domenica 26 maggio 2019

EUROPEISTI CONTRO SOVRANISTI: IL GRANDE EQUIVOCO ALLA BASE DELLE ELEZIONI EUROPEE



 ROBI RONZA

C’è un grande equivoco alla base delle elezioni europee. Metterlo in luce forse non serve molto per decidere come votare, ma di certo sarà utile per comprendere che cosa accadrà dopo.
Una sfida cruciale tra “europeisti” e “sovranisti”: così la grande macchina del circo mediatico in Italia, ma anche in buona parte del resto d’Europa, sta raccontando le imminenti elezioni. Se però si rompe la crosta dei luoghi comuni imposti dall’ordine costituito ci si accorge che non è questa la vera posta in gioco. E’ un tratto tipico di tale ordine costituito, presunto liberale ma in effetti ricco di venature giacobine, spacciare l’avversario politico non come qualcuno che in buona fede può pensarla diversamente, bensì come uno stupido in mala fede. A tal fine è di aiuto mettergli in testa un cappello con le orecchie d’asino. Nel caso specifico questo segno di ignominia sono gli epiteti di “sovranista” e di “populista”: neologismi disinvoltamente ricavati – osserviamo per inciso — da parole come sovranità e popolo, che fino a  poco tempo fa erano invece sacrosante.

Secondo quanto esce da quasi ogni bocca e ogni tromba del circo mediatico di cui si diceva, i sovranisti sono contro e gli europeisti invece  sono a favore dell’Europa.  In realtà basta andare a vedere e sentire che cosa dicono loro, e non che cosa si dice  che dicano,  per accorgersi che i sovranisti non sono così sciocchi da credere che oggi si possa fare a meno di qualche forma  di unione dell’Europa. E’ ovvio anche per loro che l’Unione Europea è ormai una necessità storica di cui non è più possibile fare a meno. Però la vogliono diversa. Pongono cioè la domanda “Europa sì, ma quale?” che invece per gli europeisti è inaccettabile a priori. Agli occhi dei cosiddetti europeisti, infatti, c’è un’Europa sola, quella che hanno voluto loro.
Si potrà poi discutere sull’Europa che i sovranisti vogliono, ma resta il fatto che in democrazia non si può pretendere che l’ordine costituito delle attuali istituzioni europee sia intoccabile. Invece è proprio questa, dicevamo, la pretesa degli europeisti. Conviene allora andare a vedere che cosa vi sia dietro tale pretesa.  La scoperta del segreto non è difficile poiché in realtà non si tratta di un segreto, ma semplicemente di qualcosa che viene discusso ad alto livello, ma non raggiunge la comunicazione di massa.  Ormai da decenni le élite europee cosiddette liberali (ma che poi sono ben poco tali), non sperando più di poter raccogliere democraticamente il consenso popolare, puntano allo spostamento della sostanza del potere politico dagli Stati, che in Occidente sono ormai tutti democratici, a organizzazioni internazionali strutturate in forma neo-autoritaria; beninteso sulla base di modelli nuovi, non truci come quelli della seconda metà del secolo XX, bensì sottili o molto raffinati in quanto a tecniche di organizzazione del consenso.
E’ questo tipicamente il caso dell’Unione Europea nella forma in cui è stata sviluppata in forza dei trattati di Maastricht e di tutti i loro derivati. Attraverso  di essa la democrazia degli Stati membri viene assoggettata a quelli che l’economista e poi ministro del Tesoro Guido Carli (1914-1993), uno dei maggiori teorici di tale filosofia politica, definì i “vincoli esterni”.  E in particolare “il «vincolo esterno» dell’Europa che”, affermava Guido Carli, “ci difende anche da noi stessi. Ci protegge innanzitutto dai nostri politici, gli attuali e i predecessori (…)”.  Insomma, osserviamo noi, ci libera… dal male della democrazia.
Quella di domenica prossima non è la battaglia tra la luce e le tenebre. Come ahimè spesso accade nella vita pubblica, ma non solo, si tratta di scegliere il meglio del peggio. Al di qua o al di là della linea di demarcazione ufficiale tra i cosiddetti europeisti e i cosiddetti sovranisti va bene  chiunque voglia davvero cambiare alla radice l’attuale “Europa”.

E che quindi abbia il coraggio di rimettere in discussione i trattati europei e di ripensarli tenendo conto della grande eredità storica dell’Europa, sua prima risorsa, della sussidiarietà autentica (non di quella falsa dei trattati vigenti) e del riconoscimento del primato della persona e della società civile.

PAPA FRANCESCO:”MAI ELIMINARE UNA VITA UMANA NÉ AFFITTARE UN SICARIO PER RISOLVERE UN PROBLEMA”.



 DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO SUL TEMA “YES TO LIFE!”
Roma, Sala Clementina,  Sabato 25 maggio 2019 

Saluto i partecipanti al Convegno internazionale “Yes to Life! Prendersi cura del prezioso dono della vita nella fragilità”, organizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e dalla Fondazione “Il Cuore in una Goccia”, una delle realtà che nel mondo si adoperano ogni giorno per accogliere alla nascita bambini in condizioni di estrema fragilità. Bambini che, in taluni casi, la cultura dello scarto definisce “incompatibili con la vita”, e così condannati a morte.

l'aborto è come affittare un sicario per risolvere un problema

Ma nessun essere umano può essere mai incompatibile con la vita, né per la sua età, né per le sue condizioni di salute, né per la qualità della sua esistenza. Ogni bambino che si annuncia nel grembo di una donna è un dono, che cambia la storia di una famiglia: di un padre e di una madre, dei nonni e dei fratellini. E questo bimbo ha bisogno di essere accolto, amato e curato. Sempre! Anche quando piangono, come quello [applausi]. Forse qualcuno potrà pensare: “Ma, fa rumore…portiamolo via”. No: questa è una musica che tutti noi dobbiamo ascoltare. E dirò che ha sentito gli applausi e si è accorto che erano per lui.  Bisogna ascoltare sempre, anche quando il bambino ci dà un po’ fastidio; anche in chiesa: che piangano i bambini in chiesa! Lodano Dio. Mai, mai cacciare via un bambino perché piange. Grazie per la testimonianza.

Quando una donna scopre di aspettare un bambino, si muove immediatamente in lei un senso di mistero profondo. Le donne che sono mamme lo sanno. La consapevolezza di una presenza, che cresce dentro di lei, pervade tutto il suo essere, rendendola non più solo donna, ma madre. Tra lei e il bambino si instaura fin da subito un intenso dialogo incrociato, che la scienza chiama cross-talk. Una relazione reale e intensa tra due esseri umani, che comunicano tra loro fin dai primi istanti del concepimento per favorire un reciproco adattamento, man mano che il piccolo cresce e si sviluppa. Questa capacità comunicativa non è solo della donna, ma soprattutto del bimbo, che nella sua individualità provvede ad inviare messaggi per rivelare la sua presenza e i suoi bisogni alla madre. È così che questo nuovo essere umano diventa subito un figlio, muovendo la donna con tutto il suo essere a protendersi verso di lui.

Oggi, le moderne tecniche di diagnosi prenatale sono in grado di scoprire fin dalle prime settimane la presenza di malformazioni e patologie, che a volte possono mettere in serio pericolo la vita del bambino e la serenità della donna. Il solo sospetto della patologia, ma ancor più la certezza della malattia, cambiano il vissuto della gravidanza, gettando le donne e le coppie in uno sconforto profondo.(...)

Tali possibilità e conoscenze devono essere messe a disposizione di tutti per diffondere un approccio scientifico e pastorale di accompagnamento competente. Per questo, è indispensabile che i medici abbiano ben chiaro non solo l’obiettivo della guarigione, ma il valore sacro della vita umana, la cui tutela resta il fine ultimo della pratica medica. La professione medica è una missione, una vocazione alla vita, ed è importante che i medici siano consapevoli di essere essi stessi un dono per le famiglie che vengono loro affidate: medici capaci di entrare in relazione, di farsi carico delle vite altrui, proattivi di fronte al dolore, capaci di tranquillizzare, di impegnarsi a trovare sempre soluzioni rispettose della dignità di ogni vita umana.

(…) Purtroppo la cultura oggi dominante non promuove questo approccio: a livello sociale il timore e l’ostilità nei confronti della disabilità inducono spesso alla scelta dell’aborto, configurandolo come pratica di “prevenzione”. Ma l’insegnamento della Chiesa su questo punto è chiaro: la vita umana è sacra e inviolabile e l’utilizzo della diagnosi prenatale per finalità selettive va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica, che sottrae alle famiglie la possibilità di accogliere, abbracciare e amare i loro bambini più deboli. Delle volte noi sentiamo: “Voi cattolici non accettate l’aborto, è il problema della vostra fede”.

No: è un problema pre-religioso. La fede non c'entra.  Viene dopo, ma non c'entra: è un problema umano. È un problema pre-religioso. Non carichiamo sulla fede una cosa che non le compete dall’inizio. È un problema umano. Soltanto due frasi ci aiuteranno a capire bene questo: due domande. Prima domanda: è lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema? Seconda domanda: è lecito affittare un sicario per risolvere un problema? A voi la risposta. Questo è il punto. Non andare sul religioso su una cosa che riguarda l’umano. Non è lecito. Mai, mai eliminare una vita umana né affittare un sicario per risolvere un problema.

L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano. Piuttosto sono la paura della malattia e la solitudine a far esitare i genitori.(...)  A me viene in mente una storia che io ho conosciuto nella mia altra Diocesi. C’era una ragazzina di 15 anni down che è rimasta incinta e i genitori erano andati dal giudice per chiedere il permesso di abortire. Il giudice, un uomo retto sul serio, ha studiato la cosa e ha detto: “Voglio interrogare la bambina”. “Ma è down, non capisce…” “No no, che venga”. È andata la ragazzina quindicenne, si è seduta lì, ha incominciato a parlare con il giudice e lui le ha detto: “Ma tu sai cosa ti succede?” “Sì, sono malata…” “Ah, e com’è la tua malattia?” “mi hanno detto che ho dentro un animale che mi mangia lo stomaco, e per questo devono fare un intervento” “No… tu non hai un verme che ti mangia lo stomaco. Tu sai cos’hai lì? Un bambino!” E la ragazza down ha fatto: “Oh, che bello!”: così. Con questo, il giudice non ha autorizzato l’aborto. La mamma lo vuole. Sono passati gli anni. È nata una bambina. Ha studiato, è cresciuta, è diventata avvocato. Quella bambina, dal momento che ha capito la sua storia perché gliel’hanno raccontata, ogni giorno di compleanno chiamava il giudice per ringraziarlo per il dono della nascita. Le cose della vita. Il giudice è morto e adesso lei è diventata promotore di giustizia. Ma guarda che cosa bella! L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano.

