domenica 31 marzo 2013

LA FESTOSITA' DELLA VITA


Luigi Giussani
(da Spirto Gentil pag.330-331
ed. BUR saggi)

 

Se si soffoca il Mistero come dimensione del proprio rapporto con le persone e con le cose, tutta la realtà diventa come un gioco, è fatta a pezzi, gli sguardi e le mani la scindono in parti senza nesso.
 
La drammaticità della vita è in questa alternativa.


William Congdon "Ego Sum"
L’alternativa nella vita è fra la risposta al Mistero, che siamo chiamati a dare, e il vivere secondo la legge del «mi pare e piace». Il compito che ci è stato dato è per noi e, come esempio, per il mondo; questo compito è per il mondo. Cristo, unico, è morto per richiamare il mondo al fatto del Padre; così, per quanto pochi siamo, noi siamo stati chiamati a questo compito per richiamare il mondo. Non c’è via di mezzo tra il compito e il «pare e piace».


Nella notte del Sabato Santo accade il Fatto che salva l’esistenza umana dal confuso tremolio cui sembrerebbe destinata e la innalza verso un compito festoso.

La realtà è già in mano a Colui che l’ha vinta, che l’ha riconquistata a sé; tutta la realtà è creatura sua, tanto che il significato di tutta la realtà è la sua Persona. Tutto in Lui consiste. A noi spetta il compito di mostrarlo a tutti, di affermarlo.

Non siamo dei pezzi senza senso, la nostra vita non è un gioco! Ciò che è iniziato nella nostra vita è una costruzione. Ed è il rapporto col Mistero, il rapporto col destino, il rapporto con la felicità che ci rende originali radicalmente, come un mondo totalmente diverso, in questo mondo. Che tutto sia riunito in una unità inconfusa, in una armonia, in un canto, in una sinfonia: questo è veramente un altro mondo, un mondo splendente di luci e di colori, dove tutto è ordinato a uno scopo, a una bellezza; così nella nostra vita è penetrato ciò che dà significato e scopo a tutto, che ricrea una armonia.

È una compagnia che, innanzitutto, apre questa prospettiva. È una compagnia per il mondo, è una compagnia che si apre assumendo le prospettive stesse di Cristo, cioè la redenzione del mondo, la salvezza del mondo, gridare la verità del mondo, gridare la felicità che aspetta il mondo, gridare ciò di cui il mondo è fatto e gridare il destino del mondo, che a poco a poco invade e determina tutto.

È in questo popolo che viene portato il significato della vita di tutti i popoli, anzi, di tutta la realtà.
 
(dal commento di Giussani a "La Grande Pasqua Russa" di Nikolaij Rimskij Korsakov, con alcuni tagli)

POST NUMERO 800

sabato 30 marzo 2013

PADRE ALDO TRENTO


Cari amici, buona Pasqua!

Che bello e che grazia il dono di Papa Francesco che ogni giorno ci stupisce concretamente con il suo modo di essere di fronte alla realtà mostrandoci cosa significa la passione per Cristo e quindi per l’uomo. La sua insistenza continua sulla misericordia divina non può non riempirci di gioia, perché solo colui che entra in questo abbraccio divino pieno di misericordia può entrare nel cuore dell’uomo abbracciandolo. Per me che ho la grazia di condividere tutto con i poveri, questa Pasqua è un grande conforto, grazie alla testimonianza del Papa, che vuole ricondurci all’essenzialità del Vangelo. Guardare negli occhi Gesù per vivere commossi davanti agli occhi sofferente dell’uomo che implora aiuto. Non solo l’uomo delle favelas che riempie l’ospedale o le case degli anziani o dei bambini, ma anche l’uomo depresso che mi scrive disperato dall’Italia chiedendo una preghiera o una piccola parola di conforto. Nel mio recente viaggio in Italia, per motivi di salute, ho incontrato una persona con tre figli che avvicinandosi mi ha detto; “Padre, grazie per la compagnia che mi fa attraverso la sua lettera a Tempi, perché mi aiuta a lottare contro una depressione che mi tormenta da anni”. Sorpreso non seppi che dirle se non che pregherò per lei e che sono felice se ero utile per la sua vita. Prima di andarsene mi ha messo fra le mani una busta dicendomi: “Padre, non sapendo come ringraziarla ho pensato di regalare ai suoi poveri lo stipendio di marzo. Ho visto riaccadere il fatto evangelico dell’obolo della vedova. È proprio bello vivere solo per Gesù, perché si sperimenta una grande tenerezza per se stessi, una grande ironia rispetto ai propri limiti e per conseguenza una tenerezza e ironia verso gli altri. Voler bene e voler il bene per gli altri è l’avventura che devono fare seguendo il Santo Padre. Lo auguro a ciascuno di voi amici cari.

