoli ricercava e amava, non smettendo mai di cercarlo ancora dopo averlo trovato. E così educava, generando nella bellezza, e formando persone a loro volta capaci di generare.

Era stato chiamato a Roma nel 1981 da Giovanni Paolo II, di cui era stato prima discepolo e di cui era divenuto amico personale, ammirato e stimato. La missione ricevuta non era appena quella di contribuire ad un’istituzione accademica, ma quella di creare un’autentica famiglia, una communio personarum di docenti, studenti e personale addetto, che condividesse l’ideale della ricerca della verità sul piano di Dio intorno all’amore umano, in una pratica di condivisione e di eccellenza. Insieme con il primo Preside, Carlo Caffarra, con i colleghi e amici Angelo Scola, Gianfranco Zuanazzi, Anna Cappella, Ramon De Haro e tanti altri ha posto le basi per un lavoro e una vita comune.

I suoi colleghi e discepoli ricordano la generosa ospitalità nella sua casa, che grazie alla sua moglie Ludmila, ai suoi figli Monika e Jakub, è stata luogo di conversazioni e di scambio, ma anche spazio per consigli personali, per condivisioni, per dialoghi che coinvolgevano la vita di tutti. La formazione accademica diventava pertanto scuola di vita, e le lezioni accendevano la ricerca personale e favorivano la comunione tra le persone. Si era reso disponibile a grandi viaggi e a corsi di qualche settimana come visiting professor nelle sezioni internazionali dell’Istituto, a Washington DC, a Valencia, a Salvador de Bahia, a Changanacherry in India, a Seoul in Corea.

“Dolce e cara guida”, con queste parole di Dante, Stanislaw Grygiel aveva voluto intitolare un suo saggio sul femminile, dedicato alla sua amata moglie, rivelando la sua stima e la sua venerazione per il femminile, che considerava davvero una stella polare per orientare il cammino dell’intelligenza e della vita. Non l’appiattimento della differenza dunque, ma l’esaltazione del genio femminile nella sua originale capacità di accesso alla verità e nella sua complementarietà.

Stanislaw Grygiel ha pensato molto alla morte e al morire, che per lui erano l’accesso alla filosofia. Morire significava per lui passare dal profanum al fanum. Egli con Rilke invocava: “Dà, o Signore, a ciascuno la sua morte. Dà quella morte che nasce dalla vita nella quale egli aveva il suo amore, il suo fine e il suo penare”. Egli si chiedeva: “Il Signore muore con noi? Perché se egli non muore, allora noi moriamo nella solitudine, ossia partiamo da qui veramente senza senso, senza valore, non potendo entrare nel fanum”. Ma concludeva con Pascal: “Gesù agonizzerà fino alla fine del mondo, non dobbiamo dormire per tutto questo tempo…. Ho pensato a te nella mia agonia!”. Gesù ha pensato a Stanislaw nella sua agonia, in cui non è stato solo. E con lui ha pensato anche a noi. E così siamo insieme in modo misterioso e reale nella communio sanctorum.

Il volo dell’aquila è finito. E proprio nel suo termine non ha più puntato sulla preda della terra, ma è volata verso il Cielo. Da lì ci segue e benedice. Grazie tante, caro Stanislaw, Maestro, Padre ed Amico.

 

 

giovedì 23 febbraio 2023

LA CHIESA NON HA BISOGNO DI RIFORMATORI, MA DI SANTI

Recensione del nuovo libro di don Massimo Camisasca "La luce che attraversa il tempo".

«Solo dalla vita comune potrà venire un’autentica riforma della vita nella Chiesa»

Rodolfo Casadei

La Chiesa sempre ha bisogno di essere riformata, ma la riforma non è questione di strutture o di innovazioni istituzionali: la Chiesa si riformerà attraverso la comunione vissuta, la Chiesa rinascerà attraverso i santi. Ovvero, come sintetizza il presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi nella prefazione del libro: «La santità è la vera riforma della Chiesa».

È questo il succo di La luce che attraversa il tempo – Contributo per una riforma nella Chiesa, l’ultimo libro di don Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla e fondatore della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo.

Le due parti del libro

Frutto di anni di riflessioni e di appunti che fondono insieme la coscienza maturata nel cammino di conversione personale, il sapere pratico di 50 anni di attività pastorale e suggestioni teologiche, le 321 pagine di La luce che attraversa il tempo sono organizzate in due parti.

