domenica 31 dicembre 2023

BENEDETTO XVI TEOLOGO, PASTORE E MONACO.

 A UN ANNO DAL DIES NATALIS 

di dom Giulio Meiattini osb

BENEDETTO XVI

A un anno esatto di distanza dal dies natalis dell’amato Pontefice Benedetto XVI, il mio pensiero torna, soprattutto, al suo Testamento spirituale, col quale egli ci raggiungeva un’ultima volta con l’inconfondibile penetrazione, pertinenza e lucidità della sua parola e della sua scrittura.

In quelle righe, degne di essere ancora rilette e meditate, egli invitava in primo luogo la sua patria, la Germania, e poi l’intera Chiesa, a conservare la fede. Scriveva: «Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede!». Con queste parole egli riprendeva alla lettera un’esortazione biblica che si trova più volte e con lievi varianti nel Nuovo Testamento: nelle lettere di S. Paolo («state saldi nella fede»: 1Cor 16,13; Col 2,7), in quelle di S. Pietro («resistegli [al diavolo], saldi nella fede»: 1Pt 5,9), negli Atti degli Apostoli (Paolo e Barnaba «esortavano i discepoli a restare saldi nella fede»: 14,21). La ripresa insistita di questa esortazione nelle pagine testamentarie del papa emerito, si capisce solo sullo sfondo della profonda crisi e perdita della fede che oggi affligge non solo “il mondo”, ma la stessa casa di Dio che è la Chiesa.

Questa raccomandazione solenne, perché contenuta in un testamento, è stata il coronamento di un’intera vita dedicata al servizio della fede in Gesù Cristo. L’enorme compito che Joseph Ratzinger consapevolmente si è assunto, è stato quello di riproporre la ragionevolezza e insieme l’assolutezza e perennità della fede cristiana, in un quadro storico in cui essa viene sempre più assimilata a qualcosa di opzionale, superfluo, puramente privato o semplicemente sorpassato e anacronistico. Oppure, peggio ancora, è presentata, anche da non pochi teologi e pastori “cattolici”, in modo distorto e irriconoscibile. Chi vorrà leggere la monumentale biografia dedicata a Benedetto XVI dallo scrittore e giornalista Peter Seewald, potrà rendersi conto che Ratzinger, proprio a motivo della sua intelligente difesa e rilettura della fede cattolica, è stato ripetutamente bersaglio di attacchi pretestuosi, perfino calunniosi.

Il servizio alla fede Joseph Ratzinger-Benedetto XVI l’ha svolto in molteplici ruoli e forme: come teologo e docente, in primo luogo, come Prefetto della Congregazione della Dottrina della fede, successivamente, e infine come Pontefice e Successore di Pietro. Tuttavia, non va dimentica l’ultima fase della sua esistenza, quella vissuta per quasi dieci anni “nel recinto di S. Pietro”, per usare una sua espressione, dopo la sua rinuncia al ministero petrino.

Forse è stato proprio quest’ultimo periodo che ha portato alla luce l’aspetto più profondo su cui ha poggiato sia il suo servizio teologico sia quello pastorale. Con il ritiro a vita monastica nel piccolo monastero vaticano Mater Ecclesiae, che per molti anni aveva ospitato alternativamente diverse comunità claustrali femminili, Ratzinger-Benedetto XVI si è concentrato sulla preghiera. Davanti al mondo egli ha così messo in evidenza l’essenzialità della preghiera, come sorgente a cui la fede si alimenta e insieme la sua espressione e attuazione più originaria. La fede, come risposta al Dio che si rivela e si comunica, è di per sé un atto di preghiera e di culto. E’ la preghiera che fa il credente e senza di essa né la teologia né la pastorale possono raccordarsi in modo fecondo. Il servizio ecclesiale del teologo e quello del pastore (vescovo o sacerdote), trovano nella preghiera la loro radice comune, senza la quale teologia e pastorale non andranno mai d’accordo. La scissione schizofrenica fra dottrina e metodi pastorali, di cui oggi soffriamo, è riconducibile a una loro disconnessione dalla preghiera.

Lo stesso Ratzinger in alcuni suoi scritti teologici aveva ricondotto il nodo centrale della fede – la cristologia – alla preghiera di Gesù. L’invocazione del Padre è il gesto-parola sintetico e massimamente rivelativo dell’identità del Figlio fatto uomo. Il dogma cristologico espresso da Nicea e Calcedonia, come lo stesso Ratzinger ha illustrato più volte, è interpretazione e precisazione in linguaggio metafisico dell’essere preghiera di Gesù. Il Logos divino è intimamente preghiera e ogni comprensione e annunzio del Logos fatto carne, non possono che avvenire attraverso la partecipazione alla sua stessa relazione orante espressa nell’invocazione Abbà. La preghiera ha così una stretta affinità con la ragione umana, che è riflesso del Logos eterno, nella stretta articolazione di ratio-oratio-relatio.

Coerentemente a questa visione, i tre aspetti dominanti della figura di J. Ratzinger – il teologo acuto, l’instancabile custode della fede, il pastore sollecito del bene della Chiesa universale – trovano il loro punto di convergenza e di scaturigine nel suo essere stato un uomo di preghiera, come i suoi ultimi anni stanno a dimostrare. Alla fine della vita, in una cornice monastica, egli ha fatto della preghiera il momento sintetico della sua vita. L’ultima tappa o il coronamento della vita di Joseph Ratzinger non è stato dunque il soglio di Pietro, bensì il monachesimo, come vita incentrata nella preghiera, ovvero nel cuore della cristologia e della fede cristologica. Non a caso, del patriarca della vita monastica in Occidente, S. Benedetto da Norcia, egli aveva assunto il nome. Gli ultimi anni, considerati sotto questa prospettiva, non rappresentano un tempo morto o di semplice attesa della fine, ma sono i più eloquenti e i più profetici.

