martedì 31 ottobre 2017

IL TRAVESTIMENTO


Lo sapete, è una mia idea un po’ fissa. Cioè che tante di quelle battaglie che qualcuno chiama “di libertà”, o in nome di “diritti”, autodeterminazione e così via, nascondano in realtà la volontà di colpire un singolo obbiettivo, cioè la presenza reale di Dio nel mondo.
 Che siano, detto altrimenti, dei travestimenti per le zanne e gli artigli di un potere occulto e maligno. Come in un certo libro e ora film di successo, dove il male si traveste da clown che dona palloncini. Sfortunato, e imbecille, chi cade nella trappola.
Così, ad esempio, tutto il movimento iconoclasta che ha piede ora negli Stati Uniti. Credevate che si fermasse alle statue dei generali confederati, scrittori, esploratori come Colombo? No: il prossimo bersaglio sono le croci. Come quella che campeggia su un memoriale a soldati caduti nella prima guerra mondiale, che qualcuno vorrebbe abbattere in nome di una pretesa laicità; sostituendola, cioè, con il nulla di cui quel qualcuno è rappresentante. Un Nulla ben preciso, ovviamente.
C’è da dire che chi volesse difendere quella croce in nome di valori o tradizioni sbaglierebbe in maniera altrettanto decisiva; anzi, in fondo si schiererebbe con il nemico. La croce che campeggia su quelle lapidi, o su quelle tombe, non è una pia tradizione, un segno scaramantico, una bandiera da difendere; rappresenta la memoria di cosa è l’uomo, il senso stesso della sua vita e della sua morte. Senza di quella croce non ci sarebbe ragione di ricordare quei caduti, perché ci sarebbe solo il presente, un perenne istante fuggevole senza significato, in cui ci si sbrana vicendevolmente. Definirla valore o tradizione è averla già abbattuta nel proprio cuore.
La croce proclama che ogni vita vale qualcosa. Così anche le leggi come quelle sull’aborto o come quella sul fine vita attualmente in discussione al Parlamento non sono altro che tentativi di colpire la vita per distruggere la croce. Quando si obbligheranno anche gli ospedali cattolici e i medici ad ammazzare i pazienti, quella croce dovrà essere tolta dalle corsie e dai cuori, se non si vorrà perderla.
E dopo scopriremo quanto quella libertà, quei diritti, quella autodeterminazione valgano davvero per chi si riempie di essi la bocca. Già lo potremmo, se volessimo.

Ma dovremmo volere vedere oltre il travestimento.
BERLICCHE

mercoledì 25 ottobre 2017

SIMONE WEIL: LA PRIMA RADICE


 Non c’entrano solo gli immigrati o il terrorismo, ma la paura di perdere le radici

L’Austria e la Repubblica Ceca, il Giappone e l’Argentina: tre recentissime vittorie elettorali del centro destra. Quelle europee si vorrebbe spiegare con la parola «paura»: gli elettori volterebbero
Mauricio Macri
le spalle alla ancora prevalente, anche se decadente, cultura di sinistra perché terrorizzati dalla invasione dei migranti e dal terrorismo.

Da ciò nasce il gioco della minimizzazione di questi due flagelli del nuovo millennio:
«Non dovete avere paura» comandano i padrini del buonismo irresponsabile; «non abbiamo paura», rispondono i sostenitori del multiculturalismo disinvolto, possiamo prenderli tutti, tanto le nostre libertà democratiche sono più forti».

Uno schema di comodo, un alibi disperato, un ragionamento da confraternita dei semplici. Per fortuna i popoli non sono così sciocchi come credono le «Menti», i mali della
invasione li conoscono direttamente.
Il loro buon senso li induce ad avere una sacrosanta paura, anche di fronte alle tecniche dei politici «progressisti» e dei mass-media, che sono quasi tutti amici del giaguaro.
Ma la paura è solo un elemento del malessere attuale dei popoli occidentali. Essa è
come la punta di un grande iceberg, che ha gelato le cose più autentiche della vita: la famiglia, i gruppi sociali, la patria, il lavoro, la scuola, la religione, l’ambiente. Se vogliamo capire bene questo dramma epocale dobbiamo rivolgerci a una donna: Simone Weil.

Che a Londra lo diagnosticò nella sua più ampia e, purtroppo, ultima opera del 1943, lo stesso anno della morte a 34 anni: «Sradicamento».
Rifiutato ben presto il giovanile marxismo, definito «oppio dei popoli», l’israelita
Simone enunciò una antropologia, che si richiamava alle fonti più profonde delle religioni: le Upanishad, Omero, la Bibbia, il Vangelo, il Corano. Le dèracinement fu pubblicata postuma da Albert Camus e tradotta in italiano nel 1954 dalle Edizioni di Comunità, col titolo La prima radice (Olivetti; ora Ediz. Se, 2013).

Simone conosce il concetto marxiano di «alienazione economica», ma lo considera
una semplificazione politica del più vero concetto, insegnato dalle religioni, di «radicamento». Anche se la rivoluzione comunista la eliminasse, economica, resterebbe
immutata quella «mancanza di radici» che è costitutiva della situazione umana. Merita di
essere ricordato un brano di insondabile profondità, che può aiutarci a capire la situazione
attuale:
«Il radicamento è forse l’esigenza più importante e più misconosciuta dell’anima
umana. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. Partecipazione naturale, cioè imposta automaticamente dal luogo,
dalla nascita, dalla professione, dall’ambiente.
Ad ogni essere umano occorrono radici multiple. Ha bisogno di ricevere tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente” (ed. 1954, p. 49).

