lunedì 27 giugno 2022

COME I CIELLINI COSTRUIRONO UNA CITTÀ LÀ DOVE C’ERANO SGANGHERATE PALAFITTE

 Da oggi in libreria "Una passione - L’avventura missionaria di Arturo Alberti" in cui si racconta la straordinaria opera di Avsi a Belo Horizonte in Brasile (alla faccia degli ambientalisti)

Rodolfo Casadei

 

Oggi esce in libreria Una passione – L’avventura missionaria di Arturo Alberti, libro a firma di Rodolfo Casadei che racconta sessant’anni di storia di missionari laici nei paesi emergenti e di presenza cristiana nella società italiana attraverso la biografia di Arturo Alberti, il medico pediatra fondatore della nota Ong Avsi. Negli anni del liceo Alberti incontra Comunione e Liberazione, e insieme alla comunità della sua città interpreterà perfettamente la missione come dimensione totale della vita cristiana, prima a livello locale e poi nel mondo intero. L’esperienza di Avsi è pervasa del carisma di Cl, tanto che la comunione cristiana diventa fattore determinante dello sviluppo umano nello Zaire, del recupero delle favelas in Brasile, della salute in Uganda.

Il brano che segue ripropone le origini del secondo grande progetto realizzato da volontari ciellini di Avsi in Brasile: Anna e Livio Michelini, che insieme a don Pigi Bernareggi e a Rosetta Brambilla erano stati protagonisti del grande progetto Alvorada a Belo Horizonte, si spostano a San Salvador Bahia e danno vita al progetto Novos Alagados, che prevedeva il trasferimento sulla terraferma degli abitanti di palafitte costruite su di una maleodorante laguna.

***

Il progetto Alvorada fu affidato, a partire dal 1992, a Enrico Novara, un ingegnere brianzolo che diventerà responsabile e coordinatore di tutti i progetti Avsi in Brasile fino al 2004, mentre Anna e Livio cominciarono a realizzare a Salvador un progetto pilota finanziato dal Ministero degli affari esteri (Mae) che prevedeva il risanamento abitativo di una piccola area dei Novos Alagados. Troppo piccola rispetto ai bisogni drammatici che ferivano gli occhi di chi rivolgeva lo sguardo a quella situazione. Ma la Provvidenza fece la sua parte.


FAVELA DI SALVADOR BAHIA

Così Anna Michelini racconta la stupefacente storia dell’intervento a Salvador Bahia. «Avevamo chiarito con l’arcivescovo che il nostro metodo prevedeva di partire da una presenza cristiana già attiva sul posto, perciò andammo a vedere un insediamento vicino al quale viveva una coppia sposata che cercava di fare alfabetizzazione degli adulti e dei bambini col metodo di Paulo Freire. La situazione igienica e ambientale era terrificante, nonostante il panorama fosse meraviglioso: in una insenatura della grande Baia di Tutti i Santi i favelados avevano costruito vere e proprie palafitte, in un punto dove i movimenti di marea oscillavano di due metri circa al giorno. Era il rifugio dei disperati, di chi era stato cacciato da altri insediamenti, non sapeva più dove andare, e alla fine aveva dovuto lasciare la terra ed era andato a vivere sul mare. Quando la marea era bassa, sotto gli edifici si raccoglievano enormi quantità di rifiuti di ogni genere, non solo quelli organici che cadevano dal buco nel pavimento che fungeva da gabinetto all’interno delle baracche, ma quelli che arrivavano dai quartieri di Salvador collocati più in alto rispetto alla conca di Ribeira Azul, e che in assenza di un collettore fognario si accumulavano sulle sponde della laguna dei Novos Alagados. La puzza era terribile, e le condizioni di vita orribili: ho visto madri bollire i cartoni e darli da mangiare ai bambini per farli smettere di piangere; ho visto bambini morire folgorati sui pontili che collegavano le palafitte, perché gli allacci abusivi ai tralicci dei quartieri circostanti per avere l’elettricità diventavano una trappola mortale quando la pioggia o l’alta marea bagnavano i fili scoperti. Ebbene, quando abbiamo fatto le prime assemblee coi favelados per pensare con loro il progetto di riurbanizzazione uno dei loro leader comunitari, un signore padre di 17 figli che tutti chiamavano Vavà, ha detto: “Se decidete di fare qualcosa, la prima cosa che dovete costruire è una scuola”. Gli chiedemmo di spiegare perché, con tutti i bisogni che c’erano, secondo lui bisognava cominciare dalla scuola. Rispose: “Perché mio nonno era uno schiavo marchiato; io sarei un uomo libero, ma in realtà sono uno schiavo come lo era lui, perché non so né leggere né scrivere. Non voglio che anche per i miei figli sia così”».


