giovedì 29 aprile 2021

QUANDO SI IMBOCCA LA STRADA DEI REATI DI OPINIONE, NON C'È UN LIMITE.

 Lo scorso venerdì mattina, a Uxbridge, nel nord ovest di Londra, il rev. John Sherwood, pastore cristiano di 72 anni si è recato come tutti i venerdì, a predicare nella piazza del quartiere, insieme a un collega. Ha letto il brano dal capitolo 1 della Genesi, dove sta scritti che Dio creò l'uomo e la donna, e poi ha commentato dicendo che nel piano di Dio la famiglia è tra uomo e donna.

A quel punto sono intervenuti alcuni agenti di polizia che prima gli hanno intimato di smettere, e poi, di fronte al suo garbato rifiuto, lo hanno strattonato, lo hanno costretto a scendere dallo sgabello da cui stava predicando, gli hanno tolto di mano la Bibbia, lo hanno ammanettato e lo hanno trascinato via come un criminale in mezzo ai passanti sbigottiri.

L'accusa?

Omofobia.

L'anziano pastore ha trascorso un giorno e una notte nella cella della stazione di polizia vicino a Heathrow, e secondo il suo avvocato, il trattamento degli agenti è stato molto duro (very unpleasant).

Ora dovrà subire il processo.

Guardate il video.


https://www.youtube.com/watch?v=9tOwbx7Vvs8

Come si può arrivare a trattare in quel modo un anziano uomo di Dio, per aver letto la Bibbia?

Se qualcuno è tanto scemo o criminale da aggredire una persona perchè gay, già oggi va in galera, come è giusto che sia. Ma non trasformiamo il nostro Paese in un tribunale delle idee.

La notizia è rimasta circoscritta per giorni, e ovviamente nessuno in Italia ne ha parlato, ma in Gran Bretagna, dove è in vigore una legge molto simile al ddl Zan, sono anni che accadono fatti simili.

QUANDO SI IMBOCCA LA STRADA DEI REATI DI OPINIONE, NON C'È UN LIMITE. QUESTA E' LA LEGGE ZAN.

Oggi tocca ai cristiani, trattati come omofobi. Domani potrebbe toccare a chiunque.

Rispetto per tutti, ma non a spese della libertà.

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La notizia è riportata dal DAILYMAIL, qui sotto il link, correlata di molte foto e video

https://www.dailymail.co.uk/news/article-9521123/Moment-police-arrest-elderly-preacher-71-street-quoting-homophobic-statements-Bible.html

NOTA BENE

 L’ineffabile Avvenire scrive:

«E se fosse arrivata finalmente l'ora di un vero confronto? ….su  un delicatissimo intervento normativo che se «intende combattere la discriminazione» tuttavia - scrive la Presidenza Cei - «non può e non deve perseguire l'obiettivo con l'intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna». Per i vescovi, che ribadiscono «il sostegno a ogni sforzo teso al riconoscimento dell'originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza», occorre che «un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative». Dunque i «dubbi» sul testo licenziato il 4 novembre 2020 da Montecitorio, emersi in queste settimane e «condivisi da persone di diversi orizzonti politici e culturali», come sanno bene i lettori di Avvenire, devono indurre tutti ad aprire ora un confronto «non pregiudiziale», in cui pesi anche «la voce dei cattolici italiani». Al netto degli ormai rituali toni polemici, la rotta - per chi vuole vederla - è assai chiara: meglio accantonare diktat, asserzioni apodittiche e marce forzate, mettere fuorigioco le forme di denigrazione del dissenziente, e aprirsi a un confronto sui - non pochi - nodi irrisolti di una proposta di legge che voci dello stesso campo progressista definiscono «pasticciata».

 

Cioè occorre accettare modifiche CHE SARANNO CONCESSE, ma approvare la legge. La massima ipocrisia di Avvenire e dei suoi compari è tipica della meschinità di chi non vuole vedere la realtà. In Italia ogni legge sui “diritti civili” una volta approvata è stata travolta da una giustizia di parte che non ha lasciato scampo alle buone intenzioni di puri di cuore. Andrà così anche questa volta, ma almeno sapremo  chi ringraziare

martedì 27 aprile 2021

IL DDL ZAN : AUTOREFERENZIALE, DEL TUTTO ASTRATTO, NON SCIENTIFICO E CONFUSIVO

ZAN VUOLE RIDURRE IL SESSO BIOLOGICO A CATEGORIA OBSOLETA, A FAVORE DELL’ INTRODUZIONE PER LEGGE DI UNA IDENTITA’ DI GENERE AUTOPERCEPITA

Obelisk in Vigeland park , Oslo

La dott.Sandra Morano (Ginecologa, Università di Genova) in un interessante articolo pubblicato sulla rivista “Quotidiano sanità”  del 19 aprile inizia citando  la famosa domanda: “E’ un lui o una lei?” nel film “Il senso della vita”, fatta da una donna che ha appena partorito, e la ancor più famosa risposta del curante: ”Non le pare che sia un po’ troppo presto per attribuire dei ruoli?”,  e afferma che questa potrebbe diventare a breve una formula routinaria per adeguare i protocolli delle società scientifiche perinatali a una legge che si sta discutendo nel nostro Parlamento.
 Il dettato del DDL Zan, scrive la Morano, nato dalla necessità di legiferare contro atti di violenza, disprezzo o vilipendio per omotransfobia, va oltre le intenzioni iniziali.

