Il libro di Leoni (Edizioni ARES) con ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia Romagna è il modo migliore per conoscere cosa accadde con la Liberazione
Ogni anno che
passa bisogna inventarsi un modo nuovo per commemorare l’Anniversario della
Liberazione senza sottomettersi alla strumentalizzazione politica di
quelle forze di sinistra che ne fanno un’occasione per attaccare gli avversari
ideologici assimilandoli ingiustificatamente al regime fascista abbattuto nel
1945.Quest’anno un modo intelligente potrebbe essere quello di leggere
il libro dello storico Alberto Leoni appena pubblicato da Ares intitolato «O tutti o
nessuno!» – Storia e ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia
Romagna nella Seconda guerra mondiale.
Preti uccisi
dai partigiani
Nel corso del
tempo sono stati pubblicati libri ben documentati sui sacerdoti italiani uccisi
dai partigiani oltre che dai nazifascisti fra il 1943 e il 1946. Meritano di
essere ricordati Una guerra, due resistenze di Mino
Martelli, Storia dei preti uccisi dai partigiani di
Roberto Beretta e tre capitoli de Il sangue dei vinti di
Giampaolo Pansa.
Questi preziosi
testi non sono sfuggiti – contro le intenzioni degli autori – al destino di
essere usati come clave per ridimensionare il significato della
Liberazione da parte di chi non ha mai amato quell’anniversario ma
anche da parte di chi lo vive con disagio a causa della faziosità di una parte
di coloro che se ne sono appropriati: finalmente si poteva reagire alla retorica
del 25 aprile elencando crimini e crudeltà compiute dai partigiani e
fino ad allora taciute o confinate nelle pagine di autori riconducibili al
neofascismo.
Il memoriale
dei 123 sacerdoti
Il libro di
Leoni dovrebbe sfuggire a questo rischio non solo perché racconta le storie
sia dei sacerdoti e religiosi assassinati da nazifascisti che di quelli
eliminati da partigiani, ma perché diverso è lo sguardo con cui si accosta
alla materia, mutuato da don Alberto Benedettini, compianto parroco
di una piccolissima località della provincia di Forlì-Cesena: Pieve di
Rivoschio, la frazione di Sarsina dove stabilì il suo
quartier generale l’8ª brigata «Garibaldi», una delle prime formazioni
partigiane a costituirsi nell’ottobre 1943.
Qui,
nella chiesetta di Sant’Anastasia, il sacerdote creò, nella prima
metà degli anni Novanta, una sorta di memoriale di tutti i 123
sacerdoti e religiosi incardinati in Emilia-Romagna che hanno perso la
vita durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale per quelle che possiamo
definire “cause di servizio”: erano cappellani dell’esercito colpiti dal fuoco
nemico mentre impartivano i sacramenti ai feriti morenti, parroci che non hanno
abbandonato la parrocchia nel momento del massimo pericolo e sono caduti sotto
i bombardamenti o falciati nelle rappresaglie nazi-fasciste o uccisi a sangue
freddo da partigiani comunisti vuoi per odio antireligioso vuoi per puro
banditismo.
Alcuni
sostenevano la lotta partigiana, altri propendevano per il regime, la
maggioranza faceva resistenza all’occupazione tedesca senza compromettersi con
la lotta armata, ma dando protezione a disertori, prigionieri alleati
evasi, ebrei; tutti avevano in comune una caratteristica: erano,
come ripetono più volte Leoni e l’autore della post-fazione don Aldo
Cianci, «pastori con l’odore delle pecore».
Morte eroica a
Marzabotto
L’impressione
che lascia la lettura del libro è che il clero cattolico italiano dell’epoca
della Seconda Guerra mondiale, con tutte le sue pecche umane e con tutti i
condizionamenti storici del periodo, ha reso testimonianza di santità
perché ha condiviso fino in fondo le circostanze delle anime che gli erano
affidate: sui lontani fronti di guerra, nei paesi attraversati dai
combattimenti fra nazi-fascisti, anglo-americani e partigiani, nelle città
bombardate dagli alleati, preti e frati erano al fianco della gente comune,
decisi a condividere la loro vita oppure la loro morte e impegnati a soccorrere
per quanto possibile, a impartire consolazione e sacramenti, a cercare di
salvare vite.