La prima si presenta come una «riflessione teorica sul significato di una riforma nella Chiesa» che viene corroborata da un’esposizione ragionata dei «quattro grandi pontificati riformatori che hanno segnato gli ultimi quarant’anni del secolo passato e i primi vent’anni del nostro», quelli cioè di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.

La seconda parte tratteggia «alcune linee di rinascita delle varie vocazioni che, assieme, contribuiscono a formare il popolo di Dio», e cioè quelle di vescovo, sacerdote, chiamato alla vita religiosa e laico. Anche in questo caso alle considerazioni e ai giudizi che vengono espressi si abbinano esempi concreti di persone reali che hanno segnato la storia della Chiesa: Gregorio Magno, Bernardo di Chiaravalle e Carlo Borromeo per la figura del vescovo, Rolando Rivi e don Calabria per quanto riguarda i sacerdoti, san Francesco, madre Cànopi e madre Piccardo per quanto riguarda la vita religiosa, Chiara Lubich e don Luigi Giussani, cioè due fondatori di movimenti ecclesiali, relativamente ai laici, coerentemente con la convinzione di Camisasca che «il futuro della Chiesa nel nostro Occidente stanco e malato sarà probabilmente deciso dalla capacità di integrazione reciproca fra parrocchie e nuove comunità ecclesiali, fra “doni gerarchici e doni carismatici”».

La santità

Le otto pagine della Conclusione, che si presenta sotto il titolo “La santità”, sono fra le più entusiasmanti e commoventi di tutto il libro.

Gustave Moreau, Saint Marten 1882
«Attorno a questi uomini semplici e straordinari, spesso strani e contemporaneamente spettacolo ai loro stessi occhi, nasce un popolo nuovo. Essi sono costruttori di unità fra gli uomini, attori di riconciliazione, creatori della Chiesa», ma solo perché il santo è tale in quanto lascia operare l’Altro, si rende trasparente e disponibile all’opera di Dio. Perché i santi non sono uomini senza macchia, ma uomini veri, consapevoli del proprio peccato, e tuttavia certi che seguire Cristo è l’ideale della vita, ciò per cui si è nati.

Quel “nonostante”

Le pretese nei confronti della Chiesa nascono dall’incomprensione della logica dell’incarnazione: «È Dio che ha voluto la Chiesa e che l’ha affidata a degli uomini fragili e peccatori. Ma egli non smette mai di guidarla e la rinnova continuamente attraverso la conversione di coloro che ne fanno parte. Tutti desidereremmo che la Chiesa fosse affidata e soprattutto guidata sensibilmente soltanto da persone sante. Invece, il tempo della storia è tempo di combattimento».

Detto con le parole di Ratzinger ne Il nuovo popolo di Dio:«La Chiesa non si fonda (come Israele) sulla moralità degli uomini, ma sulla grazia concessa contro la amoralità degli uomini, sulla umanizzazione di Dio. Essa si fonda su un “nonostante”, sul “nonostante” della grazia divina, la quale non si lega più a nessuna condizione, ma ha definitivamente deciso di salvare gli uomini».

Vita comune

Come si accennava all’inizio, il fondatore dei missionari di San Carlo insiste tantissimo su comunione e comunità: «Sono profondamente convinto che solo dalla vita comune potrà venire un’autentica riforma della vita nella Chiesa, che vinca le terribili concezioni e prassi odierne segnate dall’individualismo, dal carrierismo clericale (che coinvolge indifferentemente laici e preti) e dall’aridità affettiva di una vita cristiana basata sull’organizzazione, sui piani pastorali o sui progetti che dimenticano o emarginano la persona», scrive.

E ancora: «Le persone non vanno solo cercate e incontrate nelle periferie fisiche o esistenziali in cui si trovano. Hanno bisogno di una comunità che faccia loro scoprire la bellezza, il calore e la luce della comunione per cui sono fatte».

La vita della Trinità nel tempo

“Comunione per cui sono fatte” significa che non è per ragioni sentimentali o psicologiche o sociologiche che la Chiesa si esprime così, ma a motivo della natura trinitaria del Creatore: «La comunione, il cui desiderio è presente in ogni uomo e in ogni donna come sigillo dell’immagine di Dio in noi, è la vita della Trinità nel tempo».