Nell’art. 1 esso affronta il complesso capitolo della definizione di sesso (sesso biologico o anagrafico) e genere (identificazione percepita/manifestata di sé in relazione al genere), a sua volta definito come “qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”.
 
Si procede così, in modo autoreferenziale, del tutto astratto, e non scientifico, in ambiti complessi, negli anni divenuti appannaggio della bioetica, e che mai come oggi necessitano di sguardi filosofici in dialogo con le neuroscienze e le discipline STEM (Science, Tecnology, Engineering and Mathematics).

La saggezza del politico, continua la ginecologa, la competenza e l’autorevolezza del legislatore richiedono una visione più complessa e corrispondente alla società tutta. Definire il sesso (biologico e anagrafico) e poi riferirsi al genere (manifestazioni esteriori conformi o non con le aspettative sociali connesse al sesso) appare un dettato confusivo, non adeguato alla chiarezza del messaggio legislativo.

Mentre si definisce il sesso se ne sancisce il superamento, in base a variabili percepite individualmente, manifestazioni esteriori legati all’”autocertificazione di genere”. Il genere quindi sostituisce il sesso, e affida la sua definizione alla identificazione percepita e manifestata di sé: una ri-definizione di identità di una minoranza a cui però tutto un popolo è chiamato ad adeguarsi

 “Una proposta di “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso” sarebbe stata molto più utile a tutti se si fosse concentrata solo su questo”, afferma la Morano. “La pretesa di ridefinire e regolamentare per legge “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere” interferisce anche con i fondamenti scientifici di materie come la Anatomia, la Embriologia, la Genetica, la Fisiologia, e nel suo ambito specialistico l’Ostetricia e Ginecologia, la Medicina della Riproduzione, la Psichiatria, l’Endocrinologia, la Sessuologia, la Chirurgia Plastica, solo per citare discipline, di base e non, in cui la differenziazione sessuale, il patrimonio genetico, le patologie legate al sesso, rappresentano i fondamenti della conoscenza, della ricerca scientifica e, in ultima analisi, delle competenze.
 
Secondo l’autrice, la legge in questione non vuole limitarsi a sanzionare comportamenti offensivi ed aggressivi, ma vuole allo stesso tempo affermare e sancire (a partire dai desideri individuali, dalle biografie, dal riferimento alla cultura gender come modello main-stream) il superamento nei fatti del sesso biologico, e la sua riduzione a categoria obsoleta, a favore di una identità di genere autopercepita. Ricordiamo che questo provvedimento riguarda solo un’esigua parte del paese, che non si riconosce nel recinto di uno dei due sessi biologici, ma piuttosto nella sua “identificazione percepita/manifestata di sé”.
 
Resta ferma la convinzione che sia necessario introdurre le aggravanti per violenza o discriminazione a sfondo sessuale, che pur essendo già presenti nel sistema legislativo sono passibili di ulteriori ampliamenti e integrazioni. Ma, conclude con fermezza la Morano, proprio in ragione della molteplicità dei vissuti intimi dell’esistenza umana, e della loro delicatezza, non si può acconsentire, a fianco di giuste misure a contrasto della discriminazione sessuale, all’introduzione per Legge dell’autoidentificazione di genere.
 


 

lunedì 26 aprile 2021

DOPO LA PANDEMIA. RIGENERARE LA SOCIETÀ CON LE RELAZIONI


Dal libro di Pierpaolo Donati e Giulio Maspero,

Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni

che IL CROCEVIA, 

il Campo della Stella e Eliot,  

presentano il 

29 aprile, alle ore 21.

Per collegarsi direttamente: 

https://www.youtube.com/watch?v=XqjJf7OLo6k

 

Donati scrive:

IL CROCEVIA
«Ciò che, più o meno inconsciamente, ha sconvolto il mondo delle relazioni che avevamo prima della pandemia è stata l'inversione della regola umana per eccellenza, quella del “farsi prossimo”. La qualità più bella e unica di “essere umani” nella vita è quella di andare incontro all'Altro, di “farci prossimi”, nel senso di fare esperienza della comune umanità e sperimentare la gioia che proviene dal prenderci cura dell'Altro.

La pandemia ha imposto la regola opposta: "devi allontanarti dall'Altro”. Il che significa: “salva te stesso, perché l'Altro può danneggiarti”. [...] Durante la pandemia, la fiducia è crollata. Per rigenerarla, è necessario promuovere un incremento di “riflessività” personale e sociale. La riflessività personale riguarda la conversazione interiore in cui l'individuo esamina continuamente se stesso e delibera da sé che cosa fare (che cosa è giusto fare) in relazione ai propri fini ma anche alle caratterisiche, ai vincoli e alle opportunitù del contesto in cui agisce.

La riflessività sociale è invece quella che si esercita sulle relazioni fra persone e fra soggetti collettivi per valutare gli effetti che le relazioni [in quanto tali] hanno sulle identità dei consociati, perché solo dando una direzione etica alle relazioni si possono creare forme allargate di fiducia e solidarietà sociale. Per questo la soluzione alla crisi di fiducia sta nel rimettere al centro dell'attenzione e del dibattito pubblico le “ragioni” individuali e collettive del dare-ricevere fiducia, i valori e i fini ultimi dell'agire in società». [...]

