giovedì 16 maggio 2024

ATTENTATO A ROBERT FICO

QUELLO “SDEGNO” GENERALE CHE NASCONDE LE DOMANDE SBAGLIATE

Renato Farina

Ieri il presidente slovacco Robert Fico è stato gravemente ferito in un attentato da parte di Juraj Cintula, 71enne di sinistra. Tutti hanno espresso "sdegno"

L’attentato al premier slovacco Robert Fico non si sottrae alla consueta domanda: a chi giova? Per un momento mi permetto di sfuggire a questo interrogativo classico, introdotto dal grande Seneca, e certo utile a individuare il mandante.

Un attimo, fermiamoci. Incentrare l’analisi geopolitica sull’a-chi-giova rischia di allontanarci dalla questione più seria e grave: si può uccidere? Ci può essere una buona ragione per cui sparare a un leader diventa lecito e persino necessario?

Oggi tutti i leader del mondo, dei contrapposti fronti, si dicono “scioccati” dal fatto e lo condannano: da Biden a Meloni, da Putin a Zelensky, da Macron a Orbán, usano tutti le stesse parole. E si dichiarano solidali con l’uomo che si dibatte tra la vita e la morte, vicini alla famiglia e al suo popolo. Mentono? Praticano la retorica della convenienza? In realtà essi – siano tutti più o meno sinceri – sanno però che esiste al fondo di loro stessi e di ciascuno dei loro interlocutori un giudizio originario, che precede l’ideologia, su quanto sia preziosa la vita di ogni persona, e che esiste un livello della coscienza della gente comune che non accetta la logica dell’omicidio, neppure per una supposta buona causa.

Dunque è il tempo giusto, se mai ce n’è uno, per dire: nessuna uccisione giova alla pace. Nessuna guerra “giova alla pace”.

A chi giova attentare a Mr. Fico? A nessuno! Fa precipitare un millimetro in più verso l’abisso l’intera umanità. La risposta dev’essere proprio questa. Bisogna avere il coraggio di guardare al fatto in sé, al male che è intrinsecamente davanti ai nostri occhi.

Da qui può e deve partire l’analisi geopolitica, che non ne viene affatto svilita. Esiste infatti la necessità di declinare il giudizio essenziale nella situazione contingente.

Sono due momenti che non vanno tenuti separati. Sono certo distinti, ma guai a cambiare la tavola dei valori nel passaggio dal giudizio su uno specifico fatto omicida (choc, sgomento, condanna) e quello sul contesto di guerra che alla fine è un continuo susseguirsi di omicidi, dove certo ci sono aggressori e aggrediti, ma il sangue versato da ambedue i fronti “grida vendetta al cospetto di Dio”,  e accusa l’incoscienza di chi nulla fa per impedire che la strage continui.

L’appello inesorabile, instancabile, fremente, di papa Francesco – in totale coerenza con i predecessori – ad una tregua delle armi, l’invito perché la diplomazia trovi strade creative ad una soluzione che mitighi il dolore degli inermi, si pone esattamente in continuità non solo morale ed esistenziale, ma persino geopolitica, con il non-uccidere. Un ordine mondiale, che mai sarà perfetto, ma esprima l’anelito di concordia e di pace che sta al fondo di ogni popolo, può trovare forma solo nella condanna della violenza senza se e senza ma, e nelle decisioni conseguenti dei capi delle nazioni.

Ed eccoci con lo sguardo sulla Slovacchia, Paese di 5,5 milioni di abitanti. Robert Fico non è amato dalla stampa internazionale. In certe ricostruzioni della sua storia umana e politica già consegnate ai quotidiani online in queste ore non si nasconde il disprezzo nei suoi confronti, l’idea che puntasse alla autocrazia. Si sottolinea il suo cinismo, l’“avidità di potere”, si stigmatizza la sua appartenenza allo schieramento dei leader occidentali più vicini a Putin. Fico, giovane comunista al tempo della caduta del muro di Berlino, ha saputo poi indossare parecchie divise e sventolare bandiere di colori alternativi. Fondatore del Partito socialdemocratico (Smer-SD) oggi è qualificato populista di sinistra. Considerato il premier dell’Unione Europea più vicino a Orbán, non vuole che si consegnino armi agli ucraini.

Dimessosi nel 2018, travolto dalle polemiche per certe sue ambiguità – vere o supposte – a proposito dell’assassinio del giornalista Ján Kuciak che aveva investigato sulla penetrazione della ’ndrangheta in Slovacchia, era tornato imprevedibilmente al potere lo scorso anno. Si dichiara insieme favorevole alla democrazia ma non a quella liberale.