Grazie, dunque, a tutti voi che lavorate per questo. E grazie, in particolare, a voi famiglie, mamme e papà, che avete accolto la vita fragile – la parola fragilità va sottolineata – perché le mamme, e anche le donne, sono specialista in fragilità: accogliere la vita fragile; e che ora siete di sostegno e aiuto per altre famiglie. La vostra testimonianza d’amore è un dono per il mondo. Vi benedico e vi porto nella mia preghiera. E vi chiedo per favore di pregare per me.
Grazie!



mercoledì 22 maggio 2019

NON E' SALVINI


In questi giorni sta divampando la polemica sui politici, es. Salvini, ed il riferimento a Dio ed alla religione da loro fatto. A tal proposito, riprendo questo articolo del dott. Domenico Airoma, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Napoli Nord, e Vice Presidente Centro Studi “Rosario Livatino”.
È un intervento che mette in evidenza qualcosa di più profondo che la semplice e spicciola polemica del politico di turno che nomina Dio.(Tratto dal blog di Sabino Paciolla)

No, non è Matteo Salvini il problema. Salvini, in realtà, ha solo fatto venir fuori una questione molto più seria, che riguarda il rapporto fra religione e politica.
Se è vero che «Dio è di tutti», come ha ammonito il cardinale Pietro Parolin, è anche vero che non tutti gli uomini politici intendono essere di Dio; anzi, gli uomini che hanno patito i campi di concentramento nazionalsocialisti ed il GuLag comunista, così come oggi il povero Vincent Lambert in Francia, non sono altro che le icone sanguinanti di un Cesare che si è fatto Dio. Ed è altrettanto vero che ancor meno sono gli uomini politici che confessano pubblicamente di non estromettere Dio e i Suoi diritti dall’orizzonte del bene comune. Sicché quando il nome di Dio viene evocato da un uomo politico, il clamore è inevitabile e il sospetto che quel nome sia stato pronunziato invano altrettanto legittimo.
Invocare Dio da parte di chi è chiamato a governare «è sempre molto pericoloso», dice ancora una volta il cardinale Parolin. Ma perché? Che succede quando un uomo politico dichiara pubblicamente di tenere in conto Dio nell’esercizio delle proprie funzioni?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2147, è molto chiaro: «Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l’onore, la fedeltà, la veracità e l’autorità divine. Esse devono essere mantenute, per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio e, in qualche modo, a fare di Dio un bugiardo». Insomma, se è vero che la gravità di una promessa si misura dal soggetto che la subisce, altrettanto può dirsi per una promessa non mantenuta quando viene fatta a Dio. Il quale non si lascia ingannare, magari pensando che basti istituire un ministero per la Famiglia, e dinanzi al quale è difficile giustificarsi appellandosi al “contratto di governo”.
Ma la questione, come detto, è molto più seria. E non a caso divide i cattolici e non solo. Perché non è solo la politica partitica che divide. Ciò che divide è il fine della politica e, quindi, il fine del governo della cosa pubblica. Perché se davvero Dio deve essere di tutti, allora la questione è come rispettare il piano di Dio sugli uomini, cioè fare in modo che le istituzioni rispettino, innanzitutto, la legge che è scritta nel cuore degli uomini.
«Non si tratta di per sé di imporre particolari “valori confessionali”, ma di concorrere alla tutela di un bene comune che non perda di vista il riferimento vincolante della ‘sfera pubblica’ alla verità della persona e alla dignità della convivenza umana», come ha ricordato la Commissione Teologica Internazionale nel recente documento La libertà religiosa per il bene di tutti, approvato da Papa Francesco. Ed è proprio questo che divide: prendere atto che la modernità ideologica ha fallito pretendendo di costruire un mondo contro Dio che è finito che ritorcersi contro l’uomo, oppure continuare a flirtare con questo mondo, illudendosi – i cristiani in primis di potersi concepire «come membri di una “società neutrale” che, nei principi e nei fatti, non lo è», avverte ancora la Commissione Teologica.
In definitiva, la questione è se il fine della politica, e del cristiano in politica, sia la civiltà cristiana oppure un filantropismo annacquato, che può servire, forse, per fare propaganda per l’otto per mille. Che però non convince. Non scalda i cuori. Non spinge a costruire cattedrali.

FINE DELLA CENSURA ITALIANA SULL'ABORTO IN USA


ROBI RONZA

Improvvisamente è saltato il tappo della censura che la stampa italiana da sempre applicava alla questione dell’aborto negli Usa. E’ circa dal 2000 che l’opposizione all’aborto legale sta crescendo con forza negli Stati Uniti, e oggi tutti i sondaggi indicano che vi si oppone circa la metà degli americani. In Italia però il proverbiale uomo della strada non poteva saperlo perché in pratica la totalità dei giornali e dei telegiornali mai gliene aveva data notizia.