«Noi avevamo a disposizione una cifra intorno a 1 milione di euro per intervenire, ma era largamente insufficiente: solo per l’intervento fognario sarebbero serviti più soldi. Cominciammo a operare consapevoli dell’inadeguatezza del nostro intervento. Poi sulla stampa locale apparve una notizia che mi fece impazzire di rabbia: si diceva che lo Stato di Bahia avrebbe dovuto restituire 10 milioni di dollari di prestiti della Banca Mondiale destinati a interventi urbanistici, perché non era stato in grado di spenderli nei tempi previsti. Presi il primo aereo che trovai e andai a Brasilia, alla sede dell’ufficio brasiliano della Banca Mondiale. Senza appuntamento e senza preavviso, chiesi di poter parlare col responsabile della Banca Mondiale per il Brasile. Naturalmente mi dissero che non era possibile, ma io risposi che non mi sarei mossa da lì fino a quando non avessi potuto parlargli. Dopo un paio di ore di anticamera il dirigente mi ricevette, e rimase per un’ora ad ascoltare tutto quello che avevo da dire e da mostrargli, dagli articoli accademici sull’intervento che avevamo fatto a Belo Horizonte, ai disegni dei bambini dei Novos Alagados con le nuove case e le scuole che avrebbero voluto veder sorgere: era una prova ingenua del fatto che si trattava di un progetto condiviso e partecipato dalla popolazione. Lo rassicurai che non ci sarebbero state nuove occupazioni durante la realizzazione del progetto, che la comunità locale avrebbe garantito. Se anziché restituire a Washington i 10 milioni di dollari che lo Stato di Bahia non riusciva a spendere li avesse dati a noi, nel giro di un anno li avremmo spesi e le palafitte sarebbero sparite. Ascoltò con la massima attenzione e alla fine mi rispose: “Lei è molto convincente, ma io non posso prometterle nulla. Però posso assicurare che organizzeremo una missione sul terreno nel più breve tempo possibile”. Mantenne la promessa: poco più di due settimane dopo la mia improvvisata a Brasilia, arrivò a Salvador una delegazione della Banca Mondiale coi responsabili del dipartimento progetti urbanistici che avevano sede a Washington, insieme al rappresentante per il Brasile che avevo incontrato io. Per loro organizzammo una giornata di presentazione spettacolare, aiutati anche da Rori Mingucci (l’autore di una tesi di laurea, poi docente universitario, che è stata la base per il progetto Alvorada a Belo Horizonte – ndr). Furono impressionati soprattutto dal fatto che non ci fosse nemmeno un bambino che non gli sapesse dire: “signori, qua ci sarà la scuola per imparare a leggere e a scrivere, là quella per la samba e la capoeira, e qui si costruirà la mia nuova casa”. Così decisero di assegnare al nostro progetto i 10 milioni di dollari che Bahia non aveva saputo spendere, e pretesero che noi fossimo ufficialmente l’ente gestore dei fondi. D’accordo col governo di Bahia, accettammo la condizione, e poi creammo un’équipe mista di dirigenti dello Stato e personale di Avsi per portare avanti il progetto. Non bisogna mai lavorare “contro” le autorità locali».

Rosetta Brambilla e don Pigi Bernareggi

Ambientalisti radical-chic zittiti

Arriva il 1995, e l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, delibera di iscrivere nel suo Albo D’Oro denominato Global 500 Anna e Livio Michelini con la roboante ma giustificata motivazione: «Per aver contribuito a migliorare le condizioni di vita sulla terra, come membri attivi della comunità». La cerimonia di premiazione è fissata al 5 giugno, Giornata mondiale dell’ambiente, e ha luogo a Pretoria, in Sudafrica, dove Nelson Mandela è il capo dello Stato da due anni, dopo averne trascorsi 27 in prigione. I coniugi italiani vengono premiati per il progetto Alvorada, giudicato come una perfetta combinazione di lotta alla povertà e difesa dell’ambiente. Nel giugno 1996 UN-Habitat, l’ente specializzato delle Nazioni Unite che si occupa degli insediamenti umani, soprattutto quelli che costituiscono le città, tiene la sua seconda conferenza mondiale a Istanbul. Il progetto dei Novos Alagados è stato inserito fra le migliori best practices, le iniziative che meglio rispondono alle esigenze di insediamenti umani all’insegna della giustizia sociale e del rispetto dell’ambiente. Anna Michelini viene invitata a illustrare quello che Avsi e le controparti locali stanno facendo a Salvador Bahia.

Il premio dell’Unep e l’invito a presentare il progetto in corso di realizzazione a Salvador Bahia alla conferenza di Habitat arrivano al momento giusto per risolvere un nuovo problema che si era presentato. Vinta l’inerzia delle autorità locali, che stavano dando prova di ravvedimento operoso, a ostacolare il recupero urbanistico delle favelas era arrivato un agguerrito gruppo pseudo-ambientalista radical-chic, comprendente docenti universitari, che si opponeva al progetto sostenendo che sul posto andava ricostituita la foresta di mangrovie che gli insediamenti umani avevano compromesso, e che non sarebbe ricresciuta se i favelados fossero stati spostati sulla vicina terraferma. «Era vero il contrario», racconta Anna. «Mangrovie e insediamenti umani potevano convivere se solo si fossero eliminate le palafitte e costruito il sistema fognario che doveva servire sia il quartiere a monte dei Novos Alagados che la favela ristrutturata. E così infatti fu: la laguna riprese vita grazie alla realizzazione del progetto, le mangrovie e i pesci ripopolarono lo specchio d’acqua senza nessun disturbo dal vicino insediamento umano. Ma in quei giorni i cosiddetti ambientalisti organizzavano manifestazioni contro il progetto, addirittura si presentavano alle palafitte regalando ai bambini vasetti contenenti piantine. Quando arrivò la notizia del premio dell’Unep, le manifestazioni di protesta cessarono: prima che a noi il Global 500 era stato assegnato a Chico Mendes e a Jacques Cousteau, che per gli ambientalisti erano personalità venerabili. Istanbul l’anno dopo chiuse definitivamente il discorso: tutti dovettero accettare che i nostri progetti conciliavano la protezione dell’ambiente con le esigenze umane e la lotta alla povertà».