Quelli fra loro
che hanno avuto una morte eroica, come don Elia Comini trucidato
dai tedeschi insieme a un altro sacerdote e a 44 civili nei pressi di Marzabotto,
le cui parole danno il titolo al libro, hanno risposto alla chiamata al
sacrificio supremo in forza dello stesso criterio per il quale tutti i
sacerdoti sono rimasti al loro posto, o sono sfollati dove sfollavano i loro
parrocchiani, o sono andati al fronte insieme ai soldati di cui erano i
cappellani.
O tutti o
nessuno!
Quando il
commissario prefettizio ottiene dai tedeschi la disponibilità a liberare don
Comini e il compagno di prigionia padre Martino Capelli, i due
rifiutano di essere separati dagli altri condannati a morte e don Elia
pronuncia la fatali parole: «O tutti o nessuno!».
La
consapevolezza che la fedeltà al Vangelo può comportare in
qualunque momento la morte violenta è comune a moltissimi dei sacerdoti la cui
storia è brevemente raccontata nel libro: sanno benissimo che dare ospitalità
ai renitenti alla leva della Repubblica Sociale o a partigiani braccati,
oppure denunciare pubblicamente ruberie o tattiche militari temerarie dei
partigiani che espongono i civili a rappresaglie sanguinose possono costare la
vita, eppure non rinunciano a proteggere le persone in pericolo e a denunciare
il male, a rischiare la propria vita per mettere in salvo il Santissimo o per
compiere le opere della pietà cristiana.
Perdonare gli
assassini
«Signore,
accetta la mia vita», scrive don Santo Perin parroco a Bando
di Argenta. «Non avrò paura della morte. Il futuro è tuo. O Gesù, con labbra
tremanti parlo così: io cesso di vivere perché tu solo possa rivivere di nuovo
per i fratelli». Pochi giorni dopo morirà per l’esplosione di una mina,
mentre si recava a dare sepoltura al cadavere di un soldato tedesco.
Molti di loro
muoiono perdonando e benedicendo i loro assassini, come risulta dalle parole di
testimoni credibili. La loro testimonianza fino all’effusione del sangue
trasforma le vite delle persone intorno a loro, come nel caso di don
Giuseppe Jemmi, ucciso dai partigiani nonostante avesse messo in salvo
rifugiati e disertori, perché dal pulpito aveva criticato l’uccisione di due
padri di famiglia per mano partigiana:
«La mattina del 20 aprile i suoi due chierichetti,
Raimondo e Meo, lo trovarono e sul suo corpo giurarono di prendere il suo posto
come sacerdoti: e così fu. Quanto agli assassini, furono condannati e uscirono
per amnistia, ma la madre di don Giuseppe li perdonò e tenne i contatti con
loro anche quando emigrarono all’estero».
Una fede salda
Il lettore si
chiede da dove nascano la fermezza, la saldezza nella fede, lo scrupolo
nel dovere, il coraggio davanti alla prova che tanti di questi preti
dimostrano.
Leoni offre una sua
spiegazione:
«Innanzitutto l’estrazione sociale di questi uomini,
vecchi e giovani: quasi tutti di famiglie contadine, con tanti fratelli, come
si usava allora, con una forte educazione cattolica che non si limitava solo
alla presa d’atto di una tradizione, ma la incarnava con forza e passione. E
anche se vi erano genitori non credenti, (…) questi erano così leali e retti
nell’agire da non ostacolare il desiderio del figlio di condurre una vita
consacrata a Dio. (…) La storia dei preti dell’Emilia Romagna ci insegna che
certi gesti, certe prese di posizione, non si improvvisano, e lo straordinario
delle loro vite nasce dall’ordinario della loro quotidianità: ossia dalle
famiglie».
Eroi senza
volto
Sufficiente o
insufficiente che sia, questa spiegazione riporta l’attenzione sulla questione
dell’eredità, su ciò che di buono genitori e progenitori ci hanno trasmesso e
su ciò che i sacrifici conosciuti e sconosciuti di tanti ci hanno
permesso di godere.
Agli eroi senza
volto della vita quotidiana al tempo della guerra civile e della Liberazione dovrebbe
andare la nostra gratitudine tanto quanto agli eroi combattenti che hanno i
nomi incisi sulle lapidi.
Un concetto che
l’autore sintetizza ricorrendo a una citazione di un’autrice per niente
cristiana come George Eliot, al secolo Mary Anne Evans:
«Il bene
crescente del mondo in parte dipende da azioni prive di storia; e il fatto che
per me e per voi le cose non vadano così male come sarebbe stato possibile, è
per metà merito di coloro che condussero fedelmente un’esistenza nascosta, e
riposano in tombe neglette».
Rodolfo Casadei 25
aprile 2021
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