Così facendo, Ratzinger ha fatto rivivere e ha incrementato un’insigne e feconda tradizione. Nella storia della Chiesa non mancano esempi di santi, in Oriente e in Occidente, che hanno unificato nella loro persona tre caratteristiche molto diverse, ma profondamente amalgamate e sintoniche fra di loro: l’essere teologi (o dottori), pastori e monaci. E’ il caso di S. Basilio Magno, fondatore di comunità monastiche, vescovo di Cesarea di Cappadocia e uno dei teologi più elevati dell’età patristica. Possiamo porgli accanto S. Giovanni Crisostomo, per diversi anni dedito alla vita eremitica, poi vescovo di Costantinopoli e venerato come dottore della Chiesa per i suoi commentari biblici. Lo stesso accadde con S. Agostino, la cui opera ha ispirato profondamente Ratzinger. Dopo la sua conversione e il battesimo l’Ipponate si dedicò per qualche anno alla vita ascetica con un gruppo di amici e discepoli, scrisse una Regola di vita monastica fra le più importanti dell’antichità, ed è stato il più grande genio teologico del primo millennio del cristianesimo, oltre che influentissimo vescovo del suo tempo.

Un altro esempio è quello di S. Anselmo d’Aosta, prima monaco benedettino e abate del monastero di Beck, in Normandia, teologo geniale dell’età medievale, infine eminente e coraggiosa figura di vescovo a Canterbury, in Inghilterra. Tutti questi santi sono stati pastori, teologi e dottori della Chiesa, ma anche e ancor più profondamente sono stati dei monaci. Dalla loro anima monastica si irradiò la loro missione ecclesiale differenziata e unitaria.

Dom Giulio Meiattini osb

Anche Joseph Ratzinger, prolungando questa venerabile tradizione, ha unificato in sé i tre aspetti, anche se in modo un po’ diverso dagli esempi citati. Questi ultimi hanno iniziato come monaci e teologi, per approdare, spesso contro il loro desiderio, all’episcopato. Ratzinger ha incominciato, invece, come teologo, ha proseguito non senza resistenze come vescovo, fino alla Sede Romana, dedicandosi infine a una vita di stile monastico «nel recinto di san Pietro». Il pensiero può andare qui a un altro esempio di prima grandezza, S. Gregorio Magno. Dedicatosi nella sua giovinezza alla via monastica nella sua casa sul Celio, a Roma, poi suo malgrado eletto papa, per tutta la vita è rimasto monaco nel cuore, svolgendo un’opera magistrale di commentatore della Sacra Scrittura, che ha ispirato profondamente la teologia dell’intera epoca medievale.

Il primato della preghiera, una vita di impronta monastica, è stato l’ultimo esempio che Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ci ha lasciato, dopo averci consegnato quello della sapienza teologica e quello dell’esigente cura pastorale della Chiesa.

Gli ultimi anni di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, dedicati alla preghiera, sono forse stati il suo servizio pastorale più alto e il suo magistero più profondo e insieme la sua teologia più compiuta. Come se nell’ultimo decennio della sua vita fosse venuto allo scoperto ciò che l’aveva sempre animata: la fede che è preghiera, la preghiera che è fede in atto.

Da questo suo lascito bisognerà prima o poi ricominciare, come da un indicatore essenziale, per riparare i danni enormi subiti dalla Chiesa. Ridare alla preghiera e al culto il posto preminente che meritano, significa ristabilire il giusto rapporto fra antropologia e teologia, fra teologia e pastorale, fra amore di Dio e del prossimo, rapporto che vediamo troppo spesso idolatricamente rovesciato per mettere al centro l’uomo, il suo bisogno, perfino il suo capriccio.

Giulio Meiattini è monaco Benedettino dell’Abbazia Madonna della Scala in Noci (Bari). 

dal blog di Sabino Paciolla

 

sabato 30 dicembre 2023

I GIOVANI E IL NATALE: UN IDEALE SU CUI SCOMMETTERE

DAVIDE PROSPERI:«La cenere dei nostri sogni è investita dall’unico ideale che regge l’urto del male e del tempo: Dio stesso ci è venuto incontro».

LISBONA agosto 2023
Giornata Mondiale della gioventù

Caro direttore, ho avuto recentemente un dialogo con alcuni studenti universitari e la prima domanda che mi hanno posto è stata: «Come si fa a vivere un rapporto affettivo, visto che tutti siamo meschini e traditori?». I giovani si sentono caricati della responsabilità del futuro della società, specialmente quando finiscono al centro di eventi drammatici come quelli a cui abbiamo assistito quest’anno: il terribile attacco del 7 ottobre, le guerre che non si placano, brutali gesti di violenza commessi nel nome di un falso amore che è in realtà sopraffazione. Tante le analisi: i giovani fanno fatica a comprendere il mondo intorno a loro, sono più fragili e in difficoltà nel capire cosa vogliono e chi vogliono essere, preferiscono vivere nel virtuale piuttosto che nel reale, e via così. Non giudico il merito di queste interpretazioni, ma ho l’impressione che quasi sempre si guardi alle cause contingenti o alle conseguenze del disagio. È raro che ci si interessi della sua origine.

Don Giussani trent’anni fa diceva ad alcuni giovani: «È menzogna dire alla tua ragazza: “Ti voglio bene”, se non desideri che si affermi il destino della tua ragazza». Cosa significa voler bene all’altro «per il suo destino»? Tutti desiderano «voler bene», è nella nostra natura il desiderio di felicità per sé e per chi si ha accanto. Eppure, spesso vince la delusione o la paura di non riuscire a sostenere tale desiderio. Così, nel migliore dei casi, ci si accontenta di ciò che ognuno è in grado di offrire per rendere la vita meno amara. Ma spesso ciò finisce per trasformarsi in volontà di possesso dell’altro e quindi in violenza. «Non esiste nessun ideale per il quale possiamo sacrificarci, perché di tutti conosciamo la menzogna, noi che non sappiamo che cos’è la verità». Questi versi di André Malraux offrono un punto di fuga da questo corto circuito. Ciò che più sembra mancare oggi è un ideale grande per cui spendere la vita. Non si spiegherebbe, altrimenti, il timore di tante coppie di avere dei figli.

