giovedì 29 agosto 2019

NE’ CON SALVINI NE’ CON PADRE SPADARO


ALFREDO MANTOVANO

Mettiamola dal lato dei cattolici italiani. Dal lato di quella minoranza che mantiene la frequenza della Messa domenicale, che tenta di orientare la vita secondo un senso religioso ricevuto o acquisito, che prova perfino a riferirsi a un quadro essenziale di principi, la cui trasmissione attende dalla chiesa, che è disponibile a manifestare il proprio sentirsi cristiani nell’educazione dei figli e in opere concrete di aiuto al prossimo, che riesce a mobilitarsi in manifestazioni di piazza, come è stato per i due Family day del 2015 e del 2016.
Quest’area, che non è la maggioranza degli italiani, ma nemmeno un circolo isolato, ha assistito negli ultimi mesi, soprattutto negli ultimi giorni, all’ostentazione da parte del leader della Lega dei simboli più cari alla religiosità popolare: in occasione non di celebrazioni sacre, bensì di eventi politici e istituzionali.
E ha contestualmente assistito alla pesante critica rivolta a Salvini da esponenti significativi della realtà ecclesiale italiana, di strumentalizzazione, se non di uso blasfemo. Il livello della polemica politica è tale che non ci si meraviglia se, a un vicepremier che bacia la corona del Rosario nell’Aula del Senato fa da pendant il presidente della commissione Antimafia, per il quale in Calabria il Rosario è uno dei simboli della ndrangheta; la questione è troppo seria per essere liquidata in poche battute, ma l’equazione del pentastellato Morra si qualifica da sé. Né ci si meraviglia dell’ira laicista esplosa dentro e fuori quell’Aula alla mera comparsa di quei simboli: per ribadire il divieto di riferirsi a Dio nella vita pubblica, comunque si manifesti, quasi come se fosse una bestemmia.

Ma dal direttore di Civiltà cattolica ci si aspetta qualcosa di più: uno sforzo di analisi invece che un anatema, in linea con la tradizione di quella testata… E non è solo Civiltà cattolica, vi è un orientamento diffuso nella comunicazione ecclesiale, che si percepisce al di là della sua connotazione di ufficialità. I Pontefici hanno sempre insegnato che i criteri di valutazione della linea di un partito, o di un governo, o di una iniziativa politica sono quelli elaborati dalla Dottrina sociale della chiesa: che continua a restare “parte integrante della concezione cristiana della vita”, come la definiva San Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et magistra. Essa non indica soluzioni concrete, ma prospetta principi di riferimento, criteri di giudizio e direttive di azione, il cui filo conduttore, prima ancora del dato confessionale, sono l’adesione a una sana antropologia e la verifica ex fructibus.

Non è complicato valutare l’anno abbondante di governo gialloverde alla stregua di questi criteri; nel “contratto” che lo ha fondato, poiché le questioni attenenti alla vita e alla famiglia sono fra le più divisive in assoluto, è stata concordata una moratoria: non rivedere, neanche in parte, le norme fortemente ostili introdotte dai Governi della precedente legislatura, dal divorzio breve e facile alle unioni same sex, fino alle dat, ma nemmeno andare oltre.

I cattolici hanno pieno titolo a mostrarsi delusi sulla tenuta della tregua, che non vi è stata.
Basta ricordare tre vicende: la prima è l’ordinanza n. 207/2018 con cui la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della disposizione del codice penale che sanziona l’aiuto al suicidio, ha messo in mora il Parlamento affinché, entro il 24 settembre 2019, vari una normativa sostanzialmente eutanasica, lasciando intendere che altrimenti provvederà la stessa Consulta. Vi è stata la lodevole proposta di legge di qualche deputato leghista, per evitare l’inserimento del suicidio medicalizzato nel Sistema sanitario nazionale, ma il vertice della Lega non ha fatto nulla perché tale proposta pervenisse nell’Aula della Camera. Né oggi il tema è minimamente evocato fra le questioni importanti: la crisi di governo rischia di lasciarla al destino di una grave decisione già nella sostanza anticipata.

La seconda è la Determina con la quale a fine febbraio l’Aifa-agenzia italiana del farmaco ha inserito la molecola TRP-triptorelina fra i medicinali erogabili a carico del Servizio sanitario nazionale: da somministrare, sotto controllo medico, ad adolescenti ritenuti affetti da DG-disforia di genere, al fine di procurare loro un blocco temporaneo, fino a un massimo di qualche anno, dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò “alleggerisca” in qualche modo il “percorso di definizione della loro identità di genere”. E’ uno strumento per la riaffermazione dell’ideologia del gender in danno del minore, in spregio alle preoccupazioni di ordine scientifico e giuridico espresse da realtà qualificate.
Qui il governo è stato parte in causa, dal momento che Aifa opera sotto la vigilanza dei ministeri della Salute e dell’Economia. Vi è stato qualche cenno di agitazione, qualche interrogazione presentata, poi è calato il silenzio.

La terza è l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri – il 28 febbraio –, fra gli altri, di un disegno di legge delega di riscrittura del codice civile, con la previsione degli accordi prematrimoniali, che riducono il matrimonio a un contratto come tanti altri che, come per la somministrazione di un servizio, disciplina le modalità di conclusione prima ancora di iniziare, in un’ottica mercantilistica consacrata in clausole negoziali.