Viene citato l’abate generale dell’ordine cistercense Mauro Lepori: «Conoscere e vivere la comunione trinitaria è il senso ultimo di ogni persona e di ogni comunità. La comunità cristiana ha un solo significato: permettere all’individuo di entrare, attraverso Cristo e la grazia dello Spirito Santo, nella comunione trinitaria, origine e fine di tutte le cose, origine e scopo di ogni cuore umano. Quando tutto ciò che una comunità offre e domanda non è al servizio di questa origine e di questo fine, essa diventa una comunità abusiva».

Per questo Camisasca racconta di avere cercato sempre di stimolare «forme espressive di vita comune» fra famiglie, sacerdoti, giovani, ecc.

Obbedienza all’autorità

Garanzia dell’esperienza comunitaria contro sentimentalismi e psicologismi è l’obbedienza all’autorità: «Non c’è cammino di risposta a Dio se non si risponde alla domanda: chi è l’autorità che seguo nella mia vita? Non basta riconoscere l’autorità del papa, del magistero, della tradizione, se tutto questo non si incarna nella sequela di una persona concreta la cui alterità e vicinanza sono per me garanzia del mio seguire Cristo e non me stesso».

In molti passaggi Camisasca chiarisce la dinamica dell’autorità, esigente per chi è chiamato a esercitarla non meno che per chi è chiamato a seguirla: «(…) noi impariamo dalle autorità terrene a riconoscere ed amare l’autorità e la paternità di Colui che è nel cielo. Per questo, grande è la responsabilità davanti a Dio e agli uomini di ogni autorità! I superiori possono facilitare o ostacolare il cammino dei loro fratelli verso la verità e il bene, possono svelare o offuscare il volto di Dio».

Carismi nella Chiesa

Mons. Massimo Camisasca

Il rapporto fra autorità gerarchica e carismi nella Chiesa è ripreso in sintonia col concetto di coessenzialità tra doni gerarchici e doni carismatici affermata nel documento della Congregazione per la dottrina della fede Iuvenescit Ecclesia.

«Innanzitutto è bene chiarire che il carisma dato ad un fondatore non si trasmette automaticamente ai suoi successori nella guida della comunità», scrive Camisasca. «Esso proviene da Dio che ha scelto una persona e l’ha ricolmata di un dono particolare del suo Spirito per aprire una strada nuova nella Chiesa. Alla sua morte, come è avvenuto per tutti i grandi carismi della storia ecclesiastica, il carisma è consegnato alla Chiesa, la quale continua a trarre ispirazione da esso per la nascita di sempre nuove comunità, anche indipendenti, in molti casi, dalla famiglia religiosa o dal movimento in senso stretto. (…) Nello stesso tempo, il carisma è affidato alla comunità nata da quel fondatore». In definitiva, «la continuità di un carisma vive attraverso gli uomini, è salvata o è uccisa dagli uomini».

L’ombra nel pontificato di Giovanni Paolo II

Il testo è ricco anche di giudizi pungenti; il vescovo emerito di Reggio Emilia non rinuncia, in alcuni passaggi, alla parresia spesso auspicata da papa Francesco.

A proposito di Giovanni Paolo II scrive: «I viaggi (…) furono l’occasione in cui apparve la sua enorme statura. Ma la traccia che essi lasciarono non fu sempre profonda. Generalmente non furono proseguiti localmente dall’opera dei vescovi. Questo, forse, è il punto più in ombra del pontificato di Giovanni Paolo II: non fu adeguatamente aiutato a operare un ricambio nelle nomine dei pastori. (…) All’inizio del pontificato aveva attorno a sé, a mio parere, una buona equipe di collaboratori; successivamente le congregazioni, anche quelle più importanti, dedicate al clero, alla vita religiosa, ai seminari, non ebbero la capacità di esprimere qualcosa di adeguato alla riforma che Giovanni Paolo II aveva intrapreso in tutta la Chiesa».

L’unico vero riformatore

Ripetuti strali vengono lanciati contro la clericalizzazione del laicato e la secolarizzazione del sacerdozio, definiti «i due veri ostacoli al cammino del popolo di Dio dopo il Concilio. Ambedue questi fenomeni hanno avuto origine nella Chiesa tedesca, supportati dalla teologia di Karl Rahner».

Molti altri sono i passaggi frizzanti presenti nel libro, alternati a citazioni formidabili, come quelle da Bernanos: «La Chiesa non ha bisogno di riformatori, ma di santi. (…) Non si riforma la Chiesa che soffrendo per essa, non si riforma la Chiesa visibile che soffrendo per quella invisibile».