KAY IVEY, Governatore Alabama, firma la legge
Ogni anno, il 22 gennaio, nel pieno dell’inverno che a Washington è rigidissimo, ha luogo nella capitale americana un’imponente manifestazione popolare di protesta  nell’anniversario della sentenza della Corte Suprema che nel 1973 impose la legalizzazione dell’aborto, ma i nostri telegiornali si guardano bene dal mostrarcela. Non trovano opportuno farci sapere che l’opposizione all’aborto, una cosa da paese arretrato e cattolico come l’Italia, stia dilagando in un paese moderno e per lo più protestante come gli Stati Uniti.
Sorprende perciò che qualche giorno fa all’improvviso il tappo di tale censura sia saltato.

Sono ormai diversi  gli Stati degli Usa che con proprie leggi hanno posto limiti all’aborto. Nell’Ohio non si può più addurre la sindrome di Down del feto come motivo legittimo per abortirlo, nel Wisconsin è stata varata una legge che obbliga a rianimare i feti abortiti ma ancora in vita, in Louisiana non si può più praticare legalmente l’aborto dal momento in cui comincia a essere percettibile il battito cardiaco del feto; e così via. 

Di tutti questi sviluppi il pubblico italiano era stato accuratamente tenuto all’oscuro finché, chissà perché, la notizia della legge varata nell’Alabama ha fatto saltare il tappo.  All’improvviso anche da noi al grande pubblico è concesso di sapere che negli Stati Uniti si sta ridiscutendo l’aborto, anche se lo si fa distorcendo la notizia  in tutto il possibile.
Per esempio spesso non dicendo che il governatore che ha  voluto e firmato la legge non è un uomo ma una donna, il che taglia alla radice il solito argomento del no all’aborto come prevaricazione dell’uomo sulla donna.  Per esempio scrivendo che la legge votata nell’Alabama condanna all’ergastolo la donna che abortisce, mentre in realtà condanna  chi pratica l’aborto mentre non prevede pena alcuna per la donna che lo subisce.

Per dare però un’idea di quanto soffra la stampa “illuminata” nel dare queste informazioni basti citare il caso neanche de la Repubblica bensì nientemeno che del 24 Ore, l’austero quotidiano economico vicino alla Confindustria.  Nel suo sito, nell’ambito di una rubrica chiamata con involontario umorismo «In famiglia», in una nota del titolo “Assalto al diritto all’aborto nell’epoca di Trump” si è lamentato il fatto che negli Usa non si ferma “l’onda anomala delle leggi antiaborto”.

Vale allora la pena di ricordare che negli Stati Uniti l’aborto venne legalizzato in tutto il Paese in forza non di un voto del Congresso, ossia del Parlamento federale (che non ha competenza in materia), bensì appunto di una sentenza della Corte Suprema. Fino a quel momento l’aborto era illegale senza eccezioni in 30  Stati su 50, e consentito in altri 16 solo in caso di stupro, incesto o minaccia alla salute della madre. Era legale con poche eccezioni soltanto in 4 Stati tra cui più o meno incondizionatamente nel solo Stato di New York.  Il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema ne impose invece in tutto il Paese la legalizzazione entro un “trimestre” dal concepimento autorizzando gli Stati a porre dei limiti solo riguardo ai susseguenti sei mesi di gravidanza.
Da un  sondaggio Gallup dello scorso 2018 risulta che oggi il 48 % degli americani ritiene l’aborto moralmente inaccettabile, mentre solo il 43% lo ritiene invece moralmente accettabile. E solo il 26% lo ritiene lecito in qualsiasi circostanza.

Ciò che il 24 Ore definisce “onda anomala” è insomma quella che nei bei tempi andati era nota col nome di democrazia.

20 MAGGIO 2019

lunedì 20 maggio 2019

MONS. CREPALDI: L’EUROPEISMO È UNA IDEOLOGIA



  

Mons. Giampaolo Crepaldi | Vescovo di Trieste


"L'IDEOLOGIA EUROPEISTA HA A CUORE IL MALE COMUNE"

Pubblichiamo la lectio magistralis dell'Arcivescovo di Trieste monsignor Giampaolo Crepaldi, su "Europa, processo di unificazione europea, Unione Europea: una valutazione dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa", pronunciata sabato mattina nel corso della Seconda Giornata della Dottrina sociale della Chiesa. L'evento, promosso dalla Nuova BQ e dall'Osservatorio Van Thuan si è svolto al teatro Rosetum di Milano, è stato dedicato all'Europa.

In questo intervento Mons. Crepaldi ci mostra come Europa non sia sinonimo di Unione Europea: infatti il principio del bene comune e quello della sussidiarietà (ma anche altri principi, come l’origine e il fondamento dell’autorità, il posto di Dio nel mondo, la concezione della persona umana, il giudizio sulla democrazia e così via), sono stati radicalmente modificati dalla nuova religione civile, l’europeismo, alternativa e contraria alla religione cristiana. Si tratta di una ideologia che non viene proposta ma per molti versi imposta da un apparato – potremmo dire con Gramsci da un “blocco storico” – sovranazionale.