Grande fu la soddisfazione dei due cooperanti per i premi e per gli inviti, ma forse ancora più grande fu per il gruppo dirigente di Avsi, che vedeva confermato il valore del metodo Avsi: considerare le motivazioni e il rapporto umano importanti tanto quanto le qualità professionali. «Al giorno d’oggi», commenta Arturo Alberti, «Anna e Livio Michelini non sarebbero mai stati selezionati come capoprogetto di un intervento così vasto e articolato come quello di Belo Horizonte: erano semplicemente una dirigente sindacale e un insegnante di fisica, non avevano esperienza pregresse di cooperazione internazionale; i criteri che vengono applicati oggi dalle Ong per selezionare il personale per i programmi cofinanziati dal Mae o dall’Unione Europea avrebbero orientato la scelta su individui più esperti. Eppure hanno realizzato un lavoro talmente qualificato da meritarsi un premio Onu. La dimensione missionaria e umana si è rivelata un fattore di riuscita del progetto, non un ostacolo o un’interferenza».

(tratto da Rodolfo Casadei, Una passione – L’avventura missionaria di Arturo Alberti, Cantagalli 2022, pp. 154-160)

 

SE NON È ZUPPA, È PAN BAGNATO.

Sulla vicenda della benedizione in chiesa alla coppia omosessuale di Budrio, a cui si è fatto cenno qui l’altro giorno (https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/06/16/si-rendono-conto-di-cio-che-fanno/), la diocesi di Bologna ha preso posizione con un breve comunicato ufficiale (https://www.chiesadibologna.it/sulla-messa-a-budrio-del-gruppo-in-cammino/), il cui senso pare che possa riassumrsi nell’immortale formula difensiva di ogni adultero colto in flagrante: “non è come sembra!”.

 "In riferimento alla Messa celebrata lo scorso 11 giugno nella parrocchia di S. Lorenzo di Budrio, in Diocesi di Bologna, con la presenza di una coppia di persone dello stesso sesso, per non dare adito ad interpretazioni fuorvianti, si precisa che non vi è stata alcuna benedizione della coppia."

Budrio, Diocesi di Bologna

Una gentile lettrice di questo piccolo blog, Maria Cristina, lo aveva previsto con molta esattezza, in un commento al post di cui sopra che mi pare utile riportare.

Io mi ero chiesto come potrebbe la chiesa, qualora cambiasse radicalmente posizione su un punto importante della dottrina cristiana – riconoscendo con ciò implicitamente di avere in precedenza impartito un insegnamento erroneo! – continuare a rivendicare un’autorità riguardo a tutti gli altri punti, contro la ragionevole obiezione che se si è sbagliata su quello potrebbe essersi sbagliata anche sul resto.

La nostra acuta letterice, “di spirito profetico dotata”, mi aveva risposto descrivendo in anticipo, sia pure usando il condizionale al posto dell’indicativo futuro, ciò che si sarebbe di lì a poco verificato nella diocesi del presidente della CEI:

«All’obiezione ragionevole risponderebbero gesuiticamente: “Ma noi non neghiamo la dottrina che rimane sempre la stessa, noi oggi abbiamo un diverso approccio pastorale. Noi, risponderebbero, vogliamo accogliere tutti, senza giudicare, perché chi siamo noi per giudicare? Allo stesso tempo non cambiamo la dottrina che rimane invariata, perché non ci si accusi di andare contro l’ ortodossia, e la nostra autorità rimane invariata. In poche parole risponderebbero che loro benedicono, accompagnano, integrano, sia i gay che si vogliono sposare, sia gli adulteri che vogliono fare la comunione, non li giudicano, li amano “così come sono”. Cioè mettono in pratica il Vangelo. Questi argomenti gesuitici erano già ben presenti ai tempi di Pascal e basta leggere le Provinciali, per capire che ogni obiezione razionale, logica, si infrange sul muro di gomma dell’ ”essere più misericordiosi e accogliere tutti”. […] La Chiesa odierna sta mettendo in atto quello che i gesuiti del ‘600 avevano iniziato: una morale lassa e accomodante, con la scusa della misericordia, perche’ bisogna essere vicini ai peccatori, e non allontanare dalla chiesa i fragili, senza però dare di petto decisamente contro la dottrina, che sarebbe troppo ardito … Per questo non cambieranno certo i documenti ufficiali e non diranno mai papale papale: gli atti sessuali omosessuali, le nozze fra gay, gli adulteri, i divorzi, sono giusti, non lo diranno mai francamente. Ma diranno che loro sono misericordiosi e aperti, accoglienti e veri seguici di Cristo, mentre gli altri, in particolare chi richiama le regole, i tradizionalisti, sono i rigidi e pelagiani, cioè chi richiama la dottrina diventa l’eretico».