Che l’Occidente abbia largamente perso queste radici (di cui nell’Unione
Europea si trovano ben poche tracce) è stato mostrato da non pochi studiosi.
Una delle caratteristiche della nostra crisi, che in primo luogo non è economica,
ma religiosa e morale, è che tutte le matrici della formazione della persona sono state distrutte senza essere ancora sostituite.
Senza dubbio andavano cambiate, ogni epoca deve aggiornarsi e riformarsi. Purtroppo
la nostra ha perduto il vecchio senza essere sinora stato capace di inventare il nuovo.

La famiglia, un tempo paternale e estesa, andava adattata al mutato ambiente, mentre è stata sconvolta e privata di quasi tutte le sue funzioni: procreazione, educazione, assistenza. Mentre forme diverse di convivenza, impropriamente chiamate famiglie, le tolgono la preminenza. I genitori si sono fatti incerti e indefiniti. La religione è «buonista», non vi si cerca più una radice ma un conforto emotivo domenicale, soprattutto nei grandi raduni massmediatici. Sempre affollati mentre le chiese sono sempre più vuote.

Le razze si sono eutanasizzate e le etnie sono divenute confuse e mutanti. La scuola
ha largamente perso la sua duplice funzione di istruzione ed educazione. Il lavoro e la professione si sono fatti provvisori e mutevoli. L’ambiente naturale non è più un luogo di conforto, ma un malato da assistere.
La politica ha smarrito tanto le idee quanto le ideologie, per farsi liquida e mercantile.
Le vecchie radici sono state in gran parte sostituite con poteri intossicati e prepotenti: una scienza invadente, una tecnologia amorale, mezzi di comunicazione superficiali e manipolanti, una cultura di massa degradante e analfabeta.
Il tutto venduto come ricchezza «pluralistica» e «dialogica», mentre la definizione
più giusta l’aveva data Majakovskij nel suo Inno a Satana: «Tutti i centri sono in frantumi, non esiste più il centro«.

Non tutto né tutti entrano in questa fotografia. Ma di questa mancanza di un centro
o di una radice i popoli occidentali si stanno rendendo conto.
E ne hanno paura. L’invasione migratoria e il terrorismo aggiungono una nuova paura
alle vecchie, essa nasce dalla consapevolezza che la società multietnica mette in crisi anche
quelle poche certezze che ancor erano sopravvissute.
Ne deriva un ripristino di nostalgie patriottiche e tradizionaliste, con modalità assai più nostalgiche che nazionaliste. Se è «populismo» è solo per il desiderio di ripristinare, contro l’individualismo e il narcisismo, un popolo, fornito di una identità che lo apre al dialogo e lo preserva dalla dissoluzione.
In modo da poter colmare quella mancanza di princìpi permanenti e di valori non negoziabili, che il grande poeta della finis Austriae aveva espresso col noto verso: «E come appare malato tutto ciò che diviene!». (George Trakl)

Da Italiaoggi

Gianfranco Morra

giovedì 19 ottobre 2017

ROSARIO SUL CONFINE

Ero in Polonia: ho pregato con un vero popolo cristiano

PIER LUIGI TONTI

Caro direttore,
una coppia di sposi di Rimini e io, che sono di Cesena, venerdì 6 ottobre alle ore 8 siamo partiti in auto da Cesena per raggiungere le Polonia e unirci alla recita del Rosario sui confini, promossa anche dalla Conferenza episcopale del paese. Dopo quasi 12 ore di viaggio, in cui abbiamo percorso 1.160 chilometri circa, siamo arrivati verso le 19.30 a Cieszny, città polacca sul confine con la Repubblica Ceca.

Sabato 7 alle ore 10.30 si è cominciato con la spiegazione del gesto, dopodiché, alle ore 11, è stata celebrata la Santa Messa. E dalle 12 fino alle 13 abbiamo partecipato all’Adorazione Eucaristica. In seguito, abbiamo avuto tre quarti d'ora di tempo per pranzare, perché poi alle 14 è cominciato il Santo Rosario che si è concluso alle 16, dopo la recita di tutti e quattro i misteri. Infine, siamo rimasti per un po’ ad adorare il Santissimo Sacramento, ancora esposto nella chiesa dedicata a santa Maria Maddalena. Alle 16.30, siamo quindi ripartiti per l’Italia, arrivando a Cesena intorno alle 15.30 del giorno successivo.

Provo a descriverle quanto ho visto: al mattino presto vi era una maggioranza di anziani e adulti, saranno state in tutto circa millecinquecento persone, al pomeriggio poi si sono uniti tanti giovani e famiglie con bimbi. Per almeno tre ore di Adorazione Eucaristica e Rosario, ho visto gente di oltre 70/80 anni inginocchiata sulle pietre della piazza bagnate dalla pioggia. Pregavano senza che volasse una mosca o si aprisse un labbro, se non per recitare il Rosario. Ho visto uomini, donne ragazzi in ginocchio con le corone del Rosario pendenti dalle loro mani. Una vecchia donna, piccola e minuta, dai capelli bianchi e gli occhi di un azzurro intenso è rimasta in ginocchio per due ore con le mani e le braccia protese in avanti e la corona che pendeva dalle sue dita, che la stringevano come aggrappate ad essa. Aveva il viso bianco, forse levigato da una crema o qualcosa del genere, che la rendeva come marmorea, quasi una statua, in perenne rendimento di grazie.

