lunedì 30 agosto 2021

LA VITA CHE DANZA A MELSBROEK, BRUXELLES

Una bambina che salta di gioia sulla pista di un aeroporto europeo, dove è appena sbarcata con la sua famiglia. La foto è in prima pagina su Avvenire e il commento è di Marina Corradi.

«Una famiglia arrivata in Europa  sulla pista di Melsbroek, aeroporto militare di Bruxelles, scendono in fila, appena sbarcati da Kabul.


Prima il padre, pensieroso, il figlio piccolo per mano. Poi la madre, seria, incredula ancora. Ma, ultima, la bambina, sui 9 anni, vestita di chiaro, non cammina, salta: di gioia, come i bambini cui è promesso un regalo, o una cosa meravigliosa.


Prima la lunga angoscia, chiusi in casa per giorni, poi la fuga, poi la calca disperata, all'aeroporto. Le grida, i pianti, le carte con i timbri esibite dagli adulti, supplicanti. E infine nella carlinga di un aereo militare che decolla, nel fragore del motore, immobili per ore e ore fra cento altri. 

Sfinita s' era addormentata la bambina; mentre sua madre le sussurrava all'orecchio di una nuova casa, di una scuola, di un'altra vita davanti. E ora che il portellone s' è aperto e il chiarore di fine estate a Melsbroek, 50 chilometri dal Mare del Nord, si allarga attorno, la bambina afghana proprio non può camminare, ma salta, colma di gioia.

Quella luce mite, l'orizzonte piano, e il silenzio: la pace, si dice, dev' esser questa, eccola, finalmente. E corre e ride, i capelli bruni al vento: è lei stessa la vita, catturata in uno scatto sull'asfalto di Melsbroek, Belgio, Europa».

domenica 29 agosto 2021

ALEKSANDR SOLŽENICYN: UN MONDO IN FRANTUMI


TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DI HARVARD 8 GIUGNO 1978


Un discorso profetico su quello che sarebbe successo nel mondo dopo la conclusione della guerra del Vietnam. Il CROCEVIA ne suggerisce la lettura (o rilettura) a tutti.
Don Giussani ne volle un supplemento al n.10 di Litterae Communionis CL – 1978

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ALEKSANDR SOLŽENICYN (1918-2008)

Sono lieto della possibilità che mi si offre di salutare i neolaureati del 327-esimo anno dell'antica università di Harvard e mi congratulo di cuore con loro e con tutti gli ex allievi qui presenti.

ALEKSANDR SOLŽENICYN
PROFETA DI VERITA'


Il motto della vostra università è «Veritas». Alcuni di voi già sanno, e altri lo apprenderanno nel corso della loro vita, che la verità fugge via in un attimo non appena si indebolisce l'intensità del nostro sguardo, e ci lascia però nell'illusione di continuare a seguirla. Da ciò derivano molte divergenze. E ancora: raramente la verità è dolce, più spesso è amara. Questa amarezza è presente anche nel discorso odierno ma io ve lo porto non da nemico, bensì da amico.
Tre anni fa, negli Stati Uniti, ho dovuto dire cose che molti hanno respinto, non hanno voluto accogliere, e che oggi sono largamente accettate. (* Allusione ai discorsi pronunciati a Washington e New York nel giugno-luglio 1975, alla vigilia della Conferenza di Helsinki sui pericoli di una distensione equivoca e unilaterale. Ed it.: Discorsi americani, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1976 (N.d.c.))


UN MONDO IN FRANTUMI
La spaccatura del nostro mondo è evidente perfino a uno sguardo frettoloso. Qualsiasi nostro contemporaneo distingue infatti nel mondo quantomeno due forze contrapposte ormai in grado di annientarsi reciprocamente. Ma spesso ci si limita proprio a questa raffigurazione politica e all'illusione che il pericolo possa comunque essere scongiurato grazie a opportuni contatti diplomatici o all'equilibrio degli armamenti. In realtà il mondo è percorso da crepe più profonde, più larghe e più numerose di quanto non appaia al primo sguardo e questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per tutti noi di vari rischi mortali. Secondo l'antica verità per la quale qualsiasi regno diviso contro se stesso - oggi la nostra Terra - è destinato a perire.


I MONDI CONTEMPORANEI
C'è il concetto "terzo mondo" e dunque fanno già tre mondi. Ma ce ne sono indubbiamente altri che non arriviamo a distinguere, perché ne siamo troppo lontani. Ogni antica cultura autonoma, diffusa per di più su una parte abbastanza ampia della superficie della Terra, costituisce già un mondo a parte, pieno di misteri e di incognite per il pensiero occidentale. È il caso, come minimo, della Cina, dell'India e dell'insieme mondo musulmano-Africa, sempre che si possa, sia pure approssimativamente, riunire questi due mondi in uno solo. È stato, nel corso di mille anni, il caso della Russia, benché il pensiero occidentale si sia sistematicamente rifiutato di riconoscere la sua originalità e in tal modo non l'abbia mai capita, come continua a non capirla anche oggi, nel periodo della cattività comunista. E se è vero che il Giappone è sempre più diventato, nel corso degli ultimi decenni, "Estremo Occidente", perché s'è aggregato sempre più strettamente al mondo occidentale (qui son cattivo giudice), penso che, ad esempio, lo Stato d'Israele, al contrario, presenti almeno un tratto fondamentale che impedisce di riferirlo all'Occidente: il suo regime politico fondamentalmente legato alla religione.



Come è ancora relativamente vicino il tempo in cui il piccolo mondo neoeuropeo conquistava una colonia dopo l'altra su tutta la Terra, non solo senza prevedere una seria resistenza, ma di solito con un profondo disprezzo per tutti i valori che potessero essere racchiusi nella concezione del mondo dei popoli conquistati! Il successo sembrava sbalorditivo, le frontiere geografiche non esistevano più. Nello sviluppo della società occidentale si celebravano i fasti dell'uomo, della sua autonomia e potenza. Ed ecco che all'improvviso, nel XX secolo, si è visto - e con quale chiarezza! - che questa società era fragile e costruita sul vuoto di vertiginosi precipizi. E siamo ora in grado di valutare quanto questa conquista sia stata breve e precaria (il che testimonia anche, evidentemente, che quella concezione del mondo che aveva generato siffatte conquiste era viziata). Attualmente il rapporto tra le metropoli e le colonie di un tempo si è capovolto e spesso il mondo occidentale, passando all'altro estremo, dà prova di una compiacenza servile. Tuttavia è difficile prevedere a quanto ammonterà in definitiva il conto presentato dalle ex colonie e dire se l'Occidente finirà mai di pagarlo, anche quando avrà restituito le sue ultime terre coloniali e dato per giunta tutto ciò che possiede.


LA CONVERGENZA
Tuttavia una persistente cecità - che nasce da un senso di superiorità illusorio - induce a credere che tutte le vaste zone in cui è diviso il nostro pianeta debbano seguire uno sviluppo che le porterà a sistemi analoghi a quelli occidentali attuali, i più avanzati da un punto di vista teorico, i più attraenti da un punto di vista pratico; che tutti gli altri mondi siano solo temporaneamente trattenuti - vuoi da cattivi governanti o da sconvolgimenti interni, o dalla barbarie e l'incomprensione - dal lanciarsi sulla via della democrazia pluripartitica di tipo occidentale e dall'adottare il modo di vita dell'Occidente. E ogni paese viene giudicato sulla base del suo grado di avanzamento su questa via. ma in realtà questa concezione è nata dall'incomprensione da parte dell'Occidente dell'essenza degli altri mondi, che vengono arbitrariamente misurati col metro occidentale. Il quadro reale dello sviluppo del nostro pianeta è ben diverso.
Il malessere provocato dalla frantumazione del mondo ha anche dato vita alla teoria della convergenza tra il più avanzato Occidente e l'Unione Sovietica, teoria ingannevole che ha quantomeno il torto di trascurare il fatto che lo sviluppo di ciascuno di questi mondi non li conduce assolutamente verso una fusione, e anzi è inimmaginabile che uno dei due mondi si possa trasformare sul modello dell'altro senza ricorso alla violenza. A ciò si aggiunga che la convergenza implica necessariamente che ognuna delle due parti adotti anche i vizi dell'altra parte, fatto che non si vede come possa essere auspicato.
Se questo discorso di oggi lo pronunciassi nel mio paese, avrei scelto di porre l'accento, in questo schema generale della frantumazione del mondo, sulle disgrazie dell'Oriente. ma poiché da quattro anni sono costretto a vivere qui poiché mi trovo dinnanzi ad un uditorio occidentale, sarà più utile che presenti, così come io li vedo, alcuni tratti dell'Occidente contemporaneo.


