mercoledì 29 novembre 2023

DIARIO ARGENTINA/ DOPO LA VITTORIA ELETTORALE DI MILLEI

 Dopo la vittoria nel ballottaggio di domenica scorsa all'estero si sono moltiplicate le narrazioni errate sul nuovo Presidente Javier Milei

XAVIER MILLEI

La schiacciante vittoria “per goleada” di Milei nelle elezioni per la presidenza argentina di domenica scorsa ha finalmente messo il Paese al centro dell’attenzione internazionale trovando un vastissimo spazio mediatico. Però allo stesso tempo si è assistito a una vera e propria carovana sia di stupidaggini che di falsità che ha fatto capire come, alla fine di tutto e confermando quello che sembrava uno stereotipo ma non lo è, di America Latina (come di Africa…) non ci si capisce nulla.

Pure certa stampa italiana ha, con ben poche eccezioni come l’articolo di Gagliano pubblicato su queste pagine, espresso giudizi un tot al chilo e completamente digiuni non solo della drammatica situazione del Paese, ma pure nelle interpretazioni politiche alquanto fuori strada.

Milei lo conosco da circa dieci anni, anche se non personalmente, per il semplice fatto che il cosiddetto “matto” o “loco” che dir si voglia, occupa da molto tempo grandi spazi mediatici in Argentina come commentatore, soprattutto economico, con un’espressione corporale e labiale che a un italiano non può non ricordare Beppe Grillo, come già anticipato da mesi su questo giornale. Se si osservano addirittura dei filmati dei due, si capisce di come Milei abbia fatto un profondo studio del nostro grillino e abbia copiato azioni del comico fotogramma dopo fotogramma.

Il perché è molto semplice: ripetere le performance di Beppe che, alla fine, insieme al disco rotto dell’antipolitica, hanno permesso al suo movimento di conquistare il potere: ma, a differenza del nostro “eroe”, Milei, nelle sue giravolte di pensiero degne delle Frecce Tricolori ha azzeccato alla fine, forzatamente, il “toneau” giusto.

Arrivato al ballottaggio finale ha capito che, con i 5 punti di distacco elettorale da Massa, non avrebbe mai conquistato la Casa Rosada: ma questo secondo noi l’aveva ben chiaro. E ha quindi firmato un accordo con la dirigente del PRO Patricia Bullrich, assumendo di fatto gli 11 punti del suo sensatissimo programma basato sul gradualismo, che ha di fatto apportato in termini di voto gran parte del differenziale di 11 punti che ha in pratica provocato la sonora disfatta sia del peronismo che del kirchnerismo.

Quindi ci troviamo di fronte a un’alleanza molto forte che conviene a entrambi gli schieramenti politici e nell’articolo apparso immediatamente dopo il risultato elettorale, un importantissimo collaboratore di Bullrich ha confermato come il gruppo che guiderà le scelte del futuro Presidente è in pratica la fusione tra i due partiti. Quello del PRO, oltre al vantaggio del programma, ha quello dell’esperienza di 4 anni del Governo di Macri: quindi una vasta conoscenza della materia.

 

GIUSTIZIA GIUSTIZIALISTA

 Trent’anni di ingerenza innegabile

Chissà dov'era, negli ultimi trent'anni, il dottor Santalucia

Chissà dov'era, negli ultimi trent'anni, il dottor Santalucia. A ben vedere, l'aspetto clamoroso del putiferio che ieri si è scatenato intorno all'intervista di Guido Crosetto non è tanto ciò che dice il ministro della Difesa, la storia delle riunioni in cui magistrati «di una corrente» stanno pianificando la resistenza al governo di Giorgia Meloni. L'aspetto clamoroso è la reazione sdegnata delle toghe organizzate, a partire da quella del loro leader Giuseppe Santalucia. Secondo cui, nientemeno, «è fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro e che possa farsi opposizione politico-partitica».

Il problema, anche se Santalucia non se n'è accorto, è che il diritto a «remare contro», di opporsi ai governi, alle leggi, a riforme di ogni tipo, è da trent'anni rivendicato da tutte le correnti della magistratura italiana: a partire da quella di cui anche lui fa parte. Un diritto esercitato quasi soltanto contro i governi di centrodestra (unica altra vittima, Matteo Renzi), alla luce del sole, con pubbliche dichiarazioni, convegni, appelli, ogni qualvolta gli italiani hanno scelto nelle urne maggioranze sgradite alle toghe.

Questo diritto all'ingerenza nella politica è soprattutto nel Dna di Magistratura democratica, rivendicato e sventolato, ben prima del leggendario discorso del «resistere, resistere, resistere» di Francesco Saverio Borrelli (nella foto). Ma dietro - evocato implicitamente nell'intervista di Crosetto - c'è ben altro, che non ha nulla a che fare con la battaglia delle idee: ed è l'utilizzo a fini di battaglia politica delle inchieste giudiziarie; l'avviso di garanzia che diventa strumento della magistratura per colpire il governo sgradito.

Crosetto non dice apertamente che sia questo l'oggetto delle riunioni di cui ha saputo. Ma è ovvio che quando il ministro parla del «pericolo» costituito da iniziative dei magistrati non pensa a innocue raccolte di firme. Dietro, più inquietante, c'è il tema dell'«assedio giudiziario» al potere sgradito. Quando dice «ne abbiamo viste fare di tutti i colori in passato» Crosetto si riferisce a precedenti che sono ormai storia, più che cronaca. Non ci sono solo le incriminazioni, entrambe poi finite in nulla, che affossarono sia il primo che il secondo governo di Silvio Berlusconi, o le incriminazioni per sequestro di persona che hanno segnato il ministro degli Interni Matteo Salvini. C'è anche il martellamento costante, da Procure grandi e piccole, che ha segnato costantemente gli anni del centrodestra al potere, colpendone colonnelli e gregari, con la sensazione precisa di una gara in corso tra magistrati per centrare la preda più ambita. Non è un caso che Crosetto, nella sua replica di ieri pomeriggio, citi (insieme al precedente storico di Enzo Tortora) due vittime emblematiche di questa corsa al trofeo: Calogero Mannino e il generale Mario Mori.

Il leader dell'Anm fa bene a dire che «la magistratura non è forza di contrapposizione politica e non risponde a logiche governative». La magistratura - la sua ossatura, le sue migliaia di uomini e donne - è impegnata quotidianamente nel suo lavoro indispensabile e complicato, e lo fa con onestà intellettuale. Il problema sono i gruppi di potere interni, le fazioni che delle aberrazioni di questi anni sono stati i principali responsabili. Nessuno pensa che la segreteria di una corrente pianifichi gli avvisi di garanzia. Ma la corrente provvede a mettere gli uomini giusti al posto giusto. Ed e lì, tra spirito di militanza e certezza di una missione da compiere, che tutto diventa possibile. Anche quello che dice Crosetto.