Questo per non dire, al di fuori delle decisioni romane, della deriva libertaria inspiegabilmente imposta dalla guida leghista della Regione Lombardia.

Lo spazio complessivo dedicato a queste voci dagli opinion maker della realtà ecclesiale italiana è stato minimo, del tutto incomparabile con la questione immigrazione, che ha polarizzato, al di là dei simboli, la critica al governo, e in particolare al vicepremier Salvini, peraltro spesso aspra, emozionale, senza quelle distinzioni che fanno cogliere la complessità dei fenomeni, e per questo alla fine non incisiva.

Vi è però un ulteriore dato di riflessione. Salvini – al di là delle intenzioni, per le quali dovrebbe comunque valere il “chi sono io per giudicare?”, e al di là del necessario equilibrio fra la propria fede e la sua ostentazione – riempie lo spazio dell’uso in calo di simboli della fede popolare.
Sarei curioso di sapere se egli conosce la radice e il senso della devozione al Cuore Immacolato di Maria, come e perché essa nasce, quale importanza abbia oggi per la Chiesa e per il mondo, quanto essa sfugga ad appropriazioni politiche.
Quel che è certo è che però si tratta di una pratica religiosa poco diffusa. Far riferimento a essa provoca l’effetto di risvegliare l’attenzione remota di fedeli che non ne sentono più parlare: oggettivamente cattura un segmento di elettorato, non esteso ma da sommare ad altri. La reazione negativa dei media ecclesiali ci sta tutta. Ma non si svolge alcun orientamento se ci si ferma alla demonizzazione.

Se non ci si domanda quanto l’abbandono di preziosi territori di fede – la devozione al Cuore Immacolato lo è – lasci spazi che vengono occupati, se pur in modo distorto.
In quest’ottica, la risposta, al posto della quotidiana scomunica, potrebbe essere ridare senso a quel bene prezioso che è la fede in Italia, uscendo dalla sovrapposizione della realtà ecclesiale nazionale a una megaonlus orientata quasi monotematicamente – questa è la percezione - sull’accoglienza dei migranti.

Tornando alla politica, l’alternativa alle manifestazioni religiose di Salvini, comunque
apprezzate da una parte del popolo dei cattolici, non è il silenzio dei “cattolici democratici”, né il timore che nelle istituzioni o nelle piazze si dica o si faccia qualcosa di cattolico, ma il coraggio di riprendere a applicare la Dottrina sociale cristiana.

Il prezzo del tratto ecclesiale su vicende come il “caso Salvini”, è l’accentuazione dell’irrilevanza della presenza pubblica dei cattolici in Italia. E non dipende dalle corone del Rosario che il capo della Lega ostenta.

Alfredo Mantovano sarà a Cesena il 12 settembre a parlare di suicidio assistito invitato dal Crocevia

PENULTIMI CONTRO MIGRANTI


LA FRATTURA DEI CATTOLICI

di  Dario Di Vico | Corriere della Sera 24 agosto 2019

Quante probabilità di successo ha l’Opa che la Lega ha avviato sull’elettorato che frequenta le parrocchie e su quello non praticante?

Il meeting di Comunione e Liberazione si è chiuso — con un rinnovato successo — mentre la crisi di governo è ancora aperta e di conseguenza viene facile porsi domande di connessione

A cominciare da questa: quante probabilità di successo ha l’Opa (ostile?) che Matteo Salvini ha avviato da tempo sull’elettorato cattolico? Prendendo i dati di una ricerca Ipsos sul voto europeo sappiamo che i consensi per la Lega sono stati del 30,1% tra i «cattolici praticanti ed impegnati» ma crescono via via che cala la frequentazione di parrocchie e riti fino a lambire il 40% tra i non praticanti. Per avere un termine di raffronto tra i praticanti/impegnati il Pd è al 28,1% ma tra i non praticanti arriva solo al 18%. Il dato ancor più interessante riguarda la penetrazione della narrazione salviniana in tema di migranti: la linea intransigente dei porti chiusi è condivisa dal 51% dei cattolici, praticanti o meno. Ho ricordato questo dato a un dirigente di Cl e mi ha confessato che avrebbe sospettato una cifra più elevata. 

Ma come è possibile che ciò avvenga quando il Papa in prima persona non perde occasione per contrastare la linea sovranista in materia di sbarchi?
La risposta c’è: il conflitto con Salvini è una scelta del Vaticano che non si trasmette in automatico alle strutture sul territorio. L’episodio del parroco di Sora che nell’omelia di pochi giorni fa attacca i migranti fa il paio con un altro episodio di un parroco del lecchese che sosteneva invece le ragioni umanitarie ed è stato contestato dai fedeli che hanno abbandonato la messa. A Salvini è riuscito un colpo da biliardo: far passare la contrapposizione tra gli ultimi e i penultimi. Una significativa fetta del popolo cattolico non si indigna per l’uso strumentale del rosario ma contesta la priorità assegnata dalla Chiesa ai migranti a scapito di una maggiore attenzione al disagio del ceto medio italiano. Da qui un’adesione all’Opa leghista con doppia valenza: Salvini è visto come un sindacalista dei penultimi e aderendo al suo storytellingsi fa sapere al Vaticano di non condividere quella gerarchia dei problemi. Naturalmente il leader leghista ha dalla sua anche altri vantaggi (ereditati): agli occhi dei cattolici si presenta come il difensore della famiglia tradizionale e delle culle piene contro la sinistra delle unioni civili, dell’ideologia gender e dei gay pride. Che poi Salvini non abbia varato policy per la famiglia/demografia conta poco.