Il killer, subito fermato dopo aver sparato a Fico, in compenso è un poeta e scrittore, militante progressista, forse in passato agente di sicurezza e poi fondatore di un partito non-violento. Per mesi a Bratislava si sono succedute in piazza manifestazioni antifasciste. L’antagonismo si è radicalizzato durante le elezioni presidenziali che hanno visto trionfare il candidato di Fico, anche se con posizioni più moderate, Peter Pellegrini, di ascendenze italiane, il quale non è ancora entrato in carica.

Non c’è leader neppure locale, di destra o di sinistra, che non si dica sdegnato per l’attentato a Fico. Ma a chi giova? A nessuno! Servisse almeno a un esame di coscienza fermando la spirale dell’odio. Ma è difficile, spes contra spem.

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FOSSE COMUNI IN CANADA, SMENTITA LA CAMPAGNA DENIGRATORIA ANTICATTOLICA

Niente resti umani, solo una grande bugia per screditare la Chiesa: è l'unica vera "scoperta" a tre anni di distanza dalla campagna denigratoria, con tanto di chiese vandalizzate e di mea culpa papale.

La scoperta di "fosse comuni" di bambini indigeni canadesi nella primavera del 2021 era una grande bugia per screditare la Chiesa cattolica. Tre anni dopo quelle segnalazioni, a causa delle quali 85 chiese hanno subito incendi e vandalismo, le fosse comuni non sono state trovate.

proteste in Canada: era tutto falso!

Nonostante le dicerie contro la Chiesa cattolica fossero già state smentite negli anni precedenti, tre anni fa in Canada era scoppiata l'incredibile e scandalosa narrazione che confermava ogni pregiudizio immaginabile dei circoli liberal, socialisti ed atei contro i cristiani ed in particolare i sacerdoti cattolici e le loro opere caritative: non erano i comunisti che mangiavano i bambini, erano preti e suore che li lasciavano morire di fame, stenti e malattie. Una fossa comune contenente i resti di bambini indigeni sarebbe dovuta venire alla luce sul terreno di quello che un tempo era stato un collegio governativo statale gestito dalla Chiesa cattolica.

Ora si scopre che l'intera faccenda non era altro che una moderna calunnia conclusasi, ad oggi, con almeno 85 chiese cattoliche in tutto il Canada distrutte da incendi dolosi, vandalizzate o profanate. Non c’è alcun minimo dubbio che una tale campagna disonorevole e denigratoria – sin da subito sostenuta da Papa Francesco e da una parte del clero canadese – provocherà una ulteriore diminuzione dei fedeli e dei praticanti cattolici e cristiani nel Paese, già in calo di quasi 2 milioni di credenti negli ultimi 10 anni, secondo il censimento canadese dell’ottobre scorso sono diminuiti da 12,8 a 10,9 milioni nel 2021.

I leader politici, in testa l’attuale primo ministro Justin Trudeau, avevano giustificato la distruzione degli edifici di culto cattolici e cristiani nel luglio 2021, dicendo che pur essendo sbagliati, la rabbia era assolutamente «comprensibile data la storia vergognosa di cui tutti stiamo diventando sempre più consapevoli». Ebbene ad oggi, nessun resto umano è stato recuperato nel sito della presunta fossa comune, nonostante quasi 8 milioni di dollari spesi dal governo federale per cercarli e le prebende milionarie assegnate alle popolazioni indigene per le supposte violenze subite dai loro bimbi.

Il Manifesto 11/1/22 denuncia il genocidio
 di 50.000 bambini indigeni
ma oggi tace
La mera esistenza storica di questi ex collegi, che hanno operato dal 1860 al 1990, rimane una fonte di indignazione tra i canadesi liberal, perché in quelle scuole si diventava buoni cristiani e buoni cittadini. Il sistema scolastico residenziale, come veniva chiamato, spesso separava i bambini indigeni canadesi dalle loro famiglie e comunità, costringendoli a frequentare scuole governative sottofinanziate, il cui scopo era quello di assimilare e acculturare gli indigeni canadesi all’interno della società occidentale ed europea canadese.

I preti e le suore cattoliche che gestivano la “Kamloops Indian Residential School” nella Columbia Britannica avevano, secondo la vulgata, gettato i cadaveri di centinaia di scolari morti in fosse comuni nel cortile della scuola. Grandi testate massmediatiche come la CNN, la NPR e la “Canadian Broadcasting Corporation avevano semplicemente e senza alcuna verifica rilanciato e promosso la narrazione nei termini più scandalosi e disonorevoli iperbolici possibili. La CNN l’aveva definita una scoperta «impensabile», il New YorkTimes «l’orribile storia», mentre per il Washington Post era la conferma dell’orrore dei maltrattamenti dei popoli indigeni da parte del Canada e delle conversioni forzose al cattolicesimo. Il primo ministro Justin Trudeau aveva ordinato di abbassare le bandiere a mezz'asta e chiesto a Papa Francesco di recarsi in Canada per chiedere perdono, cosa che il Papa fece nel 2022, scusandosi per il vergognoso trattamento e chiedendo alla Chiesa canadese una profonda umiliazione per le pratiche inaccettabili del passato. (sic!)