Luca Fazzo

IL GIORNALE27 Novembre 2023

 

martedì 28 novembre 2023

LUIGI NEGRI UOMO DI FEDE E DI CULTURA

DI GIULIO LUPORINI

PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE CULRTURALE “TU FORTITUDOMEA”

Il 26 novembre 2023 ricorre l’ottantaduesimo anniversario della nascita di mons. Luigi Negri. Credo sia significativo ricordarlo a partire dall’importante evento, al quale la nostra Associazione ha aderito, svoltosi ieri a San MarinoFede, ragione e missione. Convegno in onore di mons. Luigi Negri, uomo di fede, maestro di cultura. Un convegno (organizzato dal Centro Internazionale Giovanni Paolo II, da Culturacattolica.it e dall’Associazione culturale La Contea degli Insorgenti, in collaborazione con la Diocesi di San Marino-Montefeltro) non su mons. Luigi Negri ma in suo onore perché è stato dedicato ad alcune tematiche rispetto alle quali egli ha dato certamente un contributo significativo. I titoli delle due sessioni, quella mattutina e quella pomeridiana, sono stati infatti i seguenti: Fede e ragione: un incontro per il bene dell’uomoMissione: “autorealizzazione” della Chiesa.

Non cercherò qui di riprendere i contenuti delle relazioni degli autorevolissimi ospiti, particolarmente profonde e articolate, che speriamo di avere modo di recuperare e approfondire in seguito, quanto piuttosto di soffermarmi sulle parole che sono state dedicate a mons. Luigi Negri.

Innanzitutto il ricordo personale e commovente di mons. Elio Ciccioni, vicario generale al tempo dell’episcopato di San Marino-Montefeltro. Egli ha ricordato come, al di là della prima impressione, «quella di un carattere un po’ burbero, forse timido», «nel rapporto personale si dimostrò subito accogliente, capace di dialogo e di relazioni profonde». Ne ha parlato come di un Vescovo «paterno e comprensivo con gli errori e con le debolezze di noi sacerdoti» che, tuttavia, «non ammetteva scorciatoie sulla dottrina, sulla fede», «una fede che doveva essere illuminata dalla ragione e diventare cultura». Un Vescovo caratterizzato da una «grande sollecitudine per i fedeli della diocesi ai quali rivolgeva con varie modalità e iniziative il suo magistero» e ancora di più da quella che egli ha definito un’«ansia della missionarietà, della diffusione del Vangelo, dell’Annuncio». «Un uomo di una vastissima cultura, filosofica, teologica ed umanistica» ma «dotato anche di una grande sensibilità, pronto ad intervenire per aiutare concretamente le persone quando gli era richiesto e gli era possibile». Ha inoltre precisato che «era intellettualmente onesto» in quanto «sapeva riconoscere la validità di tutti i cammini di fede» perché per lui «la cosa essenziale era che le persone arrivassero a conoscere Cristo». Dal punto di vista umano «una persona capace di amicizie fedeli che duravano nel tempo e sempre finalizzate all’aiuto reciproco e, soprattutto, per sostenersi reciprocamente nel cammino di fede». Per quanto riguarda il suo episcopato, egli ha affermato che «il suo nome resterà scritto tra i Vescovi più significativi di questa Diocesi» per diverse ragioni: «per la sua personalità; per la grande statura di fede e di cultura»; «per avere ottenuto che, il 19 giugno 2011, il Santo Padre Benedetto XVI visitasse questa Chiesa di San Marino- Montefeltro»; «per il suo magistero e per la sua sollecitudine per la ripresa della fede tra la gente».

Il cardinal Gerhard Ludwig Muller, che ha sviluppato una lectio magistralis molto importante sul bisogno e sul coraggio di aprirsi alla ragione seguendo l’insegnamento di Benedetto XVI, definito come «uno dei più importanti teologi sul soglio di Pietro», ha ricordato il suo primo incontro con mons. Luigi Negri: «Ricordo molto bene il primo incontro con il Vescovo Luigi Negri quando sono stato nominato Prefetto della congregazione per la dottrina della fede», «uno dei primi a farmi visita», e, in quell’occasione, «abbiamo parlato più di un’ora su questo tema, fede e ragione, soprattutto nella prospettiva del grande discorso di Benedetto XVI a Ratisbona». Ha inoltre aggiunto che da quel momento si è «sviluppata una grande amicizia» che li ha portati a collaborare a diversi convegni, uno dei quali per il Meeting di Rimini.

Rocco Buttiglione, membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ha ricordato come insieme a don Negri, hanno imparato, seguendo don Giussani, la ragionevolezza della fede, senza la quale la vita non può essere vissuta adeguatamente, perché solo nella fede l’uomo può trovare la risposta al bisogno costituivo del cuore. Degli anni con Giussani, ha detto, «la prima cosa che ricordo, ma penso sia la prima che ricordava anche Luigi, è la scoperta del cuore come sintesi della persona (…) il cuore è quel fascio di evidenze ed esigenze con cui siamo gettati nel paragone della vita». Evidenze ed esigenze che trovano una risposta piena in «Cristo, centro del cosmo e della storia».


Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, dopo avere sottolineato che, «come spesso capita, quando non c’è più una persona cara, più il tempo passa, più se ne sente la mancanza», riguardo a Negri ha detto: «ci manca la sua generosità, la sua vicinanza, la sua passione, il suo richiamo ai fondamenti antropologici della nostra fede». Ha poi sviluppato, proprio «sulla scia dell’insegnamento di mons. Negri», anche lui una riflessione sul «discorso tenuto da papa Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006, un discorso tanto criticato e contestato quanto non meditato e, probabilmente neanche letto, soprattutto dal ceto intellettuale e politico europeo». La lezione di Benedetto XVI è stata indicata come estremamente utile per affrontare la situazione di oggi, così profondamente segnata da atteggiamenti di carattere nichilistico per i quali l’uomo, in particolare nella nostra Europa, sembra destinato a dimenticare le proprie radici cristiane e, con esse, le dimensioni più profonde e costitutive di sé. Ha concluso il suo intervento ricordando che proprio don Negri è stato uno di quegli uomini che «ci hanno fatto uscire dal torpore, che ci hanno donato ragioni e fede per combattere la buona battaglia».

Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo emerito di Trieste, intervenuto sul tema della missione, ha dichiarato che mons. Luigi Negri è stato «una delle figure più significative della Chiesa italiana», spiegando così le motivazioni della sua presenza al convegno: «sono venuto qui per saldare un debito di gratitudine verso mons. Negri (…) che anche per me fu un uomo di fede e un maestro di cultura. Sono venuto soprattutto per dirgli grazie per un legame di amicizia che insieme abbiamo avuto. Quest’amicizia è stata una grazia, un dono di Dio che abbiamo coltivato insieme». Prima di sviluppare le sue considerazioni, egli ha voluto evidenziare che «il tema della missione era un tema molto caro a mons. Negri», affermando che egli è stato capace di tradurlo «nell’impegno di illuminare di verità e di speranza la presenza e l’azione dei cattolici nella società italiana». Soprattutto ha detto che egli «era sostenuto dalla certezza che la fede nella Rivelazione in Cristo Salvatore, unitamente al corretto uso della nostra ragione, che deriva da Cristo, non hanno perso». Per questo mons. Luigi Negri «non era un uomo scoraggiato, era un uomo combattivo; non era un uomo che si era arreso, ma continuava ad andare avanti». Egli era sostenuto dalla convinzione «che Cristo era ancora in grado di illuminare e animare in senso pieno la presenza e l’azione dei cristiani nella società».

Madre Monica Della Volpe

Anche madre Monica della Volpe, badessa emerita del Monastero di Valserena, ha spiegato la sua presenza, oltre che per l’importanza del tema della missione, «per l’amicizia che ci lega sia personalmente, io stessa e, soprattutto, la mia badessa suor Francesca Righi, sia come monastero di Valserena a mons. Negri», il quale «voleva molto bene al nostro monastero». Ha così iniziato la sua testimonianza ricordando l’importanza delle figure di don Giussani e di don Negri per la loro storia: «Con mons. Negri anche noi siamo profondamente convinte che credere e sapere per esperienza che Gesù Cristo è la Salvezza di ogni uomo e dell’umanità è il fondamento, la base per stabilire una convivenza sociale realmente umana, stabile e duratura. Ma non basta. Occorre anche quell’impeto incontenibile di amore per Cristo che abbiamo conosciuto in don Giussani e in mons. Negri, come in ogni santo testimone che Dio ha messo sulla nostra strada. Quell’impeto che può nascere solo dall’averLo incontrato e da non averLo più lasciato andare, per avere quindi acquisito una profondità personale nella conoscenza di Lui, cioè per essere arrivati a capire che Egli è la salvezza di ogni uomo, della mia vita prima di tutto e poi di tutta l’umanità (…) Chi incontrava davvero Giussani e lo seguiva davvero diventava un testimone e così mi è apparso Luigi Negri, non ancora monsignore e neanche don, alla prima riunione a Varigotti in cui l’ho incontrato (…) Un uomo capace di segnare la strada, capace di verità e di amicizia come pochi perché aveva dato la sua vita a Cristo, quindi uno di cui ci si poteva affidare».

Infine il professor Marco Cangiotti, docente di Filosofia Politica presso l’Università di Urbino, affrontando anche lui il tema della missione ma con particolare riferimento alla questione educativa, soprattutto alla difficile situazione che Benedetto XVI, già nel 2007 definì come emergenza educativa, ovvero il «profondo disorientamento in ordine alle questioni del valore della persona, del senso della vita, del significato della verità e del bene, disorientamento che passa attraverso quella che possiamo definire un logoramento della relazione fra i padri e i figli», ha indicato nell’educazione «uno dei temi fondamentali dell’azione sacerdotale, pastorale e culturale di mons. Luigi Negri».

NOTA

(Il CROCEVIA unitamente a don Agostino Tisselli, ispiratore e guida della nostra associazione, ricorda con gratitudine Mons. Luigi Negri, maestro di fede e di vita, per l'amicizia e la vicinanza al nostro cammino e la partecipazione a numerosi incontri e convegni. Questa amicizia non può non essere accompagnata dalla responsabilità di conservare e diffondere il suo magistero, maturato e sviluppato nel corso del tempo, intorno alla fede, alla cultura, alla dottrina sociale, alla teologia, alla filosofia e alla storia. )

https://tufortitudomea.it/eventi/oggi-82-anni-fa-nasceva-don-luigi-negri/?fbclid=IwAR2Y9bmz8KgIxeEZz1gSyZx-pkgwLVdtLPFHjrtDFFOz0sC_sPb3KPB9l5U

NOTA FINALE

L’Associazione Culturale TU FORTITUDO MEA

è stata costituita con l’intento di custodire e promuovere la memoria e la conoscenza della persona e dell’opera di mons Luigi Negri (1941 – 2021). Una figura estremamente significativa per la Chiesa, per il Movimento di Comunione e Liberazione, nonché per la vita culturale e sociale della nostra epoca.

domenica 26 novembre 2023

PAPA FRANCESCO E IL SINODO TEDESCO

 Lettera che esprime preoccupazione per il Cammino sinodale tedesco

Papa Francesco ha scritto una lettera a quattro laiche cattoliche tedesche esprimendo le sue “preoccupazioni”sulla direzione della Chiesa cattolica in Germania. Quella che segue è la traduzione inglese del testo completo della lettera tedesca, firmata dal papa il 10 novembre e pubblicata per la prima volta dal quotidiano tedesco Welt il 21 novembre:

Dal Vaticano, 10 novembre 2023

Caro professor Westerhorstmann, Caro professor Schlosser, Caro professor Gerl-Falkovitz, Cara signora Schmidt,

Estendo la mia gratitudine per la sua gentile lettera datata 6 novembre. Le sue preoccupazioni riguardo agli attuali sviluppi all'interno della Chiesa in Germania mi hanno raggiunto e condivido le sue preoccupazioni. Sono infatti numerosi i passi intrapresi da segmenti significativi di questa Chiesa locale che minacciano di allontanarla sempre più dal cammino comune della Chiesa universale. Ciò include senza dubbio l’istituzione del comitato sinodale a cui hai fatto riferimento. Questo comitato ha lo scopo di istituire un organo consultivo e decisionale. Tuttavia, come sottolineato nella risoluzione corrispondente, la struttura proposta non è in linea con la struttura sacramentale della Chiesa cattolica. Di conseguenza, la sua formazione è stata vietata dalla Santa Sede con lettera del 16 gennaio 2023, che ha ricevuto il mio specifico appoggio.

Nella mia “Lettera al popolo di Dio pellegrino in Germania”, ho cercato di non trovare la “salvezza” in comitati in continua evoluzione, né di persistere in dialoghi egocentrici che riproponevano gli stessi temi. Piuttosto, miravo a sottolineare nuovamente l’importanza della preghiera, della penitenza e dell’adorazione. Ho sollecitato un’apertura e un invito all’azione per impegnarci con i nostri fratelli e sorelle, in particolare quelli che si trovano sulla soglia delle nostre chiese, nelle strade, nelle carceri, negli ospedali, nelle pubbliche piazze e nelle città (come menzionato nella sezione 8). Credo fermamente che in questi luoghi il Signore ci guiderà.