«Il mio desiderio», conclude Camisasca, «è stato mostrare che l’unico vero riformatore è Dio e dietro a lui gli uomini di Dio».

 

https://www.tempi.it/camisasca-libro-chiesa-riformatori-santi/

 

lunedì 20 febbraio 2023

ALLE ORIGINI DELL'ASTENSIONISMO

 PERCHÉ CRESCE IL PARTITO DEL NON-VOTO

di Luca Ricolfi

 Il declino della partecipazione alle elezioni regionali è solo uno dei modi in cui si manifesta un cambiamento culturale più ampio, che ha trasformato la società dagli anni '50 a oggi. E ha alterato l'equilibrio fra diritti e doveri


Raramente una consultazione elettorale ha fornito risultati tanto chiari: netto successo della destra, tenuta della Lega, sconfitta della sinistra, evanescenza del Terzo polo. Ma altrettanto raramente il risultato elettorale è stato così fragile: con una partecipazione del 40%, in due Regioni che includono Roma e Milano, il dato sociologico dominante diventa il non-voto.

Sulle ragioni della disaffezione, molto potranno dire i sondaggi che le esploreranno in profondità, analizzandone i risvolti psicologici e politici. Qui vorrei però formulare una riflessione di tipo storico, visto che il calo della partecipazione è in atto da decenni, non solo in Italia.

La mia impressione è che, se vogliamo comprenderne l'origine profonda, dobbiamo metterlo in relazione a fenomeni più generali, anch'essi in atto da tempo. Detto altrimenti, il declino della partecipazione è solo uno dei modi in cui si manifesta un cambiamento culturale molto più ampio, che ha radicalmente trasformato la società italiana dagli anni '50 a oggi.

Volendo andare subito all'osso, la metterei così: è progressivamente sparita la convinzione, profondamente radicata almeno fino agli anni '70, che il progresso sociale e individuale ha costi elevati. La generazione dei miei genitori considerava ovvio che le aspirazioni di ascesa sociale richiedessero duro lavoro, risparmi, sacrifici, differimento della gratificazione.

La mia generazione era perfettamente consapevole che lo studio e l'impegno scolastico fossero prerequisiti necessari per la propria autorealizzazione. Ed entrambe non mettevano in dubbio che il progresso sociale, fatto di migliori condizioni di vita per gli oppressi e conquiste di libertà per tutti, richiedesse la fatica della lotta politica e sindacale, la mobilitazione dei movimenti collettivi, e naturalmente la partecipazione al voto.

Ebbene oggi tutto questo è venuto meno. Poco per volta, all'idea che qualsiasi meta comporti sacrifici e impegno, è subentrata l'idea di essere titolari di diritti, che è compito di altri, Stato e istituzioni innanzitutto, rendere esigibili.

Questa inclinazione alla delega si manifesta un po' in tutti gli ambiti. Ai problemi dello sfruttamento - nelle fabbriche come nei campi, negli uffici come nelle consegne a domicilio - non si pensa di rimediare estendendo il raggio dell'azione sindacale, ma imponendo per legge un salario minimo.

Ai giovani, che aspirano giustamente a fare un lavoro gratificante e ben retribuito, spesso sfugge che studiare poco, male, e solo per gli esami, abbassa drammaticamente le loro chance di vita, e che il cosiddetto "diritto al successo formativo", proclamato 25 anni fa dal ceto politico, è un colossale inganno.

Quanto ai diritti civili, anche lì, dopo i gloriosi anni dei referendum e dell'impegno, subentra l'idea che i nuovi diritti siano, appunto, solo diritti, che tocca alle istituzioni rendere attuali, piuttosto che il risultato di movimenti collettivi, che attraverso l'impegno pubblico affermano nuovi valori, e poco per volta li fanno entrare nel senso comune.

Quel che voglio dire, insomma, è che l'astensionismo di massa è solo una delle manifestazioni di un cambiamento più generale della società italiana, che ha alterato radicalmente l'equilibrio fra diritti e doveri, ben chiaro ai padri costituenti.

Del resto, che questo cambiamento vi sia stato, risulta persino nell'evoluzione dei principi costituzionali. Nella Costituzione del 1948 l'articolo sul diritto di voto stabilisce che votare "è un dovere civico". Negli anni '50 la legislazione ordinaria interviene addirittura per rendere sanzionabile la mancata partecipazione al voto.

