Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell'Anno 2025
FRANCESCO
VESCOVO DI ROMA SERVO DEI SERVI DI DIO A QUANTI
LEGGERANNO QUESTA LETTERA LA SPERANZA RICOLMI IL
CUORE
1. «Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma. La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1).
Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza
come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà
con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte
contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla
certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano
all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro
felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la
speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.
(…)
21. Cosa sarà dunque di
noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna,
che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e
partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza,
allora lo vedremo nella realtà. Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi
sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena
dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te». Cosa
caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici. La
felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda
tutti.
Ma che
cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria
passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora
e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai
sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia
definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter
dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore
che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi». Ricordiamo
ancora le parole dell’Apostolo: «Io sono […] persuaso che né morte
né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né
altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore
di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).
22. Un’altra realtà connessa con la vita eterna è il giudizio di Dio, sia al termine della nostra esistenza che alla fine dei tempi. (…) Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio. Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia. (…)
Il
giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci
ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è volto ad aprire
all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non si può pensare
che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato,
per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio. Si comprende in tal
senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno,
solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella
comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito
della creazione. Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è
destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano
piena misericordia.
23. L’indulgenza,
infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non
è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile
con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza
del perdono di Dio che non conosce confini. (…)
Il Sacramento della Penitenza ci
assicura che Dio cancella i nostri peccati. Ritornano con la loro carica di
consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce
tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e
misericordia. […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande
nell’amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo
le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua
misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente
dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12). La Riconciliazione sacramentale non è
solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo,
essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo
al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci
e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole.
Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da
Lui (cfr. 2Cor 5,20),
assaporando il suo perdono. Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma
riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la
bellezza del perdono dei peccati!
Tuttavia,
come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con
sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male
commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca
un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia
quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». [18] Dunque
permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del
peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo,
il quale, come scrisse San Paolo VI, è «la nostra “indulgenza”». [19] La
Penitenzieria Apostolica provvederà ad emanare le disposizioni per poter
ottenere e rendere effettiva la pratica dell’Indulgenza Giubilare.
Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la
mente a perdonare. Perdonare
non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia,
il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso,
senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono
consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora
solcati da lacrime. (…)
Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e
che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è
volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non
si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di
venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo
nell’amore di Dio. Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti
hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che
rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che
ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così l’indulgenza giubilare,
in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno
preceduto, perché ottengano piena misericordia. (…)
Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che
attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra
vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera
nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il
nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al
quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 9 maggio,
Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’Anno 2024,
dodicesimo di Pontificato.
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