Lodo i vostri contributi alla teologia e alla filosofia e vi ringrazio per la vostra testimonianza di fede. Il Signore vi benedica e la Beata Vergine Maria vi custodisca. Vi chiedo gentilmente di continuare a pregare per me e per il nostro comune impegno per l'unità.

Uniti nel Signore,

Francesco

 

sabato 25 novembre 2023

INTERVISTE SUL SINODO 3: MONS. PAOLO PEZZI

I CARDINI DEL SINODO

L'esperienza di monsignor Paolo Pezzi, Arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca

Mons.Paolo Pezzi col Patriarca Ortodossa Kirill

La mia esperienza al Sinodo ha messo in evidenza che la comunione stessa è espressione compiuta del cammino sinodale, essa è innanzitutto un’esigenza emersa, e anche qualcosa di profondamente desiderato. Abbiamo anche sperimentato che i nostri tentativi di “costruire” una sinodalità possono produrre effetti contrari: occorre riconoscere ad ogni passo del cammino che l’iniziativa appartiene a Dio, al Suo Spirito; a noi la corresponsabilità di domandare assiduamente la grazia della comunione, dell’unità e della pace, di essere più disponibili alla conversione.

Questo è avvenuto nei giorni del Sinodo e comincia a dare visibili frutti. Un ulteriore tratto distintivo lo traiamo dall’inizio della Prima Lettera di Giovanni (che, a proposito, è interessante sia considerata da diversi esegeti come una lettera comunitaria, comunionale; e del resto anche alcune delle Lettere di Paolo sono un evento comunionale):” vi annunciamo la comunione che viviamo, la comunione che ci educa, e di cui abbiamo fatto esperienza; una comunione che ci fa conoscere ed amare il destino [cfr. 1Gv 1,1-4.) La missione è il dilatarsi della comunione che attrae (in diversi momenti del Sinodo ho ricordato l’espressione di Benedetto XVI ad Aparecida, che la Chiesa cresce per attrazione).

Negli ultimi anni del mio ministero episcopale, ho scoperto che la comunione, proprio perché luogo e modalità di educazione, cioè di conoscenza affettiva che si rinnova sempre per coloro che vi si inabissano, è anche una formidabile espressione di governo e digestione. Gesù introduce nella storia una nuova modalità di governo: la comunione, l’amicizia. La comunione è dunque una nuova sintesi, che sempre si rinnova, rilancia e non chiude mai. Assieme alla comunione ho fatto esperienza della necessità di un cammino che svolga nella vita la grazia ricevuta nel battesimo e confermata nella vocazione. Questo cammino è l’educazione, o come si preferisce dire oggi, la “formazione permanente”. Non c’è mai un momento in cui dire: “ecco, siamo arrivati, non devo più imparare niente”, sarebbe la“zombizzazione” della vita. Mi ha sempre colpito che Gesù, discorrendo con i Giudei a Cafarnao, a un certo punto dica che dobbiamo essere un po’ come scolaretti ai piedi del Padre, che come un buon maestro ci insegna, ci comunica tutto [cfr. Gv 6,45]; del resto lo stesso Gesù dice ai Suoi prima di andare a morire, che lo Spirito ci insegnerà ogni cosa [cfr. Gv 16,12-15].

Come aiuto a questa educazione abbiamo riscoperto il documento Evangelii Gaudium. Perciò in Diocesi a Mosca ho pensato a incontri in cui discernere come è stato vissuto e applicato questo documento in questi dieci anni. Spesso l’educazione, la catechesi avviene come comunicazione analitica di nozioni, ma manca una sintesi fondata sulla comunicazione dell’esperienza di unità e comunione che si vivono. Occorre “entrare nel merito” delle domande reali della comunità cristiana, del contesto in cui si vive, e di una reale prospettiva missionaria.

Un altro formidabile aiuto all’educazione può provenire dal vivere l’avventura della conoscenza per fede come evento, come esperienza comunionale. A questo riguardo abbiamo notato il valore positivo delle “crisi”, un significato nuovo, comunque non conforme alla mentalità dominante che vede nella crisi al massimo una dimensione negativa,distruttiva, critica appunto di ciò che è.

La crisi può essere invece vissuta come momentocostruttivo, una “revisione di vita” del proprio essere cristiani e della comunità.

E, infine, la missione. Il nuovo popolo di Dio, costituito dai battezzati quale comunione di tutti i fedeli in cammino nella storia, partecipa della missione di Cristo. Questa posizione genera una cultura dell’incontro fondata su un’apertura all’altro, capace di valorizzare ogni aspetto di verità che si incontra. Perché questa posizione sia viva occorre avere un cuore“ecumenico” come quello di san Paolo: “l’amore mostratoci da Cristo ci strugge” [cfr. 2Cor5,14-5)], ci commuove, divenendo il fattore mobilitante la nostra vita. Questo struggimento ecumenico ci permette di avere uno sguardo veramente positivo su tutto: “vagliate ogni cosa, trattenete il valore” [cfr. 1Tes 5,21]. La vita diventa triste, monotona,quando manca di questa tensione ecumenica: che tutti coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.Una vera posizione ecumenica nasce quindi da un attaccamento a Cristo, che è “tutto in tutti”[cfr. 1Cor 12,6], è “ciò in cui tutto consiste” [cfr. Col 1,16-17].  

Un ecumenismo rinnovato non si accontenta di “sopportare” l’altro, perché resterebbe comunque estraneo, ma offre spazio in sé all’altro. Per questo il perdono, ridare spazio in me all’altro, è la forma suprema di ecumenismo. Nell’Imitazione di Cristo [cfr. I,3,8] si dice: «Ex uno Verbo omnia et unum loquuntur omnia, et hoc est Principium quod et loquitur nobis», «da una sola Parola tutto, una sola Parola parla in tutto, e tutto grida questa sola Parola, e questo è il principio che deve parlare anche in noi».


Gesù ha innanzitutto chiamato a Sé, e poi ha mandato i suoi in missione: la dinamica del rimanere e del partire, del rimanere per partire deve essere sempre tenuta presente; la missione non è una mia iniziativa, ma un essere mandati dalla comunione vissuta in Gesù nella comunità cristiana; il metodo cristiano attraverso cui annunciare Cristo resterà per sempre il “vieni e vedi”, ma a volte non si sa a cosa chiamare la gente, dove indirizzarla,perché manca una comunità accogliente. A volte perfino la parrocchia è un po’ “lontana”.

Per questo può essere di aiuto la creazione di piccole comunità all’interno degli ambienti (luoghi di lavoro, università, scuole, quartieri), in cui sia facilitata la familiarità e l’accoglienza. In piccole comunità è anche più facile educare alla corresponsabilità. Un esempio formidabile, positivo e costruttivo, viene dai movimenti ecclesiali. La comunione, che è la Chiesa in cammino nella storia ha smarrito la missione come dimensione della sua natura. Nella migliore delle ipotesi la missione è una attività, ma non una dimensione. È emerso che per tornare ad essere una dimensione normale della vita cristiana, occorre che qualcuno torni a condividere una passione missionaria.