Il crollo delle relazioni sociali, sia come legami nelle reti di sostegno sociale, sia come perdita di fiducia fra le persone e nelle istituzioni [...] richiede una svolta culturale e organizzativa capace di trascendere i limiti culturali delle condizioni preesistenti alla pandemia. [...] 

Il cristianesimo ha ancora molto da dirci quando afferma che la nostra identità e la nostra vita sono basate su una relazione di filiazione divina. In questa relazione troviamo una risposta a come gestire le relazioni quando non possono essere fisiche ma solo sociali, nel senso che collegano le persona a prescindere dalla presenza fisica. È dunque il prototipo delle relazioni vitali che fondano l'umanizzazione delle persone. Ciò significa che abbiamo bisogno di una matrice teologica per la quale sostanza e relazione si implichino come co-principi delle realtà». (pp. 35. 39. 43).

 CONDUCONO IL DIALOGO IVO COLOZZI E LEONARDO LUGARESI


domenica 25 aprile 2021

«O TUTTI O NESSUNO». UNA STORIA (VERA) PER IL 25 APRILE

Il libro di Leoni (Edizioni ARES) con ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia Romagna è il modo migliore per conoscere cosa accadde con la Liberazione

Ogni anno che passa bisogna inventarsi un modo nuovo per commemorare l’Anniversario della Liberazione senza sottomettersi alla strumentalizzazione politica di quelle forze di sinistra che ne fanno un’occasione per attaccare gli avversari ideologici assimilandoli ingiustificatamente al regime fascista abbattuto nel 1945.Quest’anno un modo intelligente potrebbe essere quello di leggere il libro dello storico Alberto Leoni appena pubblicato da Ares intitolato «O tutti o nessuno!» – Storia e ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia Romagna nella Seconda guerra mondiale.

Preti uccisi dai partigiani

Nel corso del tempo sono stati pubblicati libri ben documentati sui sacerdoti italiani uccisi dai partigiani oltre che dai nazifascisti fra il 1943 e il 1946. Meritano di essere ricordati Una guerra, due resistenze di Mino Martelli, Storia dei preti uccisi dai partigiani di Roberto Beretta e tre capitoli de Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa.

Questi preziosi testi non sono sfuggiti – contro le intenzioni degli autori – al destino di essere usati come clave per ridimensionare il significato della Liberazione da parte di chi non ha mai amato quell’anniversario ma anche da parte di chi lo vive con disagio a causa della faziosità di una parte di coloro che se ne sono appropriati: finalmente si poteva reagire alla retorica del 25 aprile elencando crimini e crudeltà compiute dai partigiani e fino ad allora taciute o confinate nelle pagine di autori riconducibili al neofascismo.

Il memoriale dei 123 sacerdoti

Il libro di Leoni dovrebbe sfuggire a questo rischio non solo perché racconta le storie sia dei sacerdoti e religiosi assassinati da nazifascisti che di quelli eliminati da partigiani, ma perché diverso è lo sguardo con cui si accosta alla materia, mutuato da don Alberto Benedettini, compianto parroco di una piccolissima località della provincia di Forlì-Cesena: Pieve di Rivoschio, la frazione di Sarsina dove stabilì il suo quartier generale l’8ª brigata «Garibaldi», una delle prime formazioni partigiane a costituirsi nell’ottobre 1943.

Qui, nella chiesetta di Sant’Anastasia, il sacerdote creò, nella prima metà degli anni Novanta, una sorta di memoriale di tutti i 123 sacerdoti e religiosi incardinati in Emilia-Romagna che hanno perso la vita durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale per quelle che possiamo definire “cause di servizio”: erano cappellani dell’esercito colpiti dal fuoco nemico mentre impartivano i sacramenti ai feriti morenti, parroci che non hanno abbandonato la parrocchia nel momento del massimo pericolo e sono caduti sotto i bombardamenti o falciati nelle rappresaglie nazi-fasciste o uccisi a sangue freddo da partigiani comunisti vuoi per odio antireligioso vuoi per puro banditismo.

Alcuni sostenevano la lotta partigiana, altri propendevano per il regime, la maggioranza faceva resistenza all’occupazione tedesca senza compromettersi con la lotta armata, ma dando protezione a disertori, prigionieri alleati evasi, ebrei; tutti avevano in comune una caratteristica: erano, come ripetono più volte Leoni e l’autore della post-fazione don Aldo Cianci, «pastori con l’odore delle pecore».

Morte eroica a Marzabotto

L’impressione che lascia la lettura del libro è che il clero cattolico italiano dell’epoca della Seconda Guerra mondiale, con tutte le sue pecche umane e con tutti i condizionamenti storici del periodo, ha reso testimonianza di santità perché ha condiviso fino in fondo le circostanze delle anime che gli erano affidate: sui lontani fronti di guerra, nei paesi attraversati dai combattimenti fra nazi-fascisti, anglo-americani e partigiani, nelle città bombardate dagli alleati, preti e frati erano al fianco della gente comune, decisi a condividere la loro vita oppure la loro morte e impegnati a soccorrere per quanto possibile, a impartire consolazione e sacramenti, a cercare di salvare vite. 

Quelli fra loro che hanno avuto una morte eroica, come don Elia Comini trucidato dai tedeschi insieme a un altro sacerdote e a 44 civili nei pressi di Marzabotto, le cui parole danno il titolo al libro, hanno risposto alla chiamata al sacrificio supremo in forza dello stesso criterio per il quale tutti i sacerdoti sono rimasti al loro posto, o sono sfollati dove sfollavano i loro parrocchiani, o sono andati al fronte insieme ai soldati di cui erano i cappellani. 

