venerdì 30 ottobre 2020

«L’ISLAMISMO È L’ISLAM PORTATO ALLE SUE ESTREME CONSEGUENZE»

 Il grande studioso Rémi Brague parla dopo la decapitazione di Samuel Paty: «Nelle fonti islamiche c’è tutto il necessario per giustificare la violenza»

«La differenza tra islamismo e islam è reale, ma è di grado e non di natura. L’islamismo non è altro che l’islam portato fino in fondo, alle sue estreme conseguenze. È una religione strana quella in cui i convertiti sono spinti a uccidere il loro prossimo». Così dichiara a Famille chrétienne Rémi Brague, filosofo e teologo, tra i massimi esperti al mondo di pensiero arabo e cristiano, dopo la decapitazione del docente francese, Samuel Paty. «Quando ci si converte al buddismo, si può diventare vegetariani; quando ci si converte al cristianesimo, si cerca di amare il prossimo come se stessi, che non è certo semplice; alcuni convertiti all’islam capiscono che bisogna uccidere il prossimo in modo preciso, sgozzandolo».


NEL CORANO LE RADICI DELLA VIOLENZA

Il docente non sostiene ovviamente che «tutti i musulmani sono violenti» o che «nel Corano c’è solo violenza», ma ribadisce che «nelle fonti islamiche c’è tutto il necessario per giustificare l’uso della violenza. C’è chi le cerca e chi no».

Questo è anche il motivo per cui una delle maggiori autorità islamiche, l’università di Al Azhar, è stata messa tanto in difficoltà dallo Stato islamico, «che ha ripetuto ciò che ci racconta la biografia del profeta. Sposare i guerrieri con delle bambine di 9 anni, è ciò che ha fatto il profeta con Aisha».

«IL MONDO MUSULMANO È IN CRISI»

Rémi Brague mette anche in evidenza la crisi che il mondo musulmano sta attraversando:

«La crisi del mondo musulmano è dovuta a una schizofrenia che risale a molti secoli fa. L’islam si presenta come l’ultima religione, che deve inglobare ebraismo e cristianesimo, portandoli a compimento. L’islam è la religione migliore, la comunità migliore. In realtà, il mondo musulmano è il fanalino di coda del mondo. Che cosa sarebbe l’Arabia Saudita senza il petrolio? Che l’islam sia la religione migliore era credibile fino a quando aveva una cultura avanzata. Ma a partire dall’XI secolo religione e cultura hanno preso due strade diverse. La cultura arabo-musulmana è anchilosata. Quanti premi Nobel scientifici musulmani ci sono? Due, entrambi formati a Oxford».

LA DIFFERENZA TRA CRISTIANESIMO E ISLAM

Il grande filosofo ricorda anche la «teoria dell’abrogazione», che permette di risolvere le contraddizioni contenute nel Corano. Il problema è che una delle ultime sure, la numero 9, «è la più guerriera di tutte» e impone di uccidere i «politeisti» fino a quando non si sottomettano e «questo versetto abroga i precedenti, compresi quelli che parlano di pace e tolleranza».

Rémi Brague sottolinea infine qual è il problema dell’islam con la democrazia e fa un paragone con il cristianesimo:

«Per il cristianesimo il Verbo di Dio si è fatto carne, per l’islam si è fatto libro. A essere decisivo per i cristiani è la vita, morte e risurrezione di Cristo. La parola di Dio non è un comandamento, è un modello, mentre per l’islam è un principio giuridico. La democrazia è un modo di organizzare la vita pubblica. In una democrazia islamica, ogni deputato è governato internamente dall’obbligo di rispettare la legge di Dio. Non può prendere decisioni legislative che siano contrarie a questa o quella forma della sharia in vigore. In una democrazia cristiana, ogni deputato sarà sottomesso non alla legge di Dio ma alla sua coscienza».

TEMPI, 24 OTTOBRE

 

giovedì 29 ottobre 2020

BENEDETTO XVI: ‘IL PROBLEMA DELLA MODERNITÀ È CHE DIO NON C’È’

 Una preghiera per Benedetto XVI.

https://www.ticinonotizie.it/una-preghiera-per-benedetto-xvi/ pubblica oggi questa richiesta

Sua Eccellenza, l’Arcivescovo Mons. Georg Ganswein, Prefetto della casa papale e segretario personale di Benedetto XVI, chiede al mondo di pregare per Benedetto XVI.

Sua Eccellenza dichiara che Benedetto XVI è come una candela che svanisce lentamente e serenamente. Lui è in pace con Dio, con se stesso e con il mondo, non è in grado di camminare senza aiuto e non può più celebrare la Messa.

