Il caso della piccola Indi. Enrico Negrotti per Avvenire intervista la neurologa Matilde Leonardi del Comitato nazionale bioetica. Che dice: non possono impedire ai genitori di portare la piccola al Bambino Gesù, uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo.
«Perché si vuole negare ai genitori la possibilità di portare la figlia in uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo, non fosse altro per poter continuare a prendersi cura di lei, anziché sospendere le cure?».
Componente del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), la neurologa Matilde Leonardi (direttore del Centro di ricerche sul coma dell’Istituto neurologico nazionale “Carlo Besta” di Milano), ragiona sul caso di Indi mentre la sorte della bambina è ancora appesa a un filo: i giudici hanno concesso ancora una proroga al distacco dei supporti vitali.
« Non solo è evidente che
si è rotta l’alleanza terapeutica tra famiglia e medici, ma non sta in piedi –
sottolinea Leonardi – neppure il ragionamento sul cosiddetto miglior interesse
( best interest) del paziente. Nessuno sa quanto può durare la sua malattia».
Che cosa si conosce delle condizioni cliniche
di Indi? Che cosa caratterizza le malattie mitocondriali?
Non conosco specificamente
la cartella clinica di Indi, ma le malattie mitocondriali costituiscono
un’ampia gamma di patologie, tutte diverse. Sono caratterizzate da alterazioni
nel Dna dei mitocondri, la centrale energetica della cellula, dagli esiti molto
vari. Sono malattie complesse, coinvolgono anche il Sistema nervoso centrale,
ma hanno una manifestazione molto varia, che dipende dalla mutazione alterata.
Sono spesso a prognosi infausta, ma l’aspettativa di vita è diversa da una
malattia all’altra.
Si rischia di fare accanimento terapeutico se
si prosegue a sostenere le funzioni vitali di Indi?
Indi non ha la tracheotomia, né la Peg (la valvola nello stomaco
per la alimentazione tramite sondino). Ha ausili per respirare e sondino
nasogastrico per la nutrizione. Ma i supporti vitali sono solo uno dei
parametri di valutazione. Il giudizio bioetico deve partire dalla conoscenza
dell’esatta situazione clinica della bambina, delle cure intraprese, della
prognosi, e si fa al letto del paziente. L’accanimento terapeutico si configura
quando si mettono in atto trattamenti sproporzionati rispetto a una morte
imminente e inevitabile. Ma Indi non è una paziente terminale, neanche i medici
inglesi l’hanno definita così, è una bambina con malattia inguaribile.
Tuttavia i giudici inglesi in questi casi
parlano sempre di “miglior interesse” del paziente a non prolungare le
sofferenze. Non è così?
Il miglior interesse ( best
interest) della bambina non è morire
perché è gravemente malata: sono
migliaia i bambini gravemente malati, sottoposti a cure palliative pediatriche.
Così come non è neanche vivere a tutti i costi. Ma la bambina dalle immagini
trapelate sembra vigile e reattiva, apparentemente non sofferente. Chi lavora
con patologie complesse, neurologiche e non, ne vede tanti. Sospendere
trattamenti non sproporzionati si configura come una forma di eutanasia.
Ha senso che i giudici vietino di portarla in
un altro ospedale, come vogliono i genitori?
Questo mi pare il punto centrale della questione. Perché
mai due genitori devono essere privati della patria potestà, e deve essere loro
impedito di portare la figlia in uno dei migliori ospedali pediatrici esistenti
se desiderano farlo? Stiamo parlando di un ospedale che è attrezzato per
bambini in condizioni molto gravi, che spesso accoglie da ogni parte del mondo.
E che potrebbe prendersi cura della bambina per il tempo necessario, anche se
dovesse morire tra un mese, sei mesi o un anno: nessuno può saperlo, ma certo
non quando decidono i giudici.
I giudici hanno anche detto che a portarla
altrove la prognosi non cambierebbe. Per un medico può contare?
È ovvio che una patologia a prognosi infausta non cambia se cambio il luogo. Ma chiedo di considerare anche un altro punto. La ricerca procede continuamente, su queste malattie per esempio Telethon investe molto. Forse oggi la cura non c’è per Indi, ma un domani potrebbe essere trovata per bambini con la stessa patologia. Il confine in situazioni complesse è ovviamente sfumato e delicato, e la scelta di portarla al Bambino Gesù è per permetterle di morire senza sofferenza quando dovrà morire. Nessuno ha (ancora) terapie salvavita, ma nessuno ha il diritto di terminare la vita di nessuno per via giudiziaria.
Questo caso è il fallimento
dell’alleanza terapeutica tra famiglia e medici?
Penso che sia evidente che
in questo caso l’alleanza terapeutica è andata distrutta. Non si capisce perché
i medici debbano rivolgersi ai giudici per ottenere il distacco dei sostegni
vitali. Se un giudice ordinasse a qualunque medico la sospensione, spero
prevalga sempre la valutazione della situazione clinica della paziente e che il
medico possa valutare senza costrizioni giudiziarie o economiche. Ugualmente spero che ai genitori
sia concesso, a fronte della offerta generosa e gratuita di un ospedale di
eccellenza, di poter decidere di far eventualmente terminare la vita della
bambina avendo ascoltato un altro parere nel momento in cui sarà e non oggi,
quando lo decide un giudice».
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