O tutti o nessuno!

Quando il commissario prefettizio ottiene dai tedeschi la disponibilità a liberare don Comini e il compagno di prigionia padre Martino Capelli, i due rifiutano di essere separati dagli altri condannati a morte e don Elia pronuncia la fatali parole: «O tutti o nessuno!».

La consapevolezza che la fedeltà al Vangelo può comportare in qualunque momento la morte violenta è comune a moltissimi dei sacerdoti la cui storia è brevemente raccontata nel libro: sanno benissimo che dare ospitalità ai renitenti alla leva della Repubblica Sociale o a partigiani braccati, oppure denunciare pubblicamente ruberie o tattiche militari temerarie dei partigiani che espongono i civili a rappresaglie sanguinose possono costare la vita, eppure non rinunciano a proteggere le persone in pericolo e a denunciare il male, a rischiare la propria vita per mettere in salvo il Santissimo o per compiere le opere della pietà cristiana.

 

sabato 24 aprile 2021

UNA STORIA POPOLARE. QUELLA DI FORMIGONI

 Camillo Ruini 

«La conclusione traumatica e immeritata della sua esperienza politica è stato un danno per lui e per tutti». Il cardinal Ruini ripercorre l’avventura di lotta e di buongoverno di Formigoni nell’Introduzione al libro, pubblicato su TEMPI

Una storia popolare, è il libro intervista in cui Roberto Formigoni racconta a Rodolfo Casadei la sua vicenda politica e umana (Cantagalli, 536 pagine, 25 euro).

Questo libro parla di sessant’anni di storia del nostro paese, vissuti e visti attraverso gli occhi di un ragazzo che incontra molto presto una proposta cristiana che lui definisce affascinante, quella di Comunione e Liberazione, e poi diventa uomo sempre seguendo le tracce di quell’incontro, ma anche trovandosi ad assumere responsabilità in campo civile e politico via via più importanti.

Non è la storia di un uomo solo, ma e anche la storia di un popolo, fortemente coeso, che cammina con lui. E insieme affrontano battaglie culturali e politiche, ora vincendo ora perdendo, ma sempre tenendo la rotta e riprendendo il cammino. E sempre lavorando perché l’intelligenza della fede che hanno ricevuto diventi anche intelligenza della realtà.

L’impegno politico, che ben presto diventa preponderante, viene vissuto come occasione per incontrare e condividere i bisogni delle persone. E per cercare e costruire soluzioni, nell’ottica, dice il protagonista, di rendere esperienza la dottrina sociale cristiana. 

Soprattutto il principio di sussidiarietà è proclamato e vissuto come la stella polare che orienta le diverse scelte, e questo anche alla guida di una delle regioni più moderne e avanzate d’Europa, la Lombardia, alle prese con problemi tipici di una società complessa, che guarda con ansia al futuro.

Incalzato da un intervistatore che è sì un amico ma non risparmia le domande più scomode, il protagonista parla anche di sé, degli aspetti più intimi, meno noti e più sofferti della sua vita.

Dunque è a tutto tondo una “Storia popolare”, la storia di un cristiano e di un pezzo di popolo cristiano. Nell’accadere di una società sempre più secolarizzata, nel susseguirsi di battaglie unitarie dei cattolici e di episodi laceranti, dalle divisioni e dalla sconfitta nel referendum sul divorzio al ricomporsi dell’unità ma sempre sconfitti nel referendum sull’aborto, fino all’unità e alla vittoria nel referendum sulla fecondazione assistita. Mentre emerge prepotentemente una questione antropologica che è centrale già oggi e ancor più per il futuro e che deciderà che cosa ne sarà dell’uomo e della sua identità.

La ricerca dell’unità

È la storia di un politico cristiano insieme ad altri politici cristiani e non cristiani, dalla forza alla decadenza e alla morte della Dc, al tentativo di innervare di una visione cristiana alcuni dei nuovi partiti nati dal disfacimento della prima Repubblica. Sempre con l’obiettivo di preservare quei valori fondamentali, irrinunciabili, che appartengono all’essenza dell’uomo e di una società realmente umana, messi a forte rischio dal mainstream odierno.

D’altra parte, per chiunque faccia politica seriamente, questa è fortemente legata a una visione culturale, e per il cristiano la cultura e indissolubilmente legata alla fede.

Il libro si colloca sul confine tra un’epoca in cui tutto questo era evidente e la situazione odierna, dove cultura e politica sono troppo condizionate dalla pura immagine e dall’istinto immediato: una situazione che dobbiamo cercare di correggere. Rievocando ampi e significativi brani della storia del Movimento popolare e di Comunione e Liberazione, questo testo offre un esempio e indica implicitamente percorsi possibili per la ripresa di una forte presenza dei cattolici nella vita pubblica. 

Dal racconto si evince che per Cl la decisione per una presenza unitaria dei cristiani nelle questioni sociali e nell’azione politica non è nata da un’interpretazione integralista della fede o dalla sua riduzione a ideologia. Al contrario, Cl non metteva in discussione il principio del pluralismo legittimo, che in quegli anni era stato esplicitato dalla lettera apostolica Octogesima adveniens di Paolo VI; Cl cercava di vivere fino in fondo il suo carisma, che si può riassumere nel fare dell’unità dei cristiani in Cristo un’esperienza esistenziale.

