Il Patriarca Caldeo, il Cardinale
Louis Raphael I Sako, Card. SAKO
intervistato sulla situazione in Medio Oriente, ha posto una
questione di fondamentale importanza:”
In Medio Oriente bisogna separare la religione dallo stato.”
Questo punto
era stato perfettamente spiegato da Benedetto XVI a Regensburg, parlando dell’incontro
fra Fede e Ragione ai rappresentanti della scienza. “Non agire secondo ragione (συν λόγω) è contrario alla natura di Dio”
Invitiamo a riprendere tutto il discorso, non
solo l’estratto che presentiamo che pure è attualissimo in relazione alla
tragedia mediorientale. Questo discorso è un inno al Logos: Gesù è il Logos incarnato, l’origine e il fine di tutto, il
senso di tutto
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006
Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.
(…OMISSIS )BENEDETTO XVI a Ratisbona
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte
edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto
imperatore bizantino Manuele II
Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe
con un persiano colto su
cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu
poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di
Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i
suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli
del suo interlocutore persiano.[2] Il
dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella
Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo,
ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le –
come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico
Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in
questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella
struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e
ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le
mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal
prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema
della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore
sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente
una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli
esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma,
naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate
successivamente e fissate nel Corano, circa la
guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di
trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli
"increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco
al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore
semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in
genere, dicendo: "Mostrami pure ciò
che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e
disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che
egli predicava".[3] L'imperatore,
dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede
mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con
la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non
agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è
frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede
ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non
invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non
è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di
qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la
conversione mediante la violenza è: non
agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore,
Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella
filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana,
invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna
delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In
questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez,
il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe
legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare
a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche
l'idolatria.[7]Viaggio in Germania 2006
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e
quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci
sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in
contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre
e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda
concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul
fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi,
il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le
parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa
parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione
e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto,
come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul
concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e
tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi.
In principio era il logos, e il logos è Dio, ci
dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non
era un semplice caso. (…)
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