A prendere la Comunione poi, non ho visto proprio nessuno che abbia ricevuto il Signore in mano. Tutti hanno ricevuto l’Eucarestia sulla lingua, più della metà di loro in ginocchio. Ho visto poi una trentina di sacerdoti, tutti rigorosamente in talare, con in testa la berretta tricorno, il copricapo sacerdotale nero con il pon pon sempre nero, mentre quello del vescovo presente era viola. Questi preti erano giovani, dagli occhi luminosi e si abbracciavano fra loro come facevano, immagino, gli apostoli! Abbiamo davvero toccato con mano e visto con i nostri occhi un Popolo con la P maiuscola, un popolo cristiano! Non smetteremo mai di ringraziare il Signore e la Madonna per averci chiamato in Polonia ai Loro piedi il 7 ottobre 2017!


TRATTO DA LA NUOVA BUSSOLA

«CHIEDO SCUSA PER QUELL’AVE MARIA IN UNIVERSITÀ»

IL FATTO
Il 13 ottobre la professoressa Clara Ferranti, ricercatrice di Glottologia e Linguistica al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, fa lezione a un centinaio di studenti di Lingue e Lettere: alle 17:30 in punto si interrompe e li invita a recitare l’Ave Maria, una «preghiera per la pace» che quel giorno a quell’ora, nel centenario dell’apparizione della Madonna di Fatima, si tiene in varie parti d’Italia.
Alcuni studenti pregano, altri rimangono in silenzio: di lì a poco l’episodio finisce sui social. E un comunicato di fuoco dell’Officina universitaria, un’associazione studentesca, denuncia «la limitazione della libertà personale» subita dai ragazzi.

La docente si difende, sostiene di non aver coartato la libertà di nessuno e di aver interrotto la lezione solo per pochi minuti, ma sul web piovono critiche pesanti, e pochissimi messaggi di sostegno. Interpellato sul punto il rettore Francesco Adornato è esplicito: «Si tratta di un atteggiamento assolutamente improprio e censurabile, mi scuso a nome dell’ateneo».
 + Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata 17 ottobre 2017

La storia dei 25 secondi di interruzione di una lezione, per dire un’Ave Maria per la pace, con la reazione che ha scatenato ci interroga profondamente come credenti.
Gli stessi 25 secondi usati per dire una battuta, cosa che molti docenti fanno spesso, non avrebbero creato problemi.

Chiediamo scusa come credenti per aver destabilizzato la serenità di un’Università, ma il problema è la nostra poca fede. Chi dice almeno 50 Avemarie al giorno, cioè un rosario, tanti, molto più di quelli che vanno a Messa la domenica, non capisce tutta questa agitazione.

È che a dirne tante di Avemarie si comincia a pensare che valgano poco, che di fatto siano innocue. Che non creino problemi. Grazie perciò di cuore a chi ha protestato, a chi ci ha ricordato che la preghiera è una forza, una potenza che può mettere paura a qualcuno.

Grazie a chi crede più di noi credenti che quelle poche parole smuovano i monti e i cuori tanto da sconvolgere la loro vita. Grazie a chi ci ricorda che dire Ave Maria è salutare una donna morta 2000 anni fa credendo che è viva, in grado di pregare per noi e di operare per rendere la nostra vita più buona e vicina a Dio, tanto da aiutarci ad affrontare serenamente la morte.

Grazie fratelli non credenti e anticlericali perché ci avete ricordato quali tesori possediamo senza apprezzarne adeguatamente il valore e l’importanza.


martedì 17 ottobre 2017

PERCHÉ #NOIUSSOLI

STEFANO SPINELLI
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età

1. Non c’è una vera necessità di modificare l’istituto della cittadinanza. L’Italia è il paese europeo dove si rilascia il maggior numero di nuove cittadinanze.

Esiste già lo ius soli, ossia l’acquisizione della cittadinanza da parte di chi è nato nel territorio italiano, seppure temperato. Lo straniero nato in Italia già ora a 18 anni potrà chiedere di essere italiano. Ma il minore può avere la cittadinanza anche prima. Se i suoi genitori sono in Italia da 10 anni, e lo desiderano, possono chiedere la cittadinanza, che si trasmetterà automaticamente (iure sanguinis) anche al figlio.
Il vero problema sono i tempi burocratici e gli ostacoli formali al rilascio della cittadinanza a chi ne fa consapevolmente richiesta. Su questo fronte sarebbe bene lavorare.

2. Non esiste discriminazione tra minori italiani e stranieri. I minori stranieri godono di tutti i diritti fondamentali e i servizi essenziali dei minori italiani. Esistono fortunatamente numerose sentenze della Corte Costituzionale che sanciscono il principio dell’estendibilità dei diritti fondamentali della persona anche agli stranieri. Basti pensare alle nostre scuole, ormai multiculturali, ove non c’è differenza tra bambini italiani e bambini stranieri nati in Italia.
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età.

3. 
La nuova legge non garantisce alcun legame effettivo dello straniero con il paese ospitante.
Potrà acquisire la cittadinanza il figlio nato in Italia di genitore straniero (anche solo uno) in possesso di permesso di soggiorno permanente (almeno 5 anni) (ius soli). In alternativa, occorre che il minore sia entrato in Italia prima dei 12 anni e abbia frequentato un qualunque percorso scolastico di 5 anni, anche senza alcun superamento di esame e indipendentemente da permesso di soggiorno posseduto dai genitori (ius culturae).
Il permesso quinquennale dei genitori o i semplici cinque anni di studio in Italia da parte del minore non garantiscono assolutamente alcun legame effettivo ed affettivo con il Paese ospitante, specie per le culture più refrattarie all’integrazione. Si verifica quindi una sorta di concessione automatica della residenza al figlio nato in Italia, senza alcuna vera volontà di appartenenza del genitore o del nucleo straniero alla comunità di riferimento e probabilmente senza neppure alcun interesse a rimanere sul territorio italiano (una mera permanenza quinquennale in periodo di forte immigrazione non è certo indicativa in tal senso; ne è dimostrazione la cosiddetta immigrazione circolare, ossia alternanza di periodi di residenza, anche lunghi, in paesi stranieri e ritorno).