I ciellini che hanno affollato i dibattiti del meeting vivono anch’essi con queste contraddizioni ma gli organizzatori hanno scelto di non farle venire allo scoperto. Del resto da sempre il format riminese evita di istruire dibattiti in contraddittorio, la dirigenza non crede alla dialettica degli opposti (giudicata tardo-illuminista) ma pensa che sia più utile procedere per testimonianze ed esempi. 

Nell’attesa che il metodo possa venir riconsiderato le larghe platee dei dibattiti mostrano un evidente invecchiamento anagrafico. Al meeting manca quasi del tutto la generazione dei 35-40enni ma l’annotazione più interessante da un punto di vista antropologico-culturale riguarda proprio gli over65: non sono molto differenti da quelli che 40 anni fa erano i loro avversari, gli ex giovani di sinistra che ancora oggi frequentano festival ed eventi del Pd o delle altre sigle. Coltivano la stessa tensione ad imparare, anche da anziani, e nutrono la comune volontà di trasmettere conoscenze e valori alle giovani generazioni.

Ma riuscirà questa tensione cognitiva e pedagogica a trasformarsi in una proposta politico-culturale capace di respingere l’Opa ostile? La risposta più intrigante ascoltata a Rimini è venuta sorprendentemente da Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario leghista di palazzo Chigi che però fa parte da anni dell’intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ai più Giorgetti è sembrato ancora legato alla cultura «varesina» del Carroccio (Salvini è milanese, non un leghista di territorio) che vedeva nelle autonomie, nel federalismo e nella sussidiarietà lo strumento per avvicinare politica e popolo.
Ma proprio in virtù di questa sua posizione — eccentrica nella stagione della Bestia — ha sfidato i colleghi parlamentari: posso anche dire che sono con voi sui principi della buona politica, della società di mezzo e dei corpi intermedi ma sappiate che oggi sono armi spuntate. Non riescono più a fare da filtro «con la piazza». La partecipazione politica è stata sostituita dai social come i sacerdoti hanno ceduto il passo agli psicologi. O create e creiamo «qualche altro luogo» capace di reintermediare o tutti i discorsi che fate suoneranno come un disco rotto. Non si torna indietro, la democrazia si reinventa o si deteriora. Che un discorso così venga da uno dei principali collaboratori di Salvini è un’altra delle italiche bizzarrie che non riuscirei mai a spiegare a un collega straniero.


lunedì 26 agosto 2019

GRAZIE DAVIDE


INTERPRETARE LA STORIA NONOSTANTE  IL TRADIMENTO DEI CHIERICI
(con una nota finale)

Il “tradimento dei chierici” , così si chiamava un libro di J. Benda. Ora con tale termine si indica l’allontanamento delle elites clericali e intellettuali dalla vita reale delle persone.
È quanto sta accadendo anche ora con clero, intellettuali ed elites schierate allo stesso modo (il clero con i forcaioli di ieri, intellettuali marxisti di sinistra fucsia e Prodi con i leader della Compagnia delle opere che diceva di essere ispirata a Don Giussani, i Saviano campioni della legalità – ma condannati per plagio – con i banchieri).

E la questione non è ovviamente Matteo Salvini o una crisi di governo, ma , come mostrò Oriana Fallaci,  LA CAPACITA’ DI INTERPRETARE LA STORIA.

E di interpretarla non solo a partire dai propri interessi ma dalla lettura dei fenomeni del mondo e delle sofferenze delle persone. Oggi troppi luogo comunisti, troppi buoni all’ultimo miglio, troppe finte verginelle scandalizzate in giro! Poco coraggio di guardare in faccia i veri teatri del potere. Non mi interessa la politica,ma la lettura del mondo e navigarlo, come pirata se occorre, ma sempre come un signore…

DAVIDE RONDONI

NOTA BENE
In un articolo del 22 agosto del Corriere Bologna, come editoriale, si leggeva un intervento tipo richiesta di “liste di prescrizione democratica” di cui riportiamo la parte finale

I temi in programma nei dibattiti del Meeting e i relatori chiamati a confrontarsi lasciano sperare che da Rimini
possano uscire indicazioni per rilanciare una nuova speranza verso un futuro di pacifica convivenza. 
Di questo segnale hanno urgente necessità non solo i cattolici ma tutte le persone che vogliono dare testimonianza e
impegno nella convinzione che è possibile costruire uno sviluppo possibile e sostenibile a livello locale e globale.
In questa direzione vanno le parole del presidente della Cei Gualtiero Bassetti, che giustamente ha richiamato la
grandezza dellumano, quella capace di dialogo con laltro e di accoglienza degli ultimi. Peccato che le parole
dellarcivescovo Bassetti siano contraddette allinterno di Cl da qualche intellettuale che giustifica luso
strumentale dei simboli religiosi. E sostiene, come fa il poeta Davide Rondoni, che «tanti ciellini hanno votato Lega e la rivoteranno». Se la voce di questo poeta è fuori dallo spirito di Cl, va detto chiaramente nelle conclusioni del Meeting , in modo da indicare senza ambiguità una via di luce per uscire dal tunnel della crisi .

