di Matthew Hanley Senior Fellow al National Catholic Bioethics Center di
Filadelfia. L’articolo qui tradotto è stato
pubblicato il 20 settembre 2017 sul quotidiano online The Catholic Thing, diretto a Washington da Robert Royal, con il
titolo Gender Ideology
as Abuse.
Bentornati il
football e l’aria frizzante dell’autunno, anche se essere tifosi di certe
squadre (come i miei San Francisco 49ers) richiederà anche quest’anno un atto
di fede soprannaturale. Per Bennet Omalu, però, il “dottore dei
traumi” (è stato soprannominato così per il ruolo di primo piano che ha avuto
nello studio della questione), questo è un periodo dell’anno triste. Medico
legale capo della contea di San Joaquin, in California, ha recentemente detto
che se si lasciano i ragazzi giocare a football andrà a finire che prima o poi
interverrà un qualche procuratore distrettuale. Il football, infatti, afferma Omalu,
«è abuso sui minori bello e buono».
Con tanti abusi
veri da combattere, un’affermazione fuori luogo come
questa suona decisamente come una stecca, anche se in verità qualcosa da
dire control’idea che dei ragazzi giovanissimi si
prendano a testate c’è. Ma il fatto è che qualcuno questa bizzarra crociata
contro il football la prende seriamente. Quasi seriamente quanto la crociata
per la normalizzazione della “fluidità del gender”.
Mi è appena
capito d’imbattermi nel fascicolo datato Estate 2017 dello Stanford
Medicine News, il cui servizio principale s’intitola Young and
Transgender: Caring for Kids Making the Transition, “Giovani e transgender:
la cura dei ragazzi che fanno il passaggio”. Nel testo si esaltano gli sforzi
che una endocrinologa pediatrica profonde per “aiutare” questi ragazzi...
mediante l’impiego di bloccanti della pubertà e di altre cose così. Dunque
adesso bloccare la pubertà significa dare assistenza sanitaria? «Trattare gli
adolescenti transgender con ormoni», dice l’endocrinologa, «significa
affermarne l’identità». Cioè metterli sotto i ferri è solo un modo diverso di
dire che maturando normalmente il loro corpo cresce sbagliato.
Non ce l’ho
specificamente con lo Stanford
Medicine News. Oggi l’appiattimento sull’agenda
transgender è infatti una epidemia. Per esempio, l’edizione più recente
del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ha
rimpiazzato la vecchia diagnosi di “disordine dell’identità di genere” con
l’espressione “disforia” di genere. Dato che – et voilà –
non c’è più alcun “disordine” da trattare psichiatricamente, la scelta giusta
diventa necessariamente la mutilazione (mediante ormoni e chirurgia).
Dal canto
proprio, avendo evidentemente perso il senno, l’American
Psychiatric Association (APA) afferma tranquillamente che non è vero che le
transizioni transgender derivino da illusioni o da incapacità di giudizio,
laddove per illusione s’intende «una falsa credenza o un giudizio sbagliato
affermati con convinzione nonostante prove incontrovertibili del contrario».
Per arrivare a
una conclusione così si deve però ignorare la realtà oggettiva, oppure dichiarare di volerla subordinare a una qualsiasi delle
definizioni che i pazienti intendono offrire della “propria” realtà. I pazienti
sono cioè chi dicono di essere se sono loro a dire così. Ma una volta imboccata
questa strada, nulla potrà più essere giudicato delirio; viene cioè invalidato
l’intero concetto di disordine psichiatrico. Forse che l’APA stia
involontariamente cercando di farsi le scarpe da sola?
È tristissimo
vedere come tanti professionisti intelligenti
e altamente qualificati si mostrino proni a una menzogna così palese. Forse
alcuni credono davvero ai dogmi del gender divenuti improvvisamente “ufficiali”
benché irrazionali. A mio avviso, però, la maggior parte di loro non ci crede.