Con affetto,

P. Aldo

IL SANGUE E L'AMORE


Rolando Rivi sarà beato.
Ecco la storia del seminarista quattordicenne freddato da mano partigiana
INTERVISTA AD EMILIO BONICELLI

marzo 28, 2013Daniele Ciacci

Papa Francesco ha autorizzato ieri la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti 63 nuovi Beati, tra cui quello di questo ragazzo. La sua vita e la vicenda del miracolo della “ciocca di capelli”

Papa Francesco ha autorizzato ieri la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti 63 nuovi Beati e 7 nuovi Venerabili servi di Dio. Tra di essi figurano martiri della guerra civile spagnola, dei regimi comunisti dell’Europa Orientale e del nazismo. Tra i prossimi nuovi Beati c’è anche il giovane seminarista italiano Rolando Rivi, ucciso in modo barbaro dai partigiani nel 1945. Fu ucciso in odio alla fede ancora adolescente di quattordici anni, testimone dell’incondizionato amore che provava per Gesù.
Di seguito riproponiamo un articolo che tempi.it realizzò nel settembre scorso. Si tratta di un’intervista a Emilio Bonicelli, autore di un bel libro sulla storia di Rivi.

Il 13 aprile 1945, in un bosco dell’Emilia, fu trovato il corpo freddo e tumefatto di Rolando Rivi, giovane seminarista freddato da mano partigiana per odio alla fede. E mentre si discute sulla sua beatificazione, a breve, in libreria, sarà ripubblicato Il sangue e l’amore (Jaca Book), un romanzo di Emilio Bonicelli, giornalista e scrittore, che ha ricercato documenti storici per risalire ai particolari della tragica morte di Rolando. Tempi.it ne discute proprio con l’autore.

Perché una riedizione de Il sangue e l’amore?
L’edizione precedente era completamente esaurita – e la cosa non può che farmi piacere –. Continua a esserci una richiesta crescente di conoscere questo seminarista martire, ucciso a soli 14 anni. Avevo scritto di Rolando non appena conosciuta la sua figura, in circostanze apparentemente casuali. Sono rimasto folgorato dalla storia di questo piccolo ragazzo, profondamente innamorato di Gesù e trasformato da questo amore, su cui aveva progettato la sua intera esistenza. E per tale amore è stato sequestrato, torturato e ucciso da uomini accecati dall’ideologia. Quando ho “incontrato” Rolando vivevo una vicenda personale molto difficile. Ero da poco tornato al lavoro dopo una lunga convalescenza seguita a un trapianto di midollo osseo per curare una leucemia. Allo stesso modo, un bambino inglese era guarito dal questo cancro ma attraverso una Grazia. Sotto il suo cuscino, un amico aveva posto una ciocca di capelli di Rolando, intriso del sangue del martirio.

Come ha fatto una ciocca di capelli di Rolando Rivi a finire in Inghilterra?
Un giovane di origine indiana, che aveva studiato a Roma e completato i suoi studi in Inghilterra, dove guidava un gruppo di preghiera, era stato accolto da una famiglia di amici protestanti. Rimase colpito da un articolo dell’Osservatore romano, che parlava proprio di Rolando. Il giovane si mise in contatto con padre Colusso, parroco di San Valentino dove Rolando è sepolto e venerato. Il figlio più piccolo di quegli amici protestanti si era ammalato di leucemia e il giovane chiese al prete una reliquia per poter chiedere l’intercessione di Rolando. Padre Colusso gli spedì la ciocca di capelli. Al termine di una novena di preghiera, il bambino stava bene.

IL SEGRETO DI BERGOGLIO


di Andrea Tornielli

 

Per cercare di comprendere come sarà il pontificato di Francesco, è illuminante leggere alcuni passaggi dell'intervento che il cardinale Bergoglio lo scorso 7 marzo tenne alla congregazione generale dei cardinali. Parlò a braccio, ma il cardinale dell'Avana, Jaime Ortega y Alamino, gli chiese il testo e si vide recapitare il giorno successivo dal confratello di Buenos Aires un foglio manoscritto sul quale aveva riportato i punti detti in aula.

«La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di brillare di luce propria; smette di essere il "mistero della luna" e dà luogo a questo male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore che può colpire la Chiesa). Quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri. Per semplificare, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice, che esce da se stessa; la Chiesa "Dei Verbum religiose audiens e fidenter proclamans" (quella che "religiosamente ascolta e fedelmente proclama la Parola di Dio", ndr), oppure la Chiesa mondana che vive in sé, da sé e per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e le riforme che bisogna fare per la salvezza delle anime».

Il passaggio più significativo è contenuto nell'ultima riga. Eventuali cambiamenti e riforme, quelle che tanti porporati hanno chiesto durante le discussioni prima del conclave, vanno fatte «per la salvezza delle anime». L'unico scopo, l'unico obiettivo, dell'azione della Chiesa deve essere quello di raggiungere con il messaggio del Vangelo più persone possibile, deve essere quello di salvare più anime possibile. Sono parole che da sole servono a spazzare interpretazioni parziali o interessate del messaggio del nuovo Papa.