domenica 26 giugno 2022

IL CASO SERIO

DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA NON SPRECARE LA SCOSSA USA

Assuntina Morresi

Con il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade la Corte Suprema americana ha riaperto il dibattito pubblico internazionale sull’aborto, costringendo la politica (e la società) a occuparsene, e non solo negli Usa. Come noto, i giudici statunitensi hanno stabilito che spetta ai legislatori, al Congresso e alle assemblee dei singoli Stati dell’Unione, regolare l’interruzione volontaria di gravidanza, togliendo cioè il diritto all’aborto come diritto individuale e privato stabilito per tutta la federazione dalla sentenza nel 1973 (e sempre confermata, successivamente, finora).

Adesso quindi negli Usa di aborto si dovrà parlare per decidere, necessariamente, e poiché era stata quella sentenza a far scattare l’effetto domino che lo ha legalizzato in gran parte del mondo, il suo capovolgimento non può lasciare nessuno indifferente, comunque la si pensi in merito.

Ed è bene che si riapra un confronto pubblico sul tema, purché il più lontano possibile da ideologismi e radicalizzazioni che purtroppo già si leggono, si ascoltano e si vedono (anche in piazze ribollenti), ma sono dannosi per tutti: il rovesciamento della Roe vs Wade non può essere letto come un incidente di percorso a cui rimediare con una futura diversa maggioranza alla Corte Suprema. Sarebbe miope fermarsi a questa lettura: il rovesciamento è avvenuto, sì, per spinta politico-giudiziaria, ma anche perché il mondo sta cambiando e può cambiare di più e meglio.

In questi cinquanta anni l’aborto è stato di fatto vissuto da (quasi) tutte e tutti come un diritto, anche dove le stesse leggi non lo definivano come tale (come in Italia) e la politica, una volta regolamentato l’accesso, se ne è sostanzialmente disinteressata.

Abbiamo assistito in Italia, ciclicamente, a campagne strumentali come quelle contro l’obiezione di coscienza e a favore della pillola abortiva, ma nelle aule parlamentari e dei consessi di governo locale la questione aborto non è mai stata veramente affrontata nel merito: non si è mai discusso veramente e serenamente di come poter renderne residuale il ricorso, fino a "svuotare" la legge della tragedia che contiene e che bisogna contenere sino a far sparire, come ha scritto Marco Tarquinio, il direttore di questo giornale.

Eppure, almeno a parole, tutti, sia i sostenitori sia i detrattori delle leggi in vigore, riconoscono l’aborto come un fatto estremamente negativo nella vita di una donna, da evitare. E ormai a parlare del concepito come di un "grumo di cellule" sono soltanto alcuni irriducibili, questi sì, residuali: non serve scomodare le frontiere del progresso scientifico, è sufficiente guardare un’ecografia, anche nelle prime settimane di gravidanza, perché chiunque possa riconoscere una vita umana nel grembo materno.

Ma nel frattempo i metodi farmacologici stanno velocemente cambiando l’aborto, non solo in Italia; lo trasformano da problema sociale a invisibile atto medico, portandolo di nuovo nel privato del proprio domicilio e alleggerendone il peso organizzativo ed economico nelle strutture pubbliche: l’aborto non deve più disturbare.

E non si può parlare di aborto senza allargare lo sguardo alla maternità nel suo complesso, sotto attacco come non mai, ai nostri tempi.

Dalle gestazioni a pagamento con regolare contratto di surroga al commercio di gameti, passando per bislacche teorizzazioni circa "madri malevole", utilizzate come randelli nei tribunali, fino alla surreale discussione pubblica sulla definizione di chi sia una donna, quasi fosse un concetto astratto: troppo porta allo svilimento della maternità, e il gelo demografico che stiamo vivendo nel ricco Nord del mondo è il drammatico, complessivo risultato di tutto questo.

Lo scossone dato dalla Corte Suprema americana può diventare quindi un’occasione importante perché costringe tutti noi, società e politica, a confrontarci anche pubblicamente sulla vita che sboccia nel corpo di un’altra, sulla sua essenza, sul significato personale e sociale e culturale e valoriale del diventare madri, e quindi anche padri.

Che cosa significa essere donne, uomini, genitori nell’era post Roe vs Wade? Questo è il cuore del caso riaperto e serio.

AVVENIRE domenica 26 giugno 2022

 


sabato 25 giugno 2022

LGBT E DINTORNI: L’EPURAZIONE È UN VIZIO ANTICO DELLE IDEOLOGIE


Davide Rondoni

I gay con la divisa lo sono meno di quelli che sfileranno alla parata con le piume?

La notizia sarebbe comica se non svelasse una vena buia della nostra società.

Al Pride di Bologna, gli organizzatori che godono dell’appoggio del Comune e delle Istituzioni, oltre che di Amazon, Netflix, Coca-Cola & co, escludono dalla partecipazione un’associazione Lgbt eccetera delle forze dell’ordine.