La passione missionaria è fatta di testimonianza e di annuncio. Non siamo testimoni perché non conosciamo Cristo, e non conosciamo Cristo perché siamo distratti da tante altre cose. Solov’ev, immaginando la fine del mondo nel suo Racconti dell’Anticristo, fa dire al Papa in risposta al padrone del mondo che gli chiedeva: «Cosa posso fare per voi, cristiani?»;«Grande Imperatore, quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso,Lui e tutto ciò che proviene da Lui». Tutto ciò che viene da Cristo si può sintetizzare nella comunione con Lui e tra noi. Noi non siamo testimoni perché non viviamo la comunione. La comunione vissuta porta a riconoscere i segni dei tempi, cioè rende la nostra testimonianza riconoscibile e credibile.

Spesso noi non abbiamo nulla da annunciare, perché in noi prevale una posizione individualistica e mondana, non abbiamo recepito il messaggio di Paolo: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo» [cfr. Rom 12,1-2]; «La Chiesa non deve farsi dettare l’agenda da questo mondo», ci diceva Papa Francesco alla Santa Messa di apertura del Sinodo. «Ma trasformatevi», letteralmente, «trasfiguratevi», cioè la vostra stessa vita diventi annuncio. Per le piccole prime comunità che si stringevano attorno agli apostoli avveniva una quotidiana condivisione della missione che ogni membro viveva. Cristo stesso e la comunione che ne deriva erano il significato e il contenuto della loro vita, e perciò della loro missione. Non erano cose da fare, non erano iniziative da inventare o da dover prendere, tutto ciò nasceva e si svolgeva secondo il suggerimento finalmente ascoltato dello Spirito. Loro si preoccupavano solo di vivere la comunione e di correggersi in questo,letteralmente di portarsi assieme nel cammino, di convertirsi sempre a Cristo, di camminare umilmente con Dio: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuoDio» [cfr. Michea 6,8].

Arcivescovo metropolita dell’Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca

giovedì 23 novembre 2023

PATRIARCATO? – ALLE RADICI DEI FEMMINICIDI

 DI LUCA RICOLFI

Luca Ricolfi

Esaurite le lacrime e le indignazioni, chiuso il ciclo degli innumerevoli esercizi retorici che hanno provato a dire il nostro sgomento, sarà il caso – prima o poi – di riflettere anche sui dati che descrivono la violenza sulle donne. Non ce ne sono abbastanza per formulare una diagnosi inattaccabile, ma quei pochi che ci sono bastano a sollevare interrogativi importanti.

Il dato più importante, ben noto agli studiosi da quasi un decennio, è il cosiddetto “paradosso nordico”: come mai i tassi di violenza sulle donne più alti si riscontrano nei paesi considerati più civili, o addirittura in quelli più avanzati in materia di parità di genere?

Non tutti lo sanno, ma nei civilissimi paesi scandinavi, in Germania, in Francia, nel Regno Unito, le donne rischiano la vita più che in Italia. In Europa solo Irlanda e Lussemburgo hanno tassi di uccisione delle donne minori che in Italia. E se allarghiamo lo sguardo alle società avanzate non europee, solo in Giappone le cose vanno meglio che in Italia: paesi come Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Corea del Sud hanno tutti tassi di uccisione maggiori di quelli italiani. Come mai?

Qualcuno ipotizza che alla base possa esservi un maggiore consumo di alcol. Altri che il problema possa essere la presenza di immigrati, o di stranieri di fede islamica. Ma i dati non sembrano facilmente conciliabili con queste ipotesi. Se vogliamo capire, dobbiamo cercare altrove.

Questo altrove potrebbe essere la sopravvivenza del patriarcato, come si sente affermare ogni volta che una donna viene uccisa da un partner possessivo. Certo. Ma sfortunatamente, anche questa ipotesi è difficilmente conciliabile con i dati. Qualcuno può plausibilmente sostenere che i paesi scandinavi siano società patriarcali? O che lo sia il Regno Unito? O il civilissimo e ultra-avanzato Canada?

Del resto è il caso stesso dell’Italia a mettere in dubbio la teoria del patriarcato. Diversi dati, dagli stupri ai femminicidi, suggeriscono che la violenza sulle donne sia maggiore nel Centro-nord che nel Sud. Se ne deve dedurre che il patriarcato è in via di estinzione nelle regioni del Mezzogiorno, mentre prospera in quelle centro-settentrionali?

Quando si è affezionati a una teoria, si trova sempre un modo di salvarla, anche contro le evidenze empiriche. Il caso della teoria del patriarcato non sfugge alla regola. Quando si è scoperto che gli stupri dilagavano in Svezia, qualcuno ha provato a spiegare le cose così: proprio il fatto di avere reso il paese molto più civile con riforme dall’alto precoci ha provocato la reazione degli uomini, che non erano pronti ad accettare tanta libertà per le donne. Di qui una sorta di contraccolpo (backlash): la violenza sulle donne sarebbe una sorta di reazione del maschio, spiazzato dalla libertà e intraprendenza femminile dopo le riforme illuminate degli anni ’70 e ’80.

Se si accetta questa lettura, si dovrebbe anche ipotizzare una straordinaria lentezza del maschio del Nord: possibile che cinquant’anni non gli siano bastati per assorbire lo shock della liberazione della donna? Mah…

Eppure esiste anche una spiegazione più semplice, per quanto più difficile da accettare. Una delle radici della violenza sulle donne nelle realtà più avanzate potrebbe essere proprio il loro essere avanzate. Quando si parla del grado di civiltà raggiunto da un sistema sociale, infatti, troppo sovente si dimentica che l’aspetto centrale delle società avanzate è la cultura dei diritti. E la cultura dei diritti è una cosa meravigliosa, ma ha anche effetti collaterali perversi. Ad esempio: l’educazione è permissiva, i genitori iper-proteggono i figli, gli insegnanti si colpevolizzano per gli insuccessi dei ragazzi. Sicché una parte di questi ultimi si convince di avere un fascio di diritti fondamentali, o quasi naturali: successo formativo, abitazione, consumi, status, divertimento, sesso. Naturalmente, succedeva anche prima che si desiderassero tutte queste cose. Ma non erano considerate diritti, bensì conquistepossibili, spesso costose in termini di sforzi, e sempre esposte al rischio di fallimento.