IL DECLINO DEL CORAGGIO
Il declino del coraggio è nell'Occidente d'oggi forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Il coraggio civico ha disertato non solo il mondo occidentale nel suo insieme, ma anche ognuno dei paesi che lo compongono, ognuno dei suoi governi, ognuno dei suoi partiti, nonché, beninteso, l'Organizzazione delle nazioni unite. Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante, e da qui deriva l'impressione che il coraggio abbia disertato la società nel suo insieme. Naturalmente ci sono ancora numerose persone individualmente coraggiose, ma non sono loro a dirigere la vita della società. I funzionari politici e intellettuali manifestano questo declino, questa fiacchezza, questa irrisolutezza nei loro atti, nei loro discorsi e soprattutto nelle considerazioni teoriche che si premurano di esibire dimostrandovi che questo modo d'agire, che basa la politica di uno Stato sulla vigliaccheria e il servilismo, è pragmatico, razionale e giustificato da qualsiasi elevato punto di vista intellettuale e perfino morale lo si consideri. Questo declino del coraggio, che sembra talvolta arrivare fino alla perdita di ogni traccia di virilità, assume poi una particolare sfumatura ironica nei casi in cui i medesimi funzionari sono presi da subitanei accessi di braveria e intransigenza nei confronti dei governi senza forza, di paesi deboli che nessuno sostiene o di correnti condannate da tutti, che manifestamente non sono in grado di reagire in alcun modo. Ma la loro lingua si secca e le loro braccia si paralizzano di fronte ai governi potenti e alle forze minacciose, di fronte agli aggressori e all'Internazionale del terrore.
C'è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato, sin dai tempi antichi, il segno precorritore della fine?


IL BENESSERE
Quando si sono costituiti, gli Stati occidentali moderni hanno proclamato il seguente principio: il governo deve essere al servizio dell'uomo e l'uomo vive su questa Terra per godere della libertà e cercare la felicità (vedi ad esempio la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America). Ora, nel corso degli ultimi decenni, il progresso tecnico e il progresso sociale hanno finalmente permesso che si realizzasse questo sogno: uno Stato che assicuri il benessere generale. Ogni cittadino ha ricevuto l'ambita libertà nonché la quantità e la qualità dei beni materiali che avrebbero dovuto assicurare la sua felicità - perlomeno in quell'accezione immiserita del termine che ha preso piede nel corso degli stessi decenni. (Si è trascurato solo un piccolo dettaglio psicologico: il costante desiderio di possedere sempre di più, e sempre meglio, e la lotta accanita ch'esso comporta imprimono su molti visi occidentali il marchio della preoccupazione e persino della prostrazione, nonostante gli usi prescrivano che sentimenti del genere devono essere accuratamente dissimulati. Questa concorrenza attiva e serrata assorbe tutti i pensieri dell'uomo ed è ben lontana dal favorire il suo libero sviluppo spirituale). Ognuno si vede assicurare la piena indipendenza in rapporto a molte forme di pressione statale, la maggioranza dispone di un'agiatezza inimmaginabile soltanto una o due generazioni fa, si può ormai educare la gioventù nello spirito dei nuovi ideali, chiamandola alla fioritura fisica e alla felicità, preparandola a disporre di cose, di denaro, di svaghi, abituandole a una libertà di godimento pressoché illimitata, e allora ditemi: in nome di chi, e a che scopo certuni dovrebbero strapparsi da tutto questo e rischiare la loro preziosa vita per la difesa del bene comune, specialmente nella nebulosa eventualità che si debba difendere la sicurezza del proprio popolo in un paese per il momento ancora lontano?
È noto perfino in biologia: condizioni troppo favorevoli non sono vantaggiose per gli esseri viventi. E oggi è nella vita della società occidentale che il benessere ha cominciato a rivelare il suo volto funesto.


LA VITA GARANTITA DALLA LEGGE
In conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma dell'esistenza che le era più comoda e che definirei giuridica. I limiti (molto larghi) dei diritti e del buon diritto di ogni uomo sono definiti dal sistema delle leggi. A forza di attenersi a queste leggi, di muoversi al loro interno e di destreggiarsi nel loro fitto ordito, gli occidentali hanno acquisito in materia una grande e salda perizia. (Ma le leggi restano comunque così complesse che il semplice cittadino non è in grado di raccapezzarcisi senza l'aiuto di uno specialista). Ogni conflitto riceve una soluzione giuridica, e questa viene considerata la più elevata. Se un uomo si trova giuridicamente nel proprio diritto, non si può chiedergli niente di più. Provategli a dirgli, dopo la suprema sanzione giuridica, che non ha completamente ragione, provatevi a consigliargli di limitare da se stesso le sue esigenze e a rinunciare a quello che gli spetta di diritto, provatevi a chiedergli di affrontare un sacrificio o dio correre un rischio gratuito… vi guarderà come si guarda un idiota. L'autolimitazione liberamente accettata è una cosa che non si vede quasi mai: tutti praticano per contro l'autoespansione, condotta fino all'estrema capienza delle leggi, fino a che le cornici giuridiche cominciano a scricchiolare. (Giuridicamente, sono del tutto irreprensibili le compagnie petrolifere quando acquistano il brevetto di invenzione di una nuova forma di energia per impedirne l'utilizzazione. Giuridicamente sono irreprensibili coloro che avvelenano i prodotti alimentari per prolungarne la conservazione: il pubblico resta pur sempre libero di non acquistarne).
Io che ho passato tutta la mia vita sotto il comunismo affermo che una società dove non esiste una bilancia giuridica imparziale è una cosa orribile. nemmeno una società che dispone in tutto e per tutto solo della bilancia giuridica può dirsi veramente degna dell'uomo. Una società che si è installata sul terreno della legge, senza voler andare più in alto, utilizza solo debolmente le facoltà più elevate dell'uomo.Il diritto è troppo freddo e troppo informale per esercitare una influenza benefica sulla società. Quando tutta la vita è compenetrata dai rapporti giuridici, si determina un'atmosfera di mediocrità spirituale che soffoca i migliori slanci dell'uomo.
E contare di sostenere le prove che il secolo prepara reggendo solo sui soli puntelli giuridici sarà per l'innanzi sempre meno possibile.


LIBERTÀ: DELL'IRRESPONSABILITÀ?
Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio fra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. Un uomo politico che voglia realizzare, nell'interesse del suo paese, una qualche opera importante, si trova costretto a procedere a passi prudenti e perfino timidi, assillato da migliaia di critiche affrettate (e irresponsabili) e bersagliato com'è dalla stampa e dal Parlamento. Deve giustificare ogni passo che fa e dimostrarne l'assoluta rettitudine. Di fatto è escluso che un uomo fuori dall'ordinario, un grande uomo che si riprometta di prendere delle iniziative insolite e inattese, possa mai dimostrare ciò di cui è capace: riceverebbe tanti di quegli sgambetti da doverci rinunciare fin dall'inizio. Ed è così che col pretesto di controllo democratico si assicura il trionfo della mediocrità.
Per contro è cosa facilissima scalzare l'autorità dell'Amministrazione, e in tutti i paesi occidentali i poteri pubblici sono considerevolmente indeboliti. la difesa dei diritti del singolo giunge a tali eccessi che la stessa società si trova disarmata davanti a certi suoi membri: è giunto decisamente il momento per l'Occidente di affermare non tanto i diritti della gente, quanto i suoi doveri.
Al contrario la libertà di fare il bene, la libertà di distruggere, la libertà dell'irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d'azione. La società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro ‘utilizzazione della libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch'esso una libertà, il cui contrappeso teorico è la libertà per i giovani di non andarli a vedere. Così la vita basata sul giuridismo si rivela incapace di difendere perfino se stessa contro il male e se ne lascia poco a poco divorare.
E che dire degli oscuri spazi in cui si muove la criminalità vera e propria? L'ampiezza dei limiti giuridici (specialmente in America) costituisce per l'individuo non solo un incoraggiamento a esercitare la sua libertà ma anche un incoraggiamento a commettere certi crimini, poiché offre al criminale la possibilità di sfuggire al castigo o di beneficiare di un'immeritata indulgenza, grazie magari al sostegno di un migliaio di voci che si leveranno in suo favore. E quando in un paese i poteri pubblici affrontano con durezza il terrorismo e si prefiggono di sradicarlo, l'opinione pubblica li accusa immediatamente di aver calpestato i diritti civili dei banditi. Ci sono al riguardo numerosi esempi.
La libertà non ha così deviato verso il male in un colpo solo, c'è stata un'evoluzione graduale, ma credo si possa affermare che il punto di partenza sia stato la filantropica concezione umanistica per la quale l'uomo, padrone del mondo, non porta in sé alcun germe del male, e tutto ciò che vi è di viziato nella nostra esistenza deriva unicamente da sistemi sociali erronei che è importante appunto correggere. Che strano però:l'Occidente, dove le condizioni sociali sono le migliori, presenta una criminalità indiscutibilmente elevata e decisamente più forte nel nell'Unione Sovietica, con tutta la sua miseria e il disprezzo della legge. (Da noi, nei campi di lavoro, ci sono moltissimi detenuti definiti comuni, che in realtà, nella stragrande maggioranza, non sono affatto criminali, ma gente che ha cercato di difendersi con mezzi non giuridici contro uno Stato senza legge)


LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ DEI MEZZI D'INFORMAZIONE
Anche la stampa (uso il termine "stampa" per designare tutti i mass media) gode naturalmente della massima libertà. ma come la usa?
Lo sappiamo già: guardandosi bene dall'oltrepassare i limiti giuridici ma senza alcuna vera responsabilità morale se snatura i fatti e deforma le proporzioni. Un giornalista e il suo giornale sono veramente responsabili davanti ai loro lettori o davanti alla storia? Se, fornendo informazioni false o conclusioni erronee, capita loro di indurre in errore l'opinione pubblica o addirittura di far compiere un passo falso a tutto lo Stato, li si vede mai dichiarare pubblicamente la loro colpa? No, naturalmente, perché questo nuocerebbe alle vendite. In casi del genere lo Stato può anche lasciarci le penne, ma il giornalista ne esce sempre pulito. Anzi, potete giurarci che si metterà a scrivere con rinnovato sussiego il contrario di ciò che affermava prima.
La necessità di dare una informazione immediata e che insieme appaia autorevole costringe a riempire le lacune con delle congetture, a riportare voci e supposizioni che in seguito non verranno mai smentite e si sedimenteranno nella memoria delle masse. Quanti giudizi affrettati, temerari, presuntuosi ed erronei confondono ogni giorno il cervello di lettori e ascoltatori e vi si fissano! la stampa ha il potere di contraffare l'opinione pubblica e anche quello di pervertirla. Così, la vediamo coronare i terroristi del lauro di Erostato, svelare perfino i segreti della difesa del proprio paese, violare impunemente la vita privata delle celebrità al grido «Tutti hanno il diritto di sapere tutto» (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n'è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l'uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affato bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti).
È nella stampa che si manifestano, più che altrove, quella superficialità e quella fretta che costituiscono la malattia mentale del XX secolo. Penetrare in profondità i problemi è controindicato, non è nella sua natura, essa si limita ad afferrare al volo qualche elemento di effetto.
E, con tutto questo, la stampa è diventata la forza più importante degli Stati occidentali, essa supera per potenza i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma chiediamoci un momento: in virtù di quale legge è stata eletta e a chi rende conto del suo operato? Se nell'Est comunista un giornalista viene apertamente designato dall'alto come ogni altro funzionario statale, chi sono gli elettori cui i giornalisti occidentali devono invece la posizione di potere che occupano? E per quanto tempo la occupano? E con quale mandato?
E infine c'è un altro tratto inatteso per un uomo che proviene dall'Est totalitario, dove la stampa è rigidamente unificata: se si considera la stampa occidentale nel suo insieme, si scopre che anch'essa presenta degli orientamenti uniformi, nella stessa direzione (quella del vento del secolo), dei giudizi mantenuti entro determinati limiti accettati da tutti e forse anche degli interessi corporativi comuni, e tutto ciò ha per risultato non la concorrenza ma una certa unificazione. E se la stampa gode di una libertà senza freno, non si può dire altrettanto dei suoi lettori: infatti i giornali danno rilievo risonanza soltanto a quelle opinioni che non sono troppo in contraddizione con quelle dei giornali stessi e della tendenza generale della stampa di cui si è detto.


LE IDEE ALLA MODA
In Occidente, anche senza bisogno della censura, viene operata una puntigliosa selezione che separa le idee alla moda da quelle che non lo sono, e benché queste ultime non vengano colpite da alcun esplicito divieto, non hanno la possibilità di esprimersi veramente né nella stampa periodica, né in un libro, né da alcuna cattedra universitaria. Lo spirito dei vostri ricercatori è si libero, giuridicamente, ma in realtà impedito dagli idoli del pensiero alla moda. senza che ci sia, come all'Est, un'aperta violenza, quella selezione operata dalla mode, questa necessità di conformare ogni cosa a dei modelli standardizzati, impediscono ai pensatori più originali e indipendenti di apportare il loro contributo alla vita pubblica e determinano il manifestarsi di un pericoloso spirito gregario che è di ostacolo a qualsiasi sviluppo degno di questo nome. Da quando sono in America, ho ricevuto lettere da persone straordinariamente intelligenti, ad esempio da un certo professore di un college sperduto in una remota provincia, che potrebbe davvero fare molto per rinnovare e salvare il suo paese: ma il paese non potrà mai sentirlo perché i media non lo appoggiano. Ed è così che i pregiudizi si radicano nelle masse, che la cecità colpisce un intero paese, con conseguenze che nel nostro secolo dinamico possono risultare assai pericolose.
Prendiamo ad esempio l'illusoria rappresentazione che si ha dell'attuale situazione del mondo: essa forma attorno alle teste una corazza così dura che nessuna delle voci che ci provengono da 17 paesi dell'Europa dell'Est e dell'Asia orientale riesce ad attraversarla, in attesa che l'implacabile maglio degli eventi la faccia volare in mille pezzi.
Ho enumerato alcuni tratti della vita occidentale che colpiscono il nuovo venuto. Le dimensioni e lo scopo di questo discorso non mi consentono di proseguire nell'analisi, mostrando quale riflesso abbiano questecaratteristiche della società occidentale in settori così importanti della vita di un paese come l'insegnamento elementare, l'insegnamento superiore delle scienze umane e l'arte.


IL SOCIALISMO
È l'Occidente, e quasi tutti lo riconoscono, a mostrare al mondo intero la via più vantaggiosa di sviluppo economico, perturbata negli ultimi tempi, questo è vero, da un'inflazione caotica. ma ci sono anche molte persone, in Occidente, che sono insoddisfatte della loro società, la disprezzano o le rimproverano di essere ormai inadeguata al livello di maturazione raggiunto dall'umanità. E questo induce molti a inclinare in direzione della corrente, falsa e pericolosa, del socialismo.
Nessuno dei presenti, spero, vorrà sospettarmi di aver sviluppato questa parziale critica del sistema occidentale allo scopo di promuovere al suo posto l'idea di socialismo. No, potendomi basare sull'esperienza del paese del socialismo realizzato, non proporrei in nessun caso un'alternativa socialista. Che il socialismo, in generale e in tutte le sue sfumature, sfoci nell'annientamento universale dell'essenza spirituale dell'uomo e nel livellamento dell'umanità nella morte, l'ha mostrato l'accademico Šafarevic nelle profonde analisi storiche, brillantemente argomentate, del suo libro Il socialismo; sono già quasi due anni che il libro èstato pubblicato in Francia e ancora non s'è trovato nessuno che gli replicasse. Tra non molto verrà pubblicato anche in America (* Ed. francese: Igor Chafarevich, Le Phénoméne socialiste, Paris , éd du Seuil, 1977. L'edizione italiana è in corso di preparazione presso «La Casa di Matriona» Coop. editoriale, Milano (N.d.c))


NON UN MODELLO
Ma, inversamente, se mi chiedessero: vorrebbe proporre al suo paese, come modello, l'Occidente così com'è oggi?, dovrei rispondere con franchezza: no, non potrei raccomandare la vostra società come ideale per la trasformazione della nostra. data la ricchezza di crescita spirituale che in questo secolo il nostro paese ha acquisito nella sofferenza, il sistema occidentale, nel suo attuale stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva. Già la semplice enumerazione delle caratteristiche della vostra esistenza induce al più nero sconforto.
È un fatto incontestabile: indebolimento del carattere dell'uomo dell'Ovest e il suo rafforzamento all'Est. Il nostro popolo, nel corso di sei decenni, e i popoli dell'Europa orientale, nel corso di tre, sono passati per una scuola spirituale che si lascia indietro di molto l'esperienza dell'Occidente. Una vita opprimente, complessa e mortale, vi ha forgiato dei caratteri più forti, più profondi e interessanti di quelli che si possono formare nella prospera e regolamentata vita dell'Occidente. per questo motivo, se la trasformazione della nostra società nella vostra significherebbe per certi aspetti un'evoluzione , per certi altri - e quanto importanti! - significherebbe invece un abbassamento. No, la società non può restare in un abisso senza leggi come da noi, ma è anche derisoria la proposta di collocarsi, come qui da voi, sulla superficie tirata a specchio di un giuridismo senz'anima. Un'anima umana piagata da decenni di violenza aspira a qualcosa di più elevato, di più caldo, di più puro di ciò che può oggi proporle l'esistenza di massa in Occidente, annunciata, a modo di biglietto da visita, dalla nauseante pressione della pubblicità, dall'abbrutimento della televisione e dai clamori di una musica insopportabile.
E tutto questo lo vedono numerosi osservatori, dai diversi mondi del nostro pianeta. Il modo di vita occidentale ha sempre meno possibilità di diventare il modo di vita dominante.
Ci sono avvertimenti sintomatici che la storia che la storia invia ad una società minacciata o in procinto di perire: ad esempio il declino delle arti o l'assenza di grandi uomini di Stato. Gli avvertimenti si fanno talvolta del tutto percettibili, diretti: il centro della vostra democrazia e della vostra civiltà è restato senza elettricità per qualche ora - niente di più - e subito intere folle di cittadini americani si sono abbandonate al saccheggio e alla violenza. A tal punto è sottile la pellicola! A tal punto è fragile la vostra struttura sociale, e carente di forze sane!
Non è un fatto del domani o di chissà quando: la battaglia - fisica, spirituale, cosmica! - per il vostro pianeta è già cominciata. Scatenando l'assalto decisivo già avanza e preme il male universale, e i vostri schermi cinematografici, le vostre pubblicazioni traboccano di sorrisi a comando e di calici alzati. Tanta allegria, e perché poi?