4. 
La nuova legge prescinde da una vera integrazione dello straniero nel paese ospitante.
Cittadinanza significa partecipazione alle sorti del paese, comunanza di interessi, di ideali e identificazione, tanto che si deve giurare fedeltà alla Repubblica (sempre che questa parola abbia ancora un significato). Solo i cittadini (a differenza degli altri residenti) votano e decidono il futuro della comunità. Tutto ciò richiede o la volontà espressa da parte di chi voglia identificarsi con il Paese ospitante o un’integrazione effettiva. La nuova legge prescinde da entrambi.

5. 
La nuova legge utilizza l’istituto della cittadinanza per affrontare il vero e diverso problema dell’immigrazione(“facciamo cittadini il maggior numero possibile di immigrati”).
Si rovescia il problema. Si dice: “diamo la cittadinanza agli immigrati per integrarli”. Invece, la cittadinanza – come visto – segue l’integrazione.
In sostanza, la nuova norma rischia di funzionare come “specchietto per le allodole”, ossia per attirare stranieri in Italia – e incentivare così la già problematica situazione migratoria – al solo fine di far acquisire la cittadinanza ai figli, senza alcun legame effettivo con la comunità che li riceve.

5. 
Il nuovo testo attua una gravissima frattura al principio di unità familiare.
Soprattutto, con l’attuazione della nuova legge si verifica una distorsione evidente a livello familiare, in quanto si costituiranno nuclei familiari composti da genitori stranieri temporanei (con permesso si soggiorno) e figli italiani con passaporto italiano.
Ciò comporta gravi problematiche, non solo in termini di ricongiunzioni familiari, ma anche di tutela del nuovo cittadino italiano (magari ancora minore), tornato al proprio paese o all’estero, in relazione ad usi e costumi profondamente diversi dai nostri.

6. 
La nuova norma prevede poi una sostanziale “sanatoria” per gli stranieri di tutte le età attualmente presenti sul territorio italiano. Le disposizioni transitorie della legge prevedono infatti che l’acquisto della cittadinanza iure culturae si applichi anche allo straniero, in possesso dei requisiti (in Italia entro i 12 anni e 5 anni di studio senza esami), che abbia superato i 20 anni e risieda sul territorio da almeno gli ultimi 5 anni. Ritengo questa una vera e propria norma sanante. Anche uno straniero adulto e assente per anni dall’Italia, se rientrato negli ultimi anni, senza particolari permessi di soggiorno, potrebbe ottenere la sanatoria

Si sarebbe potuto ben altrimenti affrontare il problema senza derive ideologiche.


domenica 15 ottobre 2017

LE PAROLE DEGLI ALTRI


IL CORTOCIRCUITO DEL PENSIERO UNICO
A CESENA 28  SETTEMBRE 2017

Il Consiglio Comunale di Cesena, in data 28 settembre, ha approvato un ordine del giorno della Giunta che permetterà di apprestare un regolamento comunale per decidere a quali manifestazioni negare l'autorizzazione o la concessione di spazi di suolo pubblico, perché qualificabili come neofasciste, omofobe o xenofobe. L'ordine del giorno è stato approvato da tutti i consiglieri del PD e di MPD mentre le opposizioni sono uscite dall’aula.


L'odg, pur pensato come reazione al gruppo di Forza Nuova (che organizzò una manifestazione - il funerale - in occasione della prima unione civile), e pur obbligando per il momento a predisporre una dichiarazione di conformità ai valori costituzionali in sede di domanda di autorizzazione o di concessione, è di fatto un'operazione strumentale, ideologica e illiberale perché  questa decisione è in grado di incidere sulle libertà fondamentali, di libera associazione, di libera manifestazione e di libertà di pensiero.

Occorre vincere la battaglia delle idee con la persuasione, difendendo il diritto di tutti ad esprimersi, e non con la forza, perchè se ci mettiamo ad usare la forza sappiamo già come andrà a finire.  Sostenere da parte di alcuni che certe idee sono espressione di odio perché presentano una visione del mondo diversa dalla loro, e che quindi vadano censurate, è una violazione dei diritti costituzionali

Bisogna essere molto più preoccupati dall’idea di un pubblico potere che limita la libertà di espressione che da un “provocatore” che parla in piazza.
Se si stabilisce arbitrariamente che alcune cose non si possono dire, allora il problema diventa soltanto chi decide: un problema, appunto di potere. Nessuno sa quali caratteristiche deve avere una manifestazione per essere definita fascista, omofoba o xenofoba ed essere quindi vietata, e se lo decide chi detiene pro tempore il potere, ci si sposta quasi inevitabilmente dal potere della legge al potere dell’ideologia.

Occorre anche rilevare che  in sede di discussione sono stati identificati, da un consigliere comunale, come “gruppo ad alto contenuto omofobico" coloro che manifestano per ribadire la differenza maschile/femminile e il fatto che ciascun bambino ha diritto ad avere un babbo e una mamma.

Proprio in questi giorni a Cesena si tiene una mostra su: “La libertà religiosa, un diritto a rischio”, e visitandola abbiamo imparato che la limitazione della libertà religiosa nei paesi occidentali inizia proprio in modo soft stabilendo innanzitutto confini alla libertà di parola, che è il fondamento di tutte le libertà.