In breve, e detto brutalmente: nelle società “arretrate” i giovani sanno (e accettano) di poter fallire, in quelle avanzate non sono preparati all’eventualità. E il momento più critico è proprio quello della ricerca del partner sentimentale, perché quella è la prima sfida in cui i genitori – per quanto ricchi, potenti, dotati di conoscenze – non possono intervenire, né supplire alle inadeguatezze di un figlio. Per diversi ragazzi, quello di essere rifiutati dalla donna che desiderano può essere il primo vero trauma della loro vita, proprio perché è il primo scacco in cui la rete di protezione familiare è fuori gioco.

Da questo punto di vista, non stupisce che negli Stati Uniti – dove l’iper-protezione dei giovani da parte di genitori, insegnanti, istituzioni culturali ha assunto tratti grotteschi e dimensioni patologiche – per una donna il rischio di essere uccisa sia 7 volte quello dell’Italia.

Così come non stupisce l’inquietante sincronismo con cui, negli ultimissimi anni, sono aumentati sia il numero di donne uccise (quasi + 20% fra l’era pre-Covid e oggi) sia il numero di denunce e arresti di minorenni per omicidi, violenze sessuali, lesioni, percosse, danneggiamenti, risse, rapine in strada, minacce, solo per citare alcuni esempi da un recente rapporto della Polizia criminale.

La mia è solo un’ipotesi, naturalmente, ma non mi sento di escludere che, sotto questi repentini cambiamenti, non vi sia solo un deficit di consapevolezza dei diritti e del valore delle donne (un guaio cui la scuola può tentare di porre rimedio), ma una degenerazione della cultura dei diritti, che ha reso tanti maschi del tutto incapaci di fare i conti con il rischio di fallire.

Tratto dal sito Fondazione Hume

i grafici sono tratti dal sito Openpolis 

https://www.openpolis.it/esercizi/femminicidio/


martedì 21 novembre 2023

GIUSSANI E LA RISPOSTA ALLE SFIDE DI OGGI

 Fernando De Haro

La ricchezza e l’attualità della testimonianza di Giussani possono essere d’aiuto per le grandi sfide che il mondo e la Chiesa devono affrontare

 


“Perché sono un uomo” (Ancora), l’edizione italiana della biografia di don Giussani che ho scritto in occasione del centenario della sua nascita, è in libreria. Ricordo di essere rimasto sorpreso nel ricevere l’incarico di prepararla. Ho scritto reportage, sceneggiature per i miei documentari. Mi dedico all’informazione nazionale e internazionale, alla realizzazione di programmi radiofonici. Alberto Savorana aveva già scritto quella che resterà sempre l’opera di riferimento per avvicinarsi alla vita del fondatore di Comunione e Liberazione. Non avevo altri strumenti per svolgere il mio lavoro se non il suo libro, oltre ad alcune testimonianze che avevo potuto raccogliere. E ovviamente il mio sguardo, lo sguardo di un giornalista spagnolo con certe, poche, capacità narrative. Lo sguardo di uno “straniero” a volte offre una certa prospettiva, motivo per cui tendiamo a interessarci a ciò che dicono i corrispondenti esteri. In realtà, ciò che posso offrire al lettore è una vibrazione. La vibrazione intensa, radicale e appassionante che l’umanità di Giussani genera nella mia umanità.

I lettori dell’edizione spagnola e le mie esperienze degli ultimi mesi mi hanno fatto capire, ancora una volta, la ricchezza e l’attualità della testimonianza di Giussani per le grandi sfide che il mondo e la Chiesa devono affrontare in questo XXI secolo. Qualche giorno fa, a Madrid, Juan José Gómez Cadenas, un grande scienziato dedito alla fisica delle particelle e ai neutrini, ha presentato il mio libro. Oltre a essere un ricercatore, è uno scrittore e, come lui stesso afferma, «fondamentalmente ateo». Ho potuto constatare, sorpreso, grazie alle sue parole, l’attualità del modo di Giussani di concepire e usare la ragione per alcuni dei grandi temi del momento.

L’Intelligenza artificiale e la vertiginosa capacità di elaborazione dei dati cui siamo arrivati ci pongono di fronte alla sfida coinvolgente di riscoprire ciò che è proprio della conoscenza umana. Cadenas, che si dedica alla scoperta delle profondità dell’Universo, ha detto di essere stato interpellato dall’esperienza di una ragione che raggiunge il suo culmine attraverso l’esperienza e la sua apertura all’infinito. «Rispondere a Leopardi e a colui che vi parla, così come a tutti gli uomini che hanno guardato il cielo in una notte stellata o hanno abbracciato i loro bambini al petto, è ciò che si prefiggeva quel prete magro e un po ́malaticcio, ribelle, nervoso, instancabile, magnetico e fuori di testa, chiamato don Giussani», ha detto il fisico. Che ha poi aggiunto: «Giussani pedala sulla sua enorme bicicletta e riflette sul problema di baciarsi avendo coscienza dell’universo. Chi vi parla sa esattamente di cosa sta parlando».

Qual è l’identità dell’io che conosce perché ha coscienza dell’universo? Cosa lo rende libero? Queste sono state le due domande sorte spontaneamente nella conversazione che ho avuto all’inizio di novembre con una coppia omosessuale. Libertà e identità, le questioni che emergono, in un modo o nell’altro, in qualsiasi dialogo di questo tempo, sono sorte nel calore di una buona pizza e del vino non così buono. Come avrei potuto capire, amare e provocare la libertà di queste due persone se non avessi imparato da Giussani che la libertà è la soddisfazione più grande? Come sarebbe stato possibile se non avessi imparato e sperimentato che il cristianesimo è l’avvenimento di Cristo che accade proprio ora? Come, se non avessi sperimentato, grazie a Giussani, che il Mistero fatto carne è così reale, così corrispondente, da essere capace di attrarre pienamente la mia libertà?

In quella cena, l’amicizia, il contenuto dell’amicizia di Giussani con Testori, tornò più e più volte alla mia mente e nel mio cuore. In un mondo deserto come il seno di una donna abbandonata, solo l’identità di un io orfano che torna a essere amato, concepito e generato di nuovo, può rinascere e far rinascere la vita.

Fernando De Haro

Una delle prime lettrici spagnole ha voluto raccontarmi in primavera cosa aveva scoperto avvicinandosi alla vita di Giussani. È una donna che si è appena sposata, giovane e molto bella. Una cattolica educata in una delle migliori scuole cattoliche. Mi confessò che fino ad allora, senza mai mettere in dubbio la sua esperienza di fede, era sempre stata in balia delle valutazioni e delle conferme altrui. Non aveva la solidità di una conoscenza irriducibile. Incarnava un’altra delle sfide del momento.