Noi siamo contro la polizia dicono i capi del Pride. Quindi ora l’aggettivo gay vale meno di poliziotto? Che ciò avvenga nella città che finge di festeggiare Pasolini mentre contraddice il suo pensiero non è una coincidenza. Fu lui a creare scandalo quando ai Sessantottini manifestanti disse che stava dalla parte dei poliziotti, figli del popolo, e non, come ora, dei figli di papà finti rivoluzionari al servizio di un capitalismo onnivoro.

Il fatto discriminatorio di Bologna, oltre a porre interrogativi alle Istituzioni, conferma che nelle ideologie c’è sempre il vizio di epurare.

E che questa fiera delle identità basate sugli orientamenti sessuali è una risposta errata a una domanda aperta su cosa sia la natura umana.

Se infatti qualifichiamo come identità la tendenza sessuale, come l’appartenenza etnica o religiosa, finiremo, come si vede, a basare il rispetto su tali aggettivi. E allora io come Romagnolo mi dovrei sentire escluso perché nella Costituzione non c’è qualche parola nel mio dialetto? La filosofia gender così come il bieco nazionalismo, sono risposte errate a un problema vero dell’uomo contemporaneo che non sa più "che cosa" identifica la sua natura speciale. E generano ansie, sopraffazioni.

Come sapevano Leopardi e anche Pasolini la natura dell’uomo non è identificata da nessuno dei suoi possibili aggettivi, ma solo dal suo essere rapporto con l’infinito, figlio dell’Infinito. Solo questo motiva il rispetto per tutti. Se no, si va alla guerra grottesca e feroce tra presunte identità.

IL RESTO DEL CARLINO 24/6/22

 

NANCY PELOSI, UNA RAGAZZA ACQUA E SAPONE

 Mi sono imbattuto in questa dichiarazione a proposito della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ieri ha revocato la sentenza emessa quasi mezzo secolo fa nel caso Roe contro Wade:


“Speaker Nancy Pelosi was clearly shaken by the Supreme Court's decision to overturn Roe v. Wade, telling reporters “I am personally overwhelmed by this decision.” https://t.co/caGrEGygwV pic.twitter.com/1N8PMvL5mk

— The New York Times (@nytimes) June 24, 2022

È raro, ed è bello quando un esponente del potere, nella concitazione del momento, dimentica il trucco di scena, la maschera e tutti gli altri accorgimenti con cui solitamente si camuffa e, per una volta, si mostra con il suo vero volto. In questo caso il bel faccino acqua e sapone della signora Nancy Patricia Pelosi, nata D'Alessandro, 82 anni, politica dem di lunghissimo corso e presidente della camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Che dice, a sua insaputa e suo malgrado, la verità.

E la verità è questa: a quelli come lei la realtà non interessa. Gli uomini e le donne di potere non hanno nessun rapporto con la vita reale degli altri esseri umani.

Questo permette a lei, ad esempio, di chiamare, senza la minima esitazione, reproductive health decision ciò che invece è, in-con-te-sta-bil-men-te, la soppressione di un essere umano, cioè di un individuo appartenente alla specie umana. La qualità linguistica e morale di questa espressione (data dal suo livello di corrispondenza alla realtà), essendo dello stesso ordine di Endlösung der Judenfrage (soluzione finale della questione ebraica), dovrebbe indurre in qualunque soggetto pensante almeno un certo impaccio, o disagio, o imbarazzo nell'impiegarla. Non a lei.

Quello che le interessa lo dice lei stessa, con un candore che ispirerebbe perfino simpatia se non sapessimo con  chi abbiamo a che fare: “siamo sconvolti, abbiamo il cuore spezzato, le donne e tutto quanto ... but make non mistake again, it's all on the ballot in November. Non fate cazzate e dateci il voto, che non servite a nient'altro.

Al potere interessa solo il potere. Non la realtà, non il pensiero; non le donne, non i bambini; non la vita e non la morte. Solo il potere.

 LEONARDO LUGARESI

 

I VESCOVI AMERICANI: UNA GIORNATA STORICA

 LA CORTE SUPREMA ANNULLA LA SENTENZA SUL DIRITTO ALL’ABORTO.

La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb) – che lo scorso anno si era divisa sul dibattito dell’accesso ai sacramenti per i politici cattolici che promuovessero politiche pro-choice – ha parlato di “un giorno storico nella vita del nostro Paese”.

In una lunga e articolata dichiarazione firmata dal presidente, l’arcivescovo José H. Gomez di Los Angeles, e l’arcivescovo William E. Lori di Baltimora, presidente della Commissione per le attività a favore della vita dell’Usccb, si legge: “Per quasi cinquant’anni, l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; questa politica ha portato alla morte di decine di milioni di nascituri, generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere”.

“L’America è stata fondata sulla verità che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali, con il diritto, dato da Dio, alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità”, sottolinea la nota dei vescovi. “Preghiamo che i nostri funzionari eletti promulghino leggi e politiche che promuovano e proteggano i più vulnerabili tra noi”.


