lunedì 11 dicembre 2023

L’EBREO NEL CUORE DELL’APOCALISSE

 Chi saremo, messi alla prova? Sotto quale bandiera militeremo veramente? Perché Israele non poteva che finire per produrre uno scandalo davanti al quale ognuno è chiamato a prendere posizione. Non si tratta di un fatto culturale, ma di un mistero

Fabrice Hadjadj


La preghiera di un soldato dell’esercito di Israele, 15 ottobre 2023 (foto Ansa) 

«Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del territorio dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: “Che il popolo non si penta alla vista della guerra e voglia tornare in Egitto!”» (Es 13,17).

Come schiacciare la testa del nemico senza che ci divori il cuore? Perché potremmo vincerlo lasciandoci conquistare dalla sua disumanità, e questo sarebbe il suo più grande trionfo – un trionfo interiore. 

Da cui questo appello ripetuto in pieno annuncio dell’Apocalisse: «Allora sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, perché bisogna che tutte queste cose avvengano ma non sarà ancora la fine». (Mt 24,6; Mc 13,7; Lc 21,9). «Non sarà ancora la fine», ecco ciò che potrebbe turbarci di più, ma che invoca la nostra capacità di resistere. D’altra parte si tratta di apocalisse, cioè di rivelazione dei nostri cuori nel cuore della catastrofe. Chi saremo, messi alla prova? Sotto quale bandiera, al di sopra della mischia e dei due campi terrestri, militeremo veramente? Ogni combattimento fra gli uomini si svolge sempre su due piani: materiale – della materialità più brutale – e spirituale – della spiritualità più virginale, perché essa mantiene la sua elevazione non al riparo di un “angolo della preghiera”, ma nel mezzo della carneficina.

L’obiettivo del terrorismo

Per il resto, schiacciare la testa del nemico in modo inesorabile è opera della Santa Vergine, la figlia di Sion, è l’atto stesso della sua dolcezza dai piedi nudi. Così parla sin dall’inizio il Signore al serpente: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa, e tu le ferirai il tallone» (Gen 3,15). Sì, il tallone è ferito (anche mortalmente nel caso di Achille), ci sarà necessariamente spargimento di sangue, ma il cuore deve restare puro.

Il 7 ottobre scorso, giorno di sabato, non è stato soltanto il 50esimo anniversario della guerra del Kippur o lo shabbat di Simchat Torah (la Gioia della Legge). Era anche Nostra Signora del Rosario, la sola festa mariana che commemora una vittoria bellica, quella di Lepanto, contro la flotta islamica di Ali Pascià. Il “diluvio di Al-Aqsa” [il nome che Hamas ha dato al suo attacco militare, ndt] ha luogo entro questo allineamento astrale, lasciando risuonare un famoso grido del jihad: «Dopo il sabato, c’è la domenica!». Detto in altre parole: dopo gli ebrei, i cristiani. Ma, lo ripeto, in questo diluvio inevitabile, come costruire un’arca?

Lo stordimento tende a farci perdere la capacità di giudizio. È l’obiettivo del terrorismo: non soltanto uccidere, ma uccidere in modo che coloro che vivono siano colpiti nella loro capacità di giudizio, che non possano più rispondere, ma solamente reagire, secondo una modalità pulsionale, in modo da ribaltare le carte in tavola. I parenti delle vittime, vittime essi stessi, sono presi da una furia cieca e reagiscono in modo esagerato, con una violenza che permette alla violenza precedente di rivendicare una giustificazione a posteriori.

Il diluvio che annega la ragione

Si era già sentito dire che per spingersi a tali atrocità – il rapimento di bambini, l’attentato suicida… – bisognava che il terrorista fosse stato messo all’angolo da potenze imperialiste che non gli lasciavano altra possibilità che la disperazione. Egli diventa il piccolo Davide filisteo di fronte al gigante Golia ebreo. Bisogna scusarlo e accusare noi stessi, inclinazione tanto più facile in quanto in noi c’è la fibra giudaico-cristiana. Ma scusando la sua disumanità, noi compiamo la sua disumanizzazione: non gli riconosciamo nessuna libertà di fronte al bene, nessun senso dell’onore, nessuna possibilità di superare la meccanica vendicatrice. Al contrario, punirlo nel modo giusto è riconoscergli la sua responsabilità come uomo.