LA MIOPIA DEGLI ESPERTI
Tutti i vostri uomini di Stato più in vista (come Gorge Kennan) lo dicono: una volta entrati nell'ambito della grande politica, non possiamo più attenerci a criteri d'ordine morale. Ebbene, è proprio questo, questa confusione e del bene e del male, del buon diritto e del torto, che prepara meglio di qualsiasi altra cosa il terreno per il trionfo assoluto del Male assoluto nel mondo. Alla strategia mondiale accuratamente elaborata del comunismo l'Occidente può opporre solo i più elevati criteri morali, mentre le considerazioni opportunistiche e contingenti sono destinate in ogni caso a crollare di fronte all'opposta strategia globale. A partire da un certo livello di problemi, il pensiero giuridico si paralizza e impedisce di vedere le dimensioni reali e il senso degli avvenimenti.
Malgrado la molteplicità dell'informazione - o forse in una certa misura proprio a causa di essa - il mondo occidentale si orienta molto male nella realtà attuale. È stato il caso delle previsioni perlomeno umoristiche, di certi esperti americani che sentenziarono che nell'Angola l'Unione Sovietica avrebbe trovato il suo Vietnam, o che il miglior sistema per moderare l'impudenza delle spedizioni africane di Cuba fosse di fare la corte a questo paese. È anche il caso dei consigli rivolti da Kennan al suo paese di procedere a un disarmo unilaterale. Ah, se solo sapeste come se la ridono dei vostri sapientoni politici, i più pivelli dei consiglieri della Piazza Vecchia! (*La Piazza Vecchia è la sede del Comitato Centrale del Partito comunista dell'URSS; è la vera denominazione ci ciò che gli Occidentali chiamano convenzionalmente "il Cremino".) Quanto a Fidel Castro, evidentemente considera gli Stati Uniti un'entità trascurabile visto che non si perita, pur essendo vostro vicino, di lanciare le sue truppe in avventure lontane.
Ma l'errore più grossolano e crudele è stato commesso in rapporto alla guerra nel Vietnam. Gli uni volevano sinceramente la cessazione più rapida possibile di qualsiasi conflitto, gli altri pretendevano che si dovesse dar libero corso alla autodeterminazione nazionale o comunista del Vietnam (o della Cambogia, come si vede oggi in modo particolarmente chiaro). E invece risulta che i membri del movimento pacifista americano hanno contribuito, di fatto, a tradire i popoli dell'Estremo oriente, si sono resi complici del genocidio e della sofferenza che squassano laggiù trenta milioni di uomini. Ma questi gemiti li sentono o no, ora, codesti pacifisti ad oltranza? Riconoscono almeno ora la responsabilità che portano? O preferiscono chiudere le orecchie? I nervi della società colta americana hanno ceduto e il risultato è che la minaccia si è fortemente avvicinata agli stessi Stati Uniti. Ma non si vuole riconoscerlo. Quel vostro uomo politico dalla vista corta che ha firmato in fretta e furia l'atto di capitolazione del Vietnam sembrava aver dato all'America l'opportunità di una tregua spensierata ed ecco invece che già sta crescendo sotto i vostri occhi un Vietnam centuplicato. Il piccolo Vietnam vi era stato inviato a titolo di avvertimento e come occasione di mobilitare il vostro coraggio. Ma se la potente America s'è vista infliggere una sonora sconfitta perfino da un minuscolo semipaese, su quale forza può mai contare l'Occidente per resistere in futuro?
Ho già avuto occasione di dire che nel XX secolo la democrazia occidentale non ha mai vinto una sola grande guerra con le sue forze: ogni volta si è fatta proteggere da un potente alleato continentale, senza star troppo a sindacare la sua concezione del mondo. Così nella seconda guerra mondiale contro Hitler invece di vincere la guerra con le sue forze, che sicuramente erano a ciò sufficienti, ha contribuito a far crescere un nemico peggiore e ben più potente, perché Hitler non ha mai avuto tante risorse, uomini, idee esplosive, partigiani suoi nel mondo occidentale (una potente quinta colonna), come ne ha l'Unione Sovietica. E oggi in Occidente si sentono già risuonare altre voci: perché, nel caso di un nuovo conflitto mondiale non proteggersi con una forza straniera, stavolta la Cina? Tuttavia io non auguro una simile soluzione a nessuno al mondo; anche a tacere del fatto che sarebbe una nuova alleanza fatale con il Male, l'America ne ricaverebbe soltanto una tregua temporanea, ma poi, quando la Cina col suo miliardo di uomini si rivoltasse contro di lei armata di armata di armi americane, l'America stessa si troverebbe consegnata a un genocidio simile a quello che la Cambogia conosce nei nostri giorni.


LA PERDITA DELLA VOLONTÀ
Nessun armamento, per vasto e potente che sia, varrà mai ad aiutare l'Occidente finché questo non avrà riacquistato la sua volontà di difendersi. Quando ci si è così indeboliti spiritualmente, quando si invoca la capitolazione, l'arma stessa diventa un inutile fardello. Per difendersi bisogna anche essere disposti a morire, e questa disponibilità è piuttosto rara in una società cresciuta nel culto del benessere materiale. E allora restano solo le concessioni, i temporeggiamenti e i tradimenti. A Belgrado i liberi diplomatici occidentali hanno ceduto ignominiosamente, nella loro debolezza, le posizioni sulle quali i membri dei gruppi di Helsinki dell'URSS, pur in balia dell'arbitrio, non esitano in questo momento a dare la vita.
Il pensiero occidentale è diventato conservatore: purché si conservi l'attuale assetto del mondo, perché nulla cambi! Il vagheggiamento debilitante dello statu quo è il sintomo di una società che è arrivata alla fine del suo corso. Bisogna essere ciechi per non vedere che gli oceani hanno smesso di appartenere all'Occidente e che la superficie continentale dei suoi territori si riduce sempre più. Le due guerre cosiddette mondiali - che sono state ben lontane dall'esserlo veramente - sono consistite nel fatto che il piccolo Occidente, culla del progresso, si è distrutto da sé stesso nel suo interno, ponendo così le premesse della propria fine. La prossima guerra - non necessariamente nucleare, non credo molto a questa eventualità - può seppellire definitivamente la società occidentale.
E di fronte a questo pericolo, quando si ha alle spalle il patrimonio di tanti valori storici, con un tale livello di esperienza di libertà e di conclamata devozione ad essa, è mai possibile perdere a tal punto la volontà di difendersi?


