SANDRO FONTANA
Oggi nella Chiesa ci
sono due visioni della “tradizione”. Quella classica e quella della teologia
moderna, influenzata da Gadamer e ormai dominante, che vede la tradizione come
una reinterpretazione continua. Ma solo la prima è corretta e la Chiesa ha
bisogno di riscoprirla.
Raffaello Sanzio "Disputa del Sacramento, 1509 Roma Musei Vaticani
La corretta idea di cosa sia la
“tradizione” è di fondamentale importanza per la Chiesa cattolica. In questo
nostro tempo abbiamo assistito ad interventi del magistero piuttosto dirompenti
rispetto alla visione tradizionale del problema. Ricordiamo per esempio il
cambiamento del Catechismo voluto da papa Francesco per quanto riguarda la pena
di morte. Il motivo addotto è stato che la coscienza dell’umanità su questo
argomento è cambiata. La cosa ha lasciato perplessi perché, se questo è vero, allora dobbiamo attenderci altri
cambiamenti della dottrina motivati da evoluzioni della coscienza sociale.
E infatti molti temono che anche la dottrina circa l’omosessualità contenuta
nel Catechismo possa essere sostituita con un’altra più aggiornata.
L’esortazione apostolica Amoris
laetitia ha cambiato molti aspetti dottrinali: il significato dell’adulterio, il
senso del peccato, l’esistenza per la teologia morale di azioni sempre
ingiuste, il ruolo della coscienza, le condizioni per accedere ai sacramenti e
altro ancora. Pure la dichiarazione Fiducia supplicans ha
contraddetto vari principi ereditati dalla tradizione, come il significato
della benedizione o il giudizio da dare su una convivenza di coppia
omosessuale. Da molte parti si sostiene che l’insegnamento sulla contraccezione
esposto nella Humanae vitae debba essere rivisto e, più in
generale, il presente pontificato di Francesco viene interpretato come il punto
di vista da cui vagliare la tradizione piuttosto che il contrario.
Per farla breve, oggi nella Chiesa ci sono due visioni di cosa sia la “tradizione”. La prima possiamo chiamarla tradizionale. Essa sostiene che il deposito delle verità rivelate è già definitivamente stato trasmesso dalla Scrittura e dalla tradizione apostolica, come due fonti della rivelazione. Niente può essere aggiunto. Quanto il magistero insegna di ulteriore non è nuovo, ma è un’esplicitazione di quanto la Chiesa ha sempre creduto. Pensiamo ad esempio all’Immacolata Concezione o all’Assunzione di Maria al Cielo in anima e corpo.
L’altra
visione sostiene che la tradizione non è finita con la morte dell’ultimo
apostolo, ma continua perché fondata sull’interpretazione degli eventi
salvifici e della Scrittura, interpretazione che continua nel tempo
altrimenti gli eventi di Gesù Cristo non sarebbero più significativi per gli
uomini del nostro tempo. Per questa seconda visione, la Chiesa interpreta
sempre, ha interpretato la Chiesa apostolica e interpreta la Chiesa di
Francesco. La tradizione sarebbe la sedimentazione mai conclusa delle
interpretazioni e il dogma sarebbe essenzialmente storico.
Questo conflitto delle visioni della
tradizione si è definito a seguito della nascita dell’ermeneutica
moderna, contenuta soprattutto nel libro Verità e metodo di
Hans-Georg Gadamer, allievo di Martin Heidegger. La sua filosofia è talmente
penetrata nella teologia cattolica da cambiarla strutturalmente, sicché oggi la
si trova dappertutto. Gadamer ha fornito il quadro filosofico per la seconda
versione della tradizione vista sopra. Secondo lui, un testo, qualsiasi testo,
è qualcosa di autonomo rispetto al suo autore, o ai suoi autori. Ciò vale anche
per i Vangeli. Un testo, una volta licenziato, ha vita autonoma, vita che viene
arricchita dalla storia dei suoi effetti. Dopo
la sua uscita, infatti, il testo viene interpretato e poi reinterpretato e poi
reinterpretato e queste successive interpretazioni (la storia degli effetti
appunto) trovano in esso nuovi contenuti che gli autori stessi non intendevano
metterci. L’interprete riscrive il testo e le successive interpretazioni lo
arricchiscono. Come avviene l’interpretazione di un testo? L’interpretazione
parte sempre da delle pre-comprensioni e da dei pre-giudizi dovuti al contesto
personale, sociale e culturale in cui è inserito e da cui non può prescindere.
Questo di volta in volta getta una luce nuova sul testo permettendone di
cogliere particolari originali e questo costituirebbe la tradizione. Oggi noi
possiamo dire di capire meglio i Dialoghi di
Platone che non Platone stesso. Possiamo dire, sempre nell’ottica di Gadamer,
di conoscere i Vangeli meglio degli Apostoli. Per questo si può dire che la
rivelazione sia continuata e continui.
Ne deriva che non saranno più gli
insegnamenti del passato a fare da guida e criterio di giudizio per gli insegnamenti di oggi. Non
sarà più la Rerum novarum a “giudicare” la Fratelli
tutti ma il contrario, e se Francesco dice qualcosa di nuovo, di
diverso e perfino di contrario rispetto a san Giovanni Paolo II, peggio per
quest’ultimo, dato che in seguito la storia degli effetti è proseguita e, con
essa, l’arricchimento di senso del deposito. La dottrina della pena di morte è
stata cambiata appellandosi alla nuova sensibilità sociale in materia? Niente
di male, anzi tanto di bene, dato che la pre-comprensione avviene sempre da
dentro un contesto che getta luce sul testo per comprenderlo meglio.
L’ermeneutica di Gadamer è un’autorità ‘dogmatica’ oggi in
campo teologico cattolico. Bisognerà però decidersi a metterla in discussione,
senza paura di essere considerati fuori moda.
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