Vogliamo infine ricordare, per dare il giusto significato alle parole, che l’antifascismo che questa delibera ostenta trova la sua consistenza nell’essere l’opposto del fascismo, e cioè nel dover consentire a tutti la libertà di parola; vietando la libera espressione di pensiero e di manifestazione questo antifascismo corre il rischio di trasformarsi in un fascismo di segno opposto.

 IL CROCEVIA


L’INGANNO DEL SAFE SPACE

CENSURA E DELIRIO NELLE HIGH SCHOOLS 

Un amico che insegna in un liceo pubblico di San Francisco mi ha fatto avere un appunto sull’estate americana e il futuro che ci aspetta, almeno in Occidente, grazie a questi “democratici” che occupano tutti i posti del mondo della comunicazione e, soprattutto, dell’educazione. Ecco di cosa si tratta, lascio volentieri la parola a lui.

TURNER Tempesta di neve
«Fino a pochi giorni fa i neo-nazisti in America erano quattro gatti, psicopatici, buoni al massimo ad essere messi alla berlina dai Blues Brothers. 
Qualche settimana fa, sono andati a Charlottesville in cerca di attenzione. La Cnn ha si è occupata di loro con una diretta non stop. La presenza delle telecamere ha galvanizzato la protesta e la contro-protesta, così ora i nazisti, da quella caccola che erano, si sentono importanti. 
La diretta televisiva a Charlottesville ha aperto una lattina piena di vermi e ora non c’è più modo di rimettere i vermi nella lattina. 

Tutto questo è il risultato di una mentalità che nasce nelle high schools, forse anche middle schools, dove tutti i temi politicamente corretti costituiscono una specie di dogma e dove si sviluppa la retorica del “safe space”, lo “spazio sicuro”. 

Gli insegnanti sono invitati a mettere sulla porta della loro aula un adesivo che dice “questo spazio è sicuro”, cioè è uno spazio dove non si mette in discussione la teoria gender, non si parla di diritto alla vita dei nascituri, nessun comportamento sessuale è criticato.
Sono incluse in questa retorica anche tutte le teorie pseudo scientifiche su come l’apprendimento, e perciò la conoscenza, dipenda dal soggetto e non dall’oggetto che viene studiato. Non è un caso che l’oggettività del metodo di conoscenza è sotto attacco. Un altro grande dogma indimostrato che comincia dai livelli scolastici inferiori è quello di tutta una serie di “disordini”, il più famoso dei quali è l’Add, Attention Deficit Disorder, o il suo fratellino Adhd, Attention Deficit and Hyperactivity Disorder. Ce ne sono molti altri e, anche se la definizione di disordine enuncia chiaramente che non sono patologie, vengono di fatto trattate come tali, in molti casi con psicofarmaci.
La conseguenza è che un numero sempre crescente di ragazzini è considerato non responsabile delle proprie azioni (il ché potrebbe essere vero nel caso di una patologia), in quanto ha un “disordine”.

 Il cestino dei deplorevoli
Qualunque tentativo di discutere seriamente “dogmi”, è presentato ai ragazzini come una forma di attacco a loro stessi. Questo li educa a considerare qualunque sfida alla versione corrente del politicamente corretto come un’offesa inaccettabile, un attacco che provoca loro una sorta di dolore mentale.
Da qui si capisce come, arrivati all’università, questi ragazzi considerino non solo un loro diritto, ma quasi un dovere impedire di parlare a chiunque dica una cosa diversa dal sistema di pensiero dello “spazio sicuro”. Si potrebbero citare molti episodi, mi limiterò a quanto accaduto al Middlebury College a fine febbraio. Alison Stanger, una professoressa di sinistra, aveva invitato Charles Murray, un sociologo conservatore, a un dibattito pubblico. Gli studenti erano così infuriati che li hanno attaccati fisicamente e la professoressa ha subìto una contusione. La presenza di un conservatore nel campus non li faceva sentire sicuri, in quanto i conservatori sono tutti per definizione intolleranti.

Questione di “feeling”. Qualunque pensatore non in linea con l’ultima versione del politicamente corretto è automaticamente immesso in quello che Hillary Clinton ha definito “il cestino dei deplorevoli”. 
Nella mente dei ragazzi educati alla retorica dello spazio sicuro, tutti quelli che sono al di fuori di tale spazio sono i mostri che popolano il buio dei bambini: odiano i gay, le donne, i neri e le minoranze; sono fascisti e nazisti. Neanche essere gay li salva, infatti Milo Yiannopoulos ha ricevuto gli stessi trattamenti. Questo dimostra che quelli che difendono non sono i gay reali, ma solo quelli politicamente corretti; non i neri reali, ma solo quelli politicamente corretti. Se un afro-americano esprime un punto di vista “conservatore” diventa subito una legittima preda degli attacchi verbali più feroci, senza tema di razzismo

Allora si capisce l’enorme pubblicità data al fenomeno, fino a ieri marginale, dei neo-nazisti. Infatti consente di dire alla generazione dello “spazio sicuro”, cioè il terreno di coltura degli elettori liberal del presente e del futuro: “Avete visto che avevamo ragione? Tutti quelli che non sono d’accordo con noi sono in realtà dei mostri, dei nazisti. Non esiste complessità di temi o di posizioni, il mondo si divide in noi e loro. Noi siamo i buoni e loro i cattivi”

I cliché di Hollywood avevano già preparato il terreno da tempo».

