Trent’anni di ingerenza innegabile
Chissà dov'era, negli ultimi trent'anni, il dottor Santalucia
Chissà
dov'era, negli ultimi trent'anni, il dottor Santalucia. A ben vedere, l'aspetto
clamoroso del putiferio che ieri si è scatenato intorno all'intervista di Guido
Crosetto non è tanto ciò che dice il ministro della Difesa, la storia delle
riunioni in cui magistrati «di una corrente» stanno pianificando la resistenza
al governo di Giorgia Meloni. L'aspetto clamoroso è la reazione
sdegnata delle toghe organizzate, a partire da quella del loro leader Giuseppe
Santalucia. Secondo cui, nientemeno, «è fuorviante la rappresentazione di una
magistratura che rema contro e che possa farsi opposizione politico-partitica».
Il problema,
anche se Santalucia non se n'è accorto, è che il diritto a «remare contro», di opporsi ai governi, alle
leggi, a riforme di ogni tipo, è da trent'anni rivendicato da tutte le
correnti della magistratura italiana: a partire da quella di cui anche lui fa
parte. Un diritto esercitato quasi soltanto contro i governi di centrodestra
(unica altra vittima, Matteo Renzi), alla luce del sole, con pubbliche
dichiarazioni, convegni, appelli, ogni qualvolta gli italiani hanno scelto
nelle urne maggioranze sgradite alle toghe.
Questo
diritto all'ingerenza nella politica è soprattutto nel Dna di Magistratura
democratica, rivendicato e sventolato, ben prima del leggendario discorso del
«resistere, resistere, resistere» di Francesco Saverio Borrelli (nella foto).
Ma dietro - evocato implicitamente nell'intervista di Crosetto - c'è ben altro,
che non ha nulla a che fare con la battaglia delle idee: ed è l'utilizzo a fini di
battaglia politica delle inchieste giudiziarie; l'avviso di garanzia che
diventa strumento della magistratura per colpire il governo sgradito.
Crosetto non
dice apertamente che sia questo l'oggetto delle riunioni di cui ha saputo. Ma è
ovvio che quando il ministro parla del «pericolo» costituito da iniziative dei
magistrati non pensa a innocue raccolte di firme. Dietro, più inquietante, c'è
il tema dell'«assedio giudiziario» al potere sgradito. Quando dice «ne abbiamo
viste fare di tutti i colori in passato» Crosetto si riferisce a precedenti che
sono ormai storia, più che cronaca. Non ci sono solo le incriminazioni,
entrambe poi finite in nulla, che affossarono sia il primo che il secondo
governo di Silvio Berlusconi, o le incriminazioni per
sequestro di persona che hanno segnato il ministro degli Interni Matteo Salvini. C'è anche il martellamento
costante, da Procure grandi e piccole, che ha segnato costantemente gli anni
del centrodestra al potere, colpendone colonnelli e gregari, con la sensazione
precisa di una gara in corso tra magistrati per centrare la preda più ambita.
Non è un caso che Crosetto, nella sua replica di ieri pomeriggio, citi (insieme
al precedente storico di Enzo Tortora) due vittime emblematiche di questa corsa
al trofeo: Calogero Mannino e il generale Mario Mori.
Il leader
dell'Anm fa bene a dire che «la magistratura non è forza di contrapposizione
politica e non risponde a logiche governative». La magistratura - la sua
ossatura, le sue migliaia di uomini e donne - è impegnata quotidianamente nel
suo lavoro indispensabile e complicato, e lo fa con onestà intellettuale. Il problema sono i gruppi di
potere interni, le fazioni che delle aberrazioni di questi anni sono stati i
principali responsabili. Nessuno pensa che la segreteria di una corrente
pianifichi gli avvisi di garanzia. Ma la corrente provvede a mettere gli uomini
giusti al posto giusto. Ed e lì, tra spirito di militanza e certezza di una
missione da compiere, che tutto diventa possibile. Anche quello che dice
Crosetto.
IL GIORNALE27
Novembre 2023
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