L'UMANESIMO E LE SUE CONSEGUENZE
Come si è giunti a un rapporto di forze così svantaggioso per l'Occidente? Come ha fatto il mondo occidentale a cadere, dalla sua travolgente marcia trionfale, in un simile stato di impotenza? Ci sono state nel suo sviluppo delle svolte funeste, ha perduto la rotta? Sembrerebbe di no. L'Occidente non ha fatto che progredire e progredire ancora nella direzione sociale dichiarata, mano nella mano con uno smagliante Progresso tecnico. Ed ecco che all'improvviso si trova nell'attuale stato di debolezza.
E allora non resta che cercare l'errore alla radice stessa, alla base del pensiero dell'Età moderna. Mi riferisco alla concezione del mondo dominante in Occidente che, nata nell'epoca del Rinascimento, ha assunto forme politiche a partire dall'Illuminismo ed è alla base di tutte le scienze dello Stato e della società: la si potrebbe chiamare umanesimo razionalista o autonomia umanistica in quanto proclama e promuove l'autonomia dell'uomo da qualsiasi forza. Oppure ancora - e altrimenti - antropocentrismo: l'idea dell'uomo come centro di tutto ciò che esiste.
In sé la svolta del Rinascimento era evidentemente ineluttabile: il Medio Evo aveva esaurito le sue possibilità, l'annullamento dispotico della natura fisica dell'uomo a vantaggio della sua natura spirituale non era più sopportabile. Ma anche il nostro balzo dallo Spirito alla Materia è stato sproporzionato e senza misura. La coscienza umanistica, autodesignatasi a nostra guida, ha negato la presenza del male all'interno dell'uomo, non gli ha riconosciuto compito più elevato dell'acquisizione della felicità terrena e ha posto alla base della civiltà occidentale moderna la pericolosa tendenza a prosternarsi davanti all'uomo e ai suoi bisogni materiali. Al di fuori del benessere fisico e dall'accumulazione dei beni materiali, tutte le altre particolarità, tutti gli alti bisogni, più elevati e meno elementari dell'uomo, non sono stati presi in considerazione dai sistemi statali e dalle strutture sociali, come se l'uomo non avesse un significato più nobile da dare alla vita. E così in questi edifici sono stati lasciati vuoti pericolosi attraverso i quali oggi scarrozzano liberamente in ogni direzione le correnti del male. Da sola, la libertà pura e semplice non è assolutamente in grado di risolvere tutti i problemi dell'esistenza umana, e anzi può soltanto porne di nuovi.
Tuttavia, nelle prime democrazie, compresa quella americana alla sua nascita, tutti i diritti venivano riconosciuti alla persona umana solo in quanto creatura di Dio: in altre parole la liberà veniva conferita al singolo solo sotto condizione, presumendo una sua permanente responsabilità religiosa: tanto sentita era ancora l'eredità del millennio precedente. Solo duecento anni fa, ma anche cinquanta, in America sarebbe parso impossibile accordare all'uomo una libertà senza freni, così, per il soddisfacimento delle sue passioni. Tuttavia, da allora, in tutti i paesi occidentali questi limiti e condizionamenti sono stati erosi, ci si è definitivamente liberati dell'eredità morale dei secoli cristiani con le loro immense riserve di pietà e di sacrificio e i sistemi sociali hanno assunto connotati materialistici sempre più compiuti. In ultima analisi si può dire che l'Occidente abbia si difeso con successo, e perfino con larghezza, i diritti dell'uomo ma che nell'uomo si sia intanto completamente spenta la coscienza della sua responsabilità davanti a Dio e alla società. Durante questi ultimi decenni l‘egoismo legalistico della filosofia occidentale ha prevalso definitivamente e il mondo si ritrova in un'acuta crisi spirituale e in un vicolo cieco politico. E tutti i successi tecnici, cosmo compreso, del tanto celebrato progresso non sono stati in grado di riscattare la miseria presente morale nella quale è piombato il XX secolo e che non era stati possibile prevedere, neanche a partire dal secolo XIX secolo.


PARENTELE INASPETTATE
Più l'umanesimo, sviluppandosi, è diventato materialista, e più ha dato occasione alla speculazione da parte del socialismo e poi del comunismo. Così che Karl Marx ha potuto dire (1844): «il comunismo è un umanesimo naturalizzato».
E questa affermazione non è del tutto priva di senso: nelle fondamenta dell'umanesimo eroso come in quelle di qualsiasi socialismo è possibile discernere delle pietre comuni: materialismo senza limiti; libertà dalla religione e dalla responsabilità religiosa (portata, sotto il comunismo, fino alla dittatura antireligiosa); concentrazione di ogni energia sulla costruzione sociale e apparenza scientifica della cosa (i Lumi del XVIII secolo e il marxismo). Non è un caso che tutti i giuramenti verbali dei comunisti ruotino attorno all'uomo con la U maiuscola e alla sua felicità terrena. Sembrerebbe un accostamento mostruoso: la constatazione di tratti comuni nella concezione del mondo e del modo di vivere dell'Occidente d'oggi e in quelli dell'Oriente d'oggi, ma tale è la logica di sviluppo del materialismo.
Inoltre questo rapporto di parentela obbedisce a una legge che è la seguente: la corrente materialistica più forte, più attraente, più vittoriosa è sempre quella che si situa più a sinistra ed è quindi la più conseguente . E l'umanesimo, ormai completamente privo d'ogni traccia dell'eredità cristiana, non è in grado di resistere in questa competizione. Così nel corso dei secoli passati e particolarmente degli ultimi decenni , che hanno registrato un'acutizzazione del processo, il liberalismo è stato ineluttabilmente scalzato dal radicalismo, che a sua volta è stato costretto a cedere di fronte al socialismo il quale non a retto contro il comunismo. E se il sistema comunista ha potuto resistere e rafforzarsi nell'Est è precisamente per l'accanito e massiccio sostegno dell'intellettualità occidentale (sensibile ai legami di parentela), che non notava le sue scelleratezze o, quando proprio non poteva fare a meno di notarla, si sforzava comunque di giustificarle. E oggi è lo stesso: da noi all'Est il comunismo, da un punto di vista ideologico, ha subito un completo tracollo, vale ormai zero, o anche meno; è l'intellettualità occidentale a restare in larga misura sensibile alla sua attrazione e a conservargli le sue simpatie. Ed è questo che rende incomparabilmente difficile all'Occidente il compito di far fronte all'Est.


ALLA VIGILIA A DI UNA SVOLTA
Non esamino qui l'eventualità di una catastrofe bellica universale e i cambiamenti che essa comporterebbe nella società umana. Ma fintanto che continuiamo a svegliarci ogni giorno sotto un sole tranquillo, siamo tenuti a vivere la nostra vita di tutti i giorni. C'è comunque una catastrofe già in corso: la catastrofe della coscienza umanistica religiosa.
Questa coscienza ha fatto dell'uomo la misura di ogni cosa sulla Terra; dell'uomo imperfetto, mai esente dall'orgoglio, dalla cupidigia, dall'invidia, dalla vanità e da decine di altri difetti. Ed ecco che gli errori, sottostimati all'inizio del cammino, oggi si prendono una poderosa rivincita. Il cammino che abbiamo percorso a partire dal Rinascimento ha arricchito la nostra esperienza, ma ci ha fatto anche perdere quel Tutto, quel Più alto che un tempo costituiva un limite alle nostre passioni e alla nostra irresponsabilità. Abbiamo riposto troppe speranze nelle trasformazioni politico-sociali e il risultato è che ci viene tolto ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra vita interiore. All'Est è il bazar del Partito a calpestarla, all'Ovest la fiera del commercio. Quello che fa paura, della crisi attuale, non è neanche il fatto della spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colpiti d un'analoga malattia.
Se l'uomo fosse nato, come sostiene l'umanesimo, solo per la felicità, non sarebbe nato anche per la morte. Ma poiché è corporalmente votato alla morte, il suo compito su questa Terra non può essere che ancor più spirituale: non l'ingozzarsi di quotidianità, non la ricerca dei sistemi migliori di acquisizione, e poi di spensierata dilapidazione, dei beni materiali, ma il compimento di un duro e permanente dovere, così che l'intero cammino della nostra vita diventi l'esperienza di un'ascesa soprattutto morale: che ci rovi, al termine del cammino, creature più elevate di quanto non fossimo nell'intraprenderlo. Inevitabilmente dovremo rivedere la scala dei valori universalmente acquisita e stupirci della sua inadeguatezza ed erroneità.
È impossibile, ad esempio, che il giudizio sull'attività di un presidente debba derivare unicamente da quanto prendi di paga o dal fatto se la vendita della benzina è razionata o meno. Solo l'educazione volontaria in se stesso di un'autolimitazione pura e benefica innalza gli uomini al di sopra del fluire materiale del mondo.
Aggrapparsi oggi alle anchilosate formule dell'Illuminismo è da retrogradi. Questo dogmatismo sociale ci rende impotenti di fronte alle prove dell'era attuale.
Seppure ci verrà risparmiata la catastrofe di una guerra, la nostra vita, inevitabilmente, non potrà più restare quella che è ora, se non vorrà darsi da sé la morte. Non potremo far a meno di rivedere le definizioni fondamentali della vita umana e della società: l'uomo è veramente il criterio di ogni cosa? Veramente non esiste al di sopra dell'uomo uno Spirito supremo? Veramente la vita dell'uomo e l'attività della società devono anzitutto valutasi in termini di espansione materiale? Ed è ammissibile sviluppare questa espansione a detrimento della nostra vita interiore?
Il mondo è oggi alla vigilia, se non della propria rovina, di una svolta della storia, equivalente per importanza alla svolta dal Medio Evo al Rinascimento; e tal svolta esigerà da noi tutti un impeto spirituale, un'ascesa verso nuove altezze di intendimenti, verso un nuovo livello di vita dove non verrà più consegnata alla maledizione, come nel Medio Evo, la nostra natura fisica, ma neppure verrà, come nell'Era contemporanea, calpestata la nostra natura spirituale.
Quest'ascesa è paragonabile al passaggio a un nuovo grado antropologico. E nessuno, sulla Terra, ha alta via d'uscita che questa: andare più in alto.

sabato 28 agosto 2021

SUOR SHAHNAZ: 'I MIEI ULTIMI GIORNI NELLA KABUL DEI TALEBANI'

L’angoscia costante, le retate dei fondamentalisti, i tentativi falliti di fuggire.