Non sul serio. Ma è gente che ha facce da salvare e posti di lavori da
conservare. E che perciò si adegua.
Avere ottenuto
un tale conformismo di stile
sovietico in assenza di un politburo è un’impresa notevole. Senza dubbio un
fiore all’occhiello della postmodernità. Non peraltro che i legislatori della
California (giusto per fare un altro esempio) non stiano cercando di agire
esattamente come un politburo nella misura in cui puntano a multare
e a incarcerare il personale sanitario che non si rivolge ai
pazienti utilizzando i pronomi che ognuno di loro si è scelto da solo, vale a
dire il pronome sbagliato.
Il trionfo di
una simile disonestà intellettuale è già
abbastanza in sé e per sé; degradare gli altri costringendoli ad accettare
qualcosa che si sa essere una menzogna è il marchio tipico del totalitarismo.
Peggio ancora: “aiutare la transizione degli adolescenti”, diversamente da
quanto accade quando li si incoraggia a giocare a football o a praticare altri
sport, costituisce un vero e proprio abuso sui minori.
Lo sostiene la
dottoressa Michelle Cretella, presidente
dell’American College of Pediatricians, che ha il coraggio
di non fare giri di parole. A quanto pare, invece, molti suoi
colleghi no; in realtà, sono più numerosi i “professionisti” pronti a garantire
un patina di legittimità medica a quell’impossibilità totale di coloro che
tentano la “transizione”. Però con così tanti presunti campioni della scienza
in circolazione non dovrebbe essere necessario alcun coraggio eccezionale per
dire che i “sentimenti” non possono annullare il verdetto dei cromosomi
maschili e femminili contenuti in ogni singola cellula del corpo.
Ora, per alcuni
dire le cose come stanno è “moralistico”. Ma è invece
proprio lo sforzo fatto per imporre l’accettazione del transgenderismo a
violare il credo antimoralistico. Finché si continuerà a poter emettere giudizi
di valore, la maggior parte delle persone continuerà, persino oggi, a pensare
che i professionisti autorizzati (cioè quelli rei di abusi) sono molto, molto
più colpevoli degli adolescenti disorientati in cerca di compassione e di guida
sicura. Chi si sottopone a procedure “trans” ottiene esiti non buoni. Lo mostrano i
dati. I “guaritori” ‒ assieme alle scuole, ai media, alle aziende e
così via ‒ che pretendono che l’anormalità sia normale sono per definizione
colpevoli di abuso.
Fa niente se
corre un parallelismo inquietante fra
l’aggressione che il transgenderismo consuma ai danni della sana anatomia e la
pratica universalmente condannata della mutilazione genitale femminile. La
“transizione” viene insomma venduta come un trionfo della scienza e del
progresso, pur con l’intesa che qualche transizione non va invece tollerata
affatto. Mi riferisco, ovviamente, alla possibilità che qualcuno voglia
scrollarsi di dosso l’omosessualità a favore
dell’eterosessualità. Che questo sia vietato – in alcuni
contesti messo letteralmente fuori legge – manda a monte il gioco: il fatto
che, malgrado la classica retorica del contrario, le scelte personali vengano
inibite in modo così impressionante rivela che quel che davvero si vuole è
imporre una scelta, non esaltare la “scelta” stessa.
Lo scopo che
oggi si sta perseguendo è null’altro
che l’oblio dell’ordine e dell’etica insegnati dalla tradizione
giudeo-cristiana. Gira tutto attorno al tentativo di conquistare il potere di
ridefinire le regole; d’invertire ciò che è buono e ciò che è cattivo. Il nome
del gioco è disintegrazione totale.
Gli abusi non
sono soltanto un effetto secondario occasionale e accidentale di
una rivoluzione più ampia di cui la fluidità del gender è solo l’ultima salva
di cannone. La fluidità del gender è il cuore della questione.
Traduzione di Marco Respinti
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