Giovanni De Plato

SE IL PAPA FA POLITICA



L'APOCALISSE
Abbazia di San Pietro a Moissac (Francia, Midi Pirenei)
romanico gotico cluniacense XI secolo
Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra.
 (…) I catto-bergogliani sono insorti con livore e disprezzo (ma sempre in nome della carità) contro chi muove obiezioni al Papa, accusandoli d’insolenza. E’ ridicolo che questi cattolici progressisti ricorrano al dogma dell’infallibilità del papa e si trincerino dietro quel principio di autorità che hanno calpestato fino a ieri, diciamo fino a che era Papa Ratzinger.
Il problema è opposto: non è chi critica le dichiarazioni politiche di Bergoglio a mettersi al di sopra del Papa, ma è Bergoglio a scendere al di sotto del suo ruolo di Papa, fino a usare strumenti della propaganda politico-mediatica di sinistra che accusa di nazismo chiunque non la pensi come loro.
(…) In un mondo dominato dall’ateismo e minacciato dall’islamismo, Bergoglio addita come nemico principale il sovranismo e come suo gesto di massimo sfregio l’esibizione del rosario. Intanto la civiltà cristiana e la fede cristiana vengono cancellate dalla vita pubblica e privata, le chiese, i fedeli e le vocazioni sono in caduta libera, il senso religioso sparisce nell’orizzonte della gente; ma quel che conta è la mobilitazione umanitaria pro-migranti e resistenza contro un presunto pericolo nazista. E intanto i cattolici praticanti in Europa, una volta esclusi i sovranisti, si riducono all’otto per mille della popolazione…
tratto da un articolo di MARCELLO VENEZIANI

venerdì 23 agosto 2019

IL NECESSARIO PESO DEI CRISTIANI


Massimo Gandolfini.
Il nostro popolo, quello che crede ancora e sempre nei valori non negoziabili, segue con non poca apprensione lo svolgersi degli attuali eventi. E’ sotto gli occhi di chiunque che l’“oscena alleanza” – come dichiarato da Giorgia Meloni – fra i partiti della sinistra (Pd e LeU) e M5S può significare la pietra tombale di tutte le istanze che pongono al centro la difesa della vita, della famiglia naturale e della libertà educativa dei genitori. Basta riguardarsi le immagini del dibattito ieri al Senato: il solo accenno al “Cuore Immacolato di Maria” e al Paese “libero e sovrano con figli e una mamma e un papà” ha letteralmente scatenato le urla rabbiose dell’emiciclo alla sinistra dell’aula, con la senatrice Cirinnà furibonda e scomposta tanto da venir richiamata dalla Presidenza
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Certamente stiamo vivendo un momento storico-politico del nostro Paese in cui fare previsioni su ciò che accadrà fra un’ora è un pericoloso azzardo. In questi giorni non passa minuto che non sentiamo politologi, opinionisti, osservatori di ogni ordine e grado che ci sciorinano possibili strategie, possibili ricette, possibili alleanze, possibili veti, possibili inciuci, nel nobile intento di aiutarci a prevedere l’imprevedibile. Come disse il “vecchio saggio” della prima repubblica: “In politica due avverbi vanno cancellati: sempre e mai”. Gli esempi si sprecano, ma tanto per restare nel contingente, evitando faticosi sforzi di memoria, basta guardare al “minuetto” Pd-M5s: “Mai con i Cinquestelle”, “Mai con il Pd” gridavano convinte le rispettive dirigenze. Fino a ieri, perché oggi tutto sembra cambiare e, ovviamente, tutto ciò accade “per senso di responsabilità e per il bene del Paese”.