Ha colpito, nella Messa del Crisma che ha celebrato in San Pietro, l'identikit che Francesco ha tracciato del sacerdote: «Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro».

«Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite...».

Il Papa ha messo in guardia dal rischio di «diventare pelagiani», di «minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente. Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché la nostra gente ci ruba l’unzione, grazie a Dio - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale».

«Chi non esce da sé - ha detto ancora Papa Bergoglio - invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore”, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini».

Ogni parola e ogni gesto del nuovo Papa rendono evidente questo cuore. Il cuore di un pastore che va a cercare la pecora smarrita nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro mondo. E trovandola le dice anzitutto che è amata da Dio ed è perdonata da Lui se solo si riconosce bisognosa della sua misericordia.

Andrea Tornielli, vaticanista de «La Stampa» e nostro collaboratore, è l'autore di «Francesco. Insieme» (Piemme, pp. 182, 12,90 euro), la biografia di Papa Bergoglio. Il volume ripercorre i momenti salienti dell'elezione di Francesco e i primi passi del pontificato, ma soprattutto racconta la vita del nuovo Pontefice attraverso testimonianze dirette di chi l'ha conosciuto.

giovedì 28 marzo 2013

IL GIOVEDI' SANTO


Una mensa al centro della storia

di Maria Gloria Riva28-03-2013

La Passione, Morte e Resurrezione di Gesù è un fatto accaduto nella storia, che ha cambiato la storia. Di più: è un giudizio sulla storia, ed è quindi il punto di partenza, la prospettiva con cui guardare a ogni altro fatto. È la prospettiva con cui guardare anche alla cronaca e ai fatti di attualità. È per questo che è nata La Nuova Bussola Quotidiana, ed è questo l'unico motivo per cui ha senso la sua esistenza: educarci - noi per primi - a guardare alla realtà con gli occhi di Cristo, nella prospettiva della Resurrezione. Perciò in questi giorni il Primo Piano sarà dedicato alla meditazione sui Misteri del Triduo Pasquale: per fissare lo sguardo sul Fatto dei fatti, aiutati dal commento di suor Maria Gloria Riva che ha scelto per noi alcuni quadri significativi. (Ri. Cas.)


 
Sembra un forno, la piccola stanza del Cenacolo dove l'artista Sieger Köder dipinge la sua Cena. Un forno caldo e accogliente attraversato però da un'ombra improvvisa.
Attorno alla tavola ci sono i Dodici, anzi gli Undici perché Giuda se n'è già andato, se ne sta andando in quel momento. Lo scopriamo d'improvviso perché tra i volti degli apostoli ce n'è uno colto nell'atto di voltarsi verso un uscio nascosto nell'area più oscura della stanza. Giuda è lì, confinato fra la tavola e la porta. Ha appena preso il boccone dalla tavola, ha udito le parole del Maestro: «Quello che devi fare fallo presto» ed eccolo sull'uscio, pronto per essere inghiottito da quella notte che prima di essere un’annotazione temporale descrive lo stato dell'anima del traditore.
Sono così i traditori di ogni tempo. Ogni generazione ha i suoi: erano cristiani - direbbe Paolo - ma non erano dei nostri. E dentro questa affermazione paolina si nasconde tutto il dramma del giudizio e della misericordia. Da un lato Giuda non era dei loro, dall'altro era con loro, era tra loro, anzi: era stato scelto da Cristo. Così in quella notte si nasconde l'attenuante della misericordia: Giuda esce da quell'antro di salvezza che era il cenacolo, esce dall'arca della nuova alleanza nascosta tra le pareti calde di quel luogo, e si consegna alla notte della confusione.
Gli altri restano lì: undici teste che ruotano attorno alla mensa più gravida di senso e di storia che si sia mai potuta raccontare.
Un carosello di mani e di volti in cui si declinano tutti i sentimenti umani verso il Mistero: gesti e volti imploranti, pensosi, sorpresi, impauriti, oranti...
Una mano tocca la tavola, una sola, ed è dell'apostolo che si piega in contemplazione. Cosa vede? Cosa guarda? Vede i segni posti sulla tavola, vede l'ombra della croce stagliarsi sul biancore della tovaglia e su quella croce ecco il pane, segno di un corpo dato, quello di Cristo. Il pane ha la forma del mondo: è un corpo dato per la moltitudine, quella di ieri e di oggi, quella dei secoli a venire. É un pane che, così disposto, lascia intravvedere la forma di due lettere greche: Chi Ro. Cristo Redentore, un acronimo che per i cristiani della prima ora aveva tutto il senso profondo della risurrezione. Quel corpo, dato per la nostra salvezza sulla croce, risorgerà.
Ed ecco allora il significato della bianca tovaglia, di quel telo in cui riposa tutta la luce del quadro: è preannuncio del telo sindonico, testimone silenzioso della Risurrezione di Cristo.
C'è un’altra mano appoggiata, quasi distrattamente, sulla tovaglia è quella dell'apostolo che attende quel pane. Chi glielo porge ha gli occhi pieni di luce, guarda verso di noi. Guarda verso quel calice che sta al centro della scena e della tavola. È il calice di Cristo, sorretto dalle mani stesse del Salvatore. È qui Köder ci rivela il suo sguardo mistico, indagatore, capace di sottrarre alla polvere della memoria le bellezze antiche e mai tramontate. In quel calice, e solo in quel calice, ci è dato di vedere il volto del Signore. Gesù, infatti, non lo si vede , ciò che vediamo di lui è solamente il volto sigillato in quel vino.