UN'AMERICA POST ROE

Il “primo pensiero”, scrivono ancora Gomez e Lori, è per “i piccoli a cui è stata tolta la vita dal 1973”, ma anche per “tutte le donne e gli uomini che hanno sofferto a causa dell'aborto”: “Come Chiesa, dobbiamo servire coloro che affrontano gravidanze difficili e circondarli di amore”. I vescovi ringraziano gli “innumerevoli americani comuni di ogni estrazione sociale” che in questi anni “hanno collaborato pacificamente per educare e persuadere i loro vicini sull’ingiustizia dell'aborto, per offrire assistenza e consulenza alle donne e per lavorare per alternative all’aborto, tra cui l’adozione, l'affido e politiche pubbliche che sostengono veramente le famiglie”. 

“Il loro lavoro per la causa della vita riflette tutto ciò che di buono c’è nella nostra democrazia, e il movimento pro-vita merita di essere annoverato tra i grandi movimenti per il cambiamento sociale e i diritti civili della storia della nostra nazione”, scrivono nella nota.

E aggiungono: “Ora è il momento di iniziare il lavoro di costruzione di un’America post-Roe. È il momento di sanare le ferite e di riparare le divisioni sociali; è il momento di una riflessione ragionata e di un dialogo civile, e di unirsi per costruire una società e un’economia che sostengano i matrimoni e le famiglie, e in cui ogni donna abbia il sostegno e le risorse di cui ha bisogno per mettere al mondo il proprio figlio con amore”.


LE DICHIARAZIONI DI O'MALLEY  CUPICH E PAGLIA

In serata sono giunte anche le dichiarazioni dei cardinali Sean O'Malley, arcivescovo di Boston, e Blase Cupich, arcivescovo di Chicago.

O'Malley ha parlato di una decisione "profondamente significativa e incoraggiante". "Il nostro continuo impegno nel sostenere la nostra posizione sulla protezione dei bambini non nati è coerente con la nostra difesa di questioni che riguardano la dignità di tutte le persone in tutte le fasi e in tutte le circostanze della vita", ha chiarito il cardinale. "

La Chiesa impiega questo principio di coerenza nell'affrontare le questioni razziali, la povertà e i diritti umani in generale. È una posizione che presenta un argomento morale come fondamento per la legge e la politica di protezione della vita umana".

Cupich, da parte sua, accogliendo "con favore" la sentenza della Corte Suprema, ha ribadito in uno statement la convinzione della Chiesa cattolica "che ogni vita umana sia sacra, che ogni persona sia fatta a immagine e somiglianza di Dio e che quindi meriti riverenza e protezione".

"Questa convinzione è il motivo per cui la Chiesa cattolica è il più grande fornitore di servizi sociali del Paese, molti dei quali mirano a eliminare la povertà sistemica e l'insicurezza sanitaria che intrappolano le famiglie in un ciclo di disperazione e limitano le scelte autentiche".

 "Questa sentenza - ha aggiunto il porporato - non è la fine di un percorso, ma piuttosto un nuovo inizio. Sottolinea la necessità di comprendere coloro che non sono d'accordo con noi e di inculcare un'etica del dialogo e della cooperazione. Cominciamo con l'esaminare la nostra coscienza nazionale, facendo il punto su quei luoghi oscuri nella nostra società e nei nostri cuori che si rivolgono alla violenza e negano l'umanità dei nostri fratelli e sorelle, e mettiamoci al lavoro per costruire il bene comune scegliendo la vita".

Per monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, "di fronte a una società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, si gioca la nostra responsabilità per il futuro dell'umanità".

 

ANCHE “AMERICA – THE JESUIT REVIEW  

È intervenuta con numerosi articoli sul pronunciamento della “SCOTUS “ (Supreme Court Of The United States”, sostenendo la decisione della Corte, ma con molte sfumature, molto preoccupata delle ripercussioni sociali complicate e divisive.

Il titolo di ieri: The end of Roe v. Wade: Reactions and analysis from the Catholic world

Titolo del primo articolo

Roe v. Wade era una farsa legale e morale. La sua fine può portare vera giustizia alle donne e ai non nati.

Come da tempo, i redattori di AMERICA continuano a sostenere che, in quanto questione costituzionale, la regolamentazione dell'aborto è principalmente una questione di legislatori statali; sotto il profilo morale, la vita umana non nata ha dignità sacra e merita protezione legale; e infine, dal punto di vista politico, le questioni complicate e divisive che circondano l'aborto non possono essere affrontate in modo efficace quando l'unica vera sede della questione è la Corte Suprema.

I redattori sostengono l'odierna inversione di rotta di Roe e Casey, ma riconoscono anche che la vita non ancora nata non può essere difesa solo limitando legalmente la disponibilità dell'aborto. Continuiamo quindi a chiedere un maggiore sostegno alle politiche per aiutare le donne incinte e le famiglie con bambini, in particolare dal movimento pro-vita, a ridurre l'incidenza dell'aborto.

venerdì 24 giugno 2022

USA: LA CORTE SUPREMA CANCELLA IL DIRITTO COSTITUZIONALE ALL’ABORTO

 Con una maggioranza di 6 a 3 i giudici hanno ribaltato le sentenze Roe e Casey: «La Costituzione non fa alcun riferimento all'aborto e un tale diritto non è implicitamente protetto dalla Costituzione». Ora saranno i singoli Stati a decidere sul tema

 24/06/2022 - 17:10

La Corte suprema degli Stati Uniti ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto dopo quasi 50 anni, ribaltando le sentenze Roe v. Wade e Planned Parenthood v. Casey.