Chi fa l’esperienza dell’unità con gli altri cristiani in Cristo e dei nuovi rapporti umani che gradualmente ne nascono desidera vivere quell’esperienza di unità in ogni ambito della vita: nella politica, nell’impegno sociale, nella cultura, eccetera. Non si trattava dunque di imporre alla società “leggi cristiane”, ma di agire nella vita pubblica a partire da quel cambiamento della personalità che avviene prendendo parte all’esperienza di comunione che si fa nella comunità cristiana.

Il compito dei cattolici

In mezzo a errori e difetti tipici di ogni esperienza umana questo approccio ha prodotto nel medio termine risultati positivi per il bene di tutti. Negli anni Settanta ha contribuito ad evitare l’avvento al potere di un Partito comunista ancora troppo subalterno a Mosca; negli anni a cavallo fra i due millenni ha dato vita a esperienze benemerite di buongoverno, di cui la Lombardia rappresenta il caso più avanzato. Esperienze che hanno saputo coniugare libertà e responsabilità, solidarietà e principio di sussidiarietà.

Pur non essendo l’unico esponente politico italiano proveniente dalle file di Cl, Roberto Formigoni è stato l’uomo politico che più ha sintetizzato ed espresso il patrimonio di impegno unitario, iniziative sociali e culturali, sollecitudine per la cosa pubblica, che, a partire dagli anni Settanta, era andato accumulandosi attraverso revisioni e correzioni che non sono mancate.

Oggi i cattolici, al di là della questione di un loro partito, devono puntare sui contenuti dell’azione politica e sviluppare un’azione il più possibile unitaria, aperti al contributo e alla collaborazione di quanti, anche non credenti, condividono tali contenuti. È un compito essenziale, che ha valore per l’Italia e per l’Europa. Spetta ai cattolici operare affinché l’una e l’altra accettino di riconoscere le loro radici cristiane, oggi sempre più minacciate da un violento attacco esterno di radice in particolare islamista, ma soprattutto dall’indifferenza e spesso dall’ostilità aperta di tanta intellighenzia occidentale. Questo libro mostra che tutto ciò e possibile e indica una strada.

Termino con una brevissima riflessione personale: Roberto Formigoni è stato costretto a una conclusione traumatica e immeritata della sua esperienza politica. È stato un danno non solo per lui ma per quanti condividono con lui una certa visione dell’Italia e del suo futuro.

foto ANSA

 

venerdì 23 aprile 2021

LA MARATONA DEL ROSARIO

 Invocare l'aiuto della Madonna è un atto di fede. Confessiamo le nostre debolezze per avere protezione. È proprio questo il cuore della preghiera

Lucetta Scaraffia

Giovanni Battista Tiepolo
Madonna del Rosario con angeli
1735

Ha reagito con veemente critica, ma anche quasi con stupore, Vito Mancuso, all'iniziativa di papa Bergoglìo di indire un mese di preghiera alla Madonna - secondo la tradizione, il prossimo maggio - perche Dio intervenga in nostro aiuto contro la pandemia.

Non si aspettava da questo Papa il ritorno a una pratica senza dubbio antica e ben nota, ma secondo lui decisamente «discorde rispetto alla spiritualità contemporanea, che prevede una gestione libera della nostra interiorità».

Sarebbe interessante capire cosa Mancuso intenda per “gestione libera della nostra Interiorità”; dalla sua indignazione sembra di capire che la preghiera dovrebbe consistere in dotti colloqui con Dio, magari a proposito di temi rigorosamente contemporanei come il rapporto fra scienza e fede, e mai, proprio mai, richieste di aiuto specifiche e per di più legate a fenomeni contingenti come il covid,

Insomma, qualcosa di alto e signorile, che ci faccia fare bella figura al cospetto di Dio.

Perché questo sembra essere in realtà il problema: chiedere aiuto per l'epidemia significa ammettere la nostra debolezza, la nostra fragilità e i nostri limiti, fargli capire che davanti alla paura e alla sofferenza abbiamo bisogno di protezione.

Ma non sarà invece proprio questo confessare la nostra fragilità il cuore della preghiera?

A meno che non si scelga come modello ”l'uomo che non deve chiedere mai” della pubblicità.

IL RESTO DEL CARLINO 23-APR-2021

giovedì 22 aprile 2021

LA TENTAZIONE DI RITIRARCI DALLA NOSTRA UMANITA’

 George Gray

 

Cloude Monet, Barche in secca 1881
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.

 EDGAR LEE MASTERS

Antologia di Spoon River (Mondadori, 2001), trad. it. Antonio Porta

Commento di Julian Carron, Esercizi della Fraternità di comunione e liberazione, 2021

Siamo come una barca che anela al mare, non può non attenderlo, perché questo anelito è costitutivo, eppure lo teme. Ecco, allora, che si apre la lotta: assecondare l’anelito al mare, la fame di una vita piena di significato, oppure ritirarsi, accontentarsi, non rischiare, per paura degli imprevisti. È di questa tentazione di ritirarci dalla nostra umanità, di risparmiarci gli imprevisti per paura, rimanendo al sicuro a bordo di «una barca con vele ammainate, in un porto», che parla Gesù nel Vangelo con la parabola dei talenti.

 

 

PENSARE LA PANDEMIA. PER USCIRNE VIVI.