Köder ci racconta la dimensione sacramentale del Giovedì Santo. Nel cuore del cenacolo si consuma quell'offerta totale del Cristo che diventerà vita, storia e sacramento nei giorni seguenti. A noi è dato di incontrare questi stessi eventi solo attraverso il Santissimo Sacramento. Di Gesù vediamo il volto riflesso nel vino e le mani, perché è questo che noi vediamo in ogni Eucaristia: le mani di chi celebra in persona Christi, le mani del Sacerdote, ci restituiscono intatto e vivo l’incontro con lo sguardo e il corpo del Signore.
Tutto questo sigillato in un Triduo Pasquale che ci apprestiamo a vivere e che Köder sintetizza in quella tovaglia: ecco sigillato nel tempo, dentro il Sacramento della nuova alleanza, quel Sangue versato per le moltitudini che ancora ci salva.
da "la nuova bussola quotidiana" 28 marzo 2013

domenica 24 marzo 2013

REGISTRO DELLE UNIONI CIVILI: HANNO AGITO POSITIVAMENTE I CATTOLICI CHE SI SONO OPPOSTI


Il vescovo Camisasca interviene con un comunicato contro il “registro delle unioni civili” votato a Reggio Emilia da PD e M5S

La diocesi boccia il registro votato anche dal sindaco “dossettiano” Delrio. «Uno scardinamento dell’istituto famiglia con conseguenze profondamente negative»

camisasca-massimoIl consiglio comunale di Reggio Emilia, su proposta del Partito democratico e con l’appoggio del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo, ha approvato lunedì il registro delle unioni civili. Anche il sindaco cattolico “dossettiano” Graziano Delrio ha votato a favore della mozione. La diocesi guidata dal vescovo Massimo Camisasca è intervenuta con il comunicato che riproduciamo di seguito.
Il Consiglio comunale di Reggio Emilia il 18 marzo ha approvato, a maggioranza, l’istituzione del “Registro delle unioni civili”. Si vorrebbero favorire persone che hanno comunione di vita basata su vincolo affettivo, di diverso o dello stesso sesso, negli interventi per la casa, la sanità e i servizi sociali, la scuola e i servizi educativi, ecc… La protezione di legittimi diritti della persona potrebbe essere assicurata dal diritto civile, senza costruire una “disciplina comunale delle unioni civili”, non prevista nel nostro ordinamento, né istituire un nuovo “registro amministrativo”. In realtà ciò che si desidera è affermare un modello di famiglia alternativo, e porre le premesse affinché un numero adeguato di questi atti, che di per sé non hanno valore legale, porti ad una legge parlamentare che riconosca come sostanzialmente matrimoniali le coppie di fatto e dia valore di matrimonio ai legami omosessuali.
L’intento sociale si capovolgerebbe così in uno scardinamento dell’istituto famiglia con conseguenze non avvertite, ma profondamente negative sulla vita sociale e sull’educazione dei figli.
Il Vescovo riconosce l’opera positiva di quei cattolici presenti in diversi partiti che, impegnati in politica, per libera iniziativa – e prendendo sul serio quanto il Vescovo ha detto riguardo l’istituto familiare sia in occasione della festa della Sacra Famiglia, sia nella prolusione per l’apertura dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano – hanno negato il proprio consenso a questa istituzione dei registri, mostrando maturità ecclesiale e una concezione laica della presenza dei cristiani nella società; essi infatti hanno affermato e difeso un valore di tutti e non di parte, perché la famiglia è il cuore del tessuto stesso della società.

marzo 22, 2013 TEMPI

giovedì 21 marzo 2013

FINE DI UNA STORIA

Adesso che la Chiesa ha di nuovo il Papa, ed è nelle buone mani di Papa Francesco, torniamo a vedere cosa sta succedendo in politica. Cioè, il disastro


La sinistra ha un disturbo. Bipolare

Non riesce ad accettare l'esistenza di un polo antagonista da riconoscere come avversario anziché negare come nemico indegno di stare al mondo