Tratto da TEMPI

venerdì 13 ottobre 2017

CONSEGUENZE

Pubblicato da Berlicche
Sgomberiamo il campo da  un paio di equivoci.
Sicuramente diversi di quelli che hanno detto il rosario ai confini della Polonia avevano in mente la difesa dei “valori occidentali”. Sicuramente molti dei pochi che hanno commentato il fatto; spesso sputandoci sopra, a quei valori. Così è intesa la libertà, dalle nostre parti: cercare di distruggere ciò che ti tiene in vita. Il lento suicidio di chi non trova una ragione per vivere.
Credo tuttavia che una gran parte, spero la gran parte di coloro che hanno aderito alla preghiera avesse in mente tutt’altro. Perché quei “valori” non sono che conseguenze; non sono che il coagularsi storico di un fatto precedente, ovvero l’Incarnazione.
Quello che spero abbiano avuto al centro dei loro pensieri, quel milione che ha pregato, è Cristo. Tutte il resto – la pace, la libertà, l’uguaglianza, la differenza, e poi la protezione della vita, e della famiglia, e l’aiuto al povero e via via nei mille rivoli di ciò che è vero e giusto – nasce da quella sorgente.
S. Pio V e la visione della vittoria di Lepanto
E potremmo perderlo, è chiaro. Se si smarrisce la fonte si inaridisce tutto,  decade, anche se a volte sembra ancora vivo; ma è secco dentro, un simulacro che si sfalda al primo soffio di vento.
Perché il Sultano è stato sconfitto, a Lepanto? Aveva comandanti geniali, soldati esperti, la flotta più grossa.
Ma era la flotta di qualcuno che schiavizzava i suoi simili utilizzandoli come rematori; e in battaglia si ribellarono. I galeotti cristiani furuno armati, e promessa loro la libertà in caso di vittoria. A Loreto c’è una cancellata fatta con le loro catene fuse, offerte in voto.
E’ il concetto di persona che nasce dal Vangelo che qui ha fatto la differenza.
Quella ottomana era poi una flotta obsoleta; la ricerca era ostacolata, nel mondo musulmano. I cristiani avevano le università; la loro tecnica navale era molto migliore, i loro cannoni, le armature superiori. Il Sultano si doveva accontentare dei carpentieri protestanti pagati a peso d’oro. E’ il concetto di ragione, di realtà positiva e conoscibile che arriva dal cristianesimo e l’Islam non possiede.
E poi, certo, la preghiera. Il rosario, a rinsaldare i cuori contro un avversario che si sa crudele e implacabile, che vuole la tua distruzione. La vita, contro la morte; allora come ora.
La ricerca scientifica, la liberazione degli schiavi, il valore della vita sono conseguenze della visione cristiana del mondo. Ma sarebbe da folli asserire che è per quello che ci si batteva; che erano loro le cose da difendere.
Erano, e sono, conseguenze.
Qualsiasi lotta per un valore se è fine solo a se stessa ha respiro corto, è destinata al fallimento. Fosse anche per la cosa più giusta del mondo.
Perché il valore è solo una conseguenza.
Per questo il rosario è l’arma giusta: riporta al cuore stesso di ciò che è vero e giusto, e di cui ogni cosa vera e giusta, ogni valore di qualsivoglia nazione, di qualunque uomo, non è che il riflesso.
Ogni altra considerazione, per quanto (forse)  bene intenzionata, non è semplicemente cristiana.

OGNI TANTO ANCHE TRUMP CI PRENDE


Il Presidente disinnesca la trappola della libertà religiosa 
tesa da Obama.

Gli orologi rotti due volte al giorno ci prendono, e allo stesso modo le lancette politiche di Donald Trump ogni tanto segnano l’ora giusta. 

La revoca del mandato del ministero della Salute sull’obbligo di offrire contraccettivi e farmaci abortivi gratuiti nei piani assicurativi è uno di questi casi, passato un po’ in sordina rispetto agli altri intrattenimenti da trivio che la Casa Bianca quotidianamente ci offre. 

Con l’annuncio di venerdì, l’Amministrazione corregge un preoccupante restrizione della libertà religiosa approvata da Barak Obama per decreto, una delle decisioni più gravide di conseguenze fra quelle prese dalla precedente amministrazione.

Il dispositivo imponeva anche ad istituzioni di ispirazione religiosa, scuole, università, ospedali, di offrire gratuitamente la copertura dei contraccettivi, sulla base di un ragionamento truffaldino: i luoghi di culto si diceva godono di speciali esenzioni in base al principio della libertà religiosa (il cuore del Primo emendamento), ma lo stesso non valeva per le opere che nascono dall’esperienza della fede. Quelle devono adeguarsi alla pillola come diritto inalienabile.

Il New York Times, portavoce delle anime belle, l’ha capziosamente presentata in un articolo di cronaca (non in un editoriale) come modo “per negare alle donne la copertura assicurativa per la contraccezione”, mentre qui si tratta di restituire alle istituzioni di ispirazione religiosa la libertà di non violare la propria coscienza, secondo un principio che è prima americano che religioso.


La Conferenza Episcopale americana ha saggiamente definito la decisione “un ritorno al senso comune”.

mercoledì 11 ottobre 2017

MONS. CREPALDI: GESÙ AMA TUTTI. PERÒ NON AMA TUTTO

“Cristo ama tutti, ma non ama tutto. In questo senso bisogna insistere sulla dottrina sociale della Chiesa per conoscere i criteri con i quali giudicare e costruire la società”. Sono le parole dell’Arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi che in questa intervista presenta la seconda sessione del videocorso on line di Dottrina sociale della Chiesa.  


In questa intervista, nata come dialogo sugli aspetti più significativi del suo ultimo libro, scritto con Stefano Fontana, “La Chiesa italiana e il futuro della pastorale sociale” (Cantagalli, Siena 2017), Crepaldi spiega perché lo studio della Dottrina sociale sia indispensabile per uscire da quel pastoralismo ideologico e anti-teologico che alberga in molte realtà della Chiesa e che mostra sempre più la sua completa adesione al mondo.