L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva dichiarato che si trattava di «una violazione dei diritti umani su larga scala» ed i leader tribali canadesi avevano accusato preti e suore assimilandoli ai nazisti per aver compiuto un tentativo di genocidio. Questo è stato il carburante di menzogne e improvvide ammissioni di colpe mai commesse che ha alimentato incendi e vandalismo verso le chiese in tutto il Canada, la maggior parte delle quali cattoliche e alcune vecchie di più di un secolo, rase al suolo per rappresaglia.

Ebbene in quasi tutti i casi, non si trattava di fosse comuni, ma di fosse individuali che si trovavano nei cimiteri dove erano sepolti anche sacerdoti e suore, tombe non contrassegnate e croci di legno marcite perché il governo si rifiutava di pagare per le lapidi. Tutto già noto grazie ad un rapporto pubblicato nel 2015 dalla “Commissione per la verità e la riconciliazione”. Quindi non c'è stato né insabbiamento, né abusi, né fosse comuni, nonostante i milioni di dollari spesi. La velenosa diceria, parte del progetto di demolizione della storia e civiltà occidentale cristiana, è servita anche in questo caso per screditare la Chiesa cattolica ed i suoi sacerdoti, distruggere chiese e provocare un panico morale generalizzato. Cui prodest? Telefonare ad Ottawa e Città del Vaticano per informazioni.

LUCA VOLONTE' lanuovabussola

 https://ilmanifesto.it/il-genocidio-dei-bambini

11 gennaio 2022

PER NON MORIRE AL VERDE

 

PER NON MORIRE AL VERDE

“Il livello di follia che stiamo toccando con la transizione verde è troppo esagerato, troppo folle; insomma troppo tutto per non essere raccontato”. Fabio Dragoni apre con questi toni incendiari, da toscano doc, il libro Per non morire al verde (Edizioni Il Timone).

E mantiene le promesse visto che lo stesso Chicco Testa, nella sua contro-prefazione, risponde così: “Mi sono divertito a leggere il libro di Dragoni”. Pur ritenendo “probabile” che vi sia “anche” un contributo umano nel riscaldamento globale, Testa diffida di chi lo considera “completamente determinante” e riconosce che vi è “una certa parte del mondo scientifico, non la maggioranza, ma questo poco vuol dire perché fra quei nomi vi sono scienziati di livello assoluto, che la pensa diversamente” rispetto all’ideologia catastrofista sul clima.

Naturalmente Dragoni – che da vecchio bocconiano è documentato e rigoroso nell’analisi dati – attinge a quella letteratura scientifica dissidente e agli esperti non allineati al pensiero mainstream, ma il tono del libro è brillante e la lettura – che consiglio a tutti – è agile e divertente.

Addirittura esilarante dove snocciola le famose “profezie” con cui gli eco-apocalittici alimentano da anni l’allarmismo in forza del quale poi si pretendono misure green tanto draconiane quanto inefficaci e spesso costosissime e dannose.

Una “profezia” per tutte: “Intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della Terra a causa dell’innalzamento del livello del mare, se il trend del riscaldamento globale non viene invertito prima del 2000”, così annunciava l’Associated Press, il 29 giugno 1989.

Il 2000 è passato da un quarto di secolo e l’apocalisse acquatica non si è vista. Ma catastrofista più famoso è l’ex vicepresidente Usa Al Gore che nel 2009 tuonava: “La calotta polare artica potrebbe scomparire in cinque/sette anni”. Invece la calotta sta ancora lì e al Polo Sud la superficie ghiacciata è addirittura cresciuta di 5.304 km quadrati.

Queste profezie catastrofiste si sono rivelate tutte sbagliate, eppure la narrazione apocalittica continua spostando la fine del mondo sempre più in là.

Peraltro negli anni Settanta – al contrario di oggi – si riteneva che il mondo non fosse minacciato dal riscaldamento, ma da una glaciazione: “Gli scienziati americani vedono in arrivo una nuova era glaciale. Se questo declino delle temperature si mantiene costante per cinque-dieci anni, questo sarebbe sufficiente a innescare una glaciazione” (Washington Post, 9 luglio 1971).

