venerdì 10 novembre 2023

“NON SI PUÒ NEGARE IL DIRITTO A CURARE INDI”

  Il caso della piccola Indi. Enrico Negrotti per Avvenire intervista la neurologa Matilde Leonardi del Comitato nazionale bioetica. Che dice: non possono impedire ai genitori di portare la piccola al Bambino Gesù, uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo.

I genitori di INDI

 

«Perché si vuole negare ai genitori la possibilità di portare la figlia in uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo, non fosse altro per poter continuare a prendersi cura di lei, anziché sospendere le cure?». 

Componente del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), la neurologa Matilde Leonardi (direttore del Centro di ricerche sul coma dell’Istituto neurologico nazionale “Carlo Besta” di Milano), ragiona sul caso di Indi mentre la sorte della bambina è ancora appesa a un filo: i giudici hanno concesso ancora una proroga al distacco dei supporti vitali. 

« Non solo è evidente che si è rotta l’alleanza terapeutica tra famiglia e medici, ma non sta in piedi – sottolinea Leonardi – neppure il ragionamento sul cosiddetto miglior interesse ( best interest) del paziente. Nessuno sa quanto può durare la sua malattia».


Che cosa si conosce delle condizioni cliniche di Indi? Che cosa caratterizza le malattie mitocondriali?

Non conosco specificamente la cartella clinica di Indi, ma le malattie mitocondriali costituiscono un’ampia gamma di patologie, tutte diverse. Sono caratterizzate da alterazioni nel Dna dei mitocondri, la centrale energetica della cellula, dagli esiti molto vari. Sono malattie complesse, coinvolgono anche il Sistema nervoso centrale, ma hanno una manifestazione molto varia, che dipende dalla mutazione alterata. Sono spesso a prognosi infausta, ma l’aspettativa di vita è diversa da una malattia all’altra.

 

Si rischia di fare accanimento terapeutico se si prosegue a sostenere le funzioni vitali di Indi?

Indi non ha la tracheotomia, né la Peg (la valvola nello stomaco per la alimentazione tramite sondino). Ha ausili per respirare e sondino nasogastrico per la nutrizione. Ma i supporti vitali sono solo uno dei parametri di valutazione. Il giudizio bioetico deve partire dalla conoscenza dell’esatta situazione clinica della bambina, delle cure intraprese, della prognosi, e si fa al letto del paziente. L’accanimento terapeutico si configura quando si mettono in atto trattamenti sproporzionati rispetto a una morte imminente e inevitabile. Ma Indi non è una paziente terminale, neanche i medici inglesi l’hanno definita così, è una bambina con malattia inguaribile.

 

Tuttavia i giudici inglesi in questi casi parlano sempre di “miglior interesse” del paziente a non prolungare le sofferenze. Non è così?

Il miglior interesse ( best interest) della bambina non è morire perché è gravemente malata: sono migliaia i bambini gravemente malati, sottoposti a cure palliative pediatriche. Così come non è neanche vivere a tutti i costi. Ma la bambina dalle immagini trapelate sembra vigile e reattiva, apparentemente non sofferente. Chi lavora con patologie complesse, neurologiche e non, ne vede tanti. Sospendere trattamenti non sproporzionati si configura come una forma di eutanasia.

 

Ha senso che i giudici vietino di portarla in un altro ospedale, come vogliono i genitori?

Questo mi pare il punto centrale della questione. Perché mai due genitori devono essere privati della patria potestà, e deve essere loro impedito di portare la figlia in uno dei migliori ospedali pediatrici esistenti se desiderano farlo? Stiamo parlando di un ospedale che è attrezzato per bambini in condizioni molto gravi, che spesso accoglie da ogni parte del mondo. E che potrebbe prendersi cura della bambina per il tempo necessario, anche se dovesse morire tra un mese, sei mesi o un anno: nessuno può saperlo, ma certo non quando decidono i giudici.

 

I giudici hanno anche detto che a portarla altrove la prognosi non cambierebbe. Per un medico può contare?

È ovvio che una patologia a prognosi infausta non cambia se cambio il luogo. Ma chiedo di considerare anche un altro punto. La ricerca procede continuamente, su queste malattie per esempio Telethon investe molto. Forse oggi la cura non c’è per Indi, ma un domani potrebbe essere trovata per bambini con la stessa patologia. Il confine in situazioni complesse è ovviamente sfumato e delicato, e la scelta di portarla al Bambino Gesù è per permetterle di morire senza sofferenza quando dovrà morire. Nessuno ha (ancora) terapie salvavita, ma nessuno ha il diritto di terminare la vita di nessuno per via giudiziaria.

 

Questo caso è il fallimento dell’alleanza terapeutica tra famiglia e medici?

Penso che sia evidente che in questo caso l’alleanza terapeutica è andata distrutta. Non si capisce perché i medici debbano rivolgersi ai giudici per ottenere il distacco dei sostegni vitali. Se un giudice ordinasse a qualunque medico la sospensione, spero prevalga sempre la valutazione della situazione clinica della paziente e che il medico possa valutare senza costrizioni giudiziarie o economiche. Ugualmente spero che ai genitori sia concesso, a fronte della offerta generosa e gratuita di un ospedale di eccellenza, di poter decidere di far eventualmente terminare la vita della bambina avendo ascoltato un altro parere nel momento in cui sarà e non oggi, quando lo decide un giudice».

 

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