 IL 29 APRILE 2021, ALLE ORE 21,

IL CROCEVIA, IL CAMPO DELLA STELLA E L’ASSOCIAZIONE ELIOT

INVITANO AD UN INCONTRO DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO

DOPO LA PANDEMIA. RIGENERARE LA SOCIETÀ CON LE RELAZIONI,

DI PIERPAOLO DONATI SOCIOLOGO UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

E GIULIO MASPERO, TEOLOGO UNIVERISITA’ PONTIFICIA DELLA SANTA CROCE

CONDUCONO  IVO COLOZZI E  LEONARDO LUGARESI

un utile contributo ad una riflessione quanto mai necessaria per uscire vivi da questa pandemia che è anche (e forse soprattutto) una catastrofe cognitiva.


Per collegarsi direttamente: 

https://www.youtube.com/watch?v=XqjJf7OLo6k

martedì 20 aprile 2021

I DANNI DELLA MEMORIA CORTA

FERNANDO DE HARO

Il nostro modo di conoscere riflette una frattura tra la capacità di sviluppare la conoscenza e la gestione politica, tra la ragione scientifica applicata all’immunizzazione e la ragione pratica.

La reazione negli Stati Uniti e in Europa ai vaccini di AstraZeneca e Janssen dice molto di noi. Abbiamo speculato per mesi su come sarebbe stato il mondo dopo il Covid, ma, come sempre, il trailer del futuro è nel presente. Quello che sta succedendo con i vaccini a vettore virale riflette una frattura tra la capacità di sviluppare la conoscenza e la gestione politica, tra la ragione scientifica applicata all’immunizzazione e la ragione pratica.

La precedente grande pandemia di cui ha sofferto l’umanità, nel 1918, è stata l’influenza causata dal virus A (sottotipo H1N1), erroneamente denominata spagnola in quanto il primo caso fu scoperto nel Kansas. Dopo oltre 50 milioni di morti, si dovette aspettare fino al 1930 per isolare il virus e fino al 1945 per iniziare a produrre i primi vaccini.

Un secolo dopo, i primi vaccini, con un’altissima percentuale di efficacia, sono stati disponibili in meno di un anno. La sfida, adesso, non è solo migliorare il farmaco e accelerarne la produzione, in quanto si è presentato un ostacolo imprevisto: la crescente mancanza di fiducia e il rifiuto, in molti Paesi del Sud, nei confronti di AstraZeneca e Janssen. È sorprendente che, dopo aver ottenuto ciò che sembrava più difficile, un problema considerato “minore”, come l’accettazione dei dati oggettivi della scienza, possa ritardare e mettere a rischio il ritmo delle vaccinazioni e il raggiungimento dell’immunità di gregge in ampie zone del pianeta. Si è visto che i risultati freddi e oggettivi non sono sufficienti: stiamo riscoprendo che l’intelligenza emotiva di Goleman, il cuore intelligente, è decisiva.

La sequenza di quanto è successo la ricordiamo tutti. La comparsa di trombosi, collegate alla somministrazione di milioni di dosi di AstraZeneca, ha provocato un primo rinvio delle vaccinazioni con il prodotto di Cambridge. Solo dopo che l’Ema, accertata la relazione causale degli effetti secondari, ha dichiarato che i benefici rimanevano maggiori dei danni, la maggioranza dei governi europei ha ripreso le vaccinazioni. Ancor prima del pronunciamento dell’Ema, era evidente che il rischio era molto basso, ma i governi hanno aspettato che fosse un’altra istituzione a dare il via libera, per l’incapacità di assumersi responsabilità.

Qualcosa di simile è successo con il vaccino Janssen. Dopo che le autorità sanitarie degli Stati Uniti hanno deciso la sospensione per alcune, pochissime, trombosi, perfino meno che nel caso di AstraZeneca, si è prodotto lo stesso effetto. Il discredito di AstraZeneca e di Janssen è poi aumentato dopo che l’Ue ha annunciato che in futuro farà a meno di questi due vaccini.

In buona parte del mondo non vi sono altri vaccini diversi da quelli di AstraZeneca e Janssen. L’eccesso di precauzione si è trasformato in rifiuto da parte di alcuni Paesi dell’Africa, evocando il fantasma di un Occidente che manda al Sud farmaci di serie B: i vaccini che non sono buoni per i bianchi sono buoni per i neri. Le conseguenze possono essere nefaste laddove non vi sono alternative ai vaccini con adenovirus, perché nella corsa contro il virus ritardare le vaccinazioni porta a favorire lo sviluppo di nuove varianti.

Tuttavia, la diffidenza non è aumentata solo nei Paesi del Sud. In questi giorni, opinionisti e responsabili sanitari continuano a riportare statistiche per cercare di superare le incertezze, o direttamente le paure, sorte attorno ai vaccini di AstraZeneca e Janssen. Per il primo la probabilità di trombosi è dello 0,0001 per cento e per il secondo dello 0,00008 per cento. Si continua a dichiarare che è più probabile, molto più probabile, morire per il virus che per delle cifre prossime allo zero come quelle relative ai vaccini.

Le campagne di sensibilizzazione si presentano però molto difficili e i numeri vicini allo zero che allontanano le probabilità negative non sono sufficienti per far recuperare la fiducia. È la conseguenza di una fallimentare gestione politica e comunicativa. 