Dunque il diluvio è qui, e annega la nostra ragione in queste immagini orribili che piovono in modo torrenziale e che i terroristi stessi diffondono su TikTok e Instagram, per raggiungere i nostri giovani. Le testimonianze che giungono dalla base di Shura trasformata in obitorio, dove arrivano dentro a container dei corpi a pezzi, ci lasciano senza voce: «Posso assicurarvi che non si vedevano immagini come queste dai tempi del regime nazista», dice il colonnello Weissberg, rabbino capo dell’esercito israeliano. «Cosa si può dire quando scoprite il corpo di una donna incinta uccisa da un terrorista che le ha aperto il ventre, poi ha estratto il feto prima di tagliare la testa a entrambi? E cosa dire ancora davanti ai corpi di madri e nonne stuprate con una tale violenza da rompere loro le ossa del pube?».

Dopodiché, ci sono le immagini di Gaza in rovina, l’ospedale Al-Ahli, la chiesa di San Porfirio, i cadaveri che giacciono sotto le macerie mentre noi siamo nella nostra poltrona davanti allo schermo, incapaci di inquadrare le circostanze di questa visione ipnotica, non potendo distinguere il bersaglio dallo scudo umano, perché Hamas, che non ha avuto problemi a decapitare dei bebè, non ha problemi nemmeno a uccidere gli abitanti di Gaza desiderosi di partire: hanno bisogno di questo mantello di civili per coprire i loro crimini. Così come basta un pulsante per visionare queste violenze, allo stesso modo cerchiamo un pulsante per farle sparire. La pace subito! Oppure lo sterminio subito! Purché finisca tutto questo rapidamente! Purché possiamo tornare al nostro comfort! Siamo incapaci di pazienza, e rigettando l’orrore della guerra, ne rigettiamo anche l’onore. Confondiamo il terrorista e il soldato. Riduciamo la situazione a un’avversità binaria, senza prospettiva, al di fuori del tempo lungo.

L’anima del continente europeo

Ossessionati da immagini calamitose, non collochiamo più gli avvenimenti nella storia di Israele. Concentriamo i palestinesi in un solo campo (sapete che prima della creazione dello Stato di Israele il mondo arabo utilizzava il termine “palestinesi” per indicare gli ebrei che risiedevano nel territorio ancora inglese?), dimentichiamo che Hamas è in conflitto con Al-Fatah, e che Yasser Arafat stesso, che aveva una moglie cristiana, oggi non potrebbe che rivoltarsi nella tomba.

Devo citare qui ciò che notava nel 2009 il compianto filosofo israeliano Michaël Bar Zvi:

«Ascoltando gli schiamazzi delle piazze parigine contro Israele, mi sono ricordato questa frase di Erasmo: “Ah, perché scrivere, se nel mezzo dei guaiti e delle grida che vengono dalla politica le orecchie sono diventate sorde alle finezze dei semitoni?”. Non è l’odio che mi sconvolge, esso è preistorico; non è nemmeno la violenza che mi spaventa, essa è viscerale; e ancora meno la menzogna: essa è inerente alla causa. No, ciò che mi tormenta di più è la pesantezza, il peso, l’opacità nuvolosa, o forse bisognerebbe dire la nebbia sotto la quale siamo sepolti. […] La finezza dei semitoni non si adatta più ai discorsi delle piazze, dagli schermi, dalle scene».

Per chi conosce un po’ lo spirito del Talmud, questa finezza risulta profondamente ebraica. Ma è anche l’anima del continente europeo, ed è essa che il fondamentalismo, che sia tecnologico o religioso, si sforza di far scomparire.