Marcello Veneziani - Gio, 21/03/2013

La sinistra soffre di un disturbo bipolare. Non riesce ad accettare l'esistenza di un polo antagonista da riconoscere come avversario anziché negare come nemico indegno di stare al mondo. L'atteggiamento verso le altre forze oscilla tra l'annessione e la criminalizzazione: o sei un nostro affluente inconsapevole o sei il diavolo in persona. Vuoi un rinnovamento? Te lo diamo noi, gli unici abilitati a farlo. Da qui discende il doppio tentativo di fagocitare i grillini e squalificare invece il Pdl (con te non parlo). Magari se la sinistra fosse davvero preoccupata della sua impresentabilità. In realtà non perdona a Berlusconi di aver vinto più volte e di aver sfiorato la vittoria. Fosse perdente e remissivo, ci sarebbero meno problemi. Intendiamoci, sono macroscopici pure gli errori del centrodestra e imbarazzanti le sue scelte. E non è pensabile un governo Bersani sostenuto anche dal Pdl.
Sarebbe una forzatura e non andrebbe lontano. Alle elezioni non ha vinto nessuno ed è uscito dalle urne un tripolarismo anomalo e inconciliabile. L'unica via è un governo istituzionale, non tecnico-bancario (ci basta e ci avanza un Monti di pietà) ma di personalità eminenti appoggiato da un'ampia maggioranza trasversale. Un governo col mandato breve o medio, per rivotare con una nuova legge o governare sul serio. Ma la sinistra non ci sta e alza le barricate dell'antiberlusconismo. Non ha capito che quella stagione è finita e il miglior modo per seppellirla è superarla d'ambo i lati, gettando le basi per una nuova fase.

martedì 19 marzo 2013

IL DITINO ALZATO DELLA NUOVA MAESTRINA


 
L’occhio stupito del bambino, il dolore del migrante, la ricchezza inesplorata del disabile, la buona politica che è speranza e passione, l’antifascismo a cui dobbiamo tutto, i talenti che se ne vanno, le donne che subiscono violenza, quelli che cadono e non si rialzano, i detenuti in condizione disumana, gli anni trascorsi a rappresentare i diritti degli ultimi, e naturalmente la Costituzione che è la più bella del mondo, i morti di mafia, don Ciotti, l’Europa crocevia di popoli, il Mediterraneo con troppi morti…. Pare che si siano messi in due, la pasionaria e il poeta e suo mentore Vendola, a scrivere il discorsetto di insediamento, appena capito che il colpo era riuscito, in due per mettere insieme tanti luoghi comuni e tante parole vuote, alcune perfino belle e giuste, per carità, prese una alla volta, ma tutte assieme schiacciate a non significare nulla, a non scegliere nessuno, in quella melassa buonista, pacifista, tardo internazionalista, immobilista, in due parole comunista all’italiana, della quale la vita e le opere di Laura Boldrini, neo presidente della Camera, sono intrise.

L'INVIDIA DEL DEMONIO


Matrimoni gay, l’invidia del demonio
di Jorge Mario Bergoglio,

Lettera del cardinale Bergoglio ai quattro monasteri carmelitani di Buenos Aires in occasione del voto al Senato della Repubblica Argentina sulla proposta di legge intesa a legalizzare il matrimonio e le adozioni omosessuali (approvata il 15 luglio 2010).

Buenos Aires, 22 giugno 2010

Care sorelle,

Scrivo queste poche righe a ciascuna di voi che siete nei quattro monasteri di Buenos Aires. Il popolo argentino dovrà affrontare nelle prossime settimane una situazione il cui esito può seriamente ferire la famiglia.

Si tratta del disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso. È in gioco qui l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori.

Ricordo una frase di Santa Teresina quando parla della sua malattia infantile. Dice che l’invidia del Demonio voleva vendicarsi della sua famiglia per l’entrata nel Carmelo della sua sorella maggiore. Qui pure c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra.

Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una «mossa» del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio. E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità.

Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore. Ha bisogno di questo Avvocato per difenderci dall’incantamento di tanti sofismi con i quali si cerca a tutti i costi di giustificare questo disegno di legge, e che confondono e ingannano perfino persone di buona volontà.

Per questo mi rivolgo a Voi e chiedo preghiere e sacrificio, le due armi invincibili di santa Teresina. Invocate il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall’errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e la legge di Dio indicano loro. Pregate per loro e per le loro famiglie che il Signore li visiti, li rafforzi e li consoli. Pregate affinché i senatori facciano un gran bene alla Patria.

Il disegno di legge sarà discusso in Senato dopo il 13 luglio. Guardiamo a san Giuseppe, a Maria e al Bambino e chiediamo loro con fervore di difendere la famiglia argentina in questo particolare momento. Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: «Questa guerra non è vostra, ma di Dio». Che ci soccorrano, difendano e accompagnino in questa guerra di Dio.

Grazie per quanto farete in questa lotta per la Patria. E per favore vi chiedo anche di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi conservi.