Ma quando un ideale è vero? Quando si trasforma invece in sogno e ideologia? Ha ragione Malraux quando dice che non sappiamo cos’è la verità, oppure il desiderio profondo, autentico di bene che c’è nel cuore di tutti è il segno che una verità esiste e la realtà non è un inganno o un gioco di interpretazioni? Educare i giovani a una posizione di attesa, di apertura positiva verso sé stessi e la realtà credo sia il primo passo per metterli nelle condizioni di cogliere quei segnali concreti che mostrano che non è tutto un’illusione. Certo, mi rendo conto
˗ parlo come padre, insegnante universitario e responsabile di una realtà che raduna tanti giovani ˗ che per essere credibili dobbiamo innanzitutto tenere noi adulti questa posizione: cosa può attendere un ragazzo se suo padre o sua madre, o i suoi professori, vivono senza attendere nulla per sé?

Nel periodo del Natale questa attesa si fa palpabile. Duemila anni fa i pastori a Betlemme, e con loro l’umanità intera, attendevano un cambiamento al quale non sapevano dare un nome. Ed è proprio a questa attesa che l’annuncio del Natale anche oggi risponde: «Il destino da cui nasco e a cui sono finalizzato, il mio principio e la mia fine è diventato Uno fra noi (…) Cristo è Colui senza del quale l’uomo e la realtà tutta intera scompaiono e rimane l’urto breve dell’istante - piacere o dolore - che il tempo incenerisce» (don Giussani). La cenere dei nostri sogni è investita dall’unico ideale che regge l’urto del male e del tempo: Dio stesso ci è venuto incontro. Il destino non è più il miraggio inaccessibile della realizzazione dei nostri sogni, volubili e precari. Il destino si è fatto compagno di cammino, in un’amicizia dove possiamo sempre verificare se la strada è vera ed è per noi. In tal senso le parole del Papa alla scorsa Giornata Mondiale della Gioventù rilanciano un orizzonte ideale su cui vale davvero la pena scommettere: «A voi, giovani, che coltivate sogni grandi ma spesso offuscati dal timore di non vederli realizzati (…) Gesù dice: Non temete!».

Lettera di Davide Prosperi al Corriere della Sera 24.12.2023

 

giovedì 21 dicembre 2023

LA RADICALITÀ DELL’INCARNAZIONE

MASSIMO CAMISASCA

 DICEMBRE 2023

Contro il totalitarismo del potere, il totalitarismo dell’amore.

 A pochi giorni dal Natale, una meditazione di mons. Camisasca sulla radicalità nella sequela di Cristo.


Anonimo, Natività con angeli, pastori e Magi (sec. XIV)

    Quest’anno – forse perché mi trovo in una stagione nuova, decisiva, della mia vita – l’approssimarsi del Natale mi porta a considerare la radicalità che Cristo, dolcemente e decisamente, chiede a chi lo vuole seguire.
    Non è una considerazione moralistica: mi è molto chiaro che sbaglierò sino all’ultimo.
È invece una riflessione che riguarda la strada verso la felicità. Chi vuole godere di Cristo, non può barattarlo con nessun altro godimento. Il gaudium, la gioia che è Cristo, riempie di gioia le ore della giornata, ciò che incontriamo e tocchiamo.
    Non si possono servire due padroni, non ci si può voltare a salutare la vita passata, non conviene lasciare per un istante l’aratro, non si può amare nessuno (nemmeno il padre o la madre) più di Lui. E allora potremo amare tutto ciò che merita di essere amato.
    Il bambino è stato da subito segno di contraddizione: attirerà i pastori, farà tremare Erode. Con lui non si tratta di entrare in un partito (il partito di Gesù), ma di entrare nel dinamismo dell’amore. Ogni amore è totalitario. O tutto o nulla. Se non ami Gesù con tutto il tuo cuore, se riservi qualcosa per te, per una ritirata dell’ultimo momento, non puoi entrare nel mistero della sua predilezione, della sua sete.

    Gesù, durante la sua vita, ha vissuto questa radicalità e ne ha parlato.
    Le sue ore erano interamente un amore indiviso per il Padre. Certo, un amore inclusivo, ma totale. Il suo correre verso Gerusalemme, il suo passare di paese in paese, di malato in malato, di persona in persona, di folla in folla, non era frutto dell’ansia, ma del totalitarismo della carità. Quel totalitarismo che sa godere anche dei tempi inutili, che sa riposare su un prato con gli amici.

    Al totalitarismo dell’amore si oppone il totalitarismo del potere. Erode lo sa e Gesù deve fuggire. Lo scontro è rimandato.
       A Betlemme Dio si presenta come un bambino, affinché ciascuno, se lo vuole, possa comprendere che Dio vuol essere disponibile, inerme, verso chiunque. La sua sete di salvezza riguarda ogni uomo. Solo l’inermità dell’Eucaristia sarà ancora più radicalità dell’inermità del bambino di Betlemme.
    L’Eucaristia, oltre che una realtà, è un suggerimento: ci chiama a una posizione precisa di fronte al mistero dell’Incarnazione. Mistero della fame e della sete di Cristo.
    La sua sete e fame di noi susciti in noi la sete e fame di Lui.

BENEDIZIONE E CONFUSIONE

BERGOGLIO NON MODIFICA LA DOTTRINA, MA LA PRASSI. MA SE LA PRASSI IGNORA I PRINCIPI ALLORA I PRINCIPI NON VALGONO PIÙ. (*)

Emanuele Boffi

Il minimo che si possa dire è che per evitare la confusione, ne ingeneri di nuova. Non il massimo per un documento della Congregazione che alla preservazione della Dottrina della fede è intitolato.