Ma a partire dal 1993 le cose si muovono in direzione opposta, con la rimozione delle sanzioni e, più recentemente, con la affermazione del principio secondo cui "il non partecipare alla votazione costituisce una forma di esercizio del diritto di voto", sia pure "significante solo sul piano socio-politico" (Corte Costituzionale, sentenza 173/2005).

Ecco perché, a mio parere, sarebbe riduttivo leggere il crollo della partecipazione elettorale come un mero fallimento della politica, con conseguenti immancabili lezioncine a una classe politica ormai incapace di scaldare i cuori.

Che la maggior parte dei politici non ci piacciano è sicuramente vero. Ma forse dovremmo chiederci prima di tutto se ci piacciamo noi, con la nostra ingenua credenza che il successo sia un pasto gratis, e che tocchi ad altri garantirci quelle "conquiste" per le quali, un tempo, trovavamo normale impegnarci in prima persona.

(www.fondazionehume.it)

 

Commenta su Tempi Emanuele Boffi:

L’analisi di Ricolfi è, come spesso capita, interessante, non superficiale e stimolante perché non si ferma al dato di cronaca, ma cerca di indagare quel «cambiamento culturale» che ha portato la nostra società a trasformarsi da un luogo in cui si bilanciavano i diritti e i doveri, in un altro dove solo i primi vengono rivendicati. Ma anche la sua lucida lettura si scontra col fatto che le comodità offerte dalla società signorile sono “invincibili” (almeno nel breve termine) e non superabili con un mero richiamo al ritorno a costumi di un’età passata. (…)

Quel che è venuto meno, a ben vedere, è il motivo per cui vale la pena impegnarsi, lavorare, costruire una società migliore per tutti. Più in profondità: è venuta meno l’idea della gratuità, cioè che il tornaconto del lavoro che ci si impegna a fare (che sia una sedia, una casa o un’autostrada) non è misurabile col metro della realizzazione personale (intesa come carriera o soddisfazione economica) o del cambiamento della società (conquiste salariali, estensione dei diritti o quant’altro), ma è qualcosa che ha a che fare col senso della vita.

Piero della Francesca Arezzo
la Storia della Vera Croce
Eccoci al punto. Al modello della società in cui “tutto è (apparentemente) gratis” non si può solo opporre il modello di una società in cui tutto è (apparentemente) ottenibile a seguito di “uno sforzo”, ma va indicata una via in cui si possa recuperare una dimensione di “gratuità” che renda ogni obiettivo meritevole di sacrificio. Non ci sembra un caso che la società indicata da Ricolfi (quella degli anni 50 – 70) fosse una società in cui l’impronta cristiana era prevalente: cosciente o meno che fosse e aldilà di qualche eccesso bacchettone e moralistico, era una società in cui era chiaro che l’impegno nella vita era volto a servire qualcosa più grande di sé e che, servendolo senza tornaconto (gratuitamente appunto), in realtà si edificava sé e gli altri.

Allora fu un boom economico e demografico (le cose sono connesse), ma è solo teoria pensare di riproporre oggi quel che fu. Sarebbe più intelligente, laddove si presenta, valorizzare quelle esperienze (famiglie, associazioni, imprese e, perché no? partiti) dove ancora sia vivo un sentimento della vita non ripiegato su di sé, sui propri diritti e sui propri meriti. Si cambia la storia solo in forza di qualcosa che già esiste.

https://www.tempi.it/alla-radice-del-fenomeno-astensione/

 

COME ANNUNCIARE GESU’

 FRANCESCO: CATECHESI DI MERCOLEDI’ 15 FEBBRAIO 2023

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

(…) Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario” – così si chiama nel Vangelo. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere oggi – è una paginetta soltanto del Vangelo –, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare (…)

Masaccio, Cappella Brancacci, Il pagamento del tributo

Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). Sono cinque parole. (…)

Secondo: che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. (…)

Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente: come annunciare, qual è il metodo, quale dev’essere il linguaggio per annunciare; è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. La testimonianza non coinvolge soltanto la mente e dire qualche cosa, i concetti: no. Coinvolge tutto, mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi della persona: il linguaggio del pensiero, il linguaggio dell’affetto e il linguaggio dell’opera. I tre linguaggi. Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. (…)

Il Signore ti fa leggero di equipaggio e dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Non portare niente. Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità.