Offriamo preghiere per il Santo Padre mentre continua nel cammino della vita con Cristo, che ama e ha servito con tanto amore, e con chi desidera incontrarsi faccia a faccia per continuare a servire.

Preghiamo per Benedetto XVI.

notadel 30 ottobre: La notizia dell'appello di Mons. Ganswein sullo stato di salute di Benedetto XVI, comparsa ieri su alcuni giornali e riportata in questo post è da considerarsi priva di fondamento. Una bufala, insomma.
Me ne scuso


Rileggiamo questo intervento del Papa emerito Benedetto XVI dell’aprile 2019

 Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa. Nell’ambito dell’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, interessa soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente sino a quel momento di questa preparazione.

In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata nel dettaglio. Come primo passo fu disposta una Visita apostolica nei seminari degli Stati Uniti.

Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi valeva ora soprattutto la loro “conciliarità”, potendo intendersi naturalmente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chiesa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momento, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo. Un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva mostrato ai seminaristi film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede. Vi furono singoli vescovi – e non solo negli Stati Uniti d’America – che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna “cattolicità”. Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco.

Una società nella quale Dio è assente – una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della “morte di Dio”. Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. 

E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta, essa si è diffusa sempre più. E ora, scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani si commettono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti deve scuoterci e scandalizzarci in misura particolare.

Papa Benedetto XVI

https://www.ticinonotizie.it/benedetto-xvi-il-problema-della-modernita-e-che-dio-non-ce/

12 Aprile 2019

 

martedì 27 ottobre 2020

L’EREDITÀ DI TRUMP? AI GIUDICI SUPREMI L’ARDUA SENTENZA

 

AMY CONEY BARRETT è il nuovo giudice della Corte Suprema americana

Leone Grotti 27 ottobre 2020 TEMPI

Il Senato l’ha eletta ieri con 52 voti a favore contro 42. I progressisti la accusano di essere «cattolica e pro life», lei non fa una piega: «Applicherò la Costituzione, non la legge di Amy»

La nomina di Amy Coney Barrett a nuovo giudice della Corte Suprema è stata confermata ieri dal Senato con 52 voti a favore contro 48. Giudice della Corte d’appello del settimo circuito di Chicago, professore di diritto all’Università di Notre Dame, Indiana, e pupilla di Antonin Scalia, tra gli interpreti più conservatori della Costituzione statunitense, Barrett dopo aver giurato ieri sera alla Casa Bianca prenderà il posto dell’icona liberal Ruth Bader Ginsburg, deceduta per un cancro a 87 anni il 18 settembre.


LA RIVOLTA DEI DEMOCRATICI

È la prima volta che un candidato alla Corte Suprema non riceve neanche un voto dall’opposizione e questo dato riflette la profonda divisione della società americana. I democratici hanno fortemente criticato Donald Trump – per lui, commenta il Guardian, questa è senza dubbio una «vittoria politica a pochi giorni dal voto» – per non aver atteso l’esito delle elezioni presidenziali, che si terranno il 3 novembre, prima di procedere alla nomina. La senatrice Elizabeth Warren ha definito il voto addirittura «illegittimo», senza citare il fatto che Barack Obama nel 2016 tentò di fare la stessa cosa: sostituire Scalia, morto nel febbraio di quell’anno, con un giudice progressista. L’operazione non riuscì non per quelle ragioni di opportunità che sollevano ora i democratici contro Trump, ma perché non aveva la maggioranza al Senato.

L’attuale leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, ha invece giustificato così la scelta di procedere subito alla nomina di un nuovo giudice: «Abbiamo vinto le elezioni. Ciò che questa amministrazione e il Senato hanno fatto è esercitare il potere che il popolo americano ci ha dato attraverso il voto. E questo è perfettamente in linea con le regole del Senato e della Costituzione americana». Come sottolineato anche dall’Associated Press, il processo di elezione è stato perfettamente legale.

«IO NON SEGUO LA LEGGE DI AMY»

A scatenare la rabbia dei democratici non è in realtà l’opportunità dell’elezione di un giudice a pochi giorni dal voto presidenziale, quanto il significato della nomina di Barrett, che potrebbe spostare l’orientamento della Corte Suprema in senso conservatore. Trump ha infatti nominato tre giudici in quattro anni e ora la Corte più potente degli Stati Uniti ha una maggioranza conservatrice di 6 magistrati a 3.