Victor Manuel Fernandez
Ci riferiamo a Fiducia supplicans, il documento firmato dal cardinale Victor Manuel Fernandez che affronta il tema delle benedizione delle coppie irregolari e dello stesso sesso, tema su cui lo stesso Dicastero si era già espresso nel marzo 2021, cioè nemmeno troppo tempo fa, affermando l’esatto contrario di quanto dice ora. Cosa è successo nel frattempo per giustificare un ripensamento?

La domanda rimane sospesa, in quanto non pare accaduto nulla di eclatante. Eppure le novità che Fiducia supplicans introduce non sono di poco conto.

Da “no” a “dipende”

Nel responsum del 2021 si rispondeva alla domanda “la Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso esso?”, in questo modo: «La Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso».

Fiducia supplicans dice invece:

«La presente Dichiarazione resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione. Il valore di questo documento, tuttavia, è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni, che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica. Tale riflessione teologica, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa. Questo rende ragione del fatto che il testo abbia assunto la tipologia di “Dichiarazione”. Ed è proprio in tale contesto che si può comprendere la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio».

Volgarizzando, si potrebbe dire che, mentre nel 2021 al dubium si rispondeva “no”, adesso si replica con un “no, ma anche dipende”. Quella del 2021 teneva insieme dottrina e prassi pastorale, quella odierna le scinde, ammettendo che per la seconda («determinate circostanze» non meglio specificate) si possano impartire tali benedizioni.

Aumentano le domande

Tenere ferma la distinzione tra matrimonio e benedizione, ma ammettere delle deroghe lasciando libertà di interpretazione genererà facilmente anarchia e confusione. Nella Dichiarazione si dice che essa «è sufficiente ad orientare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a tal proposito» e che dunque non ci si devono «aspettare altre risposte su eventuali modalità per normare dettagli o aspetti pratici riguardo a benedizioni di questo tipo», ma in verità le domande si moltiplicano anziché diminuire.

Cosa si intende per “irregolare”? Quali unioni “irregolari” possono essere ammesse (tra due persone? tre? consanguinei)? Cosa significa che tali benedizioni non devono trasformarsi in rito, ma possono essere collocate in altri contesti, come un pellegrinaggio e la visita a un santuario? Così fosse esse avrebbero una dimensione pubblica, cioè di riconoscimento, esattamente come avviene in chiesa per il matrimonio. Basta cambiare il luogo per salvaguardare la dottrina?

Benedizione del singolo e delle coppie

Soprattutto è uno il punto su cui cambia, e di molto, l’interpretazione. Nel 2021, al pari di oggi, la Chiesa allargava le braccia verso tutti coloro che a lei si rivolgevano. Da questo punto di vista, nulla è cambiato: la Chiesa, nei confronti della singola persona, continua a professarsi, aperta, accogliente, disposta a condividere un cammino di fede. Questo, tuttavia, si diceva nel documento del ’21, non portava alla benedizione della coppia, cioè si poteva benedire la persona, ma non l’unione.

Si scriveva allora: la Chiesa «non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale, ma dichiara illecita ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni». Così fosse «la benedizione manifesterebbe l’intenzione non di affidare alla protezione e all’aiuto di Dio alcune singole persone, nel senso di cui sopra, ma di approvare e incoraggiare una scelta ed una prassi di vita che non possono essere riconosciute come oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio». Infatti «Dio stesso non smette di benedire ciascuno dei suoi figli pellegrinanti in questo mondo, perché per Lui siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare, ma non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui».

Emblema della Santa Sede
La confusione non aiuta

Il tema delle benedizioni, che pure ha creato tante frizioni con le Chiese del Nord Europa, pare ora sdoganato con questa Dichiarazione, contraddittoria e confusa. È chiaro che nel mondo cattolico, che è plurale e caratterizzato da diverse sensibilità, possano esserci tensioni che rischiano – è il caso tedesco di cui tanto si parla – di sfociare in scismi. Occorre tenerne conto.

Ma rinunciare a una posizione chiara sperando che questo aiuti a mantenere un’unità, è pia illusione. È propria della verità la chiarezza, non la confusione.

 

(*) Nota del CroceviaInizio modulo

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lunedì 18 dicembre 2023

"LA DIVISIONE NELLA CHIESA RIGUARDA L'INTERO QUADRO DELLA FEDE".

 


Mons. Giampaolo Crepaldi

 

[Di seguito il testo dell’intervista di Martina Pastorelli al vescovo Giampaolo Crepaldi pubblicata ieri 14 dicembre 2023 dal quotidiano “La Verità”, pagina 5, con il titolo “Il caso ONG? La carità senza verità fa danni”].

 


L’inchiesta della Procura di Ragusa sul traffico di migranti clandestini di cui questo giornale sta dando conto in solitaria, ha gettato una luce sinistra sull’impegno sociale di tanti esponenti ecclesiali e rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso di una credibilità da tempo in esaurimento: molte persone sono disorientate e tra i cattolici cresce lo sconforto nel vedere che, davanti alle sfide del presente, la Chiesa di Roma sembra vivere un momento di debolezza e una sorta di crisi di identità rispetto al pensiero mondano.

L’ostinato rifiuto a riconoscere la gravità della situazione da parte dei chierici coinvolti nello scandalo dei finanziamenti alla Ong di Luca Casarini – dal presidente della Cei in giù – peggiora le cose, e va ad aggiungersi a una diffusa perplessità di fronte al misterioso allineamento del Vaticano sui temi dell’agenda mondialista: ultima in ordine di tempo la teoria del riscaldamento climatico causato dall’uomo, con la quale si ribalta l’antropocentrismo cristiano.