Sono molto contento di essere presente anche quest’anno alla Giornata della Dottrina sociale della Chiesa, per due motivi. Prima di tutto perché, come sapete, gran parte della mia attività a servizio della Chiesa, anche come vescovo, si è svolta su questo fronte. Secondariamente perché il nostro Osservatorio, dedicato alla memoria del Cardinale Van Thuân, considera estremamente urgente che la Chiesa si riappropri di questo suo patrimonio e lo faccia valere in pubblico. Su questo il nostro Osservatorio e La Nuova Bussola Quotidiana concordano ... da qui questa Giornata, giunta alla sua seconda edizione.

L’Osservatorio ha dedicato al tema di questa giornata – l’Europa – uno dei suoi ultimi Rapporti annuali sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo che portava questo titolo: “Europa: la fine delle illusioni”. Quando però si dice “Europa” cosa si intende? Su questo punto essenziale il discorso potrebbe essere molto lungo, io mi limito a distinguere l’Europa, come modello storico di convivenza tra i popoli, e l’Unione Europea, come una modalità di unificazione sovrastatale avente le caratteristiche che sono sotto gli occhi di tutti.
Attenzione, però: può risultare molto facile – e quindi semplicistico – criticare l’Unione Europea
considerandola come un guaio – o Il Guaio per l’Europa. Il titolo del nostro Rapporto richiamava la “fine delle illusioni”: ma per l’Unione Europea o per l’Europa?

Per rispondere può essere utile fare ciò che mi accingo a fare ora: vorrei considerare i due concetti appena visti di Europa e di Unione Europea alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Compito molto vasto, ma ci accontenteremo di qualche breve cenno.

UN BENE E UN FINE
Se per esempio prendiamo il principio del bene comune, così come lo intende la Dottrina sociale della Chiesa, vediamo che esso è nato in Europa e con l’Europa è connaturato. L’Europa nasce come respublica cristiana e intende il bene comune come avente un carattere morale, finalistico, analogico e verticale, incentrato sul diritto naturale fondato, sostenuto e avvalorato dal diritto divino.
Se, invece consideriamo l’Unione Europea notiamo non solo che ha una visione diversa del bene comune, ma addirittura che non ha nessuna visione del bene comune perché non possiede più le categorie di ragione e di fede per fondarlo adeguatamente.
L’Unione Europea intende il bene comune in senso operativo e funzionale, oppure come somma del soddisfacimento dei desideri individuali, oppure come l’uso comune dei beni collettivi, oppure come bene pubblico ossia il bene dello Stato o dell’apparto politico.
Spesso queste riduzioni del bene comune sfociano in una prassi istituzionale direttamente demolitrice del bene comune e quindi più negativa ancora. Per esempio, nel campo della
biopolitica dobbiamo constatare frequenti pressioni delle istituzioni europee (sia intese come Unione Europea che come Consiglio d’Europa) sugli Stati membri perché aprano la loro legislazione ai cosiddetti “nuovi diritti”, che vengono considerati come elementi del bene comune mentre sono elementi del male comune.

Se esaminiamo il principio di sussidiarietà, pure vediamo la sua connaturalità con l’Europa, che nacque come “comunità di comunità”, come scrisse con efficace immagine lo storico Cristopher Dawson. Si può dire con linguaggio odierno che essa nacque “dal basso” e si strutturò in una serie coordinata ed analogica di livelli di autonomie secondo appunto quel principio. Ciò riuscì a sopravvivere, anche se ormai a fatica, fino alla prima guerra mondiale: l’impero austroungarico era ancora strutturato in questo modo. Non lo era, certo, lo Stato napoleonico il cui modello venne poi impiantato in tutta Europa. Ma questa è un’altra storia, che era cominciata molto prima, già con il Defensor Pacis di Marsilio da Padova nel XIV secolo e l’idea che il sovrano dovesse operare una sorta di reductio ad unum dei cittadini, impostazione confermata poi da Lutero, da Bodin, da Hobbes e da Roussseau. Non va dimenticato che su Marsilio, e quindi su tutto questo filone, agì
l’averroismo eterodosso, e qui si apre un’altra storia su cui tornerò in seguito. Nell’attuale Unione Europea, a cominciare dal Trattato di Maastricht, il principio di sussidiarietà è inteso solo in senso funzionale e operativo, avendo l’Unione assunto il modello politico dello Stato moderno più che quello dell’Impero. Se non ne è nato un superStato europeo ci siamo andati comunque molto vicini. Le intromissioni dal centro alla periferia non si contano ed anche Bruxelles, a suo modo, si è proposta di realizzare la sua reductio ad unum dei popoli europei e dei cittadini europei.