E poi l’ansia per chi è rimasto, resa ancora più lacerante dai sanguinosi attentati di ieri. La testimonianza di una religiosa arrivata in Italia con uno degli ultimi voli di evacuazione: "Le ragazze mi mandano messaggi in lacrime. Se sarà possibile tornerò in Afghanistan".

I giorni nella Kabul occupata dai talebani, in preda all’ansia nell’attesa di un’occasione per lasciare il Paese, suor Shahnaz Bhatti non potrà mai dimenticarli. La religiosa che operava in Afghanistan per l’associazione Pro Bambini di Kabul (PBK), arrivata in Italia con uno degli ultimi voli del ponte aereo organizzato dalle autorità, è ancora sotto shock: «Anche adesso che sono qui sana e salva, ogni volta che sento bussare alla porta o avverto il rumore di una persiana mossa dal vento sento un tuffo al cuore e mi assale il terrore che qualcuno sia venuto a prendermi».

Suor Shahnaz Bhatti

Le immagini dell’attentato di ieri in mezzo alla folla assiepata intorno all’aeroporto della capitale afghana non hanno fatto che ridestare i fantasmi di queste settimane e rafforzare i timori per «quelli che sono rimasti là».

Il racconto della suora 46enne della Congregazione di Santa Giovanna Antida è drammatico: «Tutti in città erano nel panico e volevano solo partire. In queste giornate di terrore non passava un minuto senza che arrivasse qualche conoscente a chiedere una lettera di referenze a nome di PBK nella speranza che potesse servire a lasciare il Paese; io le preparavo ma ero consapevole che sarebbero state inutili, perché in città tutti gli uffici sono chiusi, così come le banche, c’è la completa paralisi».

La partenza, per suor Shahnaz e le quattro missionarie di Madre Teresa che negli ultimi giorni si erano trasferite nel suo stesso stabile insieme ai 14 ragazzi disabili da loro accuditi, è stata molto difficile: «Nessun’agenzia se la sentiva di prendersi la responsabilità di accompagnarci all’aeroporto perché la sicurezza non poteva essere garantita. Abbiamo preso contatti con diverse organizzazioni, dalla Nato al Catholic Relief Services, dall’Unama (la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan) alla Croce Rossa: in diverse occasioni sembrava che il trasferimento fosse imminente ma ogni volta, all’ultimo momento, ricevevamo una telefonata che ci avvisava che le condizioni non permettevano di muoversi». Nel frattempo le suore – così come gli altri religiosi ancora a Kabul e i cittadini locali che in questi anni avevano collaborato con loro – vivevano nella paura di una retata dei talebani: «Da noi sono venuti a bussare una volta al portone, con violenza, nei primi giorni dell’occupazione. In casa c’eravamo ancora soltanto io e l'altra suora che lavorava con me nella scuola per bimbi disabili di PBK. Abbiamo sentito un forte trambusto e il pianto di alcune persone fuori dal cancello... Ci siamo nascoste, anche se eravamo consapevoli che se avessero sfondato la porta non ci saremmo salvate, e per fortuna dopo pochi minuti se ne sono andati. Esperienze simili sono capitate a persone del nostro staff, così come al gesuita indiano responsabile del Jesuit Refugee Service che è stato poi aiutato a nascondersi in un altro edificio da alcuni collaboratori locali».

Confessa suor Shahnaz: «Avrei avuto diverse occasioni per fuggire da sola ma, così come il responsabile della Chiesa cattolica padre Giovanni Scalese, mi sono rifiutata di partire senza gli altri membri della nostra comunità e le persone che dipendevano totalmente da noi. Pensavo: “Moriremo insieme come martiri o ci salveremo insieme”».

Infine, tre giorni fa, l’occasione buona: «Padre Giovanni ci ha chiamate dicendoci di stare pronte per quella sera. Verso le 21.30 davanti al nostro cancello è arrivato un pullman accompagnato da un’auto della polizia, da padre Scalese e da Alberto Cairo della Croce Rossa. Noi siamo usciti, completamente al buio, e siamo partiti verso l’aeroporto». Un tragitto caratterizzato da «un’ansia indicibile. Per strada la gente correva e cercava di raggiungere lo scalo, i talebani sparavano in aria all’impazzata, poi un proiettile ha colpito una persona che è caduta a terra proprio davanti alla nostra auto. Arrivati finalmente al gate principale, siamo riusciti ad attraversare i controlli dei fondamentalisti e ci siamo messi in salvo. Abbiamo poi saputo che la stessa polizia che ci ha scortati era costituita da talebani, che ormai hanno in mano tutto».

Bambini a Kabul

Anche ora che è salva in Italia, la religiosa non è certo serena: «La mia anima è lacerata, il mio cuore è a Kabul tra i bambini della scuola e le loro famiglie, che rischiano ritorsioni. Ma penso anche alle ragazze che mi mandano in lacrime messaggi chiedendo aiuto, e ai tanti genitori impauriti che i talebani prendano i loro figli per farne dei guerriglieri, mentre loro vorrebbero che andassero a scuola e si costruissero un futuro diverso. Li affido tutti al Signore...».

Quanto a lei suor Shahnaz è decisa a fare la sua parte: «Con l’aiuto della mia congregazione e di PBK, farò tutto il possibile per stare a fianco degli afghani arrivati con noi: i bambini, le studentesse, i miei collaboratori... Visto che l’intero staff adesso è qui, vorrei continuare il nostro impegno al servizio anche di altri bambini afghani profughi in Italia: in fondo questa è la vocazione dell’associazione fin dall’inizio. Saranno comunque i miei superiori a decidere il mio futuro. Io posso dire solo che, se un giorno avremo la possibilità di tornare a Kabul, io ci sarò».

CHIARA ZAPPA AsiaNews.it

 

giovedì 26 agosto 2021

CARD. SARAH: SULLA CREDIBILITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA

Intervento del card. Robert Sarah ripreso dal National Catholic Register

Il dubbio si è impadronito del pensiero occidentale. Intellettuali e politici descrivono la stessa impressione di collasso. Di fronte al crollo della solidarietà e alla disintegrazione delle identità, alcuni si rivolgono alla Chiesa cattolica. Le chiedono di dare una ragione per vivere insieme agli individui che hanno dimenticato ciò che li unisce come un solo popolo. La pregano di fornire un po’ più di anima per rendere sopportabile la fredda durezza della società dei consumi. Quando un prete viene assassinato, tutti sono toccati e molti si sentono colpiti nel profondo.

Ma la Chiesa è capace di rispondere a queste chiamate? Certamente, ha già svolto questo ruolo di custode e trasmettitore di civiltà. Al crepuscolo dell’Impero Romano, ha saputo trasmettere la fiamma che i barbari minacciavano di spegnere. Ma ha ancora i mezzi e la volontà per farlo oggi?

Alla base di una civiltà, ci può essere solo una realtà che la supera: un’invariante sacra. Malraux lo notava con realismo: “La natura di una civiltà è quella che si raccoglie intorno a una religione. La nostra civiltà è incapace di costruire un tempio o una tomba. O sarà costretta a trovare il suo valore fondamentale, o decadrà”.

Senza un fondamento sacro, i confini protettivi e insuperabili sono aboliti. Un mondo interamente profano diventa una vasta distesa di sabbie mobili. Tutto è tristemente aperto ai venti dell’arbitrio. In assenza della stabilità di un fondamento che sfugge all’uomo, la pace e la gioia – i segni di una civiltà duratura – sono costantemente inghiottiti da un senso di precarietà. L’angoscia del pericolo imminente è il sigillo della barbarie. Senza un fondamento sacro, ogni legame diventa fragile e volubile.