A dimostrazione di quanto poco sappiamo tuttora del clima e di quanto siano inattendibili certe previsioni a lungo termine. Anche perché il clima è sempre cambiato, fin dall’origine del mondo, e sempre cambierà(com’è noto nel Medioevo faceva più caldo di oggi): ha le sue leggi e i suoi cicli governati da fattori immensamente più potenti dell’uomo (per esempio il sole).

Questa è la convinzione di molti scienziati a cui aderisce Dragoni che, nel suo libro, si diverte – dati alla mano – a demolire uno per uno tutti i pilastri della narrazione catastrofista.

Il principale riguarda la “famigerata” anidride carbonica che gli apocalittici vorrebbero mettere al bando, ma che in realtà non è un inquinante, anzi è la base stessa della vita.

Un altro riguarda la presunta desertificazione (che non c’è). Basti un dato: la superficie verde in Italia è crescita del 25% negli ultimi trent’anni e del 75% negli ultimi ottanta. Questo è il verde davvero utile. Prezioso.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 maggio 2024

 

mercoledì 15 maggio 2024

PIZZABALLA: CARATTERI E CRITERI PER UNA PASTORALE DELLA PACE

 Pace in Terra Santa. Il patriarca di Gerusalemme ne indica la strada

A giudizio del cardinale Pierbattista Pizzaballa, in Terra Santa sta accadendo una tragedia che “è senza precedenti”. Senza precedenti e senza soluzioni già scritte, di una gravità unica al mondo. Perché è così immenso il carico di dolore, di conflitti, di incomprensioni accumulato nel tempo che una pace vera potrà lì germinare “solo dopo un lungo percorso di purificazione della memoria”, politica e religiosa.

Pierbattista PIZZABALLA

Pizzaballa, 59 anni, bergamasco, frate francescano, studioso della Bibbia e dell’ebraismo, per dodici anni custode della Terra Santa, è dal 2016 patriarca di Gerusalemme dei Latini. Il 10 ottobre 2023, tre giorni dopo la strage compiuta da Hamas con più di 1200 vittime inermi e col sequestro di oltre 240 persone di tutte le età, egli offrì se stesso in cambio della libertà dei bambini presi in ostaggio. Il suo nome è da annotare per un futuro conclave.

Il suo giudizio sulla guerra in corso a Gaza e sull’azione che la Chiesa vi può svolgere l’ha espresso nella “lectio magistralis” che ha tenuto a Roma il 2 maggio nell’aula magna della Pontificia Università Lateranense, col titolo

“Caratteri e criteri per una pastorale della pace”.

 È una “lectio”, la sua, di cui è doveroso tenere conto, tanto è originale e impegnativa, applicata a una situazione per molti aspetti indecifrabile. Non c’è analisi o soluzione, infatti, tra quelle in corso per ebrei e palestinesi, che non si riveli irrealizzabile o contraddittoria. Anche l’opzione per i due Stati, pur continuamente evocata, allo stato attuale dei fatti è una pura astrazione.

Alla parola “pace”, dice Pizzaballa, occorre anzitutto ridare il suo significato pieno. È “una realtà che viene da Dio e dalla relazione con lui”, è il “compimento delle promesse messianiche”, è la pace “annunciata da Gesù risorto”. Quindi “ogni azione pastorale della Chiesa, come ogni sua opera sociale, non può esser mai in nessun modo disgiunta dall’evangelizzazione”. E chi evangelizza sa che deve “annunciare la pace anche ai nemici, proprio come fece Pietro a Cornelio, che era – e non bisogna mai dimenticarlo di questi tempi – centurione delle forze militari che occupavano la sua terra”. Al fratello-nemico bisogna andare incontro anche con la consapevolezza del proprio limite, della propria debolezza, come Giacobbe che quando abbracciò Esaù era zoppicante e stremato per la sua lotta con l’angelo, eppure arrivò ad esclamare: “Ho visto il tuo volto come si vede il volto di Dio” (Genesi 33,10) 

Ma oltre che realtà divina, la pace è una realtà umana e sociale. Che è molto di più che tregua, armistizio, assenza di guerra, perché “si fonda sulla verità della persona umana”. Solo “nel contesto di uno sviluppo integrale dell’uomo, nel rispetto dei suoi diritti, può nascere una vera cultura della pace”, con i suoi testimoni di cui “il mondo ha quanto mai bisogno, anche a costo di essere perseguitati e tacciati come utopici e visionari. Per la pace si deve rischiare, sempre. Si deve essere disposti a perdere l’onore, a morire come Gesù”.

Di conseguenza, “il nostro stare in Terra Santa come credenti non può rinchiudersi in intimismo devozionale, né può limitarsi solamente al servizio della carità per i più poveri, ma è anche ‘parresìa’” (cfr. Giovanni 16,8-11), cioè “capacità di ascoltare tutte le voci, ma anche di giudicare criticamente e profeticamente il presente”.