Ogni Stato americano, di conseguenza, torna libero di decidere come regolare l’interruzione di gravidanza. La decisione è stata presa dai giudici a maggioranza.

 


«Non esiste il diritto costituzionale all’aborto»

Il giudice Samuel Alito, nel parere della maggioranza, scrive che «gli americani continuano ad avere visioni appassionate e ampiamente divergenti sull’aborto e i diversi Stati hanno agito di conseguenza».

La Corte, continua, «ritiene che le sentenze Roe e Casey devono essere rigettate. La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e un tale diritto non è implicitamente protetto dalla Costituzione, neanche dalla Due Process Clause del 14esimo emendamento».

Il diritto all’aborto non può essere assimilato a nessun altro diritto, continua il giudice Alito, perché «distrugge ciò che Roe e Casey chiamano “vita fetale” e ciò che la legge oggi descrive come un “essere umano non nato”». La Roe «era vergognosamente sbagliata fin dal principio. Le sue basi sono incredibilmente deboli e la decisione ha avuto conseguenze dannose. È giunto il tempo di rispettare la Costituzione e di restituire il tema dell’aborto ai rappresentanti eletti dal popolo».

Il caso del secolo

Ad aver portato alla storica sentenza è il caso Dobbs v. Jackson Women’s Helath Organization del Mississippi. Nel 2018 il governatore repubblicano Phil Bryant firmò una legge che dichiarava illegali in Mississippi tutti gli aborti praticati oltre le 15 settimane di gravidanza. È una legge che sfida direttamente le sentenze Roe e Casey, nelle quali veniva sostanzialmente stabilito che l’aborto è legittimo in qualunque caso fino a quando il bambino non è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno. Questa condizione è stata interpretata perlopiù come un via libera all’aborto fino alla 24/28ma settimana di gravidanza.

La legge del Mississippi non è mai entrata in vigore, perché l’Organizzazione di Jackson per la salute delle donne, che gestisce l’unica clinica abortiva di tutto lo Stato di 3 milioni di abitanti, presentò un esposto alla corte federale distrettuale, che bloccò la legge nel novembre del 2018.

L’America è divisa sull’aborto

In una “dissenting opinion” i giudici liberal della Corte Suprema Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer hanno scritto: «È triste che molte donne abbiano perso oggi una tutela costituzionale fondamentale». La speaker democratica del Congresso, Nancy Pelosi, ha parlato di «sentenza crudele».

Il senatore repubblicano Mitch McConnell ha invece affermato: «Milioni di americani hanno passato mezzo secolo a pregare, marciare e lavorare verso la storica vittoria di oggi per lo stato di diritto e la vita innocente. Sono orgoglioso di essere stato al loro fianco in questo lungo viaggio e condivido oggi la loro gioia».

Cosa pensano davvero gli americani

Gli americani sono da sempre divisi sul tema. Secondo l’annuale sondaggio di Marist Poll, pubblicato in occasione della Marcia per la vita di gennaio, oltre il 60 per cento voleva che la Corte suprema mandasse in soffitta la Roe. Il 17 per cento preferiva che l’aborto diventasse illegale, mentre il 44 per cento riteneva che la decisione dovesse essere affidata agli elettori dei singoli Stati.

Secondo altri sondaggi, il 55 per cento degli americani si definisce pro choice e il 40 pro life. Nonostante questo, soltanto il 17 per cento ritiene che «l’aborto dovrebbe essere accessibile a una donna in ogni momento della gravidanza». L’83 per cento degli americani, cioè, considera giusto che l’interruzione di gravidanza venga in qualche modo limitata e il 63 è contrario all’aborto a domicilio tramite la pillola abortiva. Inoltre, il 54 per cento non vuole che l’aborto sia pagato con denaro pubblico e il 73 per cento è contrario all’utilizzo dei proventi delle imposte per finanziare l’interruzione di gravidanza all’estero.

Decidono i singoli Stati

La sentenza della Corte suprema americana non vieta l’aborto, ma restituisce ai singoli Stati il diritto di legiferare sul tema come ritengono più opportunoCome dettagliato dal New York Times, se circa 20 Stati repubblicani sono pronti a vietare o restringere fortemente la pratica, altrettanti democratici hanno già pronte leggi per liberalizzare l’interruzione di gravidanza, mentre in altri 10 Stati non è chiaro come l’aborto verrà regolato.

Determinante per il verdetto è stata la composizione della Corte suprema americana, oggi a maggioranza conservatrice dopo che Donald Trump ha nominato negli anni scorsi tre giudici conservatori: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. I tre, che insieme ad Alito hanno approvato il ribaltamento del diritto costituzionale all’aborto, sono da settimane in pericolo dopo aver subito tentativi di aggressione e ricevuto minacce di morte.