Nel silenzio desolante delle gerarchie si staglia una delle sue voci più autorevoli: quella di monsignor Giampaolo Crepaldi, che prima di essere nominato da papa Benedetto XVI Vescovo di Trieste (ora è emerito), aveva guidato il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, ed è uno dei più profondi conoscitori della Dottrina Sociale della Chiesa. Su questa fase particolarmente difficile, Crepaldi ha accettato di fare chiarezza. Le sue parole vanno lette attentamente poiché delineano un quadro grave, con la Chiesa che si adegua alle nuove emergenze create artificialmente, smarrisce la sua missione salvifica conformandosi e riducendosi ad agenzia etica, dimentica come debbano coniugarsi verità e carità per essere autentiche, ed è incapace di discernere sui fini finendo per stringere alleanze improvvide (caso Mediterranea docet). Il prelato ricorda anche una cosa molto importante, ovvero che non esiste il positivismo cattolico, il che implica che non tutto quello che viene insegnato dall’alto coincide con la verità. Infine, delinea una divisione nella Chiesa che non tocca solo qualche tema specifico ma l’intero impianto della fede.

Eccellenza, che cosa sta succedendo?

«Credo che le difficoltà del momento derivino in particolare dall’ansia pastoralista che rischia di venire anteposta alla luce della dottrina. Il giusto desiderio di esserci, di fare, di incontrare il mondo e di collaborare rischia di diventare criterio in se stesso, piuttosto che illuminata applicazione di un criterio dottrinale».

In questa fase di emergenza perenne l’Occidente sembra essere in balia di un centro di potere sovranazionale che bypassa il volere dei popoli: è a rischio la democrazia delle nostre società? E quale dovrebbe essere, in questa situazione, il ruolo della Chiesa?

«Su questo argomento faccio mie le analisi e le conclusioni che l’Osservatorio cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa ha di recente espresso nel suo Rapporto annuale dedicato a “Un Deep State planetario, la politica governata dall’ombra”. Esiste un sistema globale e coordinato che mette a rischio non solo la democrazia, dato che intende riplasmare una nuova umanità. La Chiesa, io penso, dovrebbe affrontarlo criticamente».

Questa nuova oligarchia mondiale mira a una società fondata sulla tecnologia e su una morale ambiguamente umanistica, post-naturale e post-cristiana. A questa pressione, che vuole la distruzione della natura e della soprannatura, i cattolici, laici e uomini di Chiesa, si adeguano o tentano di opporsi?

«In generale prevale l’adeguamento, anche se esistono realtà del mondo cattolico le quali sono contrarie al nuovo globalismo che sradica gli individui dalle società naturali, si oppongono a una unica religione universale delle buone pratiche come già voleva Immanuel Kant e poi illuminismo e massoneria, e sono critiche sulle nuove emergenze costruite artificialmente e le nuove conversioni richieste – e spesso imposte – dal potere politico».

Quali conseguenze comporta il fatto che oggi la Chiesa sembra relegata al ruolo di agenzia caritatevole mentre la fede pare ridotta a buone pratiche sociali?

«Comporta il pericolo che essa perda di vista la sua unicità salvifica e che diventi una delle tante agenzie di etica sociale secondo i desideri del mondo. Capita così che nella festa dell’Immacolata Concezione, come è successo lo scorso 8 dicembre, ci si limiti a dire che Maria Immacolata si opporrebbe oggi al “femminicidio”».

Questo sbilanciamento su certi temi – penso all’immigrazione – fa incappare in strumentalizzazioni, come accaduto nella vicenda dei finanziamenti ecclesiali all’Ong di Luca Casarini, imputato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Cosa ha pensato nel leggere i commenti sprezzanti degli indagati verso i suoi confratelli, ai quali veniva chiesto continuamente danaro?

«Credo che, come suona il titolo dell’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”, bisogna sempre fare la carità nella verità, oltre che, naturalmente, il contrario. Ho l’impressione che nella vicenda da lei ricordata ciò non sia stato fatto in modo adeguato».

Tra i protagonisti delle chat che rivelano i maneggi per ottenere fondi, c’è il cappellano della Mare Jonio, don Mattia Ferrari (che agli attivisti suggeriva pure le formule da scrivere: «Voi ci avete detto che noi facciamo l’opera di Dio? Se volete che questa opera di Dio continui, ci servono i finanziamenti»), il quale ha finito per coinvolgere – e dunque esporre – non solo cardinali e vescovi ma persino la figura del Santo Padre. Quanto danno crea tutto ciò presso i fedeli?

«Nella Chiesa di oggi si è fatta strada l’idea che si possa collaborare con tutti. Questo però non è vero, perché ad unire le persone in una comune azione sono i fini e se i fini discordano è bene non collaborare. La valutazione dei fini, però, richiede criteri dottrinali e non solo pratici».

Alle «Tavole di Assisi» lei ha ricordato le parole di Benedetto XVI: «Cristo accoglie tutti ma non accoglie tutto»: perché invece oggi la Chiesa collabora con persone, realtà e associazioni che promuovono pratiche in aperto contrasto con la dottrina, come aborto od omosessualità? Come mai tante realtà cattoliche fanno propria l’Agenda Onu per il 2030?

«Come già accennato, se vogliamo andare ancora più a fondo bisognerebbe esaminare le trasformazioni teologiche avvenute specialmente nel campo della teologia morale, in particolare il concetto di peccato come “inadeguatezza”, per cui tutti saremmo sulla buona strada, solo che alcuni sarebbero più avanti e altri più indietro. Ma nessuno fuori».

Oggi la voce della Chiesa si unisce a quella delle istituzioni che parlano di cambiamento climatico di origine antropica dando così l’impressione di avallare drastiche soluzioni, in nome di un’ideologia che vede la persona come elemento di disturbo per l’ecologia naturale. Che cosa ne pensa?