Per coloro che continuano a credere, la fede è una “santa ignoranza”. Per questo credono come se non credessero. Per vivere la fede hanno bisogno di rifugi, di opzioni che permettano di allontanarsi in qualche modo dalla realtà. La giovane donna mi ha fatto notare che Giussani, attraverso la sua biografia, non le aveva detto, come faceva al Berchet, cosa avrebbe dovuto pensare o sentire. Le aveva dato un metodo per sperimentare nel presente una fede capace di trasformarsi in conoscenza amorosa, in una certezza lieta che le permetteva di non difendersi dalla realtà e dal mondo, ma di amarli intensamente.

domenica 19 novembre 2023

 

INTERVISTA A FRANCO PRODI: C'è UN CLIMA PESSIMO PER LA LIBERTA' DELLA RICERCA

«Laudate Deum un suicidio, la Chiesa rischia un nuovo caso Galileo»

«L'esortazione Laudate Deum è appiattita sulle truffe dell'IPCC». Parola di Franco Prodi, il fisico dell'atmosfera che alla Bussola dice: «Un'impostura attribuire per il 97% all'uomo le cause del riscaldamento, tanti scienziati si adeguano per non perdere i finanziamenti, mentre il Cnr mi ha sbattuto fuori. Il catastrofismo climatico è funzionale alla finanza globale per imporre la green economy». 

Franco Prodi

Franco Prodi è fisico dell’atmosfera, ha un curriculum da accademico di tutto rispetto. Carriera da autorità scientifica, fratello dell’ex premier Romano Prodi, ha diretto l’Istituto di Scienza dell’Atmosfera del Cnr (ISAC) e pubblicato diversi studi nel campo della meteorologia e della climatologia.

Eppure, nel mondo alla rovescia di oggi è un nuovo eretico. Paga la sua posizione di scienziato che non condivide le tesi sul catastrofismo climatico e il nuovo verbo del climatismo che vuole l’uomo come responsabile del riscaldamento climatico. E in questa intervista alla Bussola denuncia la cappa di oscurantismo del mondo accademico, mediatico ed ecclesiale che sta spingendo l’acceleratore sull’ideologia green alla vigilia della Cop 28 che sarà «l’ennesimo fallimento, vedrete».

Professore, assieme ad altri scienziati ha firmato l’appello di Clintel. Con alcuni colleghi italiani si è rivolto anche al presidente Mattarella. Che risposte avete avuto?
Non siamo stati degnati neanche di un riscontro. Il nostro tentativo era quello di ribadire che nel campo scientifico non c’è assolutamente l’unanimità di vedute che si vuole raccontare. Ma ormai la frase “lo dice la scienza” è diventato il verbo per imporre i report dell’IPCC che condizionano tutto.

Qual è il punto di crisi?
Il sesto report dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dice che il riscaldamento climatico è causato per il 97% dall’uomo, le cosiddette cause antropiche e che quindi bisogna arrivare alle emissioni zero. Una follia, indimostrabile tra l’altro, soprattutto se teniamo conto che l’Europa è responsabile del 9% delle emissioni di co2 e l’Italia appena dell’1%. Mentre la Cina costruisce una centrale a carbone al giorno.

Chi la critica le contesta di occuparsi di nubi…
E chi dovrebbe parlare di fisica dell’atmosfera se non chi come me studia le nubi dal 1966?

Perché le nubi c’entrano col cambiamento climatico?
Eccome! Sono al centro del sistema climatico. ll cuore del sistema climatico è il bilanciamento tra i fotoni solari in arrivo e i fotoni terrestri che se ne vanno. Le nubi riflettono i fotoni solari. Chi mi critica non ha assolutamente competenza e mi fa oggetto di azioni diffamatorie come è successo per la vicenda Wikipedia.

Che cosa è successo?
È stata alterata dopo un articolo del Domani scritto ad arte e ordinato da De Benedetti. Mi hanno affibbiato il termine “negazionista climatico” e da lì sono incominciati i miei guai.

Lei non si sente negazionista?
Altroché! Sono un “apostolo” della protezione del pianeta, il termine negazionista richiama tragici momenti della nostra storia. Di sicuro non ho mai portato avanti il negazionismo climatico.

Solo che…
Come potrei? In un pianeta con otto miliardi di persone anche la fisica delle nubi cambia, ma l’attività dell’uomo non può spiegare tutto.

Perché?
Perché le nubi sono un sistema molto complesso. Anzitutto hanno forma tridimensionale mentre nei modelli dell’IPCC questo non viene mai tenuto in conto; ci sono radiazioni a infrarossi e gas poliatomici e poi ci sono nubi che non vengono neanche rilevate, ma che incidono. Di conseguenza i modelli numerici che vengono imposti danno risultati inattendibili.

Quindi non nega il cambiamento climatico, ma non lo attribuisce all’uomo?
Nemmeno, una matrice antropica c’è.

Quale?
Anzitutto è bene dire che più che di cambiamento climatico la scienza parla di variazioni della composizione atmosferica.

D’accordo. Cosa causa le variazioni della composizione atmosferica?
Le cause sono di due tipi: naturali e antropiche. Le seconde sono appunto l’attività dell’uomo.

Cosa troviamo nelle cause naturali?
Le interazioni atmosfera-oceano, le interazioni atmosfera-biosfera, le eruzioni vulcaniche e il ciclo idrologico.

E nelle antropiche?
L’immissione di gas serra in atmosfera con i combustibili fossili, gli incendi e gli allevamenti, l’immissione di aerosols in atmosfera e lo sfruttamento del terreno, come ad esempio la riduzione delle foreste.

Il punto è capire le percentuali di responsabilità. L’IPCC sostiene che l’attività dell’uomo contribuisca per il 97%...
Balle, balle. È un dato indimostrabile, un'impostura. La quantificazione dell’attività antropica è impossibile da misurare per la scarsa conoscenza di importanti aspetti fisici.

Quali?
Ci sono tanti fattori che incidono. Oltre alle attività delle nubi, che sono essenziali, c’è il calore proveniente dalla terra che è un grosso punto interrogativo, anche l’attività dei vulcani, che emettono co2 non è quantificabile, c’è il degassamento della crosta terrestre che è difficile da quantificare.

Quindi, se non è il 97%, quale sarebbe secondo lei la percentuale da attribuire all’uomo?
Per lo stesso motivo per cui le dico che il 97% è indimostrabile, non c’è modo di dare una percentuale attendibile. È semplicemente un dato irraggiungibile scientificamente. Ciò che è misurabile è altro.

Che cosa?
L’inquinamento. Gli accordi mondiali andrebbero fatti su questo perché sull’inquinamento abbiamo parametri scientifici dimostrabili e quantificabili. Invece perdiamo tempo su cose indimostrabili.

Lei è emiliano, recentemente ha preso posizione sull’alluvione.
Invocare il cambiamento climatico è stata una follia. La verità è che stato un problema di gestione.