Da qui nasce, a giudizio di Pizzaballa, una “responsabilità essenziale” per le leadership religiose in Medio Oriente, tutte, quella di saper orientare e guidare le comunità: “Invece di essere il supporto religioso di regimi politici poco credibili, la leadership religiosa dovrebbe diventare una voce libera e profetica di giustizia, diritti umani e pace”.

La fede religiosa, infatti, “ha un ruolo fondamentale nel ripensamento delle categorie della storia, della memoria, della colpa, della giustizia, del perdono, che pongono in contatto direttamente la sfera religiosa con quella morale, sociale e politica. Non si supereranno i conflitti interculturali se non si rileggono e si redimono le letture diverse e antitetiche delle proprie storie religiose, culturali e identitarie”.

E questo “anche a costo di pagare un prezzo alto in termini di solitudine, incomprensioni e rifiuto”.

PER CAPIRE COSA ACCADE IN UNIONE EUROPEA

CON LE REGOLE DI BRUXELLES L’ECONOMIA EUROPEA NON POTRÀ MAI CORRERE COME QUELLA AMERICANA

“Potrà mai l’economia europea sperare di competere con quella Usa?”, si chiede il Financial Times. La risposta è no. Ecco perché. Il commento di Giuseppe Liturri su Startmag

Ursula von der Leyen
 “Potrà mai l’economia europea sperare di competere con quella USA?” è il titolo di un articolato approfondimento che occupa una intera pagina del Financial Times di oggi.

Domanda che appare retorica sin dal titolo, perché la risposta è no.

Partendo dai risultati, per poi risalire alle cause, oggi c’è un baratro tra le due aree.

Un dato su tutti: rispetto al livello pre-pandemico, il PIL USA è cresciuto del 8,7%, più che raddoppiando la modesta crescita del 3,4% registrata nell’Eurozona. Il reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto è circa il 30% inferiore a quello USA. La chiave sta nel livello di investimenti, particolarmente quelli nelle tecnologie digitali avanzate, dove gli USA macinano record in termini di brevetti depositati. Rispetto al livello pre pandemico, la crescita degli investimenti oltreoceano è stata del 8%, mentre nell’eurozona siamo ancora a -4%.

Basso livello di fiducia dei consumatori, investimenti pubblici e privati che languono (di pari passo con un elevato tasso di risparmio), mercato del lavoro ingessato, sono le prime cause che vengono elencate. E la produttività è lo specchio fedele del gap negli investimenti: negli Usa corre, nell’eurozona ristagna.

Le soluzioni: investire nell’intelligenza artificiale. Facile, come non averci pensato prima? Al Financial Times t non hanno timore di scadere nell’aneddotica da bar dello sport, quando citano l’esempio di un “chatbot” (un software che simula ed elabora conversazioni con un essere umano) che alla Siemens aiuta a risolvere problemi di funzionamento dei macchinari. Peccato che a proporre tutta questa meraviglia sia il capo di Microsoft Europa, “forse” in leggero conflitto di interessi.

Non ci risparmiano nemmeno la solita solfa sulle imprese grandi che investono in ricerca e sviluppo, mentre quelle medio – piccole sono ancora all’epoca della scoperta della ruota.

Poi, lentamente, arrivano alla “scoperta dell’America” (letteralmente): il deficit/PIL negli USA è leggermente più del doppio rispetto a quello dell’Eurozona (nel 2024 6,5% contro il 2,9%) e promette di rimanere nei prossimi anni intorno al 6-7%, mentre nell’Eurozona siamo avviati verso un periodo di consolidamento di bilancio. Quindi ancora meno investimenti pubblici, a meno di non voler pensare di tagliare istruzione, sanità e pensioni.

Un’economia strutturalmente impostata sulla moderazione salariale e il taglio dei consumi privati e della spesa pubblica, fondata sulle due facce della stessa medaglia di risparmio e elevato export, non poteva che presentare un salatissimo conto.

Ricette che negli anni ’20 del secolo scorso richiesero regimi dittatoriali in Italia e Germania per la loro applicazione, e che ci fecero sprofondare in una crisi durissima, con il tragico epilogo della seconda guerra mondiale. Quando venne meno il consenso, perché nessuno ci credeva, poi arrivò la coercizione delle dittature.

E, dopo circa un secolo, siamo ancora là, con la forbice Eurozona-USA che ha cominciato ad aprirsi all’inizio del millennio. Epoca di cui non ricordiamo eventi particolarmente rilevanti dal punto di vista economico o, forse, li ricordiamo troppo bene.