Questo è quello da dire: io vado al mondo non con lo stile del mondo, non con i valori del mondo, non con la mondanità – che per la Chiesa, cadere nella mondanità è il peggio che possa accadere. Vado con semplicità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. 

E come mostriamo Gesù? Con la nostra testimonianza. E, infine, andando insieme, in comunità: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, e andare insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio, questa è la chiave del successo dell’evangelizzazione. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

leggi tutto nel link

https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2023/documents/20230215-udienza-generale.html

venerdì 17 febbraio 2023

"PER UN PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA" 
ANNO SETTIMO
PRIMO ANNUNCIO



L'ECOFOLLIA DELL'UNIONE SOCIALISTA DEGLI STATI EUROPEI.

 

STEFANO FONTANA

La notizia è di ieri 15 febbraio: il Parlamento europeo ha dato il via libera alla decisione del Consiglio europeo sul blocco nel 2035 delle immatricolazioni che non siano di auto ad emissioni zero di anidride carbonica. Tra dodici anni non potranno essere immatricolate automobili a diesel, a benzina e ibride. Hanno votato a favore 340 eurodeputati, contrari 279.

La cosa può ben essere detta una “ecofollia”, dato che la decisione è improntata alla nuova religione dell’ecologismo che rifiuta ogni considerazione di tipo razionale.

Religione dell’ecologismo che è alimentata dai nuovi centri di interesse che voglio ridurre drasticamente l’uso delle auto – come del resto anche quello delle case in proprietà – per avere cittadini controllati e controllabili. Il piano fa parte del Great Reset che ha due scopi: ristrutturare tutta l’economia secondo canoni nuovi nell’interesse di poteri nuovi e sradicare l’individuo isolandolo e controllandolo minuziosamente.

Il progetto è portato avanti a diversi livelli, macro come questo di cui stiamo parlando, e anche micro come le nuove disposizioni sul traffico del sindaco Sala a Milano: limite dei 30 chilometri orari in tutta la città e contemporaneamente aumento del biglietto del trasporto pubblico. Come dire: non comperate più l’auto.

Il piano dell’Unione Europea è irrazionale per più motivi.

Il primo è che non ci sono prove circa l’influenza dell’anidride carbonica a produzione umana sui cambiamenti climatici.

Il secondo è che è praticamente impossibile che per il 2035 si producano tante macchine e si dislochino tante colonnine di alimentazione da sostituire l’attuale trasporto su strada.

Il terzo è che, stante l’aumento (forzato) dei prezzi delle materie prime è impossibile avere una quantità di materie prime sufficienti per il progetto. La conclusione è che questa fase del Green Deal europeo produrrà enormi povertà e una ristrutturazione forzata della società dannosa per la grande maggioranza, anche se utile ad una cerchia ristretta di potenti.  

 

Il 12mo Rapporto dell’Osservatorio Vanthuan dal titolo “Ambientalismo e globalismo, nuove ideologie politiche” [QUI] conteneva tra l’altro un saggio di Domenico Airoma e Antonio Casciano dal titolo “Green deal europeo: poca scienza, molta ideologia, troppo dirigismo normativo” che criticava in anticipo scelte sciagurate coma quella di cui ci stiamo occupando. Dopo una analisi molto dettagliata, i due autori avevano così concluso: “Dall’analisi, seppur breve, degli ultimi provvedimenti adottati in sede di UE in materia ambientale, emergono almeno due dati degni di nota: 1) l’ambiente è diventato, negli ultimi tempi, il settore nel quale il legislatore comunitario si sta mostrando in assoluto più attivo; 2) la diretta incidenza negli ordinamenti interni delle scelte comunitarie in materia ambientale, per mezzo anche di un rigoroso sistema sanzionatorio, rappresenta la naturale conseguenza del rilievo fondante che ha assunto progressivamente l’ecologismo come ideologia di base delle scelte di politica socio-economica dell’Unione Europea.

 A fronte di ciò, tuttavia, preme porre in evidenza fin da subito la strutturale evanescenza e la assai dubbia scientificità dei presupposti di fatto utilizzati dal legislatore comunitario per conformare ed indirizzare le scelte dei Paesi membri e i comportamenti di tutti coloro che risiedono entro i confini di quella che assume sempre di più il volto della nuova Unione Socialista degli Stati Europei” (p. 99).