Tuttavia, dice molto anche di noi. Abbiamo una memoria corta e pare che abbiamo dimenticato la vulnerabilità della quale, solo qualche mese fa, eravamo così coscienti. Torniamo a dimenticarci di ciò che siamo, del nostro bisogno, dell’inesistenza del rischio zero. “Quando la memoria diventa così breve, viene alterata la relazione che abbiamo con l’identità”, sottolinea giustamente Magris. La nostra resistenza a essere convinti da una schiacciante logica statistica dice della nostra memoria corta, ma riflette anche il modo in cui noi conosciamo.

Dovrebbe essere facile arrendersi all’evidenza che ci portano le percentuali bassissime, ma se anche la minima possibilità si trasforma per noi in un ostacolo difficile da superare, è perché non siamo né algoritmi, né computer. 

La possibile trombosi su un milione diventa una barriera se non c’è un affetto, un’intelligenza emotiva, che ci aiuta a far memoria dei mesi che abbiamo vissuto, ad aprire la ragione al bene che ci aspetta. Ancora una volta, questa dolorosa crisi ci insegna come siamo fatti.  

 

IL SUSSIDIARIO NET 20 APRILE 2021

 

(foto LaPresse)

venerdì 16 aprile 2021

TRADITI E ABBANDONATI GLI AFGANI SONO SOLI DI FRONTE ALLA DISUMANITA’ DEI TALEBAN.

L'IPOCRISIA DELL'AMERICA. LE VENDETTE DEI TALEBAN, 20 ANNI DOPO

Dopo vent’anni, ha annunciato il Presidente Biden, le truppe occidentali si ritirano dall’Afghanistan. Domenico Quirico su La Stampa scrive un pezzo bellissimo e molto amaro. Prende spunto dalla foto di un bambino afghano che riceve l’ultima caramella dal soldato statunitense. Gli Usa, l’Occidente, noi facciamo sempre così: ora a Kabul torneranno i talebani e detteranno le regole della sharia.


«Una fotografia. Insegna molte cose: un soldato americano, con indosso tutta la sua lucida spazzatura tecnologica e guerriera, porge una caramella a uno stracciato scugnizzo afghano. Che la prende con la stessa composta miseria, la stessa timidità di fronte all'ingiustizia universale del protagonista di «Ladri di biciclette». 

Immagine indimenticabile dell'ipocrisia: ora che il guerriero se ne va, sconfitto, umiliato dai ciabattanti ma implacabili mujaheddin talebaniFine delle caramelle, degli aquiloni, del progresso sotto i cieli meravigliosi e crudeli di Kabul, della eguaglianza delle donne, del suffragio universale, della volontà dei più. Fine di questi tamponi e impiastri illusori, vaniloqui, frasi con cui sosteniamo di voler calmare i dolori più comuni dell'umanità. 

Sì. La sconfitta in Afghanistan riassume i difetti dell'Occidente. Proviamo a tentare quello che non facciamo mai, leggere la storia con gli occhi del bambino afghano, degli indifesi, dei disarmati, di coloro che hanno sopportato questa guerra come hanno sopportato le innumerevoli altre da secoli, come una fatica maledetta, necessaria a campare. Che sognavano la pace senza in fondo crederci e che adesso sono nelle mani dei taleban, assediati, senza un viottolo di scampo. Sono i milioni di afgani che in questi anni hanno creduto alle promesse che abbiamo regalato senza risparmio, gli americani, noi, gli occidentali. È vero: per credere alle promesse degli americani, smentite ogni giorno dalla storia del Vietnam, dell'Iraq, della Somalia, di mantenerle, bisogna avere la fede che nutrivano i primi cristiani che credevano nel prossimo avvento del regno di dio. Eppure molti afgani ci hanno creduto. 

Che cosa non si aspetta, in fondo, dall'America? Anche chi la disprezza e la maledice la crede capace di grandi cose. Così ci sono donne che hanno gettato il burqa nella spazzatura, hanno spezzato fragorosamente abitudini, minacce, proibizioni, legami famigliari. Non c'erano gli americani, l'Occidente lì a vigilare che il medioevo non tornasse in vigore, e li stritolasse? E poi ci sono, giovani soprattutto, quelli che hanno scritto, firmato documenti, sono apparsi in televisione, hanno usato i nuovi strumenti della tecnologia, per ribadire che loro erano pronti, volevano la tolleranza, un mondo pulsante di contraddizioni e molte verità perché questo è la natura dell'uomo. Che erano stufi di kalashnikov e di fatwe e madrase che eruttavano fanatici ignoranti. Volevano la modernità. Ci voleva coraggio e loro l'avevano. 

Ma gli occidentali non erano lì a ripetere, a data fissa, che erano apostoli proprio di quella modernità, per salvarli dai loro demoni? (…) Gli occidentali non volevano far del bene agli afgani ma a sé stessi. E adesso, traditi, abbandonati, sono di fronte alla perentorietà disumana dei vincitori, i taleban. Non li consolano certo le spigolature degli sconfitti per nascondere la ritirata: che ci sono taleban buoni e taleban cattivi, che i ragionevoli stanno prevalendo. Altre bugie. I taleban scendono a Kabul con il loro armamentario intatto, che è sintetizzato in una parola: sharia. 

Compiranno con calma le vendette, purificheranno, ripuliranno i traditori, gli apostati».

il testo di Domenico Quirico e’ tratto dalla news letter : “La versione di Banfi”

la foto è di Asiablog

giovedì 15 aprile 2021

ADA NEGRI : “IL SEGRETO DEL TEMPO”

Il tempo che scorre, l’ansia di fermare il suo significato in un tentativo, illusorio, di possesso.