Forse varrebbe la pena di ricordare che solo tre mesi fa il “Paese” ha dichiarato esplicitamente la propria volontà, bocciando sonoramente proprio i due partiti che oggi “per senso di responsabilità” si autoproclamano difensori della democrazia, minacciata, a detta loro, da sovranisti e populisti che “vergognosamente” hanno il coraggio di dire che – in fondo, in fondo, a ben guardare – spetterebbe al popolo sovrano, attraverso libere elezioni, dire da chi vuole essere governato. E’ singolare – ma non troppo se non si hanno le fette di salame ideologico sugli occhi – che proprio chi si fregia di avere qualità democratiche e chi si affida nientemeno che alle piattaforme social per far partecipare attivamente il popolo alle decisioni che lo riguardano – siano nella pratica le forze che preferiscono le alchimie politiche alla bella e chiara libertà delle urne.
Il nostro popolo, quello che crede ancora e sempre nei valori non negoziabili, segue con non poca apprensione lo svolgersi degli attuali eventi. E’ sotto gli occhi di chiunque che l’“oscena alleanza” – come dichiarato da Giorgia Meloni – fra i partiti della sinistra (Pd e LeU) e M5S può significare la pietra tombale di tutte le istanze che pongono al centro la difesa della vita, della famiglia naturale e della libertà educativa dei genitori. Non che in questi partiti non esistano coraggiosi e virtuosi sostenitori di questi valori, ma sono ahinoi una piccola minoranza che verrebbe immediatamente tacitata e travolta dal diktat delle rispettive segreterie, come già accaduto con le unioni civili e con le Dat. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, basta riguardarsi le immagini del dibattito ieri al Senato: il solo accenno al “Cuore Immacolato di Maria” e al Paese “libero e sovrano con figli e una mamma e un papà” ha letteralmente scatenato le urla rabbiose dell’emiciclo alla sinistra dell’aula, con la senatrice Cirinnà furibonda e scomposta tanto da venir richiamata dalla Presidenza.
Mi domando: “Chi non crede, perché agitarsi? Chi crede, perché agitarsi? Che tipo di bestemmia laica insopportabile è quella che dichiara di credere in una famiglia composta da mamma, papà e figli?”. Nel suo storico intervento all’Onu, il 18 aprile 2008, Papa Benedetto XVI, affrontando il tema del “carattere sacro della vita umana, la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale” dichiarò “inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di sé stessi– la loro fede – per essere cittadini attivi: non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti… deve essere tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e la possibilità per i credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale”.
Libera Chiesa in libero Stato non può voler dire che i cristiani debbano tapparsi la bocca e sottomettersi al relativismo imperante che impone scelte sociali ed antropologiche perverse e vergognose. Vuol dire, al contrario, che abbiamo il dovere di partecipare attivamente, se non altro con il peso del voto nell’urna, alla costruzione di una società che rispetti i valori che fondano l’umano. Certamente non possiamo negare che nella storia ci siano stati vergognosi abusi del senso religioso, fino a far proclamare al sanguinario e crudele tiranno nazista il ben noto “Got mit Uns”: si tratta forse della più drammatica strumentalizzazione della religiosità finalizzata alla giustificazione della barbarie. Ma non è di questo che stiamo parlando. Il popolo del Family Day, nella sua componente “credente” (abbiamo decine di migliaia di amici non credenti in istanze religiose, ma fermamente credenti in alti valori umani e sociali) è ben consapevole che a nessuno è lecito nominare il nome di Dio invano, ma è altrettanto consapevole che chiedere esplicitamente e pubblicamente l’aiuto di Dio nei momenti chiave della storia, personale e sociale, non è altro che ammettere che “senza di Me non potete fare nulla”. E a nessuno spetta il giudizio circa l’intenzione con la quale quel gesto si fa.
Nella liturgia eucaristica, la preghiera per i defunti recita “dei quali solo tu, Signore, hai conosciuto la fede”: lasciamo a Dio il giudizio sulla fede, e noi limitiamoci al giudizio sulle azioni. Meglio sostenere chi difende la famiglia o chi vuole l’utero in affitto? Chi cerca di fermare gli aborti o chi esalta il diritto di aborto sempre e comunque? Chi vuole che i bimbi siano educati secondo le norme della legge naturale o chi preferisce la colonizzazione ideologica genderista? Chi, certamente con limiti ed anche errori, cerca di contenere la tratta di esseri umani che lo sfruttamento criminale dell’immigrazione indiscriminata rende possibile, o chi di fronte a fatti come Bibbiano – tratta di bimbi, e picconate sulla famiglia naturale – “prende le distanze”, nega connivenze e fa finta di non saperne nulla? Spero di non suscitare nuove polemiche – ce ne sono già abbastanza – ma preso atto della mia personale limitatezza di fronte a problemi di tal portata, anch’io oso appellarmi alla Santa Vergine che “scioglie i nodi” – di cui Papa Francesco è tanto devoto – perché questo “nodo” politico è davvero tanto intricato quanto pericoloso e solo la “Madre del Buon Consiglio” potrà virtuosamente scioglierlo. E mi appello anche al “buon senso” dei miei cari concittadini, credenti e non, perché comprendano da che parte sta veramente il “bene maggiore possibile”, sostenendo i partiti che lo sostengono. PS: il bisticcio di parole è voluto.
Fonte: Interris



giovedì 22 agosto 2019

TROVA LE DIFFERENZE


 PADRE SOSA E IL CATECHISMO

Cari amici, scrive ALDO MARIA VALLI nl suo blog,  facciamo un gioco?
Trova le differenze!

Padre Sosa: “Il diavolo esiste come realtà simbolica”


Padre Sosa, il diavolo esiste?Ha chiesto Rodofo Casadei al Meeting
“In diversi modi. Bisogna capire gli elementi culturali per riferirsi a questo personaggio. Nel linguaggio di sant’Ignazio è lo spirito cattivo che ti porta a fare le cose che vanno contro lo spirito di Dio. Esiste come il male personificato in diverse strutture ma non nelle persone, perché non è una persona, è una maniera di attuare il male. Non è una persona come lo è una persona umana. È una maniera del male di essere presente nella vita umana. Il bene e il male sono in lotta permanente nella coscienza umana, e abbiamo dei modi per indicarli. Riconosciamo Dio come buono, interamente buono. I simboli sono parte della realtà, e il diavolo esiste come realtà simbolica, non come realtà personale”.
Intervista a padre Arturo Sosa Abascal, superiore generale dei gesuiti