«Certamente le ideologie dell’ambientalismo e del climatismo ad origine umana hanno come scopo, perfino da loro non troppo nascosto, di eliminare il primato dell’uomo derivante dal suo essere ad immagine di Dio. Ci sono anche correnti teologiche che negano la “gerarchia dell’essere”. Le dottrine dell’antispecismo o movimenti come Extinction rebellion pretendono la fine del primato dell’uomo. Simili posizioni non sono compatibili con la dottrina cattolica».

In una recente intervista a questo giornale il vescovo statunitense Joseph Strickland ha parlato di un “programma” che verrebbe da alcuni ambienti vaticani che è in contrasto con il Vangelo e il deposito della fede. Lo pensa anche lei?

«L’espressione da lei adoperata di “ambienti vaticani” fa riferimento a singoli uomini di Chiesa che hanno una particolare formazione teologica e condividono tra loro l’idea di dover far fare alla Chiesa alcuni passi che su alcuni punti sembrano contrastare con la tradizione e il deposito della fede. Cosa pensare? Da un lato bisogna ricordare che non esiste un “positivismo cattolico” per cui tutto quanto viene insegnato dall’alto sia anche automaticamente vero. Dall’altro che gli uomini si agitano, ma è Dio che li conduce».

Dentro la Chiesa, sia nella gerarchia che tra i fedeli, si registra una progressiva radicalizzazione che ne mette sempre più in pericolo l’unità, tanto che si parla del rischio di uno scisma: le pare concreto?

«La Chiesa è una sola, ma in questo momento le tensioni sono molto forti e investono tutti i livelli ecclesiali. C’è una forte contrapposizione, che spesso rasenta l’incomunicabilità, che non riguarda solo qualche tema specifico ma l’intero quadro della fede cattolica. Questo contrasto era rimasto a lungo sotterraneo, ora è esploso».

C’è un problema di fede anche tra prelati?

«C’è il problema di come intendere la fede».

Martina Pastorelli

 

venerdì 15 dicembre 2023

LA “NUOVA” POLONIA NASCE ANTI-CATTOLICA

Formato il nuovo governo del primo ministro Donald Tusk all’insegna dell’agenda di Bruxelles: perdita di sovranità, ecologismo, diritto all’aborto e diritti LGBTQ+.

 

Donald Tusk e Ursula Von der Leyen

L’11 dicembre Donald Tusk è stato eletto nuovo Primo ministro polacco dal Parlamento e il 13 dicembre ha giurato il nuovo governo davanti al presidente della repubblica Andrzej Duda. Ecco alcuni brani di un’analisi della situazione polacca al giornalista Pawel Lisicki, direttore del settimanale conservatore “Do Rzeczy”

Il nuovo primo ministro polacco Donald Tusk ha promesso di riportare il suo Paese «al posto che gli spetta in Europa». Secondo lui è giunto il momento di porre fine a un gelido stallo durato otto anni tra Varsavia e Bruxelles. Suona bene, ma cosa significa in pratica?
Donald Tusk ha presentato la sua visione di una Polonia nuova e progressista nel cuore dell'UE, nel discorso con cui ha ottenuto un voto di fiducia in Parlamento. Ma non ha spiegato cosa sia esattamente la «Polonia progressista». In realtà, nel suo discorso ci sono state molte contraddizioni e incoerenze. Da un lato ha detto al Parlamento polacco che «la Polonia riacquisterà la sua posizione di leader nell'Unione europea», dall'altro ha aggiunto che «qualsiasi tentativo di cambiare i trattati che sono contro i nostri interessi è fuori questione... nessuno mi supererà nell'Unione europea».

Come è possibile se il tentativo di limitare la posizione polacca era lo scopo principale di Bruxelles? Come può la Polonia «riconquistare» qualcosa che non ha affatto perso? È Bruxelles che tenta di cambiare i trattati, quindi come può Tusk affermare che sarà sia contrario che favorevole a una migliore cooperazione con la Commissione europea? Tusk è un ex presidente del Consiglio europeo ed ex leader del Partito Popolare Europeo, quindi dovrebbe sapere perfettamente qual è il vero scopo delle modifiche ai trattati europei. Ha promesso di «restituire alla Polonia miliardi di euro» di fondi UE, che sono stati congelati a causa di una disputa tra Bruxelles e il governo uscente di Diritto e Giustizia (PiS) su questioni legate allo stato di diritto. Ma come riuscirà a farlo senza perdere la sovranità?

(…)

Dopo aver condannato il governo uscente, Tusk ha delineato il proprio programma. «È arrivato il momento che la Polonia sia felice», ha detto. Si può sospettare che sia un altro modo per suggerire l'attuazione della rivoluzione di genere in Polonia. Nelle apparizioni in campagna elettorale, Tusk ha promesso di introdurre maggiori diritti per le persone LGBTQ+, qualunque cosa significhi, e di ritirare la legislazione sull'aborto introdotta sotto il PiS. Tusk ha criticato duramente la legge polacca a favore della vita, definendola repressiva e crudele. Tuttavia, non è chiaro quanto il nuovo governo sarà in grado di modificare le leggi sull'aborto, dato che alcuni elementi della sua stessa coalizione non sono favorevoli a una significativa liberalizzazione. Il Presidente Duda, che ha potere di veto sul governo, rimane in carica fino al 2025. È molto probabile che Duda, cattolico dichiarato, usi questo potere per proteggere i bambini non ancora nati.

Nel suo discorso al Parlamento, Tusk ha annunciato che il clima per le donne polacche cambierà immediatamente. «Abbiamo sviluppato un programma affinché ogni donna polacca percepisca un cambiamento nel trattamento della maternità, nella protezione delle madri e nell'accesso all'aborto legale». Queste parole sono il massimo dell'ipocrisia. Nella mente di Tusk la «protezione delle madri e il sostegno alla maternità» equivalgono all'«accesso all'aborto legale». Sostenere la vita significa avere il diritto di distruggerla.

