Il "nuovo" paradigma per la famiglia
Il nuovo
preside monsignor Sequeri, a proposito del cosiddetto "nuovo paradigma": abbiamo
elaborato per tanti anni una teologia del matrimonio, perché abbiamo sempre
pensato alla famiglia radicata sul matrimonio naturale e sacramentale; invece
oggi dobbiamo pensare alla realtà di famiglia che non sempre nascono dal
matrimonio, ci sono tante forme di familiarità e tutte ne hanno dei valori
Il “vecchio”paradigma
lo potete leggere nel post del crocevia:
https://crocevia-adhoc.blogspot.com/2019/08/san-giovanni-paolo-secondo-ha-detto.html
In una intervista
pubblicata su “La Verità” don Livio Melina cerca di rispondere agli attacchi
violenti portati da Avvenire (in particolare dal giornalista Moia) a lui e agli
altri docenti licenziati.
Potete leggere questa intervista nel sito di don Gino Oliosi: https://www.donginooliosi.com/2019/08/nel-nuovo-paradigma-la-famiglia-non.html#more
Riporto qui la parte
finale dell’intervista CHE VI INVITO A LEGGERE:
Domanda: Oggi, secondo quello che viene definito IL nuovo paradigma di Amoris
laetitia attraverso la priorità non della teologia morale ma delle
Scienze del Matrimonio e della Famiglia ci si aprirebbe finalmente alla logica
del cosiddetto "bene possibile, ci può fare un esempio?".
"Prendo - risponde Melina – quello usato dal professor Maurizio Chiodi
qualche giorno fa, proprio in una intervista con Luciano Moia. Lì si dice
che la vita all'interno di una coppia omosessuale potrebbe essere per una
persona in determinate circostanze un bene possibile.
La dottrina della
Chiesa insegna invece che si tratta di un male, di qualcosa che
danneggia la persona che lo compie e lo porta sempre più verso il male. Non si tratta di un contrasto tra due
visioni, di cui una sarebbe pastorale e l'altra dottrinale. ("E'
abbastanza comune oggi questo approccio che separa il Cristo
"Maestro" dal Cristo "Pastore", come se ci fossero due
Gesù. Ma la misericordia di Gesù e la sua pastorale passavano tramite la sua
dottrina. Il rapporto tra dottrina e pastorale è stato studiato nella
tradizione (37 anni) dell'Istituto Giovanni Paolo II nella prospettiva del
rapporto tra verità e amore. La verità, contenuta nella dottrina, è la verità
di un amore, e l'amore ha bisogno di verità per superare la mera emozione e
durare nel tempo, come ci ha insegnato anche papa Francesco inLumen fidei".)
Si tratta piuttosto di
due diagnosi di una situazione, due diagnosi che si aprono a terapie molto
diverse.
Secondo la prima si potrebbe dire che questa persona, pur compiendo atti omosessuali, sta vivendo secondo il volere di
Dio, il quale non ci chiede più di ciò che possiamo. Gli atti che
realizza sarebbero umanizzanti, porterebbero addirittura verso il Vangelo,
anche se ad un certo punto dovrà rendersi conto che non sono atti perfetti, e
che c'è un cammino migliore.
La dottrina cattolica,
insegnando che si tratta di atti intrinsecamente cattivi, propone
una diagnosi e di conseguenza una terapia diversa. Questi atti omosessuali non
sono ordinabili a Dio, e quindi non portano verso il bene della persona. Allo stesso tempo
dice: ma in te risuona sempre la chiamata ad un amore vero, e tu puoi
tentare e ritentare di seguire questo amore, e io sono qui pastoralmente per
accompagnarti in questa tensione di conversione, che ti domanda di tentare e
ritentare di lasciare dietro di te il male e di abbracciare il bene".
Il problema
non è marginale, ma decisivo per comprendere con precisione le questioni che
agitano la vita della Chiesa.
Nel prossimo
post l’intervento su questo tema di Mons. Massimo Camisasca.
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