Eccellenza, c’è molta confusione e a tratti disagio sul ruolo dei cattolici nel mondo, in politica, nella vita sociale, ma anche in quella comunitaria. Ospitiamo abortisti in parrocchia, ci approcciamo al tema dell’ideologia omosessualista in chiave irenista. Per non parlare del ruolo dei cattolici in politica. Siamo troppo assenti o fin troppo presenti?
Direi afasici. I nostri sono i tempi dell’afasia dei laici. Si sono avvitati in discussioni inutili sul partito dei cattolici. E così i cattolici in Parlamento sono molti, ma proprio in quanto cattolici non contano nulla.

Difficile, quando la posta in gioco è se scegliere tra Dio o l’uomo…
Ma la logica cristiana non è o Dio o l’uomo, ma per affermare l’uomo dobbiamo sempre più fare riferimento a Dio. La Chiesa è al mondo non per se stessa, ma per proporre Dio. E’ importante capire che non è la Chiesa che salva, ma è Dio che salva per suo tramite. Dio ha scelto questo strumento per realizzare il suo progetto di Grazia.

Però la Chiesa sembra sfiancata. I laici hanno assorbito un certo clericalismo, anche nel rapportarsi con il mondo. Il suo libro parla del fallimento di molte iniziative pastorali ammaliate dal pastoralismo, cioè lo sganciare la prassi dalla dottrina.
Una comunità non deve girare attorno al prete, ma attorno all’altare. Purtroppo si sono imposte due correnti teologiche, quella rahneriana in Germania con la sua “svolta antropologica”, e quella della Teologia della liberazione in America latina che è andata in prestito dall’ideologia marxista.

Quali sono le risposte della dottrina rispetto a questa deriva?
Direi che il grande salto dopo quella stagione è stato rappresentato dall’irrompere sulla scena di San Giovanni Paolo II Papa, il quale nella Conferenza di Puebla già nel 1979 ha rilanciato sistematicamente la Dottrina sociale della Chiesa. Da qui sono discese le grandi encicliche sociali del suo pontificato e il Compendio di Dottrina sociale, che ad oggi rappresenta un tesoro inestimabile.

Oggi però parlare di Dottrina sociale della Chiesa appare anacronistico e superfluo perché sopra tutto ormai deve esserci la prassi.
Oggi si fa un uso sistematico della Dottrina sociale della Chiesa in chiave pastoralista. Ma è un pastoralismo che assegna priorità alla prassi. Il risultato di questo processo però è un esserci senza sapere perché che non serve a nessuno.

Che futuro dobbiamo attenderci?
Non ci sarà nessun futuro se la pastorale sociale abbandonerà o trascurerà la Dottrina sociale della Chiesa come corpus dottrinale organico capace di abilitare i cattolici non solo a fronteggiare le patologie della società ma anche e soprattutto a costruirne la fisiologia.

Intende dire che la Chiesa deve tornare ad essere protagonista?
Intendo dire che dobbiamo opporci a quella che io ho chiamato la “profezia di Vattimo”.
Vattimo?
Il filosofo Gianni Vattimo. Negli anni ’90, quando la Democrazia Cristiana si disintegrò, Vattimo fece una previsione che devo ammettere si è realizzata.
Quale?
Si compiaceva della fine della Dc e dell’unità politica dei cattolici e auspicava che i cattolici da lì in avanti avrebbero pensato esclusivamente alla patologia sociale perché alla fisiologia sociale “avremmo pensato noi”, diceva.
Cioè: i cattolici si occupino a curare i malati, mentre a studiare le cause delle malattie ci pensano altre ideologie?
Esatto. Ma questo ha relegato la presenza dei cattolici ad assenza, a non analizzare i mali della società, limitandosi solo alla cura dei suoi effetti. In questo modo le cause del male sono definite ed affrontate da altri.

Eppure oggi basta utilizzare la parola dialogo per essere accreditati dal mondo.
Ma Gesù non ha mai usato la parola dialogo, non c’è una sola volta nel Vangelo che Gesù abbia “dialogato” così come lo intendiamo noi oggi. Anzi, direi che non c’è giorno della sua vita pubblica che Gesù non lo abbia passato a litigare. Ovviamente è un’iperbole, ma è per far comprendere che Cristo ci ha detto che dobbiamo amare tutti, ma non dobbiamo amare tutto. Ecco perché il laicato va formato, affinché abbia quei criteri per giudicare la realtà senza lasciarsi dettare i tempi e i modi da altri.

Un nuovo protagonismo comporterà però scelte precise, decisioni impopolari, un annuncio che diventa politicamente scorretto sui temi sui quali oggi si gioca la battaglia: la vita, la famiglia, l’antropologia…
Infatti bisogna smetterla di pensare che sia un peccato se i cattolici sono militanti. L’alternativa è il fatto che oggi, penso ad esempio al Parlamento, i cattolici non contano ormai nulla. 


IDEOLOGIA GENDER, L'ABUSO SUI MINORI CHE NESSUNO DENUNCIA


 di Matthew Hanley  Senior Fellow al National Catholic Bioethics Center di Filadelfia. L’articolo qui tradotto è stato pubblicato il 20 settembre 2017 sul quotidiano online The Catholic Thing, diretto a Washington da Robert Royal, con il titolo Gender Ideology as Abuse.