Il New York Times, come da mesi a questa parte, lancia l’allarme: la nomina di Barrett potrebbe «cambiare la vita americana» su temi che riguardano «il diritto all’aborto, i diritti degli omosessuali, i regolamenti per le aziende e l’ambiente». A sostegno di questa tesi vengono rispolverate dichiarazioni vecchie di 15 anni di Barrett contro la sentenza Roe v Wade che legalizzò l’aborto nel 1973 o altre più recenti contro l’Obamacare. Ma come ha risposto la madre di sette figli al fuoco di fila di domande dei membri della Commissione giustizia del Senato, «io non seguo la legge di Amy. Applicherò la Costituzione senza paura e senza favoritismi».

foto ANSA

CHE RISCHIO

 Archiviato il criterio dell’equilibrio, diventa cardinale solo chi è affine all’agenda del Papa.

Con il pontificato bloccato nelle sabbie mobili di scandali più o meno seri, porporati dimezzati, consulenti arrestate, filmati manomessi e accordi con il regime cinese rinnovati sempre sub secreto, il Papa puntella il futuro Conclave.


A scorrere la lista dei tredici cardinali che Francesco creerà in occasione del prossimo concistoro di fine novembre (nove elettori e quattro ultraottantenni), appare evidente l’intenzione di serrare i ranghi. Nove elettori che in comune hanno la totale e manifesta condivisione dell’agenda impostata nel 2013 da Jorge Mario Bergoglio.

Ed è questo l’elemento che caratterizza le scelte del Pontefice regnante rispetto alla composizione del Collegio. Non sono ammessi punti di vista contrari alla linea data o quanto meno non sovrapponibili alla narrazione dominante. Fuori Los Angeles, diocesi più vasta degli Stati Uniti retta attualmente da un vescovo ispanico che è pro tempore il presidente della Conferenza episcopale. Fuori Parigi, fuori ancora Milano. In questi ultimi due casi, si dirà che gli emeriti sono ancora elettori ma si è già visto in passato – e lo si vedrà a novembre, quando Santiago del Cile avrà due cardinali con diritto di voto – che questa è solo una prassi neppure troppo seguita. Dentro il vicario del Brunei e una pletora di italiani (sono sei su tredici, tipico esempio di concistoro pre conciliare). Il tutto mentre gli organi di stampa del Vaticano cedono per l’ennesima volta alla retorica delle “periferie del mondo”.  Quando nella lista c’è l’arcivescovo di Siena, il custode del Sacro convento d’Assisi e il parroco del Divino Amore (che è periferia sì, ma di Roma).

Francesco, in tutti i suoi concistori, ha scelto la strada della fedeltà (a se stesso, all’agenda, all’idea che ha di chiesa, a dimostrazione che un programma ce l’ha eccome). Ha fatto a meno, legittimamente, del criterio dell’equilibrio che i suoi predecessori hanno cercato di seguire sempre, dando la berretta anche a vescovi con un orientamento pastorale diametralmente opposto. Reinhard Marx, tanto per fare un nome, è stato creato cardinale da Benedetto XVI. Walter Kasper e Karl Lehmann da Giovanni Paolo II. Le creazioni cardinalizie sono un atto politico, visto che colui che riceve la porpora – se non ancora ottantenne – andrà a votare per la scelta del Pontefice quando se ne creeranno le condizioni. In passato si cercava di garantire una rappresentanza la più ampia possibile ai vari orientamenti presenti nella chiesa, al punto da rendere animate e dinamiche le discussioni e i confronti durante le congregazioni generali del pre Conclave. Ora si è scelta una strada diversa, lecita ma di rottura: accede al Collegio solo chi è in linea con il programma papale. Il rischio, neanche troppo basso, è di impoverire il plenum che sarà chiamato a eleggere il successore di Francesco.

·         Il Foglio Quotidiano 27 Oct 2020

·         (Matteo Matzuzzi)

 

domenica 25 ottobre 2020

GAY, «EQUIVOCI NO, DIALOGO SÌ»

 MONS. MASSIMO CAMISASCA

Il vescovo Camisasca: nel docufilm sul Papa stravolte le sue parole sulla famiglia. Con le persone omosessuali accoglienza nella chiarezza. Tutele legali purché si chiamino le cose con il loro nome

Le parti di frasi del Papa tratte dall’intervista della vaticanista Valentina Alazraki per l’emittente Televisa, trasmessa in Messico il 28 maggio 2019, ora rimontate nel docufilm Francesco di Evgeny Afineevsky appena presentato alla Festa del Cinema di Roma hanno suscitato un’eco mondiale, con reazioni di ogni tenore. Incluse quelle di chi ha pensato a una “svolta” nel magistero e ha espresso, a seconda delle estrazioni, perplessità o entusiasmo. Come tanti in questi giorni, ci ha molto riflettuto anche monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, che si è sentito interpellato da tanta gente come pastore, per capirle meglio.


Lei come le legge?