Ci sono molti altri segnali che dimostrano che il nuovo governo sarà ansioso di iniziare la nuova guerra religiosa contro la Chiesa cattolica polacca, ormai indebolita. Il ministro dell'Istruzione è diventato Barbara Nowacka, un politico di sinistra, una delle più note femministe polacche. Ha mostrato pubblicamente il suo sostegno all'ideologia gender e vorrebbe implementarla nelle scuole. Un altro politico radicale del governo Tusk è Agnieszka Dziemianowicz-Bąk, che è diventata ministro della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali. È un'attivista radicale del movimento LGBT. Alcuni anni fa ha scritto una tesi di dottorato su "Riproduzione-resistenza-impotenziamento. Critica radicale dell'educazione nel pensiero occidentale contemporaneo". È una fervente sostenitrice dell'aborto libero e dell'ideologia gender. Tusk ha creato un nuovo ministero per l'Uguaglianza e ha nominato come capo un'altra femminista, Katarzyna Kotula, una delle leader delle manifestazioni a favore dell'aborto. È anche responsabile dell'introduzione nel codice penale polacco di una nuova categoria di disposizioni legali, che punirebbero i cosiddetti reati di incitamento all'odio. Un altro responsabile è Adam Bodnar, il nuovo ministro della Giustizia, ex commissario polacco per i diritti umani, che si è battuto per i diritti delle donne o per i diritti LGBT.

Non sono solo annunci vuoti, ma ci sono veri e propri piani per cambiare l'identità culturale polacca. La prima decisione presa dalla nuova maggioranza liberal di sinistra è stata quella di introdurre la nuova legge che consente di finanziare la fecondazione in vitro con fondi pubblici.

 Lo scopo di Tusk sembra essere chiaro: la nuova Polonia, felice ed europea, non deve avere nulla a che fare con quella vecchia, cattolica e tradizionale.

https://lanuovabq.it/it/la-nuova-polonia-nasce-anti-cattolica



mercoledì 13 dicembre 2023

IL CORAGGIO DI DOMANDARE

 EMMAUELE SILANOS *

Pregare a volte sembra non servire. L’Avvento è il tempo per ritrovare il coraggio di domandare: una meditazione.


ADORAZIONE DEI MAGI dettaglio 
Anonimo trecentesco del Sacro Speco
Subiaco
A dicembre avevo in programma un pellegrinaggio in Terra Santa: sarebbero venuti con me, oltre a don Vincent, anche molti amici, chi per festeggiare un anniversario, chi per affidare qualche intenzione particolare, chi semplicemente per visitare, almeno una volta nella vita, i luoghi in cui ha vissuto Gesù nel suo passaggio terreno.

È, però, intervenuta la guerra a rendere impossibile che tutte queste intenzioni potessero essere realizzate, almeno non ora. L’annullamento del nostro viaggio non era che l’ultimo dei problemi: era chiaro che la tragedia che si stava consumando in quei luoghi era ben altra cosa, e per questo, tra noi che avremmo dovuto partire assieme, la parola che abbiamo ripetuto di più è stata “pregare”. Pregare per la Terra Santa, pregare per la pace, pregare per quelle vittime innocenti, per gli ostaggi. Pregare perché qualcosa cambi nella testa di quella gente e dei loro capi.

Pregare: quante volte siamo assaliti dal dubbio che pregare non serva? Quante volte ci rivolgono la stessa domanda le persone che incontriamo, bambini o adulti che siano, di fronte al fatto che le loro richieste non vengono esaudite? E del resto, come pensare che la mia preghiera possa davvero cambiare le decisioni di chi guida gli stati e gli eserciti? 

Il tempo di Natale è da sempre uno dei più affascinanti e ricchi di contenuti dell’anno. Tra le figure che emergono dalla liturgia di questi giorni, i Magi sono certamente le più misteriose e attrattive. La tradizione popolare parla di tre saggi venuti dall’Oriente: in realtà, non si sa con precisione quanti fossero. Quasi certamente venivano dalla Persia, l’odierno Iran, dove con il termine “magi” si identificavano membri della corte imperiale, esperti di astrologia e di religione. Essi incarnano quel desiderio, quel bisogno di conoscere la verità che è proprio di ogni uomo, di ogni epoca e cultura, che cerca nella realtà i segni del significato profondo della storia, la propria e quella del mondo. I Magi giungono in quella terra, oggi martoriata dalla guerra, e chiedono lumi alla persona sbagliata, Erode, simbolo dell’uomo che non ha domande, attaccato al proprio potere, impaurito dalla possibilità di perdere quello che ha.

Ma quegli uomini procedono nella loro ricerca e quando vedono la stella che indica il luogo dove era stato deposto Gesù, provano una grande gioia e possono finalmente prostrarsi davanti a Lui e porgere i loro doni. Padre Lepori ha scritto che in quei tre regali sono riassunte tutte le domande dell’uomo: l’incenso è il simbolo della domanda su Dio, l’oro di quella che riguarda il valore dell’uomo e della storia, la mirra rappresenta l’interrogativo circa il senso della morte. Di questo sono ricchi i Magi, di questo siamo ricchi noi: innanzitutto, delle domande che abbiamo e che portiamo al cospetto dell’Unico che ci può rispondere. Ed è questa l’origine della gioia dei Magi: l’aver trovato qualcuno a cui affidare gli interrogativi profondi del proprio cuore.

“Ci vuole fede a chiedere soltanto, ci vuole un gran coraggio solo per domandare”: sono parole tratte da una canzone del nostro Anas, I mendicanti, che oggi è possibile ascoltare grazie alla bellissima interpretazione degli amici Greta, Walter, Carlo ed Ermens. Ci vuole coraggio per fare quello che hanno fatto i Magi: lasciare tutto e imbarcarsi in un viaggio di mesi, per giungere in un luogo sperduto come Betlemme e fermarsi davanti ad una mangiatoia per adorare un bambino appena nato. Ci vuole coraggio per farsi mendicanti di fronte alla scena più misera della storia e riconoscere in essa Colui che dà senso a tutte le cose, il Signore dell’universo che solo può donare ordine e pace al mondo intero. 