ADA NEGRI (1870-1945)

Tempo

Giorno per giorno, anno per anno, il tempo
nostro cammina! L’ora ch’è sì lenta
al desiderio, tu la tocchi infine
con le tue mani; e quasi a te non credi,
tanta è la gioia: l’ora che giammai
affrontare vorresti, a cauto passo
ti s’accosta e t’afferra – e nulla al mondo
da lei ti salva. Non è sorta l’alba
che piombata è la notte; e già la notte
cede al sol che ritorna, e via ne porta
la ruota insonne. Ma non v’è momento
che non gravi su noi con la potenza
dei secoli; e la vita ha in ogni battito
la tremenda misura dell’eterno.

E mentre Pavese scrive che “il compenso di aver tanto sofferto è che poi si muore come cani”, Ada Negri afferma che il tempo è gravido di futuro: su ogni istante grava il peso dell’eterno.

È questa la questione: l’esistenza finisce nella polvere del tempo che passa, in una prigione dove soffocheremmo e moriremmo inutilmente, oppure il tempo ha in sé il senso dell’eterno? La vita ha uno scopo? La vita è piena di attese, e “il passato è un seme del futuro o niente (Luzi).

Qual è la nostra posizione? Tutte le mattine siamo costretti a scegliere.

(cfr. Luigi Giussani: “Attraverso la compagnia dei credenti” pag.19 e pag.30-31)

 

lunedì 12 aprile 2021

QUEGLI INTELLETTUALI LAICI FRANCESI CONTRO LA “DOLCE MORTE”

  “Una civiltà che legalizza l`eutanasia merita di scomparire", ha scritto sul Figaro il romanziere Michel Houellebecq, non nuovo a intemerate pubbliche contro la “dolce morte".

“Devo essere molto esplicito, quando un paese, una società, una civiltà, arriva a legalizzare l”eutanasia, perde, secondo me, ogni diritto al rispetto”.

Houellebecq: l'eutanasia uccide la civiltà

Molti media e personalità, come la sempre loquace Line Renaud, hanno castigato gli oppositori della legge sull'eutanasia al vaglio del Parlamento francese, usando il loro cattolicesimo per giustificare una mentalità chiusa. La Francia sarebbe divisa in due: quella “pro” progressista, moderna e intelligente, e quella “contro”, reazionaria e alcolizzata (si vedano i commenti sotto l'articolo di Houellebecq sul Figaro). Peccato che siano gli intellettuali laici quelli stranamente più agguerriti nell’opporsi alla legge.

La tesi dei difensori della “morte con dignità" implica che la dignità umana sarebbe legata all`autonomia, spiega sul Figaro il filosofo Luc Ferry, “Un essere umano sarebbe indegno ai loro occhi perché sarebbe indebolito, il suo stato miserabile lo avrebbe privato della bellezza, del vigore e del fascino della gioventù in piena salute. Ebbene, per dirla tutta, e questa convinzione che trovo indegna, anzi ripugnante”. Un essere umano può mai perdere la dignità? “Basta pensare a coloro che amiamo per rabbrividire all’idea che possano, un giorno, in preda alla disperazione, cadere nelle mani di questi terribili medici dell`”uscita rapida e indolore”, scrive Ferry,

La direttrice del magazine Causeur, Elisabeth Lévy, alla radio spiegava ieri che“l’eutanasia fa ora parte della panoplia progressista, i macroniani ne parlano come di un marcatore sociale, un segno di modernità. Essere contro significherebbe essere ‘reazionari’. Ma affermare di addomesticare la morte attraverso la legge è un misto di ingenuità e arroganza.  Significa semplicemente rifiutare la condizione umana",

“Approvare l’eutanasia durante la pandemia è osceno e indecente”

Ma il commento più duro e forse quello della celebre psicologa Marie de Hennezel, una delle più stimate specialiste dell’invecchiamento, che ha accompagnato François Mitterrand nei suoi ultimi anni di vita. A causa della pandemia, dice al Point,“abbiamo avvolto i corpi in sacchi di plastica direttamente nelle bare, abbiamo impedito alle famiglie di andare a trovarli un”ultima volta, di partecipare al funerale… Dov’era allora la dignità? Ma all'epoca, pochissimi di noi suonavano il campanello d'allarme”.

De Hennezel trova “indecente” una legge simile. “Sono veramente indignata che osiamo parlare di dignità quando, allo stesso tempo, così tante persone muoiono in condizioni poco dignitose. Votare oggi per una legge che alla fine consiste nell'autorizzare l’eutanasia, lo trovo osceno",

Il problema è anche economico.“Le cure palliative costano molto di più di un'iniezione letale". Poi rivela: “Mitterrand, quando l`ho accompagnato, mi ha detto: “Finché sarò vivo, non ci sarà alcuna legge sull'eutanasia”, Quando gli ho chiesto perché, ha risposto: “Perché abbiamo tutti il dovere di proteggere i più venerabili'".

Ma lo scandalo potrebbe essere ribaltato. E se invece, dalla Spagna alla Francia, l'Europa sentisse il bisogno di legalizzare l’eutanasia proprio durante la pandemia, sintomo del proprio cupio dissolvi?

Giulio Meotti, ilfoglio