Bentornati il football e l’aria frizzante dell’autunno, anche se essere tifosi di certe squadre (come i miei San Francisco 49ers) richiederà anche quest’anno un atto di fede soprannaturale. Per Bennet Omalu, però, il “dottore dei traumi” (è stato soprannominato così per il ruolo di primo piano che ha avuto nello studio della questione), questo è un periodo dell’anno triste. Medico legale capo della contea di San Joaquin, in California, ha recentemente detto che se si lasciano i ragazzi giocare a football andrà a finire che prima o poi interverrà un qualche procuratore distrettuale. Il football, infatti, afferma Omalu, «è abuso sui minori bello e buono».

Con tanti abusi veri da combattere, un’affermazione fuori luogo come questa suona decisamente come una stecca, anche se in verità qualcosa da dire control’idea che dei ragazzi giovanissimi si prendano a testate c’è. Ma il fatto è che qualcuno questa bizzarra crociata contro il football la prende seriamente. Quasi seriamente quanto la crociata per la normalizzazione della “fluidità del gender”.

Mi è appena capito d’imbattermi nel fascicolo datato Estate 2017 dello Stanford Medicine Newsil cui servizio principale s’intitola Young and Transgender: Caring for Kids Making the Transition, “Giovani e transgender: la cura dei ragazzi che fanno il passaggio”. Nel testo si esaltano gli sforzi che una endocrinologa pediatrica profonde per “aiutare” questi ragazzi... mediante l’impiego di bloccanti della pubertà e di altre cose così. Dunque adesso bloccare la pubertà significa dare assistenza sanitaria? «Trattare gli adolescenti transgender con ormoni», dice l’endocrinologa, «significa affermarne l’identità». Cioè metterli sotto i ferri è solo un modo diverso di dire che maturando normalmente il loro corpo cresce sbagliato.

Non ce l’ho specificamente con lo Stanford Medicine News. Oggi l’appiattimento sull’agenda transgender è infatti una epidemia. Per esempio, l’edizione più recente del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ha rimpiazzato la vecchia diagnosi di “disordine dell’identità di genere” con l’espressione “disforia” di genere. Dato che – et voilà – non c’è più alcun “disordine” da trattare psichiatricamente, la scelta giusta diventa necessariamente la mutilazione (mediante ormoni e chirurgia).

Dal canto proprio, avendo evidentemente perso il senno, l’American Psychiatric Association (APA) afferma tranquillamente che non è vero che le transizioni transgender derivino da illusioni o da incapacità di giudizio, laddove per illusione s’intende «una falsa credenza o un giudizio sbagliato affermati con convinzione nonostante prove incontrovertibili del contrario».

ECCO PERCHÉ C’È BISOGNO DELLA MOSTRA SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA


 Oxford mette al bando l'associazione studentesca cristiana
L’Università di Oxford un “RIGUGIO PER GLI EGO FRAGILI”, che protegge le giovani matricole, ipersensibili e bisognose di essere protette da chi potrebbe traumatizzarli con le idee sbagliate, soprattutto se cristiani.


La Oxford University ha proibito all’Unione cristiana (Uc), una delle più grandi associazioni studentesche, di partecipare con il suo stand all’annuale fiera delle matricole perché la fede cristiana "procura danno" dal momento che storicamente è stata come "una scusante per l’omofobia e certe forme di neocolonialismo".

Freddy Potts, vicepresidente del comitato universitari, ha perciò scritto una mail alla rappresentante della Uc, Lucy Talbot, spiegando che: "La nostra unica preoccupazione è che la vostra presenza possa estraniare i nuovi studenti. Questo tipo di alienazione o micro-aggressione è regolarmente ignorata come poco importante, specialmente quando non viene compresa bene dagli altri studenti, e inevitabilmente causa un ulteriore danno a quei gruppi che sono già i più vulnerabili e marginalizzati".

Nell’email pubblicata dal Telegraph si legge che "l’influenza del cristianesimo su molte comunità marginalizzate ha procurato danno con i suoi metodi di conversione e le sue pratiche ed è ancora usata in molti luoghi come scusante per l’omofobia e certe forme di neocolonialismo". La decisione del comitato universitario di escludere i cristiani è nata per evitare che, "non potendo garantire uno stand a ogni principale credo religioso", uno studente di una fede non rappresentata"soffra" nel vedere che le altre abbiano un loro stand. "Molti studenti, - si legge ancora - soprattutto di colore o di altre fedi [rispetto al cristianesimo] potrebbero già sentirsi alienati e vulnerabili a Oxford, un’università con una pessima reputazione per quanto riguarda razzismo e mancanza di diversità, nonché una città che ha a malapena luoghi di culto appropriati per non cristiani". Dunque, "nel nome della compassione, speriamo che sarete d’accordo con noi [nel voler evitare] un possibile danno a quelle matricole che sono già così gravemente svantaggiate".

Dopo le proteste arrivate da gran parte del mondo accademico per la "violazione della libertà di espressione, libertà religiosa e di credo", il college ha deciso di aprire a uno stand “multiconfessionale”, dal quale però è stata comunque esclusa l’Unione cristiana. Da notare inoltre che tra gli eventi a cui le matricole dovranno obbligatoriamente partecipare c’è ad esempio un “workshop LGBTQ+”. La vicenda è ancora più grottesca se si considera, come ricorda il Corriere della Sera, che "la maggior parte dei college di Oxford venne fondata nel Medioevo ad opera di vescovi e monaci cristiani e al loro interno sono collocate splendide cappelle: che però sono state oggi riconvertite in spazi di preghiera e meditazione multiconfessionali. Anche il Balliol sorse nel 12634 sotto gli auspici del vescovo di Durham


Da IL GIORNALE Francesco Curridori Mar, 10/10/2017 

A CESENA, FINO AL 22 OTTOBRE MOSTRA SU 
LIBERTA' RELIGIOSA UN DIRITTO A RISCHIO