Il nostro 14mo Rapporto dal titolo “Proprietà privata e libertà: contro lo sharing globalista” [QUI] spiegava con dovizia di particolari come sia in atto un attacco alla proprietà privata, a partire dalla casa e dall’automobile. In particolare, il saggio di Luca Giuseppe Volonté parlava proprio dell’Unione Europea: “Il nuovo comunismo dell’Unione Europea”. Esso iniziava con queste parole: “Nei mesi invernali del 2021 e lungo tutto il 2022, la Commissione Europea ha dato libero sfogo ad istanze comuniste, giustificate via via da sempre più frequenti dichiarazioni di ‘emergenze’ o situazioni contingenti eccezionali, che hanno avuto per oggetto la limitazione o addirittura l’esproprio della proprietà di beni mobili o immobili di cittadini residenti e non residenti nei Paesi dell’Unione stessa. Siamo di fronte ad una deriva anti democratica, anti liberale e contraria non solo ai Trattati europei, ma anche ai principi cari del Magistero Sociale cristiano” (p. 187). Le nuove disposizioni sulle auto rappresentano in effetti un grande esproprio.

Stefano Fontana

Presidente Osservatorio Van Thuan per la Dottrina Sociale della Chiesa

Nota: il Prof. Fontana sarà a Cesena all’incontro del Crocevia del 28 febbraio

Ore 20,45, Sala Cacciaguerra del Credito Cooperativo Romagnolo parcheggio in piazza Aldo Moro

 


Leggi anche https://www.ilsussidiario.net/news/stop-auto-benzina-e-diesel-dal-2035-materie-prime-e-tecnologia-manca-tutto-cosi-ci-consegnamo-alla-cina/2490356/

https://www.politicainsieme.com/lauto-elettrica-e-i-rischi-per-il-settore-auto-in-folle-europa-di-natale-forlani/




 

 

mercoledì 15 febbraio 2023

L’AMBIENTALISTA SCETTICO

COSTRUIRE UN MONDO MIGLIORE IN POCHI SEMPLICI PASSI.MA CON I 169 “OBIETTIVI DI SVILUPPO” DELL’ONU SIAMO SULLA STRADA BUONA PER MANCARLI TUTTI

Lomborg presenta gli studi del suo Copenhagen Consensus

Bjørn Lomborg

 

Una sessione dell’assemblea generale Onu dedicata agli Obiettivi si sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals), New York, 20 settembre 2021 (foto Ansa)

Nell’anno 2000, accadde qualcosa di eccezionale: il mondo si mise insieme e si fece carico di una breve lista di ambiziosi traguardi che divennero noti come gli Obiettivi di sviluppo del Millennio [Millennium Development Goals, ndt]. Quegli obiettivi – ridurre la povertà, combattere le malattie, contrastare l’abbandono scolastico e così via – furono ridotti essenzialmente a otto impegni specifici e verificabili, soggetti alla rigida deadline del 2015.

Nel corso di quel decennio e mezzo, governi, istituzioni internazionali e fondazioni private riversarono miliardi di dollari in più rispetto a quanto avevano fatto prima di allora, col preciso scopo di raggiungere 21 traguardi nell’ambito di quegli otto obiettivi. I soli aiuti allo sviluppo globale furono quasi raddoppiati in termini reali. I finanziamenti globali per la sanità infantile aumentarono di 8 volte, da meno di un miliardo di dollari americani degli anni Novanta agli 8 miliardi del 2015. Benché non raggiungemmo tutti i traguardi fissati, questo enorme investimento mise il turbo al progresso, com’era prevedibile.

Più bambini poterono proseguire il percorso scolastico e l’eguaglianza di genere migliorò. I paesi a basso reddito in tutto il mondo videro i tassi di mortalità calare a una velocità mai vista prima. Nel 1990 quasi un bambino su dieci moriva prima di aver raggiunto i 5 anni di età. Entro il 2025 le morti infantili furono più che dimezzate. Ciò significa che almeno 19 milioni di bambini che altrimenti sarebbero morti entro il loro quinto compleanno, invece sono sopravvissuti.

Ci fu una drastica diminuzione della fame, che passò dal colpire il 16 per cento della popolazione mondiale nel 1990 all’8 per cento circa del 2015. Vuol dire che 300 milioni di persone scamparono agli effetti permanenti della fame e della malnutrizione. E anche la lotta alla povertà subì un’accelerazione, riducendo il numero totale dei poveri addirittura di 1,2 miliardi di persone.