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tratto da Startmag

Con le regole di Bruxelles l'economia europea non potrà mai correre come quella americana - Startmag

 

martedì 14 maggio 2024

NON BASTA STARE DALLA PARTE GIUSTA

È pericoloso confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa. Ma succede nella narrazione delle guerre in Ucraina e Palestina. Una volta condannati aggressione russa e crimini di Hamas, e violazioni del diritto, non è bastato stare dalla parte giusta per sconfiggere il male.

La solidarietà e il sostegno militare a Kiev si stanno risolvendo nell’ agonia infinita del Paese, senza tenere conto della sproporzione delle forze e della superiorità decisionale del regime russo, mentre Europa e Stati Uniti tergiversavano. Non c’è possibilità di vittoria per l’Ucraina, al punto che dietro le quinte si comincia a pensare a una spartizione del Paese, in pratica il ritorno allo scenario iniziale.

L’orrore per i crimini di Hamas ha oscurato le obiezioni alla reazione di Gerusalemme. Con il risultato che Israele ha perso molti punti nel mondo. Il paradosso è che la più forte critica a Netanyahu sia espressa dalla società civile israeliana.

Nell’analisi del conflitto in Ucraina, le voci critiche sono state zittite come filorusse, mentre la russofobia dilagante confondeva disegni criminosi di Putin con storici legami economici e culturali con la Russia. Il risultato è il profilarsi di una sempre più stretta alleanza/convergenza d’interessi e solidarietà militare fra regimi e autocrazie: Russia, Cina, Iran, Corea del Nord.

 

Le critiche all’offensiva a Gaza sono state considerate un rigurgito di antisemitismo, una fuorviante confusione fra popolo ebraico e governo di Gerusalemme. I rigurgiti di antisemitismo sono una pericolosa realtà che investe le società occidentali e condiziona le elezioni americane.

 

Infine sta peggiorando la percezione del Sud del mondo, dall’Africa al Sud America, nei confronti del «triangolo del bene» Occidente/Ucraina/Israele.

 

Naturalmente, si può continuare a pensare alla realtà come vorremmo che fosse. Quindi continuare a riempire di armi l’Ucraina, prolungandone l’agonia e sostenere senza riserve Israele, per evitare l’accusa di antisemitismo. Ma è il caso di chiedersi se le vittime di questa narrazione non siano coloro che vogliamo difendere: ucraini ed ebrei. E, in ultima analisi, l’Occidente libero.

Non farebbe male un po’ realismo che tenesse conto dei rapporti di forza, degli interessi reciproci, della Storia.

Anziché Churchill, sarebbe il caso di citare Kissinger e ricordare che il mondo di oggi è uscito da Yalta e non dalle Crociate.

 

MASSIMO NAVA

 

Tratto da il corriere della sera

lunedì 13 maggio 2024

ENZO PICCININI. SENZA MISURA

 A 25 ANNI DALLA MORTE, ECCO CHI ERA QUESTO MEDICO CIELLINO ORA SERVO DI DIO, un “fenomeno della natura” trasformato fin nel temperamento dall’incontro con l’esperienza cristiana integralmente umana di don Luigi Giussani

Pier Paolo Bellini

Il testo pubblicato di seguito per gentile concessione dell’editore Rizzoli è un estratto del libro “Amico carissimo. Enzo Piccinini nelle sue parole e nei racconti di chi lo ha conosciuto”, scritto da Pier Paolo Bellini e Chiara Piccinini, in uscita il 1 maggio e già acquistabile online (336 pagine, 13 euro).

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Chi era Enzo Piccinini? A guardarlo da fuori un “fenomeno della natura”, un uomo che dormiva poco, che viaggiava molto, che lavorava sodo, che aveva forti passioni, che entrava dentro la vita degli altri, un uomo coraggioso e provocatorio… Eppure, dietro a tutto questo, per chi aveva l’occasione di sbirciare dentro al fenomeno, emergeva un uomo totalmente entusiasta perché radicalmente abbracciato e, per questo, infinitamente generoso.

La tempra e il carattere indomito avevano trovato il loro ambiente più congeniale nell’incontro con un’esperienza cristiana integralmente umana: da qui, una miscela esplosiva che progressivamente toglieva campo agli aspetti “spettacolari” per lasciare sempre maggior spazio a ciò che lo entusiasmava, l’abbraccio di Cristo, arrivato prepotentemente nella sua vita attraverso l’amicizia unica con don Luigi Giussani.

Ho lavorato per quasi tre anni insieme a Chiara Piccinini, la figlia maggiore, per incontrare di nuovo Enzo: non si trattava appena di ricostruire immagini (ormai sbiadite) da quel lontano 26 maggio del 1999, ma di fare memoria di ciò che costituisce il nostro modo di guardare le cose, pur dentro le nostre piccolezze e tradimenti. Si trattava di riprendere in mano (attraverso le parole di Enzo custodite nell’archivio della Fondazione) le radici dello sguardo che portiamo nel cuore, che portiamo nel mondo. Insieme a tanti amici.

Nel cuore… «Ma che cos’è il cuore?», ci chiedeva. «Il cuore non è mica quell’insieme di sentimenti… no! È il cuore biblico, è quello per cui l’uomo è uomo, quell’insieme di evidenze, di esigenze originali, per cui noi facciamo tutto: il bello, il vero, il giusto, il desiderio di amare e di essere amati. In queste quattro cose, è inscrivibile tutto, tutti i tentativi che l’uomo fa da quando incomincia ad aprire gli occhi. È il desiderio di felicità: è ciò per cui noi ci alziamo ogni mattina, ci innamoriamo, facciamo famiglia, andiamo a lavorare, studiamo, andiamo a giocare. Per essere felici: viviamo tutta la vita per questo. La vita è unita se si mette il cuore in quel che si fa. Siamo noi stessi solo se possiamo mettere il cuore dentro quel che facciamo. Il cuore è quel “detector”, quella cosa che abbiamo dentro infallibile per cui ci alziamo la mattina e abbiamo voglia di essere contenti».

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Così Enzo Piccinini «ha cambiato e continua a cambiare il cuore di chi lo incontra»

Un detector: allora come oggi prezioso, delicato, a rischio. Allora come oggi serve un innesco, perché il potere (oggi semplicemente più scaltro) lo sente come principale nemico. L’innesco è sempre lo stesso: «Che cosa sveglia? Un’idea? No. Un discorso? Tanto meno. L’unica cosa che sveglia è un incontro. Che ci sia una presenza, gente guardando la quale ci si accorge che ciò che desidera il cuore c’è. Noi abbiamo bisogno di una stima di noi stessi, e c’è solo se siamo stimati, originalmente stimati. La scoperta di essere creati è questa positività estrema sulla nostra vita, di uno che ci vuole così, così come siamo. Non importa se il tuo carattere non è come quel carattere che vorresti: lascia perdere, perché sei unico, irripetibile, sei voluto ed amato. Cosa vuoi di più? Scopri che sei fatto, anzi, c’è Qualcuno che ti fa in questo momento, sei voluto allora come adesso. Scopri questo, per favore! È come innamorarsi per sempre!».

Sei voluto adesso, allora come adesso: «Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani». Più volte Enzo riprendeva questa imagine di Isaia, più o meno con queste parole: «Quando avevamo il compito in classe, al liceo, e la professoressa non faceva passare niente (neanche i famosi bigliettini arrotolati nelle parti più impensabili del corpo), ricordo che scrivevo sul palmo della mano (per poterle sbirciare nel momento decisivo) le formule essenziali, le cose più importanti, quelle che permettono di risolvere i problemi. Pensate: Dio ha scritto il mio nome sul palmo della Sua mano! Ha scritto il nome di ciascuno di noi sul palmo della mano! Vi rendete conto di che razza di stima ha in ogni momento per ciascuno di noi?».

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Scoprire questo è come innamorarsi per sempre! E un innamorato è attento a tutti i particolari, li rivaluta tutti come succede nell’esperienza di un grande amore: «Il seme ha un meccanismo e un dinamismo strano nella terra, è inesorabile: la muta, la cambia. Il suo cadere nella terra cambia quella terra… Il mio mattino, il mio mangiare, il mio lavorare, l’ora del dolore, l’ora dell’ingiustizia, l’ora della ribellione, l’ora della tentazione, l’ora della gioia, l’ora dello studio, l’ora dell’affetto è seminata dal vero».

«Il momento della cena era quello più atteso: facevamo a gara a sedere vicino a lui per poterlo sentire parlare – il posto migliore era quello davanti a lui, lo potevi guardare in faccia – e gli chiedevamo di tutto, letteralmente di tutto. Dalla vita del Clu alla politica nazionale e internazionale, consigli sui libri da leggere e film da vedere, e poi questioni personali, la vita di tutti i giorni» (Assuntina Morresi).

«Ricordo perfettamente una partita molto, molto combattuta, caratterizzata da un’energia che, per me, era assolutamente inadeguata – cioè, io ho uno spirito competitivo, ma in quella partita sembrava di giocare la finale di Coppa dei Campioni! Finita la partita, ci siamo tutti trasferiti alla sede di Cl e insieme abbiamo cenato. Con la stessa intensità si è intavolata una discussione» (Tommaso Agasisti).

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Vent’anni senza Enzo. Con Enzo

Perché parlare di Enzo Piccinini significa stare sulla notizia

«Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito», diceva Romano Guardini: «Accade quando incominciamo a capire che tutte le cose sono fatte in questo momento, e che una mano ce le porge proprio adesso. Quel quaderno che hai tra le mani, quella giacca che indossi, e allo stesso modo, allargando il campo, quell’amico che hai accanto: è come se ci fosse una mano che te li dà in questo momento. Tu devi dire grazie, perché non è roba tua, e se quella cosa vuoi possederla davvero, devi ridarla a Lui». L’offerta: il vertice dell’azione umana. Raggiunto in compagnia: «“Senti, Giussani, guarda, io non voglio rubarti del tempo, perché poi adesso ho capito. C’è una cappellina e adesso io prima di andare in sala operatoria vado lì e dico una preghiera e le cose si rimettono insieme. Sono più tranquillo”. Lui scatta: “Enzo, ma che pregare e pregare! Il problema non è pregare, è che tu non sai offrire”».

«Ognuno ha un punto di fuga, quell’istante di verità che da una parte cerchi e ti rincorre, ti guarda, giudicandoti con misericordia; presente di notte, al lavoro, con gli amici, in carcere, quando ringrazi Dio e vuoi dire qualcosa da lasciare a chi ami. Per me, dal giugno del 1999 è la pagina 12 del libretto Tu sol – pensando – o ideal, sei vero. La testimonianza di Enzo del 12 dicembre 1998 agli Esercizi spirituali del Clu a Rimini. Possono dodici righe segnare la strada, la vita di un uomo come richiamo continuo, scritto e leggibile sempre all’occorrenza (e quanta occorrenza serve nella vita)? Sì. Questo credo sia il miracolo della Chiesa, che un uomo di nome Enzo abbia vissuto un rapporto così significativo con un altro uomo di nome Luigi e lo ha testimoniato a me, e io continuo a leggere a me e ai miei figli dodici righe per capire chi stava all’origine di quel dialogo che si chiamava Cristo, che io non ho conosciuto 2000 anni fa, ma incontrato ora attraverso questi amici. Se qualcuno poi avesse dimenticato quelle dodici righe, così dicono: “Enzo, ma che pregare e pregare! Il problema non è pregare, è che non sai offrire. Il tuo problema è che non sai offrire, e offrire significa che la realtà non è una cosa che hai in mano tu, non è tua, e che tutto quel che si fa è come se avesse dentro la domanda che il Signore, padrone di questa realtà, si riveli, perché è così che si vive, e tu, guarda (te l’ho detto, ma te lo ridico un’altra volta), smetterai di fare quel che fai e avrai paura di rischiare”. In fondo, quando hai davanti un santo, puoi diventare santo in una maniera semplice e drammatica: seguire, e Enzo lo ha fatto» (Antonio Simone).

Il vertice dell’umano visibile in un uomo: «L’amore è il coraggio di servire sempre… Potrai essere incoerente, potrai sbagliare mille volte, ma mai più dire: “Ho già dato”. Senza misura».

«È una gratitudine che caratterizza la mia vita. Perciò non ho paura di darla tutta».


L’agenda del 25esimo anniversario della morte

Il prossimo 26 maggio ricorrono i 25 anni della scomparsa del servo di Dio Enzo Piccinini, chirurgo emiliano, padre di famiglia e dirigente nazionale di Comunione e Liberazione. In vista di questa occasione la Fondazione a lui intitolata, insieme alla sua famiglia e al Meeting di Rimini, ha costituito un comitato per promuovere la realizzazione di eventi per moltiplicare le occasioni di incontro con Enzo, con la sua testimonianza di fede e umana. Qui ne segnaliamo alcuni.

26 maggio, Bologna

Apertura delle celebrazioni del 25esimo anniversario. L’evento, previsto per le ore 16 in piazza San Domenico, sarà un’occasione di testimonianza della figura di Enzo attraverso incontri, una mostra e un momento di festa.

2 giugno, Modena

Messa in Duomo alle ore 15.30 per il 25esimo anniversario del dies natalis di Enzo, presieduta da monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena. A seguire, in piazza Grande, un momento di festa e la presentazione del libro Amico carissimo.

20-25 agosto, Rimini

Mostra dal titolo “Ti ho preso come ‘Mio’” dedicata alle parole e al pensiero di Enzo e degli amici che lo hanno conosciuto, allestita all’interno del Meeting per l’amicizia fra i popoli.

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Per ulteriori informazioni e per collaborare alle iniziative in programma: www.25enzopiccinini.it.

È stata anche avviata una raccolta fondi tramite una campagna di crowdfunding per garantire il sostegno delle diverse iniziative del 25esimo: per contribuire clicca qui.

 

https://www.tempi.it/enzo-piccinini-senza-misura/