La missione dell’Ebreo

L’ora è decisiva, e doveva arrivare. Israele non poteva che finire per produrre un affare Dreyfus su scala mondiale, davanti al quale ciascuno è chiamato a prendere posizione. Se le Scritture ebraiche sono la nostra fonte, può darsi che lo Stato ebraico sia il nostro estuario. Pierre Boutang osava scrivere su La Nation française del 1° giugno 1967, poco prima della Guerra dei sei giorni:«L’uomo europeo non è più principalmente in Europa, oppure c’è ma dorme. Egli è, paradosso e scandalo, in Israele; è in Israele che l’Europa profonda sarà battuta, o conserverà, insieme al suo onore, il diritto a durare». Michaël Bar Zvi, rappresentante del Fondo nazionale ebraico in Francia, si ricordava una frase di Erasmo a memoria: quale membro dei Fratelli Musulmani potrebbe citare Erasmo con ammirazione?

Se Israele cade, l’Europa non potrà che cadere. Non si tratta soltanto di un fatto culturale, ma di un mistero. Come può accadere che il destino di un paese più piccolo di una regione italiana o di due dipartimenti francesi possa avere tali ripercussioni sull’avvenire del mondo? Perché 9 milioni di ebrei, che rivendicano una terra così piccola, costituiscono uno scandalo per due miliardi di musulmani, che possiedono 57 paesi e rivendicano l’unità della Umma? La stessa cosa che domandare direttamente: perché il Verbo si è fatto ebreo?

Non si può fare a meno di vederlo, anche se bisogna crederlo: questo popolo è segnato da una elezione che è lui per primo a non comprendere.

 L’Ebreo può non avere fede in Dio, ma Dio continua ad avere fede in lui, distinguendolo dalle Nazioni, tenendolo per sposo nella buona e nella cattiva sorte, infine caricandolo di una missione di guastafeste e di rivelatore… Non appena l’ordine mondiale vuole chiudersi su se stesso, eccolo che sconcerta e disturba, irruzione della trascendenza malgrado lui stesso. Al tempo dei nazionalismi, gli si rimprovera di essere troppo cosmopolita; al tempo della mondializzazione, troppo nazionalista. Lo si dipinge come un Rothschild? Ecco Einstein. Ecco Marx (Karl o Groucho). Anche il suo sforzo per l’assimilazione lo discrimina: per esempio diventa il più austriaco degli scrittori austriaci, come Stefan Zweig, cosa che l’austriaco Hitler non poteva sopportare. Anche Superman è un’invenzione di Siegel e Shuster, discendenti di ebrei immigrati dall’Ucraina e dalla Lituania; e Asterix il Gallo è un’invenzione di Goscinny, nipote di un rabbino polacco…

L’onore in mezzo all’orrore

Di fronte a un tale scandalo, si può prevedere che l’antisemitismo durerà tanto a lungo quanto il tempo. L’egualitarista non ama l’ebreo perché è recalcitrante al suo meccanismo livellatore; l’antisemita gli è superiore per il fatto che ha l’istinto del soprannaturale. Indovina che con l’ebreo c’è qualcosa di strano, di più strano di quello che succede col semplice straniero.

Questa elezione non è certamente un lasciapassare per qualunque comportamento, al contrario: è la richiesta di una rettitudine incrollabile; non soccombere alla tentazione dell’orgoglio e del disprezzo, conservare, ancora una volta, l’onore in mezzo all’orrore. Facendo queste constatazioni, non offro alcuna soluzione (grazie a Dio! Una soluzione sradicherebbe il buon grano insieme alla gramigna). Io raddoppio il problema. Non si può essere pacifisti, occorre rispondere all’aggressione; non si può essere bellicisti, non basta reagire. Abbiamo bisogno di un condottiero portato dalle ali della Colomba, che estragga la spada solo per piantare l’olivo.

Questo duplice problema era già quello di Giovanna d’Arco. Non si risolve che nel mistero di una vocazione allo stesso tempo casta e guerriera, secondo Charles Péguy:

«Quelli che sanno pregare non sanno battersi.
Quelli che sanno battersi non sanno pregare.
Dall’orazione troppo bella alle battaglie troppo brutte,
nessuno sa fare allo stesso tempo la guerra e la pace […]
A risvegliarci venga un condottiero.
Cristiano doppio per tempi doppiamente decaduti».

Cristiano doppio o – è quasi la stessa cosa – semplice israeliano, cosciente che il mondo lo guarda e che l’Eterno lo attende.

TEMPI

Nessun commento:

Posta un commento