Alcuni chiedono alla Chiesa cattolica di svolgere questo ruolo di solido fondamento. Vorrebbero che assumesse una funzione sociale, cioè essere un sistema coerente di valori, una matrice culturale ed estetica. Ma la Chiesa non ha altra realtà sacra da offrire che la sua fede in Gesù, Dio fatto uomo. Il suo unico scopo è rendere possibile l’incontro degli uomini con la persona di Gesù. L’insegnamento morale e dogmatico, così come il patrimonio mistico e liturgico, sono lo scenario e i mezzi di questo incontro fondamentale e sacro. La civiltà cristiana nasce da questo incontro. La bellezza e la cultura sono i suoi frutti.

Per rispondere alle attese del mondo, la Chiesa deve dunque ritrovare il cammino verso se stessa e riprendere le parole di San Paolo: “Non ho voluto conoscere altro, mentre ero con voi, che Gesù Cristo e Gesù crocifisso”. Deve smettere di pensare a se stessa come a un sostituto dell’umanesimo o dell’ecologia. Queste realtà, sebbene buone e giuste, non sono per lei null’altro che conseguenze del suo unico tesoro: la fede in Gesù Cristo.

Ciò che è sacro per la Chiesa, dunque, è la catena ininterrotta che la lega con certezza a Gesù. Una catena di fede senza rotture o contraddizioni, una catena di preghiera e di liturgia senza rotture o sconfessioni. Senza questa continuità radicale, quale credibilità potrebbe ancora vantare la Chiesa? In lei non c’è ritorno, ma uno sviluppo organico e continuo che chiamiamo tradizione vivente. Il sacro non può essere decretato, è ricevuto da Dio e trasmesso.

Questa è senza dubbio la ragione per cui Benedetto XVI ha potuto autorevolmente affermare:

“Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente completamente proibito o addirittura considerato dannoso. È dovere di tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto”. 

In un momento in cui alcuni teologi cercano di riaprire le guerre liturgiche contrapponendo il messale rivisto dal Concilio di Trento a quello in uso dal 1970, è urgente ricordarlo. Se la Chiesa non è capace di conservare la continuità pacifica del suo legame con Cristo, non potrà offrire al mondo “il sacro che unisce le anime”, secondo le parole di Goethe.

Al di là della disputa sui riti, è in gioco la credibilità della Chiesa. Se essa afferma la continuità tra quella che viene comunemente chiamata la Messa di San Pio V e la Messa di Paolo VI, allora la Chiesa deve essere in grado di organizzare la loro coabitazione pacifica e il loro reciproco arricchimento. Se si dovesse escludere radicalmente l’una a favore dell’altra, se si dovesse dichiararle inconciliabili, si riconoscerebbe implicitamente una rottura e un cambiamento di orientamento. Ma allora la Chiesa non potrebbe più offrire al mondo quella continuità sacra, che sola può darle pace. Mantenendo viva una guerra liturgica al suo interno, la Chiesa perde la sua credibilità e diventa sorda alla chiamata degli uomini. La pace liturgica è il segno della pace che la Chiesa può portare al mondo.

La posta in gioco è dunque molto più seria di una semplice questione di disciplina. Se dovesse rivendicare un capovolgimento della sua fede o della sua liturgia, a quale titolo la Chiesa oserebbe rivolgersi al mondo? La sua unica legittimità è la sua coerenza nella sua continuità.

Inoltre, se i vescovi, incaricati della coabitazione e dell’arricchimento reciproco delle due forme liturgiche, non esercitano la loro autorità in questo senso, corrono il rischio di non apparire più come pastori, custodi della fede che hanno ricevuto e delle pecore loro affidate, ma come leader politici: commissari dell’ideologia del momento piuttosto che custodi della tradizione perenne. Rischiano di perdere la fiducia degli uomini di buona volontà.

Un padre non può introdurre sfiducia e divisione tra i suoi figli fedeli. Non può umiliare alcuni mettendoli contro altri. Non può ostracizzare alcuni dei suoi sacerdoti. La pace e l’unità che la Chiesa pretende di offrire al mondo devono prima essere vissute all’interno della Chiesa.

In materia liturgica, né la violenza pastorale né l’ideologia di parte hanno mai prodotto frutti di unità. La sofferenza dei fedeli e le aspettative del mondo sono troppo grandi per impegnarsi in queste strade senza uscita. Nessuno è troppo nella Chiesa di Dio!

Dal blog di Sabino Paciolla, nella sua traduzione.

 

STATI UNITI «LA CRISI NON È POLITICA, È SPIRITUALE»

MEETING 2021. I docenti americani Paolo Carozza e Joshua Mitchell spiegano al Meeting che cosa c'è alla base della crisi americana: «Se non recuperiamo il senso cristiano dell'uomo, non potremo ricostruire» 

L’ascesa e la sconfitta di Donald Trump, l’assalto a Capitol Hill, la rottura di Black Lives Matter e dell’identity politics, la rovinosa ritirata degli Stati Uniti dall’Afghanistan. 


L’America è in crisi, «ma la crisi è più spirituale che politica» spiega alla platea del Meeting 2021 Joshua Mitchell, docente della Georgetown University, tra i massimi studiosi di Tocqueville. 

Il professore è intervenuto a Rimini all’incontro Stati Uniti. Democrazia al bivio? insieme a Paolo Carozza, direttore dell’Helen Kellogg Institute for International Studies all’Università di Notre Dame, e il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.

MITCHELL «Crisi profonda del senso di colpa»

Mitchell analizza così la situazione americana: «Non è la prima volta che il nostro paese si trova in difficoltà, basta pensare a quanto avvenuto negli anni Sessanta. La differenza rispetto ad allora è che oggi c’è una crisi profonda del senso di colpa».

Gli Stati Uniti, come l’Europa, si sentono in colpa «per il colonialismo, i conflitti mondiali, l’Olocausto. Il problema odierno è che l’indebolimento del cristianesimo non ci permette più di affrontare questo senso di colpa. 

Non sapendo più come espiare la colpa, ci imponiamo di rinunciare alla nostra nazione, alla nostra famiglia, alla nostra storia. Questi sono gli impulsi distruttivi che percorrono la società americana, alimentati soprattutto dalla sinistra».

C’è chi, come Molinari, direttore di Repubblica, vede la radice di tutti i mali nell’avvento al potere di Donald Trump e del suo populismo.

 Ma anche Carozza sostiene che il problema della crisi americana non è politico, è pre-politico: «Ci sono sei elementi che alimentano la frammentazione della società:

la dissoluzione delle comunità,

l’indebolimento della coesione familiare, fonte primaria dell’educazione,

sconvolgimento economico dovuto alla globalizzazione,

individualismo sempre più atomizzato,

 declino della religione

laicismo sempre più aggressivo».

CAROZZA«Bisogna recuperare il cristianesimo»

Congdon, La roccia splendente

Davanti a questi problemi, continua Carozza, «non basta demonizzare il nazionalismo, che in una certa misura è positivo, ma bisogna recuperare gli ideali che ci tengono insieme e che sono fondamentali perché la democrazia possa funzionare».

Anche secondo Mitchell è da recuperare «il senso della comunità, perché l’unica alternativa è la violenza. Siamo anche al centro di una crisi di competenza, come dimostra quanto accaduto in Afghanistan. Non bastano gli esperti, è importante credere nella competenza dei cittadini, fondamentale in democrazia.

 Ma per questo, è necessario ritornare al cristianesimo».

 

LEONE GROTTI, TEMPI

 

La registrazione completa sul link (copia e incolla)

https://youtu.be/CYLO2V_g8jw

Mitchell al minuto 10

Carozza al minuto 26


sabato 21 agosto 2021

SUOR MARCELLA E LE SCIAGURE DI HAITI

Suor Marcella Catozza racconta la via crucis dei sopravvissuti al sisma di Haiti, isolati dalle alluvioni e dalle bande armate. «Ma il popolo soffre sciagure, violenze e miseria ogni giorno. Aiutateci ad aiutarlo»

Caterina Gioielli tempi 19 Agosto 2021

 Ad Haiti le macerie continuano a restituire cadaveri e disperati. 1.941 le vittime contate fino a ieri, 10.000 i feriti, decine di migliaia gli sfollati del sisma

Bambini di Haiti
 di magnitudo 7.2 che il 14 agosto ha sbriciolato in pochi minuti il sud-ovest del paese. Tra Les Cayes e Jérémie si scruta il cielo in tempesta, si implorano appena possibile aiuti e soccorsi via elicottero o aereo, perché a separare i sopravvissuti delle città (e quelli isolati sull’altipiano) dalle cure di
pompieri, medici, dall’arrivo di farmaci, acqua, tende, viveri non ci sono di mezzo le strade smottate dal terremoto e dalle piogge torrenziali di Grace, ma le spietate bande armate che ammazzano come il terremoto.