Semplicemente, per i poveri e vulnerabili del mondo, il mondo è diventato un posto nettamente migliore grazie agli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Nonostante alcuni traguardi come l’acqua potabile pulita e i servizi igienici non hanno subìto accelerazioni, per tutti si è assistito a drastici miglioramenti, che hanno resto la vita meno dura, con meno fame, povertà e acqua inquinata, con più scolarizzazione e meno vittime di tubercolosi, malaria e Hiv, e con molte meno morti fra madri e bambini.

Ma nel 2015, quando il mondo ha sostituito gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, le cose sono finite male. I leader del pianeta avrebbero potuto concentrarsi su pochi obiettivi cruciali. Avrebbero perfino potuto mantenere gli stessi traguardi, visto quanto questi siano importanti per le persone più vulnerabili del mondo. Avremmo potuto focalizzarci sull’individuazione delle necessità più gravi e delle opportunità maggiori.

Invece le Nazioni Unite e i leader del pianeta se ne sono usciti con una lista pasticciata e assurdamente lunga di 169 obiettivi che il mondo avrebbe dovuto raggiungere tra il 2015 e il 2030: gli Obiettivi di sviluppo sostenibile [Sustainable Development Goals, ndt].

Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile promettono di realizzare cose incredibilmente importanti, come estirpare la povertà e la fame, fare piazza pulita delle malattie, mettere fine alle guerre e al riscaldamento globale. Fissano anche traguardi per questioni secondarie come garantire spazi verdi accessibili.

Avere 169 obiettivi, però, è come non avere alcuna priorità. E il risultato inevitabile è che siamo rimasti indietro su molte importanti misure di sviluppo. Quest’anno, siamo giunti a metà del termine temporale stabilito per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Eppure, con i progressi fatti fin qui, anche senza considerare l’intoppo del Covid, saremo probabilmente in ritardo di mezzo secolo rispetto alle nostre promesse. L’Italia stessa è ben lontana dalla linea del traguardo del 2030. Con il ritmo del 2015-2019, l’Italia è destinata a portare a termine gli Obiettivi di sviluppo sostenibile intorno al 2107. Potremmo trovarci a essere la generazione che tradirà tutte o quasi tutte le nostre promesse, e questa è una conseguenza della scelta di non avere alcuna priorità. Quindi, come sistemare le cose da ora in avanti?

 

Bjorn Lomborg

Innanzitutto dobbiamo dare priorità agli obiettivi di maggiore interesse. Per la maggioranza delle persone, meno fame e un’educazione migliore contano di più di certi impegni a incrementare la raccolta differenziata e la conoscenza globale di “stili di vita in armonia con la natura” (due dei 169 obiettivi).

In secondo luogo, dobbiamo riconoscere che alcune sfide possono essere vinte con misure economiche e semplici, altre no.  Promettere la pace e la fine di tutte le violenze, dei crimini e della corruzione è un impegno commendevole, ma si tratta di traguardi incredibilmente difficili da raggiungere, e ancora non si sa bene come arrivarci. Al contrario, abbiamo le conoscenze per affrontare efficacemente e a costi contenuti molti problemi dilaganti.

La tubercolosi si può curare integralmente ed è così da oltre mezzo secolo, tuttavia uccide nel silenzio generale più di 1,5 milioni di persone ogni anno. E sebbene nove su dieci bambini di 10 anni dei paesi ricchi siano in grado di leggere e scrivere, nei paesi più poveri del mondo solo uno su dieci sa farlo. E ogni anno oltre due milioni di bambini e 300 mila donne muoiono a ridosso del parto. Tutti questi problemi hanno soluzioni economiche ed efficaci. Dovrebbero ottenere la nostra piena attenzione, invece questo non avviene.

Negli ultimi anni, il mio think tank ha collaborato con gli economisti più importanti del mondo per stabilire dove ogni euro può essere speso nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo sostenibile per massimizzare i benefici. Le nostre ricerche, che pubblicheremo con Tempi nel corso dei prossimi tre mesi, si prefiggono di salvaguardare alcuni successi dai fallimenti degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Avremo successo se saremo onesti e fisseremo delle priorità. Facciamo in modo di non essere noi la generazione che tradirà le promesse globali. Diventiamo piuttosto la generazione che farà le cose più intelligenti per prime e nel modo migliore.

Tratto da TEMPI

 

LEGGI ANCHE per maggiori approfondimenti

https://www.tempi.it/i-169-obiettivi-di-sviluppo-sustainable-development-goals-onu/