UNA SANA LAICITA'...EUROPEA
Se esaminiamo il concetto di sana (o legittima) laicità proprio della Dottrina sociale della Chiesa, e quindi il problema del rapporto tra politica e religione, vediamo che la sua giusta impostazione nasce con l’Europa. La respublica christiana europea non sovrapponeva politica e religione cristiana e non le separava. Come disse Benedetto XVI al Bundestag di Berlino nel 2011, mai il cristianesimo impose una legislazione politica direttamente derivante dalla rivelazione, ma fondò l’autorità politica e l’ordine politico sul diritto naturale, il quale certamente fa anche riferimento al Creatore e quindi postula il rapporto (indiretto) con la religione cristiana, ma le due cose non
coincidono in quanto il diritto naturale rimane oggetto anche della sola ragione, purché si sforzi di essere “retta”. Non c’è dubbio che l’Europa conobbe anche le guerre di religione, ma ciò concise con la fine della respublica christiana e quindi con la fine di un corretto rapporto tra religione e politica. Ciò comportò non già la neutralità della politica dalla religione, ma che la ragion di Stato diventasse a sua volta una religione.

IL PRIMATO DI DIO NEL MONDO
Lo Stato moderno come Summum artificium (Hobbes) sapeva di non potersi reggere senza una religione civile, alternativa e contraria alla religione cristiana. Anche oggi, capita così, e capita così anche per l’Unione Europea, la quale si presenta come neutra dalla religione e dalle religioni, però di fatto porta avanti la nuova religione dell’indifferenza alla religione e dell’europeismo come ideologia assoluta.
L’Unione Europea intende bandire dallo spazio pubblico qualsiasi significato assoluto e non si accorge che così facendo impone un nuovo significato assoluto, quello secondo il quale nello spazio pubblico non può esistere nessun significato assoluto. La Dottrina sociale della Chiesa non può accettare l’indifferenza religiosa, perché comporterebbe la traslazione di se stessa da verità ad opinione, cosa che essa non può accettare pena la sua insignificanza.


Mi sono soffermato su questi tre principi – il bene comune, la sussidiarietà, la corretta laicità – per essere breve, ma è evidente che essi sono collegati con altri principi, come l’origine e il fondamento dell’autorità, il posto di Dio nel mondo, la concezione della persona umana, il giudizio sulla democrazia e così via.

 In tutti questi settori, se usiamo come lente la Dottrina sociale della Chiesa, notiamo che l’Europa e l’Unione Europea si contraddicono, al punto che per avere questa Unione Europea occorre rinunciare ad aspetti importanti dell’Europa. Il più importante è il posto di Dio nel mondo, come ripetutamente (e dolorosamente) invocato da Giovanni Paolo II e, a suo modo, da Benedetto XVI. L’Europa nasce con questo elemento costitutivo: la centralità di Dio nel mondo. Solitamente si dice che nell’Europa sono presenti molti influssi culturali e religiosi, il che è vero. Ma tutti sono stati assunti e purificati dal cristianesimo. L’Europa, alla fine, consiste in questo. Ciò vale anche per la cultura islamica. Non c’è dubbio che anche essa sia presente nella storia dell’Europa, ma la cosa va molto ridimensionata rispetto all’interpretazione corrente. Se prendiamo, per esempio, l’introduzione in Europa del pensiero di Aristotele da parte dei Commentatori arabi, primo fra
tutti Averroè, dobbiamo notare: a) che si trattava di un aspetto assolutamente marginale ed anomalo rispetto alla cultura musulmana nel suo insieme, b) che da quella mediazione derivò anche un pensiero politico eterodosso, combattuto dal cristianesimo ortodosso, che produsse molti danni rompendo l’armonia tra religione e politica. I molti fenomeni distruttivi dell’Europa derivano tutti, in vario grado, dalla estromissione del Dio cristiano dalla pubblica piazza, ossia dalla cultura e dalla vita sociale e politica.

L'EUROPA NON CREDE PIU' A NULLA
Vorrei a questo punto tornare al problema evidenziato all’inizio di questo mio intervento. Benedetto XVI ha detto che l’Europa odia se stessa, Remi Brague ha affermato che l’Europa non crede più in nulla, Gianni BagetBozzo aveva detto che l’Europa si considera una colpa ed è stretta tra nichilismo e islam, Walter Laqueur sostiene che l’Europa sta vivendo i suoi ultimi giorni, Giulio Meotti che si suicida ed è alla fine e Jürgen Habermas che è in crisi. Torna però la domanda: costoro si riferiscono all’Europa o all’Unione Europea nel suo attuale stato di realizzazione? É quest’ultima ad essere estenuata e in fase terminale oppure ad essere in questo stato è quanto normalmente, anche se ambiguamente, viene chiamato lo “spirito europeo” di cui sopra ho tratteggiato alcune caratteristiche? La risposta a questa domanda è molto importante, perché
diagnostica il male e, quindi, pone le basi per la terapia, dicendoci dove si deve intervenire con urgenza.

Vorrei esprimere a questo proposito alcune valutazioni conclusive.

