martedì 17 ottobre 2017

PERCHÉ #NOIUSSOLI

STEFANO SPINELLI
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età

1. Non c’è una vera necessità di modificare l’istituto della cittadinanza. L’Italia è il paese europeo dove si rilascia il maggior numero di nuove cittadinanze.

Esiste già lo ius soli, ossia l’acquisizione della cittadinanza da parte di chi è nato nel territorio italiano, seppure temperato. Lo straniero nato in Italia già ora a 18 anni potrà chiedere di essere italiano. Ma il minore può avere la cittadinanza anche prima. Se i suoi genitori sono in Italia da 10 anni, e lo desiderano, possono chiedere la cittadinanza, che si trasmetterà automaticamente (iure sanguinis) anche al figlio.
Il vero problema sono i tempi burocratici e gli ostacoli formali al rilascio della cittadinanza a chi ne fa consapevolmente richiesta. Su questo fronte sarebbe bene lavorare.

2. Non esiste discriminazione tra minori italiani e stranieri. I minori stranieri godono di tutti i diritti fondamentali e i servizi essenziali dei minori italiani. Esistono fortunatamente numerose sentenze della Corte Costituzionale che sanciscono il principio dell’estendibilità dei diritti fondamentali della persona anche agli stranieri. Basti pensare alle nostre scuole, ormai multiculturali, ove non c’è differenza tra bambini italiani e bambini stranieri nati in Italia.
La differenza maggiore tra il cittadino e lo straniero è il possesso da parte del cittadino dei diritti politici (in primo luogo il diritto di elettorato). Detti diritti si possono legittimamente esercitare solo al perseguimento della maggiore età. Ecco perché l’attuale legge si riferisce alla richiesta di cittadinanza da parte del minore al raggiungimento della maggior età.

3. 
La nuova legge non garantisce alcun legame effettivo dello straniero con il paese ospitante.
Potrà acquisire la cittadinanza il figlio nato in Italia di genitore straniero (anche solo uno) in possesso di permesso di soggiorno permanente (almeno 5 anni) (ius soli). In alternativa, occorre che il minore sia entrato in Italia prima dei 12 anni e abbia frequentato un qualunque percorso scolastico di 5 anni, anche senza alcun superamento di esame e indipendentemente da permesso di soggiorno posseduto dai genitori (ius culturae).
Il permesso quinquennale dei genitori o i semplici cinque anni di studio in Italia da parte del minore non garantiscono assolutamente alcun legame effettivo ed affettivo con il Paese ospitante, specie per le culture più refrattarie all’integrazione. Si verifica quindi una sorta di concessione automatica della residenza al figlio nato in Italia, senza alcuna vera volontà di appartenenza del genitore o del nucleo straniero alla comunità di riferimento e probabilmente senza neppure alcun interesse a rimanere sul territorio italiano (una mera permanenza quinquennale in periodo di forte immigrazione non è certo indicativa in tal senso; ne è dimostrazione la cosiddetta immigrazione circolare, ossia alternanza di periodi di residenza, anche lunghi, in paesi stranieri e ritorno).

4. 
La nuova legge prescinde da una vera integrazione dello straniero nel paese ospitante.
Cittadinanza significa partecipazione alle sorti del paese, comunanza di interessi, di ideali e identificazione, tanto che si deve giurare fedeltà alla Repubblica (sempre che questa parola abbia ancora un significato). Solo i cittadini (a differenza degli altri residenti) votano e decidono il futuro della comunità. Tutto ciò richiede o la volontà espressa da parte di chi voglia identificarsi con il Paese ospitante o un’integrazione effettiva. La nuova legge prescinde da entrambi.

5. 
La nuova legge utilizza l’istituto della cittadinanza per affrontare il vero e diverso problema dell’immigrazione(“facciamo cittadini il maggior numero possibile di immigrati”).
Si rovescia il problema. Si dice: “diamo la cittadinanza agli immigrati per integrarli”. Invece, la cittadinanza – come visto – segue l’integrazione.
In sostanza, la nuova norma rischia di funzionare come “specchietto per le allodole”, ossia per attirare stranieri in Italia – e incentivare così la già problematica situazione migratoria – al solo fine di far acquisire la cittadinanza ai figli, senza alcun legame effettivo con la comunità che li riceve.

5. 
Il nuovo testo attua una gravissima frattura al principio di unità familiare.
Soprattutto, con l’attuazione della nuova legge si verifica una distorsione evidente a livello familiare, in quanto si costituiranno nuclei familiari composti da genitori stranieri temporanei (con permesso si soggiorno) e figli italiani con passaporto italiano.
Ciò comporta gravi problematiche, non solo in termini di ricongiunzioni familiari, ma anche di tutela del nuovo cittadino italiano (magari ancora minore), tornato al proprio paese o all’estero, in relazione ad usi e costumi profondamente diversi dai nostri.

6. 
La nuova norma prevede poi una sostanziale “sanatoria” per gli stranieri di tutte le età attualmente presenti sul territorio italiano. Le disposizioni transitorie della legge prevedono infatti che l’acquisto della cittadinanza iure culturae si applichi anche allo straniero, in possesso dei requisiti (in Italia entro i 12 anni e 5 anni di studio senza esami), che abbia superato i 20 anni e risieda sul territorio da almeno gli ultimi 5 anni. Ritengo questa una vera e propria norma sanante. Anche uno straniero adulto e assente per anni dall’Italia, se rientrato negli ultimi anni, senza particolari permessi di soggiorno, potrebbe ottenere la sanatoria

Si sarebbe potuto ben altrimenti affrontare il problema senza derive ideologiche.


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