Le bande armate bloccano gli aiuti

«Stanno impedendo agli aiuti di arrivare nelle zone più colpite: da mesi i banditi di Martissant hanno il controllo della strada che collega il traffico dalla capitale Port-au-Prince alle località squassate dal sisma. Pare stiano trattando con il governo: dopo aver negoziato una tregua con l’Onu per le prime squadre di emergenza si parla di una richiesta di centomila dollari per far passare i convogli umanitari. È gente spietata che opera nell’assoluta impunità da mesi in un crescendo di rapimenti, sparatorie, estorsioni, vendette, violenze culminate a giugno nei colpi di arma da fuoco contro l’ospedale nella baraccopoli di Medici senza frontiere, presenti da decenni nel paese. L’unico davvero funzionale e gratuito, costretto dalle gang alla chiusura», racconta suor Marcella Catozza, in missione ad Haiti dal 2000. «E ora il sisma, la lotta contro il tempo per trovare qualcuno ancora vivo sotto le macerie, le bidonville allagate, i villaggi di montagna completamente isolati, i collegamenti idrici interrotti, i presidi sanitari già stremati dal Covid che traboccano di feriti».

La mattina del sisma

Haiti è in balia del caos, delle piogge della tempesta Grace, dei mercenari e presto lo sarà degli sciacalli: tutti ricordiamo le sparatorie tra marines e saccheggiatori che brulicavano tra le rovine di Port-au-Prince e i corpi di centinaia di migliaia di vittime undici anni fa.Questa volta il sisma ha risparmiato la capitale, a 150 chilometri dall’epicentro, eppure la scossa, nell’immensa baraccopoli di Waf Jeremie, nella missione Vilaj Italien e nella casa d’accoglienza Kay Pé Giuss tirate su da suor Marcella in seguito al terremoto del 2010 «l’abbiamo avvertita, fortissima. Le piscinette dei bambini si sono svuotate, l’acqua sbalzata via: grazie a Dio era mattina presto e i piccoli non erano in giro. Sono esplosi i pavimenti, il rumore delle piastrelle che scoppiavano faceva pensare a un attacco armato, sono caduti alcuni muri di cinta e delle tettoie. Non sappiamo ancora, in un momento così difficile e in cui scarseggiano i materiali, come e quando potremo riparare i danni».

Portare Cristo ad Haiti

Suor Marcella Catozza

Quanto alla paura, se è vero che il popolo di Haiti è abituato a soffrire, è anche vero che la scossa non ha tolto ai bambini di suor Marcella un briciolo di entusiasmo e voglia solo di tornare a scuola, «sperando che il 6 settembre possa davvero riaprire: l’anno scolastico ad Haiti va da sempre a singhiozzo tra sciagure e scontri armati». Perché i bambini di suor Marcella (Tempi vi aveva raccontato la loro storia qui) sono certi che l’unica cosa che resta in piedi quando tutto crolla è qualcuno che ti vuole bene.

Quando suor Marcella chiese sconvolta «ma cosa faremo, cosa?» al vescovo Joseph Serge Miot, che nel 2000 l’aveva inviata nella dura, miserabile, disperata e completamente chiusa ai bianchi periferia di Waf Jeremie, il vescovo le aveva risposto semplicemente: «Porterete Cristo e la Chiesa». Eccola, la differenza tra il “fare” ed “essere presenza” tra gente che allora come oggi pareva priva di storia e di una vita futura immaginabile tra catastrofi e sciagure continue. La presenza generò in fretta operosità, i bimbi impararono a rimettere in moto l’io: altro che passivi destinatari di carità e aiuti umanitari. E impararono a ricominciare dopo ogni sisma, uragano, malattia, morte, omicidio.

Machete, cadaveri e piastrelle

«Perdere la speranza e non riuscire a ricominciare ogni volta sarebbe come andare contro la Resurrezione di Cristo e affermare che la morte è l’ultima parola su di noi. Il punto è la fede: crediamo veramente di essere amati anche nel susseguirsi delle tragedie?». Ad Haiti Marcella ha affrontato capibanda, suturato ferite da machete, cercato nella melma bambini dispersi durante un tifone, salvato dalle piaghe e dalle formiche neonati avvinghiati al cadavere putrefatto della mamma abbandonata nelle tendopoli dei terremotati.

«Ma qui si è sudato anche per ogni singola piastrella posata: ho sudato per trovare soldi, materiali, manodopera, io stessa ho piastrellato interi corridoi, ma allora avevo 40 anni e mi tremano le gambe all’idea di ricominciare a quasi 60. Eppure è questo che ci aspetta: ci aspetta di diventare più fermi nella fede, nella speranza e portare a chi ci è attorno questa fermezza. Ce lo ricorda ogni singola piastrella scoppiata».

Il ricatto del capobanda

Marcella è rientrata ad Haiti a maggio, insieme ai bambini “rimpatriati” dall’Italia dopo due anni di studi e di “rinascita” straordinaria a Casa Lelia a Cannara, Assisi. E non è stato un rientro facile: «La sera stessa siamo stati “visitati” dal capobanda che ci ha chiesto 25 mila dollari al mese per “lasciare in pace” la missione (più volte i gangster armati fino ai denti e brutali fino a compiere orrendi atti di cannibalismo avevano saccheggiato la Kay Pe’ Giuss, ndr)».

Insieme alla folle richiesta del pizzo suor Marcella racconta di aver trovato «ancora più miseria, solitudine, devastazione, un paese che annaspa e non sa dove andare. La gente ha fame, è sola, non ha accesso alle cure mediche, i bambini non hanno accesso all’educazione, non abbiamo accesso all’acqua potabile. Non c’è corrente, carburante, non c’è sicurezza. La mattina gli educatori arrivano in lacrime raccontando che durante la notte le bande armate hanno fatto irruzione nelle loro case e nei loro villaggi per prendere i figli maschi, le madri si prostrano a terra implorando di risparmiare i propri bambini. Ci sono attacchi, scontri a fuoco, cadaveri in continuazione. Ma a sconvolgerci è che ad eccezione del Papa, Haiti non interessi a nessuno. Fa notizia quando il terremoto divora la sua terra, ma le vittime di Haiti si contano a migliaia, ogni singolo giorno, in un paese dove quasi sette milioni di persone, sopravvivono ammassate come bestie in condizioni disumane. E la situazione degenera ad ogni ora».

Quando tutto crolla

Non è stato nemmeno facile spiegare ai bambini perché interrompere la scuola in Italia. Il ministero degli Esteri non accetta il progetto iniziato ad Assisi e non concede ai bambini i visti di studio. La legge dice infatti che sotto i 14 anni non si può venire in Italia a studiare; non si osa creare “un precedente” e nemmeno aprire la strada a qualcosa di nuovo (qualcosa che per due anni ha radunato a Cannara famiglie, insegnanti, volontari, autorità locali, tutti al seguito dell’allegra brigata di Haiti. Fino all’intervento del Tribunale di Perugia e al “rimpatrio” dei bambini). Qualcosa che i bambini hanno portato con sé e che resta in piedi quando tutto crolla.

Aiutare chi aiuta Haiti

Quando cioè noi altri ci ricordiamo dell’esistenza di Haiti e vogliamo fare qualcosa: «Ora i prezzi lieviteranno come pane al sole, quello che si può fare è campagne di raccolta per aiutare chi sta aiutando. Non ci sono solo le grandi organizzazioni, con relativi grandi apparati da mantenere, ma tanti missionari in prima linea che impegnano ogni offerta direttamente in loco. Le vie sono tante, ognuno trovi la sua per aiutare Haiti a ricominciare».

A Kay Pé Giuss c’è un giardino fiorito

I bambini di Kay Pé Giuss stanno bene, il terremoto ha solo spaccato pavimenti e fatto danni minori nella casa di accoglienza che è la missione di Suor Marcella Catozza. Lì sono ospitati 14o bimbi che vivono in casette colorate, alle spalle hanno storie di abbandono o disabilità. Molti sono orfani. Trovano una porta aperta e un letto in cui dormire, ma anche molto di più. L’ipotesi è quella di offrire loro un cammino educativo che li accompagni a riconoscere innanzitutto chi sono, la dignità che hanno e i desideri che li accendono.

La speranza che porta la presenza cristiana è una casa che regge in mezzo ai terromoti, vale ad Haiti e vale a ogni latitudine. E alla Kay Pé Giuss c’è un giardino che trabocca di piante e fiori, paradossale. Suor Marcella dice che è il segno evidente che non siamo noi a tenere le redini del mondo. Dio fa fiorire anche la terra più dilaniata dalle catastrofi. Rivendica come Sua predilezione anche ciò che sembra solo un quadro disperato di morte. E questo è tutt’uno col chiedere all’uomo che non se ne lavi le mani.

«Affidiamo alla Madonna il popolo haitiano, i nostri amici, i nostri bambini perché li protegga e gli dia la forza di ricominciare una volta ancora».