Con affetto

Jorge Mario Bergoglio, S.J.
Arcivescovo di Buenos Aires

 

lunedì 18 marzo 2013

LA CHIESA DEI POVERI E' LA CHIESA CHE CERCA CRISTO


La povertà di Laura Boldrini? Non è quella di Papa Francesco

Federico Pichetto

domenica 17 marzo 2013

 

C’è una parola che, come poche, da oltre cinquant’anni ha la capacità di sollevare sospetti e divisioni, è la parola “povero” o - nel suo sinonimo più politicamente corretto - “ultimo”. In questi giorni, complice la forza del linguaggio di papa Francesco e l’elezione dell’onorevole Boldrini a presidente della Camera, questi termini hanno ripreso il centro dell’attenzione: Francesco auspica la Chiesa dei poveri, Boldrini la Repubblica che non si dimentica di chi è senza futuro e senza speranza. Ma siamo proprio sicuri che si stia parlando delle stesse persone?

 

Nella tradizione corrente i “conservatori” hanno sempre definito la povertà in senso ampio come povertà spirituale o povertà umana, mentre i “progressisti” si sono sempre lanciati sul significato sociale di tale parola. C’è però un altro significato di questo termine che troviamo nel suo stesso originale greco: ptokos. Il ptokos del mondo greco è l’indigente, il mendicante mentale, colui che ha bisogno dell’altro per compiersi. Nei Vangeli i poveri sono i ptokoi, coloro che hanno bisogno dell’alterità per essere persone vere e compiute. Gesù non solo non dichiara guerra a questa condizione, ma la ritiene necessaria per entrare nel Regno dei Cieli. O uno concepisce se stesso come “mancante, incompiuto, bisognoso” oppure concepisce sè come “sazio”, “pieno”, “bastante a se stesso”.

La Chiesa di oggi, dice Papa Francesco, non è povera perché è autosufficiente, autoreferenziale, “bastante a se stessa” e questo la fa essere lontana dall’originale povertà di ogni uomo, di cui la povertà materiale è il segno più commovente e decisivo per ognuno di noi. Una Chiesa non è povera quando pensa agli altri, “riducendosi ad una Ong pietosa”, una Chiesa è povera quando riprende consapevolezza del suo essere mancante e bisognosa.

 

A ulteriore riprova bisogna evidenziare che dalla parola ptokos, nelle lingue neolatine, deriva il genere picaresco, un romanzo che ha per protagonista il mendicante povero nelle sostanze, ma - ancor di più - negli affetti. Se poi andiamo ancora più nello specifico, l’altro termine usato nel Vangelo per indicare i poveri è “piccoli”, i mikroi, coloro che hanno bisogno di crescere. Fondendo questi due elementi è ancora più chiaro che il povero, indipendentemente dalle sostanze in suo possesso, è colui che deve crescere nell’amore, colui che ancora deve imparare ad amare. È questa consapevolezza, “noi dobbiamo ancora imparare ad amare”, che forgia la società e rende capaci di perdono e di scelte nuove. Per questo certe battaglie (dai matrimoni omosessuali alla fecondazione assistita fino al divorzio e all’aborto) prima di essere un problema morale sono un problema di “arroganza dell’amore”, di chi non vuole definire sé come una persona che deve crescere nell’amore ed imparare ad amare.

 

La Chiesa dei poveri è questa, è la Chiesa che sa che tutta la vita dipende dalla posizione del cuore e dal nostro essere rivolti verso Cristo. Come faceva Francesco con la Sua Parola, come fa oggi il Papa con la sua costante radicalità sfidando le misure borghesi di ognuno di noi. Una Chiesa fatta di sani o di gente che aspetta di essere sana per farsi compagnia, non è cristiana, è una Chiesa da ricchi, da sazi, da soddisfatti di sé.

 

Una Chiesa molto comoda per la Boldrini e la sua mens rivoluzionaria, dove la povertà è un problema sociale risolvibile attraverso l’opera della politica e non una condizione dell’uomo, che rende l’uomo se stesso e che provoca gli altri uomini a mettersi in cammino per crescere nella carità e nella giustizia.

 

La Boldrini vuole coprire con le parole il dramma della vita, papa Francesco lo vuole riaprire per permettere al nostro cuore di crescere e di diventare grande. Ancora una volta Marx e la realtà si giocano una grande partita da cui, come sempre, non dipende la riforma della Chiesa o dell’economia del mondo, ma il modo con cui io domani avrò il coraggio e la forza di dire ti amo alla persona che mi accende il cuore, nella consapevolezza di essere anch’ io un povero ptokos come tutti gli altri.

