LA FRATTURA DEI CATTOLICI
di Dario Di Vico | Corriere della Sera 24 agosto 2019
Quante probabilità di successo ha l’Opa
che la Lega ha avviato sull’elettorato che frequenta le parrocchie e su quello
non praticante?
Il meeting di Comunione e Liberazione si
è chiuso — con un rinnovato successo — mentre la crisi di governo è ancora
aperta e di conseguenza viene facile porsi domande di connessione.
A cominciare da questa: quante
probabilità di successo ha l’Opa (ostile?) che Matteo Salvini ha avviato da
tempo sull’elettorato cattolico? Prendendo i dati di una ricerca Ipsos sul voto
europeo sappiamo che i consensi per la Lega sono stati del 30,1% tra i
«cattolici praticanti ed impegnati» ma crescono via via che cala la frequentazione
di parrocchie e riti fino a lambire il 40% tra i non praticanti. Per avere un
termine di raffronto tra i praticanti/impegnati il Pd è al 28,1% ma tra i non
praticanti arriva solo al 18%. Il dato ancor più interessante riguarda la
penetrazione della narrazione salviniana in tema di migranti: la linea
intransigente dei porti chiusi è condivisa dal 51% dei cattolici, praticanti o
meno. Ho ricordato questo dato a un dirigente di Cl e mi ha confessato che
avrebbe sospettato una cifra più elevata.
Ma come è possibile che ciò avvenga
quando il Papa in prima persona non perde occasione per contrastare la linea
sovranista in materia di sbarchi?
La risposta c’è: il conflitto con
Salvini è una scelta del Vaticano che non si trasmette in automatico alle
strutture sul territorio.
L’episodio del parroco di Sora che nell’omelia di pochi giorni fa attacca i
migranti fa il paio con un altro episodio di un parroco del lecchese che
sosteneva invece le ragioni umanitarie ed è stato contestato dai fedeli che
hanno abbandonato la messa. A Salvini è riuscito un colpo da biliardo: far
passare la contrapposizione tra gli ultimi e i penultimi. Una significativa fetta
del popolo cattolico non si indigna per l’uso strumentale del rosario ma
contesta la priorità assegnata dalla Chiesa ai migranti a scapito di una
maggiore attenzione al disagio del ceto medio italiano. Da qui un’adesione
all’Opa leghista con doppia valenza: Salvini è visto come un sindacalista dei
penultimi e aderendo al suo storytellingsi fa sapere al Vaticano di non
condividere quella gerarchia dei problemi. Naturalmente il leader leghista ha
dalla sua anche altri vantaggi (ereditati): agli occhi dei cattolici si
presenta come il difensore della famiglia tradizionale e delle culle piene
contro la sinistra delle unioni civili, dell’ideologia gender e dei gay pride.
Che poi Salvini non abbia varato policy per la famiglia/demografia
conta poco.
I ciellini che hanno affollato i
dibattiti del meeting vivono anch’essi con queste contraddizioni ma gli
organizzatori hanno scelto di non farle venire allo scoperto. Del resto da sempre il format riminese
evita di istruire dibattiti in contraddittorio, la dirigenza non crede alla
dialettica degli opposti (giudicata tardo-illuminista) ma pensa che sia più
utile procedere per testimonianze ed esempi.
Nell’attesa che il metodo possa
venir riconsiderato le larghe platee dei dibattiti mostrano un evidente
invecchiamento anagrafico. Al meeting manca quasi del tutto la generazione dei
35-40enni ma l’annotazione più interessante da un punto di vista
antropologico-culturale riguarda proprio gli over65: non sono molto differenti
da quelli che 40 anni fa erano i loro avversari, gli ex giovani di sinistra che
ancora oggi frequentano festival ed eventi del Pd o delle altre sigle.
Coltivano la stessa tensione ad imparare, anche da anziani, e nutrono la comune
volontà di trasmettere conoscenze e valori alle giovani generazioni.
Ma riuscirà questa tensione cognitiva e
pedagogica a trasformarsi in una proposta politico-culturale capace di
respingere l’Opa ostile?
La risposta più intrigante ascoltata a Rimini è venuta sorprendentemente da
Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario leghista di palazzo Chigi che però fa
parte da anni dell’intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ai più
Giorgetti è sembrato ancora legato alla cultura «varesina» del Carroccio
(Salvini è milanese, non un leghista di territorio) che vedeva nelle autonomie,
nel federalismo e nella sussidiarietà lo strumento per avvicinare politica e
popolo.
Ma proprio in virtù di questa sua
posizione — eccentrica nella stagione della Bestia — ha sfidato i colleghi
parlamentari: posso anche dire che sono con voi sui principi della buona
politica, della società di mezzo e dei corpi intermedi ma sappiate che oggi
sono armi spuntate.
Non riescono più a fare da filtro «con la piazza». La partecipazione politica è
stata sostituita dai social come i sacerdoti hanno ceduto il passo agli
psicologi. O create e creiamo «qualche altro luogo» capace di reintermediare o
tutti i discorsi che fate suoneranno come un disco rotto. Non si torna
indietro, la democrazia si reinventa o si deteriora. Che un discorso così venga
da uno dei principali collaboratori di Salvini è un’altra delle italiche
bizzarrie che non riuscirei mai a spiegare a un collega straniero.
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