Catechismo della Chiesa cattolica: “Il diavolo è una persona, non un’astrazione”
il male non è un’astrazione; indica invece una persona: Satana, il maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il “diavolo” è colui che “si getta di traverso” al disegno di Dio e alla sua “opera di salvezza” compiuta in Cristo (n. 2851)
“Omicida fin dal principio […], menzognero e padre di menzogna” (Gv 8,44), “Satana, che seduce tutta la terra” (Ap 12,9), è a causa sua che il peccato e la morte sono entrati nel mondo, ed è in virtù della sua sconfitta definitiva che tutta la creazione sarà “liberata dalla corruzione del peccato e della morte”.
“Il Signore, che ha cancellato il vostro peccato e ha perdonato le vostre colpe, è in grado di proteggervi e di custodirvi contro le insidie del diavolo che è il vostro avversario, perché il nemico, che suole generare la colpa, non vi sorprenda. Ma chi si affida a Dio non teme il diavolo. “Se infatti Dio è dalla nostra parte, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31)” (n. 2852).
La vittoria sul “principe del mondo” è conseguita, una volta per tutte, nell’Ora in cui Gesù si consegna liberamente alla morte per darci la sua vita. Avviene allora il giudizio di questo mondo e il principe di questo mondo è “gettato fuori”. Egli “si avventò contro la Donna” (Ap 12,13), ma non la poté ghermire: la nuova Eva, “piena di grazia” dello Spirito Santo, è preservata dal peccato e dalla corruzione della morte (concezione immacolata e assunzione della santissima Madre di Dio, Maria, sempre Vergine) (n. 2853).
Trovate le differenze? Bene.
Aldo Maria Valli 

Domando: questo non è un problema? E se lo è, chi deve affrontarlo?


mercoledì 21 agosto 2019

IL PAPA IN CAMPO


In una intervista alla stampa una sintesi delle tesi politiche del Papa
L’intervista concessa alla “Stampa” il 9 agosto è il più esplicito e organico pronunciamento politico in tutto il pontificato di papa Francesco.Questo intervento ha ovviamente sollevato  le opinioni più controverse.  Luca Ricolfi,sociologo, rispondendo ad una domanda sui pronunciamenti del Papa in tema di Europa e Sovranismi ha risposto: “La sua testa politica funziona come quella di un terzomondista degli anni sessanta, che una macchina del tempo ha trasportato ai giorni nostri”. E Marcello Veneziani ha affermato che c’è un “propagandista di sinistra finito in Vaticano con un incarico ancora non ben definito, oltre quello di commissario liquidatore della cristianità.” Sulla stampa laicista e progressista di sinistra l’intervista è stata accolta con soddisfazione come un atto atteso e dovuto in un momento in cui i sovranisti vogliono la guerra e il ritorno del nazismo (“il Papa non si critica”).
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RIPORTIAMO QUI UNA LETTURA POLITICA DI  EUGENIO CAPOZZI APPARSA SUL SITO ON LINE DE L’OCCIDENTALE
IN FONDO AL POST L’INTERVISTA ALLA STAMPA
 