Natività ed Adorazione Sacro Speco Subiaco

Ecco perché ha ancora senso pregare: è come rifare il viaggio di quegli uomini saggi che lasciano tutto per andare alla ricerca di Colui a cui porre le domande

 L’alternativa è quella di chi crede di trovare in se stesso la risposta ai propri bisogni e che finisce per farsi giustizia da sé: è questo che scatena terrore e violenza, come fece a suo tempo Erode. I Magi se ne andarono per un’altra strada, una strada diversa da quella del terrore e della guerra, la strada di chi non ha paura di affidarsi e di mendicare. Perché ci vuole fede a chiedere soltanto, ci vuole un gran coraggio solo per domandare.

*FRATERNITA’ SAN CARLO

 

“EDUCAZIONE ALLE RELAZIONI” = “INDOTTRINAMENTO DI STATO”

Trenta ore extra-curriculari per insegnare cosa? Ci si è accapigliati per le nomine, ma il vero problema è l'idea che servano corsi di esperti statali per imparare l'affettività (LETTERA AL DIRETTORE)

 

Aristotele, Scuola di Atene, Raffaello,
(1511) Stanze Vaticane

Caro direttore, solo una semplice richiesta di aiuto a fare un po’ di chiarezza. 

Nel giorno in cui le scrivo questa lettera, il ministro dell’istruzione Valditara ha comunicato l’annullamento delle nomine a Paola Concia, suor Anna Monia Alfieri e Paola Zerman al coordinamento del progetto “Educazione alle Relazioni”, un percorso sperimentale di 30 ore extra-curriculari, attivabile su base volontaria, che però ha un contenuto che non mi sembra affatto chiaro.

Visto  il contenuto del progetto , si potrebbe però partire dall’unico punto fermo della faccenda: non è obbligatorio, ma “attivabile su base volontaria”.  A seconda del successo del progetto infatti , è già valutata la possibilità di renderlo obbligatorio in tutte le scuole superiori. Da qui dunque, una certa urgenza a fare chiarezza.

Ho provato a leggere la direttiva dello scorso 24 novembre, con cui il ministro ha comunicato ufficialmente l’avvio del progetto, ma, ahimè! non ci ho capito niente. Più che un piano educativo, a dire il vero, mi è sembrato un documento aziendale, uno di quelli messi insieme dalla sera alla mattina, con cui di solito gli uffici risorse umane delle succursali cercano di attuare le nuove policy della casa madre (senza averci capito niente). Periodi lunghissimi, zeppi di elenchi, che finiscono in nulla; corollari metodologici e studi di fattibilità; dovizia di cifre sui finanziamenti; ma di contenuto critico e culturale neanche l’ombra.

Sospetto però che tale mancanza sia inevitabile. Per quel poco che ho capito, infatti, tra i desiderata di questo progetto ci sarebbe quello di “rendere edotti sulle conseguenze dei propri comportamenti, al fine di evitare la violenza”. Che è esattamente quello che una vera educazione umana non fa. Non si educa mai, infatti, ad evitare il male, ma, semmai, ad amare il bene. Non si guarda alle ingiustizie della storia per impedire meccanicamente che si ripetano, ma per far crescere l’amore alla giustizia e il desiderio di rimanervi attaccati, anche quando tutti si voltassero da un’altra parte. Come diceva Antonia Arslan, di recente, in un incontro sull’evacuazione coatta del Nagorno Karabakh (eccola una tragedia taciuta e avvenuta solo un mese fa, sotto gli occhi di tutti), «ognuno deve scegliere: i giusti dei genocidi sono quelli che non si voltano dall’altra parte. L’uomo non può dire “questa atrocità non succederà più” perché non è nelle sue forze impedire il male, ma gli spetta, piuttosto, di decidere di non guardare dall’altra parte».

Chi dovrebbe impedirci il male dunque? Un progetto dello Stato?  Questo non significa che i tempi non siano maturi per un ripensamento critico e sistematico del modo in cui si comunica, attraverso l’educazione, la positività che si vive nella propria esistenza. Siamo certamente di fronte a sfide grandi e decisive, che non possono farci stare mai tranquilli. Mi sono perso qualcosa o questo tema è stato completamente scavalcato e stiamo già litigando su chi debba coordinare il carrozzone? Vale la pena scommettere sulla valorizzazione intrinseca di ciò che a scuola già accade (o può accadere), o ci siamo già arresi all’inevitabilità di soluzioni tecniche estrinseche, che mettano a tutti la coscienza a posto?

Un insegnante


Ecco, finalmente un commento intelligente a questa grottesca vicenda. Cos’è questa smania di creare tavoli, comitati, commissioni, in definitiva “carrozzoni”, per rispondere a ogni emergenza? Cos’è questa idea, come diceva Fabrice Hadjadj, che bisogna sempre affidarsi agli “esperti” per educare i ragazzi («se basta l’amore, per allevare i bambini vanno bene gli orfanotrofi»)? E, soprattutto, ma chi l’ha detto che fra i compiti dello Stato c’è anche quello di indottrinarci all’affettività?

Avevamo già avuto sentore che questa storia stesse prendendo una piega storta. Non è solo il problema della Concia, il problema numero uno è questa idea che serva un “corso” per imparare l’affettività. 

Un corso statale per imparare a vivere! E poi lo sappiamo tutti come andrebbe a finire: si inizierebbe col parlare di “relazioni” e si finirebbe con la propaganda lgbt. O, peggio ancora, con le noiosissime prediche sul “rispetto” e la “tolleranza”, le parole totem dietro cui si nasconde l’incapacità di comunicare un senso delle cose e dei rapporti. Ma ci hanno preso per scemi?

Emanuele Boffi direttore di TEMPI

 

 

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