VENTOTENE E L'EUROPEISMO
Che il processo di unificazione sovrastatale abbia preso una piega non condivisibile è indubbio, proprio alla luce delle esigenze sia dell’Europa che della Dottrina sociale della Chiesa viste sopra. Solo il fatto che l’Unione Europea sia il principale finanziatore dell’aborto nel mondo la dice lunga a questo proposito. Esiste l’ideologia dell’europeismo, portata avanti da molte forze politiche, dalle élite intellettuali del vecchio continente e da ampi strati dell’apparato funzionalistico dell’Unione Europea che opera per cooptazione.
Questa ideologia dell’europeismo ha una visione della persona e della vita sociale non condivisibile dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Si tratta di una ideologia che non viene proposta ma per molti versi imposta da un apparato – potremmo dire con Gramsci da un “blocco storico” – sovranazionale.

Questa evidenza, però, non deve farci perdere di vista che non si è trattato solo di una cappa imposta esovrapposta ad un’Europa inconsapevole. L’ideologia europeista –individualista, irreligiosa, relativista, “borghese allo stato puro” direbbe Del Noce – è cresciuta e maturata nell’Europa.
Se bisogna riconoscere che le istituzioni europee hanno fatto da volano a questa ideologia, va anche riconosciuto che essa c’era anche prima e ha condizionato dal basso lo stesso processo di unificazione, che ne è, in un certo senso, la causa, ma anche il frutto.
La cultura europea si è staccata dall’Europa come sopra l’abbiamo descritta e il processo di unificazione nell’Unione Europea ha espresso questo distacco, a sua volta accelerandolo.
Possiamo dire che i due percorsi sono stati sinergici, producendo significativi effetti, pur se dannosi.
Se questa mia analisi è fondata, ne deriva che è senz’altro indispensabile dedicare attenzione critica ed azione correttiva nei confronti dell’Unione Europea (non essendo un politico non voglio entrare qui nella “misura” di questa attenzione critica e azione correttiva), ma è anche insufficiente, bisogna infatti riprendere in mano l’Europa.

Attenzione però all’ambiguità dello slogan “+ Europa”. Se con queste parole si intende più Unione
Europea non mi sentirei di suggerire di porsi su questa strada, almeno finché l’Unione rimane come è adesso. Se invece significa “+ Europa” nel senso dell’anima del continente, allora bisogna chiedersi “per quale Europa”? e adoperarsi per l’Europa della Dottrina sociale della Chiesa e non per l’Europa del Manifesto di Ventotene.
Rallentare questo processo di unificazione da un lato (ripeto: non entro nelle modalità politiche di questa operazione) e animare forze autenticamente europee dall’altro. Frenare l’Unione Europea per avere il tempo e lo spazio per costruire più Europa nel senso della sua vera natura e della sua vera storia. In questo contesto si colloca anche una equilibrata valutazione della questione delle sovranità e dei sovranismi, su cui la Dottrina sociale della Chiesa ha molto da dire.

Frenare la cessione di sovranità all’Unione da parte degli Stati ed eventualmente recuperarne, può avere senso se serve a distribuire sovranità sussidiaria al di sotto degli Stati: viceversa sarebbe un sovranismo ugualmente criticabile.

Concludo con una citazione. Nel suo ottimo libro Le metamorfosi della Città di Dio, Étienne Gilson dedica un capitolo anche all’Europa. Dapprima egli fa notare ciò che di solito anche noi ci troviamo a dire: “Vi è chi cerca di dare un corpo all’Europa, ma di che cosa vivrà questo corpo, se non gli diamo un’anima?”. Credo che voi concorderete che spesso anche noi diciamo così. Ma poi Gilson rovescia la prospettiva, dicendo: “Quando sarà pronto, il corpo dell’Europa avrà la sua anima, e dopo averla vista vivere i posteri sapranno di cosa si tratta”.
Ecco il problema: far vivere la vera Europa.

domenica 19 maggio 2019

CESENA LA SVOLTA EPOCALE


EMANUELE CHESI

Comunque vada, per Cesena sarà una svolta epocale: la fine dell'egemonia del Pd dopo il doppio mandato di Paolo Lucchi, piglio manageriale e presa ferrea sul partito, un cursus honorum vecchio stile dalla segreteria del Pci alla direzione di Confesercenti passando per il Consiglio regionale. 

Tendenza egemonica sfociata nell'autosufficienza di una giunta monocolore, inossidabile nonostante gli strali da destra e da sinistra, le dimissioni di un assessore accusato di conflitto d'interesse, le manifestazioni di piazza, i comitati e le raccolte di firme. Contestazioni tra le più svariate, dalla pedonalizzazione di piazza della Libertà al taglio dei lecci dinanzi alla Biblioteca Malatestiana. 

La seconda capitale di una provincia bicefala – ma Forlì è sempre più lontana, anche politicamente – dovrà cambiare pelle anche se il centrosinistra riuscisse a evitare di ammainare la bandiera. 

Sul piatto restano i temi centrali del dibattito politico di questi ultimi anni. Su tutti la desertificazione del centro storico e la sicurezza. Il primo è da sempre il punto dolente del confronto tra Pd e le opposizioni che imputano all'amministrazione uscente una politica di favoritismi verso la grande distribuzione, a partire dall'autorizzazione all'ampliamento del centro commerciale Montefiore. Lo scenario è così quello (per la verità comune a molti centri urbani) di un'epidemia di vetrine spente. L'accusa è quella di una scarsa accessibilità del cuore cittadino dovuta alla carenza di parcheggi e al rigore dei varchi di accesso alla Ztl controllati da telecamere.

L'allarme sicurezza, invece, risente sicuramente dell'onda d'urto nazionale, ma si incardina anche in un'obiettiva crescita dei furti nelle abitazioni e nei negozi. Il piano di videosorveglianza dell'amministrazione comunale (400 telecamere con una centrale operativa interconnessa anche a impianti privati) non è bastato a tacitare le critiche di sottovalutazione del problema. Cesena però sconta una carenza di organico delle forze di polizia: città delle sue stesse dimensioni, per il solo fatto di essere sede di questura, dispongono di un numero doppio di agenti.
 
ROSSI E LATTUCA
Per il Pd il successore designato di Lucchi è Enzo Lattuca, 31 anni, avvocato, ex deputato (il più giovane della storia repubblicana) nella precedente legislatura. Apparentemente un figlio della storia comunista trasmigrata nel Pd, subito entrato in collisione con la svolta renziana (abbracciata invece dal sindaco Lucchi), per lui bissare l'exploit di un'elezione al primo turno è pura illusione. Il Pd ha approntato un'alleanza mai così multicolore: c'è l'area ex Sel e Mdp nella lista “A Sinistra”, la lista civica “Cesena 2020” dell'assessore allo sport Christian Castorri, il Pri – che in Romagna resta una presenza significativa – e addirittura la lista dei Popolari capitanata da Gilberto Zoffoli, ex candidato sindaco del centrodestra alle precedenti elezioni. Una coalizione ampia che per forza di cose deve mostrare uno spericolato mix tra continuità e cambiamento. Per questo fa leva sul recupero del ruolo dei quartieri (finora a Cesena si è discusso molto di centro storico, commercio e parcheggi) e sul potenziamento del Welfare, con la proposta di rendere gratuito per tutti l'accesso alle scuole materne.

Il candidato sindaco della coalizione di centrodestra è invece Andrea Rossi, imprenditore e manager molto stimato in città, proprietario del Teatro Verdi, nessuna precedente esperienza politica. Si presenta con una sua lista civica in alleanza con Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia e Popolo della famiglia. Rossi punta molto sull'idea di alternativa alla gestione del potere marcata Pd, mette in primo piano la sua identità di civico oltre i partiti per smarcarsi dall'ipoteca dell'uomo forte leghista, il sottosegretario alla giustizia Jacopo Morrone. Gestione manageriale del municipio, ascolto delle categorie economiche e imprenditoriali e sicurezza sono tra i temi forti della campagna elettorale di Rossi.

La platea degli altri contendenti è particolarmente affollata. Quello che doveva essere uno dei protagonisti della contesa elettorale, il Movimento 5 Stelle, in virtù del 30% guadagnato alle ultime elezioni politiche, è rimasto impantanato in una lotta intestina. Il “bollino” di Di Maio a una delle due liste contrapposte è arrivato in extremis. La campagna elettorale del candidato sindaco grillino, il medico ed ex consigliere comunale Claudio Capponcini, è iniziata in salita. 
Particolarmente attiva è invece la lista civica “Cesena Siamo Noi” guidata da Vittorio Valletta, ex grillino e già consigliere comunale. Completano il quadro la lista civica “Cesena in Comune”, che candida sindaco l'ex consigliere comunale verde Davide Fabbri, la lista alternativa di sinistra “Fondamenta” con il giovane Luca Capacci e la lista di Casapound guidata dall'editore Antonio Barzanti.

Il dibattito elettorale finora si è arroventato attorno ai temi del “cambio di regime” (scontato per una città governata da mezzo secolo dalla sinistra) e della sicurezza. 
Si stenta a riconoscere nei programmi un'idea di futuro non stereotipata e soprattutto nessuno fa i conti con il possibile scenario di una Romagna, territorio integrato per eccellenza ma piagato dai municipalismi, governato a macchia di leopardo da diverse forze politiche. Se n'è avuta l'avvisaglia in Provincia, ormai un ectoplasma politico-amministrativo, dove i partiti di centrodestra hanno rifiutato di collaborare col centrosinistra nella gestione dell'ente. 
Oltre alle polemiche per la desertificazione del centro storico, qualche decina di milioni di euro di crediti inesigibili e la sconfitta nel processo contro un cittadino accusato di stalking (dopo aver presentato 200 esposti contro il Comune, tutti archiviati), il sindaco Paolo Lucchi lascia in eredità al suo successore un Campus universitario di prim'ordine da completare e un ospedale che è solo sulla carta ma ha già un finanziamento statale di 156 milioni: opere che per essere portate a termine necessiteranno di capacità politica, coesione del territorio e sintonia con la Regione.

Circolano già ampiamente sondaggi, ipotesi, previsioni. Il centrosinistra è stimato in partenza dieci punti avanti al centrodestra, ma decisamente lontano da una vittoria al primo turno. Il ballottaggio potrebbe allora rivelarsi un'opportunità più per Rossi che per Lattuca. La polemica anti-Pd che viene dalle altre liste spinge per quel “cambio di regime” che ormai è un mantra.

Emanuele Chesi
Direttore Carlino Edizione di Cesena
13/5/19
tratto da "rivista il mulino"