 

 

domenica 17 marzo 2013

ANGELUS 17 MARZO 2013


ANGELUS

Piazza San Pietro Domenica, 17 marzo 2013

 
LA MISERICORDIA

Fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo il primo incontro di mercoledì scorso, oggi posso rivolgere di nuovo il mio saluto a tutti! E sono felice di farlo di domenica, nel giorno del Signore! Questo è bello è importante per noi cristiani: incontrarci di domenica, salutarci, parlarci come ora qui, nella piazza. Una piazza che, grazie ai media, ha le dimensioni del mondo.

In questa quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta l’episodio della donna adultera (cfr Gv 8,1-11), che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce l’atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione. “Neanche io ti condanno: va e d’ora in poi non peccare più!” (v. 11). Eh!, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la misericordia del Signore”, dice il Salmo.

In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un Cardinale – il Cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene … Il Cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola cambia tutto. E’ il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza … Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rossi scarlatti, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve. E’ bello, quello della misericordia! Ricordo, appena Vescovo, nell’anno 1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. E’ venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: “Nonna – perché da noi si dice così agli anziani: nonna – lei vuole confessarsi?”. “Sì”, mi ha detto. “Ma se lei non ha peccato …”. E lei mi ha detto: “Tutti abbiamo peccati …”. “Ma forse il Signore non li perdona …”. “Il Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: “Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. Eh, il problema è che noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l’intercessione della Madonna che ha avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta uomo.

sabato 16 marzo 2013

UNO STEMMA CHE E' UN PROGRAMMA




 
Nello stemma episcopale di papa Jorge Mario Bergoglio ci sono tre parole latine di non immediata comprensione: “Miserando atque eligendo”.
Ma se si va a vedere da dove sono riprese si scoprono tratti importanti del programma di vita e di ministero di papa Francesco.
In questa piccola caccia al tesoro è d’aiuto una nota del dotto teologo Inos Biffi su “L’Osservatore Romano” del 15 marzo.
Il motto proviene da un’omelia di san Beda il Venerabile (672-735), monaco di Wearmouth e di Jarrow, autore di opere esegetiche, omiletiche e storiche, tra cui la “Historia ecclesiastica gentis Anglorum”, per cui è chiamato il “Padre della storia inglese”.
Nell’omelia, la ventunesima di quelle che ci sono giunte, Beda commenta il passo del Vangelo che racconta la vocazione ad apostolo di Matteo, pubblico peccatore.
 
Nel brano da cui è ricavato il motto si legge:
“Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’ (Matteo, 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con amore misericordioso in vista della sua elezione, gli disse: ‘Seguimi’. Gli disse ‘Seguimi’, cioè imitami. ‘Seguimi’, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti ‘chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato’ (1 Giovanni, 2, 6)”.
In latino, il brano inizia così:
“Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam exsecutione morum”.
Includere nello stemma il motto “Miserando atque eligendo” significa dunque mettersi al posto di Matteo, da Gesù guardato con misericordia e chiamato a lui, nonostante i suoi peccati.
Ma l’importante è il seguito del passo citato. Dove Beda spiega cosa comporta seguire ed imitare Gesù:
“Non ambire le cose terrene; non ricercare i guadagni effimeri; fuggire gli onori meschini; abbracciare volentieri tutto il disprezzo del mondo per la gloria celeste; essere di giovamento a tutti; amare le ingiurie e non recarne a nessuno; sopportare con pazienza quelle ricevute; ricercare sempre la gloria del Creatore e non mai la propria. Praticare queste cose e altre simili vuol dire seguire le orme di Cristo”.
Conclude Inos Biffi:
“È il programma di san Francesco d’Assisi, iscritto nello stemma di papa Francesco. E intuiamo che sarà il programma del suo ministero, come vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale”.
 

venerdì 15 marzo 2013

CAMMINARE EDIFICARE CONFESSARE LA CROCE DI CRISTO




PRIMA OMELIA DI PAPA FRANCESCO

Santa Messa con i cardinali • Cappella Sistina • Giovedì, 14 marzo 2013
 

In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare
Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2, 5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa
Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.
Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia.

 

giovedì 14 marzo 2013

JORGE MARIO BERGOGLIO: DIRE TU A CRISTO


A papa Francesco, quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, è capitato di presentare alla Fiera del Libro della sua città un libro di monsignor Luigi Giussani, L’attrattiva Gesù.

Accadde il 27 aprile 200.1 In quell’occasione, come narra la cronaca, il cardinale Jorge Mario Bergoglio presentò il volume in una delle sale più grandi «che, sorprendentemente, si rivelò piccola. Si son dovute togliere varie file di sedie per lasciare spazio – per lo meno in piedi – a tutti i presenti». Già nel 1999, Bergoglio aveva presentato un altro libro di Giussani, El Sentido Religioso, e, in quella seconda occasione disse: «Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo».
Per mezzo di un telegramma, don Giussani lo ringraziò, scrivendogli che la sua presenza faceva sentire agli aderenti al movimento «la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa, nostra Madre, per la quale siamo stati voluti all’esistenza e scelti per ingrossare il flusso del popolo cristiano dall’attrattiva Gesù, l’uomo-Dio che ci ha raggiunti e convinti. Tanto che Lo abbiamo seguito, con tutti i nostri limiti e con tutti i nostri impeti, tutto a Lui offrendo lietamente nella semplicità del cuore. Ci sia maestro e padre, Eminenza, come sento raccontare dai miei amici di Buenos Aires, grati alla Sua persona e obbedienti come a Gesù. Mi sia consentito ringraziare tutti loro che sono presenti, segno grande per me di stima verso Colui che, attraverso la fragilità delle nostre persone, si rende visibile, udibile e toccabile nel mondo».