L’intervista concessa alla “Stampa” il 9 agosto è il più esplicito e organico pronunciamento politico in tutto il pontificato di papa Francesco. Nella conversazione il papa riprende molti temi su cui già in precedenza molte volte si era soffermato. Ma mai fino ad ora egli aveva raccolto le sue tesi sui principali temi della politica europea e mondiale in una sintesi unitaria così completa: dallo stato dell’integrazione europea all’immigrazione, dalla dialettica globalismo/sovranismi alla salvaguardia dell’ambiente.
Non solo: negli ultimi decenni, almeno a partire dal pontificato di Pio XII, nessun papa era entrato così sistematicamente nel merito di tutte le principali questioni politiche dibattute in Occidente e in Europa, inclusi gli affari interni italiani. Nel suo programma di “Chiesa in uscita” e di nuova evangelizzazione in un Occidente sempre più secolarizzato ed anzi anticristiano, Jorge Bergoglio sta attuando uno sforzo senza precedenti per qualificare la Chiesa cattolica come attore protagonista dei grandi mutamenti globali, portatore diretto di risposte, speranza, fiducia per popoli angosciati in un’epoca di incertezza.
Si tratta di una scelta decisa che forza fino al limite il confine labile tra la predicazione del Regno di Dio e l’impegno per specifici obiettivi da misurarsi nella sfera secolare. Un confine molto spesso ambiguo, che ha dato luogo in passato ad equivoci pericolosi. Come nella fase tormentata del post-Concilio, in cui, in anni di grandi movimenti e sommovimenti,  la tentazione di abbracciare ideali di liberazione, progresso, uguaglianza, sviluppo tutti inscritti nel segno delle ideologie condusse la Chiesa e il mondo cattolico a gravi sbandamenti e lacerazioni, ai quali soltanto la sapienza e l’equilibrio di papa Paolo VI e la nascita di movimenti nel segno di un ritorno allo spirito originario della comunione ecclesiale posero un argine.
I rischi di una ripresa, sia pur in un contesto diverso, di una linea di impegno politico tutto “terreno” per la Chiesa sono dunque da non sottovalutare. Per evitarli, sarebbe necessaria all’interno di essa una riflessione meditata e approfondita sui temi in questione, al fine di elaborare risposte politicamente e socialmente incisive, ma anche coerenti con la sua storia, il suo magistero e la sua funzione.
Ebbene, l’impressione principale che si ricava dall’intervista di Francesco alla “Stampa” – in ciò confermando ed amplificando quella generata da innumerevoli precedenti pronunciamenti – è che proprio da questo punto di vista la “piattaforma ideologica” del suo pontificato sia decisamente inadeguata. Il papa, infatti, si esprime su argomenti politici molto complessi e divisivi con enunciati assiomatici, stringati, di una genericità sconcertante, talvolta anche infarciti di inesattezze dovute palesemente ad una insufficiente conoscenza della discussione in materia. Suscita, francamente, grande sorpresa che egli non abbia intorno a sé, o non se ne serva, studiosi in grado di fornirgli tutta l’indispensabile documentazione sui vari dossier, e di orientare la sua riflessione in merito.
Sul tema della contrapposizione tra globalismo ed europeismo da una parte, sovranismi e nazionalismi dall’altra, il pontefice partiva da una base interessante e potenzialmente feconda: quella della distinzione tra una globalizzazione come “sfera” (omologante e mortificante per le varie culture) e come “poliedro” (in grado di tenere conto delle loro specificità). Nell’intervista Bergoglio riprende questa teoria, opportunamente sottolineando come nel dialogo tra paesi e culture diversi occorra partire dalle rispettive identità per integrarle tra loro con il dialogo. Ma immediatamente poi egli riduce tale principio alla rivendicazione di un generico europeismo, inteso come il “sogno dei padri fondatori”, e alla altrettanto generica condanna del sovranismo.
Sull’Unione europea il pontefice si limita a dichiarare che essa “si è indebolita con gli anni, anche a causa di alcuni problemi di amministrazione, di dissidi interni. Ma bisogna salvarla”, aggiungendo una approvazione incondizionata per la presidenza della Commissione ad Ursula von der Leyen, motivata dalla considerazione che “una donna può essere adatta a ravvivare la forza dei Padri Fondatori”, perché “le donne hanno la capacità di accomunare,di unire”.
Possibile che il capo della Chiesa cattolica non abbia nulla di più specifico da dire sulla tormentata storia del passaggio dalla Comunità all’Unione europea, sul complesso rapporto in quest’ultima tra accentramento burocratico e democrazia, sulla diseguaglianza in essa tra Stati economicamente più forti e più debol? Che sia sufficiente alla von der Leyen essere una donna per riscuotere il suo consenso, ma che egli niente abbia da dire sulla deriva accentuatamente secolarizzata del popolarismo tedesco, di cui la attuale presidente della Commissione è stata preminente espressione, con tanto di adeguamento supino alle posizioni laiciste sui “principi non negoziabili”?
Fare confronti con il precedente pontificato può sembrare gettare sale sulle ferite, ma c’è davvero un abisso tra la radicata ed articolata riflessione di Benedetto XVI sulla crisi dell’Europa e queste schematiche considerazioni.
Sul tema del sovranismo, e su quello del populismo ad esso connesso, il pontefice raggiunge nell’intervista ulteriori punte di approssimazione. Il fenomeno sovranista – incomprensibile senza il riferimento alla ribellione contro i disagi della globalizzazione e la deriva elitista dell’Ue – viene sbrigativamente liquidato non solo come mera espressione di egoismo nazionalistico (“prima noi. Noi … noi … “), ma addirittura come la possibile reincarnazione del fascismo e del nazismo (“si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934”). Un’enormità dal punto di vista storico e politologico, oltre che una dichiarazione fortemente divisiva verso parti considerevoli di tutte le società civili europee, in cui i partiti sovranisti riscuotono considerevoli consensi elettorali, e anche per i tanti cattolici che li votano. E – aspetto non certo irrilevante – una presa di posizione esplicita rispetto al contesto politico italiano, decisamente ostile nei confronti di Salvini e della destra. Con il risultato di presentare la Chiesa – con toni drastici che non si ricordavano, appunto, dall’epoca in cui i comunisti venivano scomunicati – come un attore politico nettamente schierato da una parte.
Una visione ancora meno a fuoco del fenomeno, fondata su una conoscenza decisamente sommaria e poco meditata di esso, emerge quando il papa dice che “il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre; porta alle guerre”. Come è noto, infatti, movimenti e partiti sovranisti sono comparsi nella storia europea solo negli ultimi decenni, e nazionalismo e sovranismo sono fenomeni diversi, non sovrapponibili. Per non parlare di quando egli si avventura in una spericolata distinzione tra popolarismo e populismo, per sostenere il primo contro il secondo, concludendo che “i populismi ci portano a sovranismi: quel suffisso, ‘ismi’, non fa mai bene”. Laddove è evidente che anche il popolarismo è un “ismo”, dunque non si capisce in base a cosa dovrebbe essere preferito. Sono anche scherzi della lingua italiana parlata da uno straniero, certo. Ma questo è un ulteriore problema che in un contesto di comunicazione così cruciale non dovrebbe essere trascurato.
Sui fenomeni migratori il pontefice riprende e radicalizza ulteriormente posizioni già ripetutamente esposte in materia. La sua nota formula secondo cui la politica degli Stati sul tema si riassume nelle quattro parole “ricevere, accompagnare, promuovere, integrare”, interpretate alla luce della “prudenza” da parte dei governi sulle concrete possibilità di accoglienza, qui viene spiegata semplicemente sostenendo che gli Stati dell’Unione europea dovrebbero accordarsi per distribuire gli immigrati tra loro a seconda della densità di popolazione. E, addirittura, auspicando che gli immigrati vengano utilizzati per ripopolare città e zone demograficamente depresse: dichiarazione che alimenta l’impressione di  un’adesione all’impopolarissima idea della “sostituzione etnica”.
Possibile – ci si chiede – che il papa nemmeno si ponga il problema dell’impatto di una immigrazione extraeuropea sempre più massiccia sulla tenuta delle società del Vecchio Continente? Che non gli venga nemmeno un dubbio sul fatto che numeri sempre più alti di immigrati sempre meno regolarizzati provenienti da paesi molto lontani dagli standard europei di convivenza possano creare – o stiano già creando – problemi molto gravi di ordine pubblico, di compatibilità culturale, di convivenza e tolleranza religiosa?
Infine, il tema dell’ambiente. Anche su questo punto le posizioni di Bergoglio – ancor più che nell’enciclica Laudato sì ad esso completamente dedicata – appaiono lapidarie, acritiche, del tutto prive di sfumature. Il pontefice sposa infatti con totale convinzione le tesi catastrofiste sull’esaurimento delle risorse del pianeta e soprattutto sul riscaldamento globale antropico, e fornisce un convinto endorsement al movimento fondato dalla giovane Greta Thunberg, della quale cita con compiacimento uno slogan piuttosto anonimo come “Il futuro siamo noi”. Ed anche in questo caso viene da chiedersi perché un’autorità spirituale mondiale di tale livello metta in gioco senza riserve la credibilità dell’istituzione da lui guidata per sostenere opinioni fortemente discusse, su cui vi è tutt’altro che consenso unanime, sia tra gli studiosi che a livello di dibattito politico internazionale.
In conclusione, mai come oggi, con questa intervista di Francesco, la Chiesa cattolica si è proposta non come “cattolica”, cioè appunto universale, ma al contrario come un vero e proprio “partito”. Dettato dalla nobile intenzione di evangelizzare i popoli proponendosi come istituzione vicina ai problemi più angoscianti e urgenti del nostro tempo, questo atteggiamento produce però spesso un effetto opposto: taglia fuori, o fa percepire se stessi come tagliati fuori, tutti quei fedeli che non concordano con la “linea” ideologica dettata dal Vaticano, oltre ad un’amplissima parte delle società occidentali che potrebbe invece essere coinvolta da un’opera di ravvivamento della dimensione comunitaria, dalla ricerca di un senso più alto della vita oltre la dimensione dei beni materiali, del potere, del consumismo.
Paradossalmente, insomma, proprio il papa che all’inizio del suo pontificato ha messo in guardia la Chiesa dal ridursi ad una “o.n.g.”,  nell’intento di portare la sua predicazione sempre più dentro il “fuoco della controversia” del mondo contemporaneo rischia concretamente di favorire un esito ancora peggiore di quello che paventava. Ponendo l’istituzione al servizio di un “programma” tutto mondano, che lascia sullo sfondo – togliendo ad esso efficacia e forza di convinzione – la sua ragion d’essere primaria: il kérygma, che nessun dibattito politico potrà mai esaurire e nemmeno avvicinare nella sua relazione totale con ogni aspetto dell’esperienza umana.
Pubblicato 13 Agosto 2019 

