Funerale di Giulia Cecchettin
(…)
Lo ha detto il vescovo di Padova
parlando di una “nuova pace fra uomo e donna”, lo ha detto il papà Gino
parlando di un rinnovato impegno perché l’educazione non sia un tema di secondo
piano nelle agende dei politici, ma diventi una priorità per il Paese (“ A chi è genitore come me, parlo con il cuore:
insegniamo ai nostri figli i valori del sacrificio e dell'impegno e aiutiamoli
anche ad accettare le sconfitte, creiamo nelle nostre famiglie quel clima che
favorisce il dialogo, perché così è possibile educare i nostri figli al
rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni
possesso e all'amore vero che cerca solo il bene dell'altro), lo ha detto la sorella Elena immaginandosi Giulia con
la mamma in cielo a contendersi con complicità una pallina di gelato.
In quel funerale pieno
di dolore è sembrato che, ad un certo punto, il sentimento composto dell’addio
lasciasse spazio a qualcos’altro, a qualcosa di indicibile.
Lo ha sussurrato papà
Gino: forse io “non so
pregare, ma so sperare”. E la speranza di cui quest’uomo parlava non
coincide con la speranza che la morte di Giulia possa arginare tutto il male
del mondo, che quel delitto possa essere l’ultimo della storia umana. Nel
dolore – infatti – non sorgono mai soluzioni, ma intuizioni. Ed è difficile
ammettere l’intuizione profonda che
quella morte ha portato al cuore di molti; l’unico che l’ha detta – per un
istante – è stato il Vescovo al termine dell’omelia, quando ha parlato di pace per il cuore del carnefice.
Sembra impossibile
parlare di questo, con un processo ancora da fare, con altri particolari ancora
da scoprire, con tanto orrore ancora da attraversare, ma l’unica speranza, l’unica
intuizione in quel mare di dolore, è che possa esistere un perdono.
È come se tutti sapessero, in fondo, che l’orrore scatenato da un cuore cattivo – cattivo nel senso latino del termine: prigioniero del male – termina solo quando quel cuore si libera, quando quel cuore incontra un amore, incontra un Bene più grande. Così, ha senso dire che passeranno gli anni, molti anni, e che certamente ci dovrà essere una giusta pena. Ma che tutto questo male, tutto questo orrore, potrà finire solo con l’amore. È paradossale, ma il saluto a Giulia, che è iniziato a Padova, potrà compiersi soltanto in una cella di Verona: è lì che si gioca la vera partita. La partita del pentimento sincero, del ravvedimento operoso, di una libertà e di una coscienza ferita per sempre. Tutto il male che comincia, ed è questo il punto, non può finire mai sulla ghigliottina.
Ma solo tra le braccia spalancate del Nazareno sulla croce.
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