In che senso?
Mancata gestione dell’emergenza con le conoscenze attuali di radar multi-parametrici. Con un monitoraggio adeguato a livello radar avremmo intercettato lo spostamento delle nubi e la quantità di acqua con ore di anticipo e avremmo salvato delle vite umane. L’ho detto in piazza a Faenza agli alluvionati, nessuno mi ha contestato.

I giornali l’hanno contestata…
I giornali cosiddetti mainstream, la dittatura dei giornali che io chiamo “giornalistura”. La mia titolarità scientifica è stata umiliata, i miei progetti come quello in Puglia chiamato RIVONA (rischi per il volo e nowcasting aeroportuale) schiacciati dalla politica mentre il Cnr mi ha letteralmente sbattuto fuori.

Ma lei è andato in pensione…
A tutti i direttori viene data la possibilità di rimanere associato per poter continuare a fare attività scientifica. A me è stata negata, la nuova direttrice dell’ISAC Cristina Facchini mi ha fatto fare gli scatoloni per liberare il mio ufficio seduta stante.

E il mondo accademico?
C’è un brutto clima. L’interazione tra politica e scienza è pericolosa. Ci sono ricercatori terrorizzati e omertosi che sposano le tesi dell’IPCC perché temono di perdere i loro finanziamenti o la loro posizione all’interno delle università. Con me si è applicato il metodo Mao: Colpirne uno per educarne cento.

Qual è la posta in gioco?
La finanza globale che supera l’economia reale ha bisogno di dare un profitto a una massa enorme di danaro e lo fa imponendo la Green economy. Non darà nessun effetto sulle emissioni, ma metterà in ginocchio intere economie reali.

Che cosa pensa dell’esortazione del Papa Laudate Deum?
È un suicidio per la Chiesa, lo dico da fedele e con grande dolore. Si sta rischiando di creare un nuovo caso Galileo.

Galileo?
È scritta sposando interamente le tesi dell’IPCC, ma quando emergerà che queste tesi sono state una delle più grandi truffe fatte all’umanità la Chiesa non ci farà una bella figura.

Chissà se chiederà scusa?
Nel leggerla sono saltato sulla sedia. Almeno con la Laudato Sì al capitolo 1 paragrafo 23, Francesco si prendeva qualche cautela alimentando il dubbio e dicendo che la scienza era divisa su certe posizioni, ma l’esortazione è interamente appiattita sul catastrofismo climatico. Io non so chi abbia consigliato il Papa, ma è stata sicuramente una pessima influenza.

Andrea Zambrano La Nuova Bussola

 

venerdì 17 novembre 2023

ALLE ORIGINI DI UN IMPEGNO POLITICO

Il testo della lezione tenuta il 14 ottobre scorso da monsignor Massimo Camisasca ad alcuni giovani impegnati in politica

Massimo Camisasca*


Prima di entrare nel tema centrale della mia lezione, vorrei fare tre premesse.

1) In mezzo a voi non ho nessuna autorità. Sono qui, come mi avete chiesto invitandomi, per accompagnare le vostre vite prima ancora della vostra vocazione politica. Certo, accompagnare le vostre vite implicherebbe consuetudine, conoscenza – che forse non sarà possibile, se non con alcuni –, ma questo comunque è il senso di questa mia relazione. Ecco, accompagnare le vostre vite, forse, fino alla vostra vocazione politica, ma certamente non a partire da essa.

2) Una seconda premessa: non rappresento nessuna parte, non rappresento nessuna opzione e nessun partito, tanto meno l’idea di militare tutti nello stesso partito. Anche questo mi libera, non sono qui per fare campagna elettorale per qualcuno.

3) Per quanto conosca solo qualcuno tra di voi, ho molta stima del coraggio e dell’impegno con cui una persona oggi, nel movimento e nella Chiesa, voglia vivere la propria vocazione cristiana anche attraverso l’impegno amministrativo, politico, a qualunque livello. Vorrei che sentiste – e non in modo sentimentale – la stima che vi meritate perché occorre un lavoro, un lavoro sodo, occorre un rapporto molto profondo con gli ideali della propria vita per potersi spendere fino all’impegno amministrativo e politico, impegno che comporta tensioni, talvolta irriconoscenza, ingratitudine, divisioni, lacerazioni. Vorrei che la sentiste. Questa stima per il coraggio e per l’impegno non deve mancare mai.

Per entrare nel nostro tema, mi piacerebbe partire da alcune parole di don Giussani, tratte dagli appunti che conservo di un incontro del 7 dicembre 1985. Parlando di fronte a circa un migliaio di amministratori, commentò un articolo de L’Unità di quella mattina, l’intervento dell’onorevole Alfredo Reichlin a un raduno di giovani del Partito Comunista a Ferrara. «L’idea fondamentale», disse don Giussani «è che il PC dovrà essere la punta di guida del futuro». Infatti il titolo di quel convegno di giovani a Ferrara era: “Quale forza saprà guidare il futuro?”. Potrebbe essere un titolo adeguato anche al nostro incontro di oggi, se alla parola forza sostituissimo la parola idealecomunità. Noi guardiamo al futuro. Cosa possiamo essere per il futuro? Giussani diceva allora (ed era il 1985!): «La punta di guida di questo futuro in cui il robot dominerà e in cui l’ideale sarà quello di Engels: lavorare il meno possibile». E aggiungeva: «Il futuro sarà guidato da una appartenenza riconosciuta, da una realtà sociale in cui la chiarezza di appartenenza sarà tale che renderà possibile un’azione tanto seria così da spalancarla a una capacità di gratuità, in cui l’uomo si senta finalmente abbracciato nel suo essere senza confine».

Una realtà sociale, comunitaria, che viva cioè un’appartenenza talmente profonda da essere lanciata all’incontro con l’uomo, per abbracciarlo nel suo essere senza confine. E aggiungeva: «Perché la capacità di unità esige l’essere senza confine e la capacità di apertura a tutto ne è una conseguenza». Poi, spiccando il volo, subito sottolineava: «La cosa più importante è che tu viva veramente la fede. Si chiama fede la coscienza dell’appartenenza a un fatto sociale». Qui Giussani sta sottolineando non semplicemente il rapporto tuo, individuale, con un ideale o con Dio, ma che la fede è la coscienza dell’appartenenza a un fatto sociale. «Non per nulla», aggiungeva, «la cristianità ha perso tutto, idealizzando e giustificando questa perdita di tutto, in tutto, perché ha concepito una fede intimistica», aggiungeva lui con linguaggio di quegli anni», la scelta religiosa; intimistica, cioè senza rilievo sociale, senza capacità di creazione di realtà sociale». E concludeva: «Dalla fede di un individuo, di ognuno di noi, deve nascere una trama sociale in cui la gratuità faccia superare ogni confine di corrente, cioè ogni corrente di interesse».

La comunione