martedì 20 agosto 2019

ALLEANZA GIALLO-ROSSA: UNA MARCIA INDIETRO SENZA DECORO


Pierluigi Battista ieri sul Corriere della sera.
Comunque vada a finire, sarà uno spasso. Che spettacolo: i salti acrobatici, le piroette, i contorsionismi di tutti quelli che hanno trattato i 5 Stelle come il demonio e adesso sfideranno il ridicolo rimangiandosi tutto per giustificare
nientedimeno che un’alleanza di governo con chi veniva (molto volgarmente) bollato come «buffone», «cialtrone», «nemico della democrazia», «idiota». Al confronto sembrerà troppo morbido il Guareschi che sbertucciava con il «contrordine compagni» chi era costretto per disciplina a dire il contrario di ciò che aveva detto il giorno prima per rispettare le giravolte tattiche del Partito. Altri tempi. Altra decenza. Altra serietà. Altri partiti, anche. Non c’è alcuna serietà, invece, nei repentini voltafaccia cui assisteremo con stupefazione (ma già stiamo cominciando) nei prossimi mesi.
Dicevano, mica un anno fa, ma solo quindici giorni fa: non vogliamo nemmeno parlare con i 5 Stelle che infamano il Pd chiamandolo il «partito di Bibbiano». Ora, forse, non ci parleranno, ma intanto ci fanno un governo assieme. Già si scaldano i muscoli per la grottesca e corale autosmentita politici di secondo e terzo rango, professionisti del commento arcigno, star della rissa social, giornalini conformisti, maestri dell’insulto politico dozzinale, tonitruanti chierici del «mai» che, a seconda delle circostanze, diventa «qualche volta», «dipende», «se conviene». 
Perché certo, la politica muta, le alleanze si possono pure cambiare, ma in questo caso era la denigrazione antropologica il segno della guerra santa che i nuovi protagonisti del «contrordine compagni» avevano incautamente scatenato contro quella che veniva trattata come la «marmaglia» grillina. Non il dissenso politico anche radicale, bensì il disprezzo gridato e rivendicato, la violenza verbale inaudita contro gli esponenti dei 5 Stelle con cui adesso, forse, toccherà allearsi rimangiandosi tutto, senza decoro. 
E chi invece sommessamente avanzava il dubbio che questa guerra santa intollerante e velenosa stesse rendendo cieche le (peggiori) menti della nostra generazione, veniva addirittura deplorato come «filo-grillino». E adesso marcia indietro senza senso del ridicolo. Sarà uno spasso, portate gli specchi dove saranno costretti ad arrampicarsi. Una risata li seppellirà.