 

@LeoneGrotti

TEMPI

NOTA. l'aborto non è solo un fatto politico, ma come diceva Padre Danielou "la preghiera è un problema politico". Su questo torneremo nei prossimi giorni



 

IL VESCOVO DI CESENA ALLA MESSA DEL PATRONO: "OGNI BIMBO CHE NASCE CI RICORDA CHE DIO NON SI È STANCATO DELL'UOMO"

 

IL VESCOVO DI CESENA ALLA MESSA DEL PATRONO: "OGNI BIMBO CHE NASCE CI RICORDA CHE DIO NON SI È STANCATO DELL'UOMO"

 

“Nella Bibbia la vita nascente è segno di un dono, una gioia grande e una responsabilità”

Un bambino che nasce


Foto di GIORGIO MARINI

“Si chiamerà Giovanni” (Lc 1, 60), afferma perentoria l’anziana Elisabetta, davanti allo stupore dei vicini e dei parenti e contrariamente a ogni regola tradizionale. Giovanni è il suo nome! La nascita di un bambino è lo sbocciare della vita non solo per quella famiglia, ma per il mondo intero.

 “Ogni bimbo che nasce ci ricorda che Dio non si è stancato dell’uomo”, aveva detto un giorno santa Teresa di Calcutta. Invece “la nostra epoca e la nostra cultura mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica dell’essere umano” (Francesco, Udienza generale 8 giugno 2022).

Il profeta Isaia nella prima lettura (Cfr Is 49, 1-6) ci rimanda, con un racconto autobiografico, ai primi istanti della sua esistenza: quando ancora era nel grembo materno. Fin da quel momento egli si è sentito chiamare a una esistenza grande e bella, impegnativa e intensa: ad essere, cioè, profeta di Dio. E lo sarà: “Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra" (v.6). “Nella Bibbia la vita nascente è segno di un dono, una gioia grande e una responsabilità che si inscrivono in una famiglia e aprono un futuro. I neonati sono immagine del mistero della vita che si trasmette attraverso l’amore di un uomo e di una donna, sono immagine della cura di Dio, nei confronti dei genitori. Lungo tutta la Scrittura la nascita dei bambini è un elemento portante dell’opera di Dio e delle famiglie umane” (D. Regattieri, Dal Messaggio per san Giovanni 2022).

Al testo di Isaia ha fatto eco il salmo 138. Anch’esso considerato un inno alla vita. È il salmista in questo caso che parla di sé: anch’egli ha sentito la mano di Dio fin dal primo istante della sua esistenza, cioè dal concepimento: “Tu, Signore, mi ha hai tessuto nel grembo di mia madre, ricamato nelle profondità della terra” (Cfr Sal 138, 13.15).

Mi chiedo se la madre di Isaia e quella del salmista avessero abortito non avremmo avuto un profeta di tale statura; non avremmo avuto il meraviglioso canto del salmista! Il mondo sarebbe stato più povero! Chissà di quanti e quali personaggi il mondo sarebbe stato privato!

Due anziani ormai al tramonto

Il vangelo pure ci parla di una nascita; stavolta è Giovanni il protagonista. Bisognerebbe riascoltare il canto che esplode dalla bocca e dal cuore del papà di questo bambino, il sacerdote Zaccaria, per toccare con mano come la vita fosse percepita a quel tempo come un dono di Dio. Sempre. Eppure questa vita nasce in un contesto precario: da due genitori anziani. Come avrebbero potuto garantire un futuro dignitoso a questo bambino? Come lo avrebbero educato, loro anziani, ormai al tramonto? Come sarebbero stati in grado di inserirlo nella società loro che stavano ormai congedandosi dal mondo. Tutte motivazioni che, oggi, sarebbero sufficienti – purtroppo – per approdare alla malsana e insana scelta di sopprimere questa vita, di non permetterle di venire alla luce per risparmiarle – come si dice – un’esistenza infelice in un  mondo difficile.

Invece: ecco due anziani, ormai al tramonto della vita, che si imbarcano in un’avventura nuova: un nuovo cammino, una nuova prospettiva; un rimettersi in gioco.

Altro che scarto, gli anziani! Qui l’anziano continua a guidare la storia, a essere protagonista, ad avere un ruolo, qui egli ha da dire qualcosa di vero e di buono a un mondo che sembra destinato a morire, a intristire. Le rughe di questi due anziani si confrontano senza timore e senza vergogna con la pelle liscia e fresca del loro bambino che portano tra le loro stanche braccia. Ha detto in questo giorni il papa: “Le rughe sono un simbolo di esperienza, sono un simbolo di maturità, di aver fatto in cammino … Quello che interessa è la personalità, è il cuore, che rimane con quella bontà del vino buono, che tanto più invecchia, tanto più buono è”.

Egli ha così messo sotto accusa il “mito” dominante della nostra epoca e della nostra cultura: quello dell’eterna giovinezza, dell’”ossessione – disperata – di una carne incorruttibile”.  La vecchiaia, - ha continuato il papa - oggi viene disprezzata proprio “perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo … La tecnica si lascia attrarre da questo mito in tutti i modi: in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia” (Francesco, Udienza generale, mercoledì 8 giugno 2022).

Un bambino che nasce da una parte; due anziani che si congedano da questa terra, dall'altra: insieme, un intreccio salutare per la vita di questo mondo che se si chiude alla vita è destinato a intristire.

MONS DOUGLAS REGATTIERI