“Cristo ama
tutti, ma non ama tutto. In questo senso bisogna insistere sulla dottrina
sociale della Chiesa per conoscere i criteri con i quali giudicare e costruire
la società”. Sono le parole dell’Arcivescovo
di Trieste Giampaolo Crepaldi che in questa intervista presenta la seconda
sessione del videocorso on line di Dottrina sociale della Chiesa.
In questa
intervista, nata come dialogo sugli aspetti più significativi del suo ultimo
libro, scritto con Stefano Fontana, “La Chiesa italiana e il futuro della
pastorale sociale” (Cantagalli, Siena 2017), Crepaldi spiega perché lo
studio della Dottrina sociale sia indispensabile per uscire da quel pastoralismo ideologico e anti-teologico che alberga
in molte realtà della Chiesa e che mostra sempre più la sua completa adesione
al mondo.
Eccellenza, c’è
molta confusione e a tratti disagio sul ruolo dei cattolici nel mondo, in
politica, nella vita sociale, ma anche in quella comunitaria. Ospitiamo
abortisti in parrocchia, ci approcciamo al tema dell’ideologia omosessualista
in chiave irenista. Per non parlare del ruolo dei cattolici in politica. Siamo
troppo assenti o fin troppo presenti?
Direi
afasici. I nostri sono i tempi dell’afasia dei laici. Si sono avvitati in
discussioni inutili sul partito dei cattolici. E così i cattolici in Parlamento
sono molti, ma proprio in quanto cattolici non contano nulla.
Difficile,
quando la posta in gioco è se scegliere tra Dio o l’uomo…
Ma la logica
cristiana non è o Dio o l’uomo, ma per affermare l’uomo dobbiamo sempre più
fare riferimento a Dio. La Chiesa è al mondo non per se stessa, ma per proporre
Dio. E’ importante capire che non è la Chiesa che salva, ma è Dio che salva per
suo tramite. Dio ha scelto questo strumento per realizzare il suo progetto di
Grazia.
Però la Chiesa
sembra sfiancata. I laici hanno assorbito un certo clericalismo, anche nel
rapportarsi con il mondo. Il suo libro parla del fallimento di molte iniziative
pastorali ammaliate dal pastoralismo, cioè lo sganciare la prassi dalla
dottrina.
Una comunità
non deve girare attorno al prete, ma attorno all’altare. Purtroppo si sono
imposte due correnti teologiche, quella rahneriana in Germania con la sua
“svolta antropologica”, e quella della Teologia della liberazione in America
latina che è andata in prestito dall’ideologia marxista.
Quali sono le
risposte della dottrina rispetto a questa deriva?
Direi che il
grande salto dopo quella stagione è stato rappresentato dall’irrompere sulla
scena di San Giovanni Paolo II Papa, il quale nella Conferenza di Puebla già
nel 1979 ha rilanciato sistematicamente la Dottrina sociale della Chiesa. Da
qui sono discese le grandi encicliche sociali del suo pontificato e il
Compendio di Dottrina sociale, che ad oggi rappresenta un tesoro inestimabile.
Oggi però
parlare di Dottrina sociale della Chiesa appare anacronistico e superfluo
perché sopra tutto ormai deve esserci la prassi.
Oggi si fa un
uso sistematico della Dottrina sociale della Chiesa in chiave pastoralista. Ma
è un pastoralismo che assegna priorità alla prassi. Il risultato di questo
processo però è un esserci senza sapere perché che non serve a nessuno.
Che futuro
dobbiamo attenderci?
Non ci sarà
nessun futuro se la pastorale sociale abbandonerà o trascurerà la Dottrina
sociale della Chiesa come corpus dottrinale organico capace di abilitare i
cattolici non solo a fronteggiare le patologie della società ma anche e
soprattutto a costruirne la fisiologia.
Intende dire
che la Chiesa deve tornare ad essere protagonista?
Intendo dire
che dobbiamo opporci a quella che io ho chiamato la “profezia di Vattimo”.
Vattimo?
Il filosofo
Gianni Vattimo. Negli anni ’90, quando la Democrazia Cristiana si disintegrò,
Vattimo fece una previsione che devo ammettere si è realizzata.
Quale?
Si compiaceva
della fine della Dc e dell’unità politica dei cattolici e auspicava che i
cattolici da lì in avanti avrebbero pensato esclusivamente alla patologia
sociale perché alla fisiologia sociale “avremmo pensato noi”, diceva.
Cioè: i
cattolici si occupino a curare i malati, mentre a studiare le cause delle
malattie ci pensano altre ideologie?
Esatto. Ma
questo ha relegato la presenza dei cattolici ad assenza, a non analizzare i
mali della società, limitandosi solo alla cura dei suoi effetti. In questo modo
le cause del male sono definite ed affrontate da altri.
Eppure oggi
basta utilizzare la parola dialogo per essere accreditati dal mondo.
Ma Gesù non
ha mai usato la parola dialogo, non c’è una sola volta nel Vangelo che Gesù
abbia “dialogato” così come lo intendiamo noi oggi. Anzi, direi che non c’è
giorno della sua vita pubblica che Gesù non lo abbia passato a litigare.
Ovviamente è un’iperbole, ma è per far comprendere che Cristo ci ha detto che
dobbiamo amare tutti, ma non dobbiamo amare tutto. Ecco perché il laicato va formato,
affinché abbia quei criteri per giudicare la realtà senza lasciarsi dettare i
tempi e i modi da altri.
Un nuovo
protagonismo comporterà però scelte precise, decisioni impopolari, un annuncio
che diventa politicamente scorretto sui temi sui quali oggi si gioca la
battaglia: la vita, la famiglia, l’antropologia…
Infatti
bisogna smetterla di pensare che sia un peccato se i cattolici sono militanti.
L’alternativa è il fatto che oggi, penso ad esempio al Parlamento, i cattolici
non contano ormai nulla.
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