Bergoglio e don Giacomo Tantardini

Ecco di seguito alcuni passi di quell’intervento dell’allora cardinale Bergoglio.
«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere. Nel contesto delle riflessioni di don Giussani incontriamo pennellate di una reale fenomenologia della nostalgia.
Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, non è un trattato di teologia, è un dialogo di amicizia; sono conversazioni a tavola di don Giussani con i suoi discepoli. Non è un libro per intellettuali, ma per chi è uomo o donna. È la descrizione di quella esperienza iniziale, a cui mi riferirò più avanti, dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero.
Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?», «quel “sì” non era l’esito di una forza di volontà, non era l’esito di una “decisione” del giovane uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di lui – perciò è un atto di ragione -», è stato un atto ragionevole, «per cui non poteva non dire “sì”».
Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. Chiedo ai teologi presenti che non mi denuncino al Sant’Uffizio né all’Inquisizione, però forzando l’argomento oserei dire che il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato.
Di fronte a questo abbraccio di misericordia – e continuo secondo le linee del pensiero di Giussani – viene proprio voglia di rispondere, di cambiare, di corrispondere, sorge una moralità nuova. Ci poniamo il problema etico, un’etica che nasce dall’incontro, da quest’incontro che abbiamo descritto fino ad ora. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, lo sforzo di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sfida solitaria di fronte al mondo. No. La morale cristiana è semplicemente risposta. È la risposta commossa davanti a una misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta” (riprenderò questo aggettivo).

La misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta”, con criteri puramente umani, di uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e lo stesso mi vuole bene, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me e attende da me. Per questo la concezione cristiana della morale è una rivoluzione, non è non cadere mai ma alzarsi sempre.
Come vediamo, questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. Inganni. E neppure con il pelagianismo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianismo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi.

Bergoglio a una Messa Missionaria in piazza a Buenos Aires

Gesù lo si incontra, analogamente a 2000 anni fa, in una presenza umana, la Chiesa, la compagnia di coloro che Egli assimila a sé, il Suo corpo, il segno e sacramento della Sua presenza. Leggendo questo libro, uno rimane stupefatto e pieno di ammirazione davanti a un rapporto così personale e profondo con Gesù, e gli sembra che sia difficile per lui. Quando dicono a don Giussani: «Che coraggio bisogna avere per dire sì a Cristo!» oppure: «A me nasce questa obiezione: si vede che don Giussani ama Gesù e io invece non lo amo allo stesso modo». Lui risponde: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me… Dire sì a Gesù. Se io prevedessi domani di offenderlo mille volte, lo dico». Quasi testualmente, Teresa di Lisieux ripete la stessa cosa. «Lo dico, perché se non dicessi “sì” a Gesù non potrei dir “sì” alle stelle del cielo o ai capelli, ai vostri capelli…». Non c’è niente di più semplice: «Io non lo so com’è, non so come sia: so che io debbo dire “sì”. Non posso non dirlo». E ragionevolmente, ossia, ogni momento Giussani nella riflessione di questo libro ricorre alla ragionevolezza dell’esperienza.


Si tratta di iniziare a dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso. È impossibile desiderarlo senza chiederlo. E se uno incomincia a chiederlo, allora incomincia a cambiare. D’altra parte, se uno lo chiede è perché nel profondo del suo essere si sente attratto, chiamato, guardato, atteso. La esperienza di Agostino: là dal fondo dell’essere qualcosa mi attrae verso qualcuno che mi ha cercato per primo, mi sta aspettando per primo, è il fiore di mandorlo dei profeti, il primo che fiorisce in primavera. È quella qualità che ha Dio e che mi permetterò di definire con una parola di Buenos Aires: Dio, Gesù Cristo in questo caso, sempre ci primerea, ci anticipa. Quando arriviamo, ci stava già aspettando.


Colui che incontra Gesù Cristo sente l’impulso di testimoniarlo o di dar testimonianza di quello che ha incontrato, e questa è la vocazione cristiana: andare e dare testimonianza. Non si può convincere nessuno. L’incontro accade. Che Dio esiste lo si può provare, però attraverso la via del convincimento mai potrai ottenere che qualcuno incontri Dio. Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d’oggi, sempre primeggia la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto.