lunedì 30 novembre 2020

CANCEL CULTURE: I NUOVI COMITATI DI SALUTE PUBBLICI

Si chiama “cancel culture”: non “cultura della cancellazione”, ma “cancella la cultura”. E accomuna l’Isis ad un certo occidente

 

Iraq, museo di Mosul, febbraio 2015. Un gruppo di uomini barbuti in caftano distruggono a colpi di mazza statue e reperti archeologici risalenti al VII secolo a.C. Appartengono ai terroristi dell’Isis che hanno appena occupato la città e festeggiano così la riconquista islamica. Ogni raffigurazione delle false divinità deve essere schiantata, ogni loro ricordo deve cadere nell’oblio. L’obiettivo della furia iconoclasta islamista è cancellare il patrimonio culturale iracheno che dà un’identità al popolo ed è motivo di orgoglio nazionale. Distruggendolo si spezza un legame antico, si azzera un passato importante e si ammorbidisce la resistenza culturale all’ideologia islamista. Nell’eterno presente che si viene a creare ci deve essere spazio solo per l’Isis e la sua dottrina feroce.

Settanta anni prima a Berlino i nazisti si erano mossi sulla stessa linea coniando il termine di “entartete Kunst”, arte degenerata, con cui venivano censurate tutte le opere d’arte che riflettevano valori o estetiche contrarie alle concezioni naziste. I musei tedeschi furono purgati dalle opere espressioniste, dadaiste, surrealiste, cubiste e in generale tutti i lavori appartenenti ai movimenti artistici di avanguardia. In quel caso era la modernità, e non l’antichità come nel caso dell’Iraq contemporaneo, a fare da argine alla colonizzazione culturale nazista dell’animo tedesco.

Londra, New York, Chicago, estate 2020. Gruppi di estremisti sedicenti antifascisti, antirazzisti e anticapitalisti armati di mazze e spranghe invadono i parchi cittadini e buttano giù le statue di Cristoforo Colombo, George Washington, Thomas Jefferson e, in nome dell’anticolonialismo e dell’antirazzismo, imbrattano quella di Winston Churchill. Appartengono al movimento della cancel culture, un gruppo estremista che si prefigge di abbattere e distruggere tutto ciò che ricordi anche lontanamente il passato colonialista dei paesi occidentali.

Ufficialmente, a detta dei nuovi iconoclasti, l’azione vuole impedire di omaggiare figure storiche controverse, in realtà cancel culture va inteso con l’espressione “cancel” come verbo transitivo e il sostantivo “culture” come oggetto: cancellare la cultura quindi e non “cultura della cancellazione”. Secondo questi gruppi radicali, che stanno prendendo piede anche in Europa, in occidente donne, omosessuali, neri e profughi sarebbero perseguitati dalla maggioranza bianca e tenuti in soggezione culturale. Le statue dei vecchi colonialisti avrebbero la funzione di fortificare la sottomissione razziale mentre i libri degli scrittori bianchi servirebbero a rafforzare la soggezione culturale. Quindi entrambe le cose devono essere distrutte o, nel caso dei libri, riscritti secondo i canoni del politicamente corretto.

Si potrebbe obiettare che gli iconoclasti di oggi attaccano soprattutto immagini che hanno a che vedere con il passato colonialista e/o razzista di alcuni paesi. Sembrerebbero quindi prendersela con personaggi storici controversi, il che in qualche modo giustificherebbe le loro azioni. La verità è che rabbia e aggressione hanno sempre bisogno di un obbiettivo a cui mirare. Oggi si tratta del vecchio colonialismo ma domani la cosa potrebbe cambiare. Recentemente in Germania nel mirino dei nuovi comitati di salute pubblica è finito il filosofo Emmanuel Kant. L’accusa è di quelle da ghigliottina immediata: visione eurocentrica che sottintende la superiorità della razza bianca rispetto a tutte le altre. Ora, mettere Kant dentro al pentolone dei predicatori razzisti significa ignorare che il filosofo di Königsberg ha influenzato il pensiero occidentale con il suo universalismo, che è l’esatto opposto dell’identitarismo razzista. Il caso di Kant conferma che la cancel culture, per poter proliferare, ha bisogno di molta ignoranza.

In una intervista recente sul tema, Bazon Brock, professore di estetica all’università di Wuppertal, parte da una constatazione semplice. Dal momento che non avrebbe senso distruggere una cosa che ci lascia indifferenti, la furia dei nuovi iconoclasti è in realtà un riconoscimento inconscio dell’importanza delle statue. Fin dai tempi di Leone III Isaurico sappiamo che coloro i quali sono tolleranti alle immagini lo sono proprio in virtù della loro indifferenza verso di esse, mentre i veri adoratori sarebbero proprio coloro che le distruggono. Con le loro azioni contro l’arte gli iconoclasti di tutte le epoche confermano l’importanza dell’arte. Infatti, perché distruggere statue, censurare libri, impedire ad artisti di esprimersi se non si credesse al potere delle loro opere? Coloro che agiscono contro l’arte, conclude Brock, sono coloro che confermano il potere dell’arte. Da questo punto di vista i distruttori di statue ricordano le scimmie della scena di apertura di 2001 Odissea nello spazio. Davanti a un incomprensibile monolite nero da cui emana un potere oscuro che li domina, i primati non riescono a fare nulla di meglio che fracassarsi la testa a vicenda a colpi di pietrate.

Invece di demolire le statue bisognerebbe compiere uno sforzo intellettuale oggi per molti quasi inimmaginabile: leggere. Fare collegamenti, soppesare, riflettere, comprendere le relazioni tra le cose e acquisire una prospettiva storica. Mettere in discussione certi personaggi controversi è e deve essere lecito, ma estrapolare i protagonisti del passato per proiettarli nei concetti etico-morali contemporanei, sempre che il mondo attuale possieda dei principi etico-morali, il che è quantomeno discutibile, al fine di giudicarli non è solo sbagliato, è stupido. La storia non si può revisionare intervenendo a posteriori, cento o duecento anni dopo, condannando i protagonisti di allora come se agissero oggi. Si tratta di un’azione così primitiva da portarci indietro ai tempi oscuri in cui l’uomo credeva che gli oggetti possedessero un potere magico e che l’unico modo per sottrarvisi fosse quello di distruggerli al fine di uccidere il demone che vi albergava.

È la prova che l’occidente oggi soffre di un pauroso deficit cognitivo che non gli consente più di stabilire un contatto con la propria storia, bella o brutta che sia.

Occorrerebbe che le istituzioni quantomeno facessero da argine a questa deriva pericolosa mettendo i puntini sulle i. Invece assistiamo al comportamento penoso di politici, sindaci, governatori, scrittori, intellettuali, direttori di case editrici e di musei anche importanti che si genuflettono alla cancel culture, si scusano (per che cosa?) e promettono di rimuovere, censurare, nascondere opere e libri non graditi ai nuovi comitati di salute pubblica.

Il problema pare così grottesco che meriterebbe di essere derubricato a materia da trattato satirico se non fosse che chi distrugge statue e censura libri, spesso, prima o poi finisce per sterminare uomini. E questo non fa ridere per niente.

PAOLO VALESIO

tratto dal Sussidiario.net

 

domenica 29 novembre 2020

L’EUROPA DELLE CULLE VUOTE, DELLA DROGA LIBERA E DELL’EUTANASIA PER TUTTI ORA VUOLE RICATTARE STATI COME POLONIA E UNGHERIA

 

GANDOLFINI (FAMILY DAY)

Con la risoluzione di condanna contro la Polonia, rea di aver vietato l’aborto selettivo, ieri il Parlamento Europeo ha esercitato l’ennesima ingerenza indebita su questioni di prerogativa nazionale, in pieno contrasto con i trattati europei che prevedono l’autonomia degli Stati membri sui temi etici.


Stiamo assistendo ad un'offensiva senza precedenti; appena lo scorso 12 novembre la Commissione Ue, con la comunicazione 698, ha chiesto di inserire in tutte le politiche comunitarie, compreso il Recovery Fund, un'attenzione speciale per le istanze LGBTQI+, tramite anche strategie volte ad introdurre il reato di omofobia e il principio giuridico dell’omogenitorialità.

Si tratta di una vera e propria entrata a gamba tesa nelle politiche nazionali dei singoli Stati, che riguarda in particolare le politiche familiari e quella scolastiche, la cui esclusiva competenza e sovranità di scelta spetta sempre e solo a ciascun singolo Stato. Lo stesso Parlamento Europeo che ora si esprime contro la Polonia lo scorso gennaio ha bocciato un emendamento contro l’utero in affitto presentato dall’eurodeputata Simona Baldasarre.

Ci chiediamo quindi quali principi intende promuovere il Vecchio Continente, un tempo culla dei diritti inviolabili della persona? Quello teso a mercificare il corpo delle donne? Quello che stabilisce che un bambino si può acquistare da una gestante privandolo della madre e/o del padre? E ancora, si intende promuovere l’eugenetica dell’aborto fino al nono mese o quella che consente l’acquisto di ovuli e seme in base ai tratti somatici dei venditore, come già avviene in Svezia, dove i gameti sono scelti su cataloghi e consegnati a casa, anche a donne single, come pacchi Amazon? Oppure forse vogliamo l’Europa della fluidità imposta per legge agli Stati membri, dove il sesso percepito sarà inserito nelle anagrafi e nei documenti di identità annullando completamente le categorie di maschile e femminile?

L’Europa delle culle vuote, della droga libera e dell’eutanasia per tutti ora vuole ricattare stati come Polonia e Ungheria, che non ci stanno a rinunciare alla propria eredità valoriale e culturale millenaria e si stanno opponendo a questa assurda condizionalità, in nome della libertà sancita dagli stessi trattati europei. I movimenti pro family italiani ed europei non faranno mancare il sostegno a tutti quei governi e singoli politici che terranno la schiena dritta davanti a questi tentativi di colonizzazione ideologica e intanto ringraziamo i 145 europarlamentari – tra cui i gruppi di Lega e Fratelli d'Italia – che ieri hanno votato NO alla risoluzione di condanna contro il governo e i giudici polacchi.

Roma, 27 novembre 2020 Associazione Family Day - DNF

L’UNIONE EUROPEA STRUMENTALIZZA L’EMERGENZA COVID 19 PER IMPORRE AGLI STATI L’ADOZIONE DELL’AGENDA LGBT, IN SPREGIO AI TRATTATI.

 CENTRO STUDI LIVATINO

 




A margine delle recenti risoluzioni e proposte di risoluzione del Parlamento Europeo

 

1. Con la risoluzione n. 2790 del 13/11/2020, il Parlamento Europeo si proponeva un utile obiettivo: vagliare le misure intraprese dai Governi nazionali in periodo di pandemia, e verificarne la compatibilità con le clausole dei Trattati Europei. Limitate le libertà di spostamento, non solo tra diversi Paesi UE, ma addirittura sui singoli territori nazionali, avviati sistemi di tracciamento, derogato in molte forme il divieto di aiuti di Stato, è comprensibile l’interessamento del Parlamento Europeo al tema.

Ma già la lettura del titolo della risoluzione – “sull’impatto delle misure connesse alla COVID-19 sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali” – lasciava presagire un approccio al problema atto a travalicare le competenze delle istituzioni Europee. L’UE può valutare l’impatto delle misure nazionali su democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali non già a tutto tondo, come sembra voler affermare la risoluzione, bensì limitatamente alle materie specificamente attribuite dai Trattati alle competenze dell’Unione stessa.

Che la risoluzione sia priva di effetto giuridico vincolante non toglie che essa debba essere conforme ai principi giuridici regolanti il sistema, considerando peraltro che con la proposta di risoluzione 2020/2072, presentata il 29/09/2020, si punta a un meccanismo di monitoraggio delle istituzioni UE su “democrazia” e “Stato di diritto” che va ben oltre le competenze attribuite in materia dai Trattati.

 

2. L’esame della risoluzione approvata il 13/11/2020 non solo conferma la grave violazione delle competenze dell’Unione perpetrata dal Parlamento, ma disvela contenuti tanto manifestamente irrazionali e illegittimi da destare sconcerto.

2.1. Si afferma (lett. AF della risoluzione del 13.11.2020) che “la parità di accesso all’assistenza sanitaria (…) è potenzialmente a rischio a causa delle misure adottate per arrestare la diffusione della COVID-19, in particolare per i gruppi di persone in situazioni vulnerabili, quali gli anziani o le persone affette da malattie croniche, le persone con disabilità, le persone LGBTI+, i minori, i genitori, le donne incinte, i senza fissa dimora, tutti i migranti, compresi i migranti privi di documenti, i richiedenti asilo, i rifugiati e le minoranze etniche e di altro tipo”.

Sfugge davvero quale sia l’elemento in forza del quale una persona LGBT dovrebbe ritenersi più svantaggiata rispetto agli altri nell’accesso all’assistenza sanitaria durante il periodo pandemico. Tale svantaggio ha avuto luogo per persone sole, malate, anziane, invalide, non certo per persone LGBT come tali considerate. Appare così l’ossessivo – quasi patetico – riflesso ideologico, preclusivo di una serena discussione, in virtù del quale per le istituzioni europee gli LGBT costituiscono una categoria discriminata a prescindere, pur quando l’oggetto della pretesa discriminazione nulla ha a che fare, nei propri presupposti, con l’orientamento sessuale.

2.2. Si assume come premessa della risoluzione del 13/11/2020 (lett. AE) che “le persone LGBTI+ sono soggette a un rischio sproporzionato durante i confinamenti, poiché possono essere esposti ad abusi per periodi più lunghi e possono essere esclusi dal sostegno sociale e istituzionale”. È una affermazione sfornita non soltanto di fondamento, ma pure di citazioni di fonti di riferimento, comunque in manifesto contrasto coi dati di comune esperienza.

La carenza dei presupposti fattuali su cui essa si basa rende illegittima per irrazionalità, oltre che per violazione delle competenze spettanti all’UE, la conseguente raccomandazione del Parlamento (par. 17) che “invita gli Stati membri a proseguire gli sforzi per combattere l’omofobia e la transfobia, dal momento che la pandemia ha esacerbato la discriminazione e le disuguaglianze di cui le persone LGBTI + sono vittime”. Si rinvia, in proposito, alle considerazioni già svolte a commento alla Comunicazione della Commissione n. 698 del 12/11/2020, la quale, in combinato con le risoluzioni del Parlamento oggetto del presente commento, dà vita a una vera e propria “offensiva” delle istituzioni europee contro le sovranità nazionali, volta a strumentalizzare l’emergenza Covid 19 per imporre agli Stati l’adozione dell’agenda LGBT, in spregio ai Trattati e all’ordinamento (https://www.centrostudilivatino.it/consiglio-ue-di-oggi-chi-ricatta-chi-sul-recovery-fund/).

 

3. Vi è di più. Incondizionatamente la risoluzione 13/11/2020 (lett. AF) assume che il “diritto all’aborto” e “l’accesso alla salute riproduttiva” siano materie di competenza dell’UE. Peccato che non venga indicata alcuna fonte normativa che attribuisca all’Unione tale competenza sul punto: lo stesso art. 35 della Carte di Nizza, richiamato nella risoluzione, riconosce una competenza esclusiva degli Stati in materia di accesso alla prevenzione sanitaria e all’ottenimento delle cure mediche. Illegittimo è quindi l’invito (par. 18) agli “Stati membri a garantire in modo efficace l’accesso sicuro e tempestivo alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi (SRHR) e ai necessari servizi di assistenza sanitaria per tutte le donne e le ragazze durante la pandemia di COVID-19, in particolare l’accesso alla contraccezione, compresa la contraccezione d’emergenza, e all’assistenza all’aborto; sottolinea l’importanza di continuare ad applicare le migliori pratiche e di trovare soluzioni innovative per la prestazione di servizi connessi alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, tra cui la telemedicina, i consulti online e l’accesso all’aborto farmacologico precoce in forma domiciliare; invita la Commissione a organizzare forum per lo scambio delle migliori pratiche tra gli Stati membri e le parti interessate a tale riguardo e a sostenere azioni che garantiscano l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti negli Stati membri”.

Sempre sul tema, la risoluzione approvata il 26/11/2020 n. 2019/2199, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2018-2019, è giunta a invitare (par. 6) “tutti gli Stati membri a garantire un’educazione completa alla sessualità, un facile accesso per le donne e le ragazze alla pianificazione familiare e l’intera gamma di servizi per la salute sessuale e riproduttiva, compresi metodi contraccettivi moderni e l’aborto sicuro e legale”. Ha altresì esortato “la Commissione a includere la necessità di difendere la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti nella sua strategia in materia di diritti fondamentali”. Il tutto ancora una volta in violazione dell’art. 35 della Carta di Nizza e delle competenze assegnate dagli Stati all’UE in materia di istruzione dall’art. 165 del TFUE, dalle quali esula del tutto l’educazione sessuale.

Su questa scia, il preteso sindacato dell’Unione sulla disciplina dell’aborto all’interno degli Stati membri viene posto addirittura a base di una apposita proposta di risoluzione contro la Repubblica di Polonia (proposta n. 202/2876 del 14/11/2020). In essa si chiede, tra l’altro (par. 20), “alla Commissione di sostenere gli Stati membri nel garantire un accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, incluso l’aborto; esorta la Commissione a garantire la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti includendo il diritto all’aborto nella prossima strategia europea in materia di sanità”.

I contenuti di simili richieste violano, insieme col diritto alla vita, i Trattati europei, e in particolare la riserva di competenza riconosciuta in materia agli Stati membri dall’art. 35 della Carta di Nizza, bypassata nelle indicazioni dei presupposti giuridici della risoluzione.

 

4. Queste recenti risoluzioni del Parlamento Europeo, in quanto violano, esse sì (non già la resistenza di Polonia e Ungheria), i principi dello “Stato di diritto”, cui pure dicono di richiamarsi, conclamano una deriva ideologica, e una sempre più aggressiva tendenza ad attentare alla sovranità degli Stati membri, dando vita a una sistematica e per ciò ancor più grave e preoccupante prassi di illegalità dell’azione europea.

Riuscirà il Parlamento di Strasburgo a recuperare un sussulto di rispetto dei Trattati, e quindi del principio di legalità internazionale, per respingere simili illegittime risoluzioni?


AMBIENTALISMO E GLOBALISMO LE IDEOLOGIE PIU' PERICOLOSE

DI STEFANO FONTANA

 

Ambientalismo e globalismo, secondo il dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, sono le due ideologie più pericolose del momento, tanto più perché convergono a tenaglia e fanno parte di un unico piano politico mondiale.


Forse mai un Rapporto è stato così tempestivo, uscendo a trattare un vivo argomento di attualità proprio quando la sua realizzazione è in preoccupante fase avanzata. Tutti vedono, ma non tutti capiscono: il Rapporto serve a documentare, informare e mobilitare la resistenza.

L’ambientalismo di oggi è una grande bolla ideologica. Incubato da decenni, ora è giunto ad una fase programmaticamente pervasiva. L’idea di fondo è che l’ambiente è malato e la causa principale della malattia è l’uomo. Perfino il Covid, che con l’ambiente non ha niente a che fare, è stato proposto come sintomo della gravità del male che colpisce il pianeta.

Siamo vicini alla catastrofe: il messaggio deriva non solo e non tanto da Greta Thunberg, davanti alla quale si sono prostrati interi parlamenti e Organismi internazionali, ma dalle agenzie ONU, dai centri di ricerca allineati, dalle grandi fondazioni, dai media del mondo intero e dagli opinions leaders del sistema.

Andremo incontro ad un devastante riscaldamento globale causato dalle nostre emissioni di anidride carbonica, saremo travolti da catastrofi climatiche e dovremo familiarizzare con pandemie ricorrenti. Le risorse non rinnovabili si esauriscono, urge potenziare quelle rinnovabili e sostenibili e dare vita ad una green economy fondata sulla circolarità, la sostenibilità, l’equilibrio con la natura e su relazioni umane sobrie e solidali.

Questo nuovo ordine ambientalistico diventa però immediatamente politico. Bisogna collaborare tutti insieme, come anche il Covid ci avrebbe insegnato, e superare le barriere delle identità, le chiusure e i muri. Bisogna arrivare ad una società aperta globale dotata di una governance – quando non anche di un governo – mondiale in grado di far fronte alle minacce altrettanto globali all’ambiente e, di riflesso, alla convivenza solidale tra gli uomini. Un globalismo politico, però, sarebbe impossibile senza una società globale, omogeneizzata culturalmente in un’etica dell’umanità con pochi e generici principi morali vagamente umanistici e in una religione universale senza dogmi e dottrine definite.

L’etica naturale e la dottrina cattolica vanno semplificate nel dialogo interreligioso universalizzato in vista di una società multi-etnica e multi-religiosa, attuata anche tramite le immigrazioni. Ecco così collegati tra loro l’ambientalismo e il globalismo in un unico progetto politico universale. Le forze che lo perseguono sono all’opera e la realizzazione è ad uno stadio avanzato.

A questo progetto piuttosto inquietante sta dando il proprio appoggio anche la Chiesa cattolica, decisamente orientata sullo stesso percorso dell’ONU e delle forze economiche, sociali e politiche che hanno il culto dell’ambiente, illudono su soluzioni utopistiche delle disuguaglianze economiche, propongono una fratellanza universale piatta e puntano ad un programma educativo mondiale collettivistico e uniformizzante.

Puntuale arriva allora il Rapporto di cui sto parlando, che prende una ad una le tesi che ora ho sinteticamente presentato e le smonta: il quadro non tiene, i dati vengono deformati strumentalmente, la realtà viene mistificata. Il Rapporto è un vero e proprio manuale di controinformazione e di contrasto al nuovo regime che si vorrebbe imporre. Sette autorevoli saggi e quindici cronache dalle diverse aree del pianeta decostruiscono la favola che ci viene raccontata e ci riportano alla realtà. Le cose non stanno come ce le stanno narrando.

Riccardo Cascioli spiega che l’enfasi attuale sulla “sostenibilità”, cavallo di battaglia dell’ambientalismo dominante, ha origini eugenetiche in quanto considera l’uomo come il predatore di una natura originariamente equilibrata la cui presenza è da ridurre. Luis Carlos Molion illustra come il riscaldamento globale non è da nessun punto di vista prodotto dall’uomo, sgonfiando così con dati alla mano una gigantesca balla che è stata fatta penetrare nel sentire collettivo tramite una disinformazione sistematica che non può che essere pianificata. Gianfranco Battisti dimostra che la tesi dell’esaurimento delle risorse petrolifere è assolutamente insostenibile, per un motivo in particolare: nessuno conosce i dati in proposito perché le stime sono viziate in partenza dagli interessi delle multinazionali energetiche. Domenico Airoma e Antonio Casciano denunciano il programma verde dell’Unione Europea che vorrebbe azzerare entro il 2050 i gas serra immessi nell’atmosfera. Questo programma per i nostri autori avrebbe “poca scienza, molta ideologia, troppo dirigismo normativo”. Don Mauro Gagliardi ricostruisce correttamente la visione cattolica della creazione e la depura dalle sovrapposizioni ideologiche funzionali al nuovo ambientalismo. Mario Giaccio apre una porta che si vuole tenere ermeticamente chiusa, quella delle speculazioni finanziarie sulle quote di emissione tra i Paesi europei: la green economy non ha nessuna verginità da vantare dato che si fonda sulla speculazione finanziaria non meno dell’economia che si vorrebbe combattere. Infine Gaetano Quagliariello, con un ragionamento schiettamente politico, dice perché e come l’emergenza ecologista sia la via verso un nuovo ordine mondiale e di quale ordine (purtroppo) si tratti.

Nello stringente apparato disinformativo che ci fa vedere ciò che non è e desiderare quanto non ci conviene, la boccata d’aria di questo XII Rapporto dell’Osservatorio Van Thuân ci voleva proprio.

Stefano Fontana

[Per acquistare il Rapporto e riceverlo a casa senza spese di spedizione scrivere a info@vanthuanobservatory.org]

RIDURRE LE EMISSIONI ANTROPICHE DI CO2 NON HA NESSUN EFFETTO SUL CLIMA E QUINDI E’ INUTILE


di Luiz Carlos Molion

Pubblichiamo un estratto del saggio dello scienziato brasiliano Luiz Carlos Molion presente nel XII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân con il titolo “Riscaldamento globale antropico: realtà o truffa?


Rinviamo anche all’articolo di Fabio Trevisan, La famigerata CO2 non ha alcun effetto sul clima e non è per nulla famigerata [Leggilo qui]

TRATTO DA “XII Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân dal titolo “Ambientalismo e globalismo nuove ideologie politiche” (pp. 47-62).

Non c’è dubbio che la CO2 riscalda l’atmosfera. Ma la sua attuale concentrazione è così piccola, con una massa molto ridotta, 400 ppmV [= 0,04%], che è impossibile misurare il suo contributo al riscaldamento dell’aria. È l’aria [miscela di gas, principalmente N2 + O2 + aria] che si riscalda nel suo insieme e irradia IV termica verso la superficie terrestre.

Come detto sopra, se la concentrazione di CO2 raddoppia entro la fine di questo secolo come proclama l’IPCC [scenario RCP8.5], il suo effetto sarà comunque trascurabile. In altre parole, nell’ipotesi [ridicola] di rimuovere tutta la CO2 dall’atmosfera, le temperature dell’aria sulla superficie terrestre sarebbero simili a quelle di oggi.

Inoltre, la CO2 non è un gas tossico o velenoso, la CO2 è il gas della vita. Le piante hanno bisogno di CO2 per fare la fotosintesi e con concentrazioni inferiori a 200 ppmV, la maggior parte delle piante non riesce a farla e muore. Pertanto, più grande è la concentrazione di CO2, maggiore è il beneficio per la Terra e i suoi abitanti.

La frase che spesso si ascolta da politici, burocrati e aspiranti ambientalisti “dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 entro l’anno per impedire che il mondo si riscaldi oltre 2°C”, non ha senso. Il “limite di 2°C” è stato inventato da Hans “John” Schellenhuber, direttore dell’Institute for Climate Impacts [IPK], Potsdam, Germania, senza alcuna prova scientifica. Egli ha tirato fuori questo valore dal “cappello a cilindro”!

Come accennato in precedenza, il clima globale è già stato nel passato più caldo e non è successo nulla di catastrofico. Purtroppo, il menzionato ricercatore è stato consulente di Papa Francesco per le questioni climatiche nell’elaborazione dell’enciclica Laudato Si’, che contiene diversi paragrafi in cui si afferma che l’uomo sta riscaldando il mondo con le sue emissioni di CO2, causando l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei poli, l’aumento di eventi atmosferici estremi, e tutto ciò senza prove scientifiche [vedi Laudato Si, capitolo 1, “Il clima come bene comune”, paragrafi da 23 a 26].

Dichiarazioni simili si trovano anche nell’Instrumentum Laboris del Sinodo Pan-amazzonico, in particolare nei punti 9, 16 e 54. Questi documenti forniscono altre munizioni agli allarmisti climatici e ambientalisti fanatici.

In breve, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera non determina il clima globale. L’atmosfera non “crea” energia per riscaldare il pianeta, ma solo rallenta la perdita di IR termico, emesso dalla superficie nello spazio. Ridurre le emissioni antropiche di CO2 sarebbe inutile in quanto non avrebbe alcun effetto sul clima.

Il Covid-19 ne è un esempio. C’è stata una significativa riduzione delle attività industriali e di trasporto a causa della ridotta mobilità delle persone durante la pandemia, che ha comportato una riduzione delle emissioni, eppure ancora non si è verificato alcun impatto sulla concentrazione di CO2. Allo stesso tempo, i protocolli volti a ridurre le emissioni antropiche di CO2, come il protocollo di Kyoto [1997] e l’accordo sul clima di Parigi [2015], non avranno alcun effetto, poiché la CO2 non determina il clima globale.

Poco dopo la promulgazione dell’ultimo accordo, Bjorn Lomborg ha dichiarato che se tutti i contributi nazionali promessi saranno mantenuti fedelmente fino al 2030 e continueranno per altri 70 anni dopo il 2030, la riduzione totale della temperatura globale ottenuta dall’Accordo di Parigi sarà 0,17°C nel 2100.

D’altro canto, i combustibili fossili [petrolio, carbone, gas naturale] sono responsabili dell’85% della produzione mondiale di elettricità. Ridurre le emissioni antropiche di CO2 significa generare meno elettricità e ostacolare lo sviluppo dei Paesi sottosviluppati, aumentando la povertà e la disuguaglianza sociale nel mondo.

[Il XII Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân dal titolo “Ambientalismo e globalismo nuove ideologie politiche” edito da Cantagalli si può acquistare scrivendo a: info@vanthuanobservatory.org]

 

https://www.vanthuanobservatory.org/ita/ridurre-le-emissioni-antropiche-di-co2-non-ha-nessun-effetto-sul-clima-e-quindi-e-inutile-di-luiz-carlos-molion/

 


venerdì 27 novembre 2020

È NELL’ISTANTE LA PARTITA CON IL SENSO DELLE COSE

 

Solo l’esperienza reale di un presente toccato, masticato, sofferto, ci salva dalla confusione

Non occorrono troppe analisi per renderci conto che viviamo in una situazione confusa. Confusi i dati sulla pandemia,  confusi i provvedimenti, confusa la comunicazione. Confuse probabilmente anche le idee di chi deve prendere decisioni. E noi che a marzo, come ha scritto recentemente Antonio Scurati, “scoprimmo finalmente di essere mortali, noi che ci facemmo animo, cantammo perfino”, oggi non possiamo non accorgerci che sarà dura, che, come aggiunge Scurati, insieme “alla nebbia a banchi è calata la discordia, l’incertezza, la rabbia”.

Anche se i tamponi aumentano, se gli indici del contagio cominciano a mandare segnali positivi, se è in arrivo il vaccino, non aumenta però la nostra sicurezza. È sempre più difficile fidarsi di chi ci governa, la crisi economica incombe, i fondi dell’Europa e i ristori sono sempre introdotti da verbi coniugati al futuro, affidati ad “auspici”.

Un po’ di giorni fa, quando stava per essere emanata l’ordinanza che avrebbe consentito l’accesso a bar e ristoranti solo per l’asporto, sono passata dal mio amico che gestisce il bar sotto casa . “Hai sentito?” gli dico. E mi aspettavo la solita sfilza di lamenti e recriminazioni. Niente di tutto questo. “Guarda, pronto!” mi dice, mostrandomi il cartello con le indicazioni per il delivery, che lui a mano e in fretta aveva già scritto. E aggiunge “Stiamo qua!”. È vicino alla pensione, sa che il guadagno di queste settimane sarà minimo, ma lui sta qua! Lo fa per i figli che lavorano con lui? Per i dipendenti? Sì, forse, ma lo fa per sé, per vivere lui adesso. Vivere l’istante è veramente l’unica possibilità che abbiamo in questa immane confusione. È solo nel presente che ci accorgiamo di esistere, che ci giochiamo la libertà, che decidiamo dove volgere lo sguardo.

Avevo 15 anni, ero nel pieno dell’incandescenza adolescenziale, mi ero trovata a partecipare ad una tre giorni di Gioventù Studentesca. Mi capitò di uscire dal salone con don Giussani e nell’istante di pochi piani fatti in ascensore, davanti al mio scettico disinteresse verso le cose della fede di cui lui aveva appena parlato, mi disse “ma adesso sei qui!”. Le porte dell’ascensore si aprirono, il dialogo finì. Ma in forza di quell’istante, e di quel po’ di libertà con cui lo avrò assecondato, ora sono qui, un po’ più vicino a quelle cose della fede di cui don Giussani aveva parlato. Anche in quel momento ciò che vinse la confusione, e ne avevo tanta, fu la forza di un istante presente. Un presente capace di sconfiggere lo scetticismo del passato e lanciare un ponte verso una speranza per il futuro.

Sembra quasi paradossale che possa essere un istante, una sequenza di istanti, a contare veramente nella vita. Mentre la nostra presunzione vorrebbe affidare tutto ai giudizi (o meglio pre-giudizi, recriminazioni, ostilità) che il passato ha sedimentato in noi, o ai progetti che la nostra intelligenza pensa di costruire per il futuro. Paradossale ma ragionevole, perché la vera partita con il senso delle cose, con la presenza o l’assenza del significato, ce la giochiamo nella concretezza degli istanti quotidiani.

Come Pavese fa dire ad Esiodo nei Dialoghi con Leucò,  “La vita dell’uomo si svolge laggiù tra le case nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. La fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in ora – quest’è il vivere che taglia le gambe”.

Ma è ancora Pavese che, in questo stesso dialogo, mette in bocca alla divina interlocutrice di Esiodo una sorta di promessa: “Non capisci che il sacro e il divino accompagnano anche voi, dentro il letto, sul campo, davanti alla fiamma? Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte non avete un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal silenzio delle origini”.

E se quelle divine origini silenziose prendono la parola oggi, nel presente, se assumono il volto e i lineamenti di persone e storie concrete, allora sì che possiamo sperare! Solo l’esperienza reale di un presente toccato, masticato, sofferto, ci salva dalla confusione. E non è un caso che sia così, perché, come dice Lewis “il presente è il punto nel quale il tempo tocca l’eternità”. E solo il nostro cuore sa quanto abbiamo bisogno di eternità!

EMILIA GUARNIERI

Il sussidiario

I DOGMI DELLA NUOVA RELIGIONE “POLITICALLY CORRECT” E IL DIVIETO DI PORRE DOMANDE

                                                                                                                                                                                   

Raccontando la peste a Milano del giugno 1630, nel capitolo XXXII dei “Promessi sposi”, il Manzoni descrive lo smarrimento, il terrore e l’isteria collettiva che dilagavano in città e conia una frase che resterà proverbiale: “il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

Vale anche per noi, immersi nell’epidemia di Covid? Viene da chiederselo oggi che il “senso comune” ha il volto di un’ideologia dai tratti soffocanti.

In questi giorni ha fatto clamore il caso del microbiologo Andrea Crisanti, che solitamente viene osannato dai media mainstream. Cos’ha detto di tanto scandaloso per passare di colpo dalla lista dei Buoni a quella dei Cattivi?

Parlando dei vaccini che si annunciano ha spiegato: Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio. Perché vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie.

A scanso di equivoci ha anche dichiarato “mai stato un no vax, sono sempre stato un sostenitore dei vaccini”, tuttavia questi di cui si parla sono stati sviluppati saltando la normale sequenza Fase 1, Fase 2 e Fase 3… Ma facendo le tre fasi in parallelo… è vero che si arriva prima, ma poi c’è tutto un processo di revisione che non è facile da fare”.

Sembrano riflessioni di buon senso. Ad esse si sarebbe dovuto rispondere serenamente, chiarendo i problemi e i dubbi sollevati.

Invece sono arrivate reazioni scandalizzate e scomuniche. Il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e componente del Cts, ha definito “sconcertanti” quelle dichiarazioni e ha garantito la sicurezza dei vaccini concludendo addirittura così: Vaccinarsi è un dovere morale”.

Ha tuonato anche il Cts (Comitato tecnico scientifico del governo)definendo “inaccettabili” le parole di Crisanti e ammonendo: “Sarebbe opportuno evitare posizioni personali che nulla hanno a che vedere con la scientificità della questione”.

Evitare posizioni personali? S’intende dire che “sarebbe opportuno evitare” la libertà di pensiero e il dibattito pubblico?  

Il Cts dichiara solennemente che “la presenza di Aifa e delle agenzie regolatorie internazionali ci garantisce sulla sicurezza dei vaccini”. Tuttavia le agenzie internazionali non sono Dio e dovrebbero fornire dati e rispondere alle domande (in questi mesi ne sono state fatte diverse anche all’OMS e all’Aifa per vari problemi).

Crisanti in fondo ha chiesto solo dati scientifici certi. E ha commentato: “I custodi della ortodossia scientifica non ammettono esitazioni o tentennamenti, reclamano un atto di fede a coloro che non hanno accesso a informazioni privilegiate”.

Questo è il punto: è richiesto il fideismo assoluto. Non sembra ammessa neppure la curiosità scientifica che ha sempre fatto progredire la ricerca e la medicina.

I “vaccini”, da farmaci (benemeriti), sono ormai diventati dogmi di fede, sacramenti di salvezza da adorare. Se solo uno si azzarda a esprimere dubbi – discutendone laicamente (giacché tutti i farmaci vanno assunti con prudenza) – viene subito bollato come “novax”.

La questione, al di là dei vaccini, riguarda la libertà di opinione e il diritto di fare domande, perché – come insegnava il filosofo Eric Voegelin – il “divieto di porre domande” è la strada che porta al totalitarismo.

Da un po’ di tempo non è più possibile un confronto laico e razionale sui temi più scottanti: ci sono dei dogmi di fede “politically correct” e si scatena una “guerra santa” su chiunque osi proporre un punto di vista diverso o proponga dubbi e domande.

Per esempio l’Unione europea e l’euro sono ormai una vera e propria religione. Al rogo (mediatico) gli infedeli! Il dibattito sulla Ue e sull’euro (o sul Mes) è semplicemente impossibile. L’Ue e l’euro sono il Bene assoluto e chi li mette in discussione è il Male.

Rischia quasi di essere considerato tra i nemici dell’umanità come chi esterna dubbi su un altro dogma indiscutibile: il “riscaldamento globale” per cause umane, “consacrato” pure da papa Bergoglio insieme a Greta Thunberg. Ormai sui media è diventato verità assoluta come un tempo era Dio.

Chi dissente è un pericoloso eretico. Eppure non c’è nessuna certezza e autorevoli scienziati negano questo dogma. Ma anche per loro scatta l’anatema.

Perché il “pensiero unico” non si limita ad assolutizzare le proprie idee, ha pure una sua inquisizione ideologica e la propensione alla censura e alla delegittimazione mediatica di chi dissente.

Se perfino al presidente americano Trump è stato “tolto il microfono”, è chiaro che nessuno può più stare tranquillo. Del resto Trump stesso è diventato simbolo del Male assoluto nella teologia politica dominante. A prescindere dai suoi risultati concreti come presidente, è stato deciso che egli è il Male. Da spazzare via. Non è ammessa discussione laica sui dogmi “politically correct”.

Benedetto XVI parla della “dittatura universale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddire le quali comporta l’esclusione… La società moderna intende formulare un credo anticristiano: chi lo contesta viene punito con la scomunica sociale”.

Si potrebbe proseguire sui dogmi che riguardano il migrazionismo, sacralizzato anch’esso come dogma indiscutibile (è barbaro e incivile o razzista chi vi si oppone).

Questa “sacralizzazione” di complessi e discutibili temi politici, viene fatta da quella stessa Sinistra che più ha spinto per la scristianizzazione e la laicizzazione della società. E’ infatti una conseguenza. Lo spiegò, anni fa, Joseph Ratzinger“quando la fede cristiana, la fede in una speranza superiore dell’uomo” viene spazzata via “insorge allora di nuovo il mito dello stato divino (la divinizzazione della politica, ndr), perché l’uomo non può rinunciare alla totalità della speranza”.

Ma portare l’assoluto nelle opinabili questioni politiche produce un’ideologia assolutista, intollerante e pericolosa per la democrazia.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 24 novembre 2020

martedì 24 novembre 2020

ROD DREHER: VIVERE SENZA MENZOGNA

 Rod Dreher in difesa dei cristiani conservatori

I cristiani conservatori vogliono contare di più nella politica americana. Il movimento antiabortista pro life sta moltiplicando le pressioni per spingere la Corte Suprema a superare la storica sentenza Roe vs. Wade che dal 1973 garantisce il diritto all’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti. Le speranze ora sono affidate a Amy Coney Barrett, 47 anni, la nuova giudice iper-cattolica appena nominata da Donald Trump per sostituire la liberal Ruth Bader Ginsburg nel massimo organo giudiziario.

Abbiamo esplorato questo mondo con l’aiuto dello scrittore Rod Dreher, 53 anni, nato a Baton Rouge in Louisiana, cristiano appartenente alla Chiesa ortodossa, autore di bestseller come "L’opzione Benedetto", edito in Italia da San Paolo nel 2018. 

In queste settimane è uscito un altro libro già al centro del dibattito culturale: Live Not by Lies (Sentinel), «Vivere senza menzogna»: «È l’ultimo appello che Aleksandr Solženitsyn rivolse al popolo russo, prima di essere esiliato». Che cosa significa oggi? Sorpresa: i cattolici e gli evangelici di stretta osservanza si sentono minacciati dalla «ideologia della giustizia sociale» promossa dalla sinistra radicale. La tesi di Dreher potrà apparire estrema, esagerata. Ma riflette lo stato d’animo di molti americani, uomini e donne di fede, che guardano con preoccupazione a Joe Biden e sono sempre più lontani da papa Francesco.

Nel suo primo libro lei invitava i credenti a isolarsi dal mondo dominato dal secolarismo, a imitare la scelta di san Benedetto da Norcia per recuperare il senso della fede. In questo nuovo lavoro sostiene che il cristianesimo sia minacciato da «un regime autoritario». Non è troppo?
«È quello che sta accadendo negli Stati Uniti. Non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. I conservatori possono avere potere in politica, alla Casa Bianca o nel Congresso. Ma la loro voce è completamente schiacciata nelle scuole, nelle università, nei media, nella scienza medica, nell’ambiente della finanza e dell’industria. È una situazione simile a quella che si verificò negli Stati europei occupati dall’Unione Sovietica. Ecco perché richiamo le parole di Solženitsyn e comincio il libro raccontando la storia di un prete gesuita croato, Tomislav Kolakovic, che previde l’occupazione sovietica e la persecuzione della Chiesa nel suo nuovo Paese, la Slovacchia. Fu lui a organizzare i fedeli in piccole comunità di preghiera e di attivismo: le basi della resistenza al regime comunista. Penso che in America ora stiamo vivendo un Kolakovic moment».

 Sta dicendo che negli Usa governa un regime comunista? Alla Casa Bianca c’è ancora Donald Trump.
«No, io sto parlando di un regime totalitario nella società. Faccio un esempio: provi a dichiararsi contrario al matrimonio tra omosessuali in una qualsiasi scuola o giornale del Paese e se va bene sarà silenziato, emarginato, la sua reputazione sarà rovinata per sempre. L’ideologia di sinistra usa slogan egualitari, parole come “inclusione”, “equità”, “diversità”, per egemonizzare la comunicazione, sui social o sui media convenzionali, e per colpire i dissidenti. Sta accadendo quello che aveva previsto papa Benedetto XVI, “una dittatura mondiale di ideologie apparentemente umanistiche”».

Lei si concentra sul tema della famiglia, che verrebbe distrutta da quella che chiama «l’ideologia di genere», il matrimonio tra omosessuali. Ma di recente papa Francesco ha aperto alle unioni tra due uomini o tra due donne...

«Sì, ma qualcuno conosce la reale posizione di papa Francesco? Penso che sia stato lui a voler creare questa confusione. Bergoglio è un cattolico liberale standard, che non ha reali obiezioni al matrimonio gay. Negli Stati Uniti padre James Martin, un gesuita che si spende a favore della comunità Lgbt, sostiene che la dottrina cattolica contempla l’omosessualità. Ma questo è assurdo. Eppure nessuno mette in dubbio l’ortodossia di padre Francis, figura molto vicina al Pontefice. Noi viviamo in una società post-cristiana, dove persino gli eterosessuali non rispettano il matrimonio religioso. Detesto vedere il Papa arrendersi al mondo moderno, mentre dovrebbe metterne in luce le contraddizioni. Quando dice: “Chi sono io per giudicare?”, il messaggio che arriva è che non abbia più nulla da dire a proposito dell’omosessualità. Il danno è permanente, specie sui giovani che lo ascoltano».

Chiaramente le sue opinioni faranno discutere. Ma questo non è un tema solo religioso. Lei mette in discussione i diritti civili delle persone a seconda del loro orientamento sessuale...
«Penso che siano sbagliate le leggi sui matrimoni omosessuali, semplicemente perché non sono matrimoni. Dopodiché confesso che sono incerto sulle unioni civili. Forse potrebbero essere ammesse con alcune limitazioni».

Parliamo di politica. I cristiani conservatori sono rimasti fedeli a Trump?
«I bianchi di fede evangelica hanno votato per Trump più o meno con le stesse proporzioni del 2016: 76 per cento quest’anno contro l’81 di quattro anni fa. Trump e Biden si sono spartiti, invece, il voto dei cattolici. Il fatto che Biden sia un cattolico non ha fatto differenza per i cristiani conservatori. Tutti noi sappiamo bene che Trump è tutt’altro che un santo e probabilmente non è nemmeno un cristiano. Ma durante il suo mandato ha tenuto posizioni molto forti a favore del movimento pro life; ha nominato alla Corte Suprema Amy Coney Barrett, una cattolica conservatrice. Inoltre Trump ha fatto molto per la libertà di religione».

Che cosa si aspetta da Biden?
«Il cattolicesimo di Biden sarà solo cerimoniale. Non giudico la sua fede personale, è un problema tra lui e Dio. Ma il “cattolico” Biden appoggia al 100 per cento “l’ideologia di genere” e la libertà totale di aborto. Sono sicuro che rinnoverà gli attacchi alla libertà religiosa già condotti da Barack Obama. Biden governerà come un qualsiasi politico liberale, ma andrà a messa la domenica. I vescovi nominati da papa Francesco lo adoreranno. Mi aspetto una valanga di articoli su quanto Biden sia un grande cattolico, un vero amico del Papa e così via. Per i cattolici liberali tutto ciò sarà incoraggiante; per i cattolici conservatori sarà, invece, deprimente. Non cambierà nulla. C’è uno scisma di fatto nella Chiesa americana e continuerà a crescere».

GIUSEPPE SARCINA

La Lettura, 22 novembre 2020