La prima parte delle parole del Papa riguarda il diritto di un ragazzo con orientamento omosessuale a rimanere nella propria famiglia, ma soprattutto a essere considerato dai propri genitori, parenti e amici come persona, figlio di Dio e sua immagine. Come persona destinata alla vita eterna e alla gioia possibile sulla terra, persona che non deve essere dileggiata o calunniata. Già questa prima frase – nella versione offerta dal film – è risultata stravolta: si è parlato di un diritto alla famiglia come se fosse il diritto a formare una famiglia. Non dimentichiamo che in America Latina (il Papa in realtà ha pronunciato quelle parole di fronte a una giornalista messicana) ancora molti giovani con orientamento omosessuale sono allontananti dalla casa.

Entriamo nel merito dei temi sollevati dalla diffusione di alcune parole del Papa sulle relazioni tra persone dello stesso sesso. Da vescovo che da tempo ha aperto un dialogo con le persone omosessuali, come dev’essere il rapporto tra dottrina della Chiesa e prassi pastorale?

È di fatto un tema nuovo, non tanto perché la Chiesa non l’abbia mai affrontato ma perché si sta ponendo in un modo nuovo di fronte alle persone con orientamenti omosessuali. È ciò che accennavo sopra. Nello stadio attuale penso che sia bene ascoltare tutto ciò che queste persone vogliono comunicare (profondità di affetti, attese, speranze, proteste...) e ricordare loro il pensiero della Chiesa come è espresso nel Catechismo. Non come una pietra sulla loro vita, ma come un possibile orizzonte a cui aprirsi con la grazia di Dio, sapendo che la natura di ciascuno è piena di cadute, ma anche di risurrezioni. È un cammino in avanti che dobbiamo ancora scrivere e che non avverrà mai se ci chiuderemo alle persone e se annacqueremo l’antropologia cristiana. Non pensiamo di poter risolvere tutti i problemi.

Un altro tema chiave proposto dal docufilm è la disciplina di legge per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Il Papa si dice favorevole a una forma di tutela legale: lei cosa pensa?

È la seconda parte della frase del Papa, che riguarda la ley civil, il tentativo operato da Jorge Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires di opporsi alla equiparazione tra matrimonio naturale e unione tra persone dello stesso sesso, attraverso il riconoscimento di diritti essenziali. In Italia la Cei si è opposta alle unioni civili perché i diritti della persona erano già riconosciuti e perché troppo forte era il rischio che una legge sulle unioni civili indebolisse l’istituto del matrimonio già fortemente in crisi. Io non sono contrario a una tutela legale, purché si chiamino le cose con il loro nome.

I figli: è noto che una parte delle forze che hanno sostenuto l’approvazione della legge italiana sulle unioni civili chiede l’estensione della piena genitorialità. Qual è il suo pensiero?

Il mio pensiero è assolutamente contrario. I genitori sono un padre e una madre, non due padri o due madri. Se accettassimo questo andremmo contro tutta la saggezza di tante correnti di studi psicologici raccolte in molte tradizioni tra cui quella cristiana, che ci indica l’importanza dalla figura maschile e di quella femminile, soprattutto nei primi tempi di vita della persona. Certo, un padre o una madre possono morire presto, ma questo non giustifica lo stravolgimento del loro posto nella crescita del bambino.

Che passi sta compiendo la Chiesa nei confronti della condizione omosessuale e delle relazioni affettive? E quali vanno ancora compiuti?

Sta sempre più prendendo coscienza della persona omosessuale come persona e si sta interrogando sul significato delle relazioni affettive tra due persone omosessuali. Risposte definitive ancora non ce ne sono. Sono certo che se avremo la pazienza di camminare ascoltando le persone, senza tradire la Parola di Dio, si apriranno nuove strade. L’errore più grosso è cadere nell’equivoco che per raggiungere l’uomo occorra aderire alla mentalità mondana o annacquare la profondità della Parola di Dio.

È decisivo il metodo del dialogo, ma va esercitato nella chiarezza: su quali punti ritiene debba esserci fermezza da parte della Chiesa, e dove si può trovare un terreno di incontro con le istanze dell’associazionismo omosessuale?

L’ideale della castità deve essere proposto non perché sia un ideale facile ma perché è possibile e può aiutare la vita affettiva a sperimentare un’integrazione tra gli orientamenti sessuali e la propria vita intellettuale e spirituale. Nel proporre l’ideale della castità la Chiesa non misconosce per nessuno, indipendentemente dagli orientamenti sessuali, la difficoltà a viverla. Semplicemente vuole aiutarci a camminare in avanti. Non bisogna mai escludere un bene, anche se per raggiungerlo occorre attraversare un mare difficile. Quanto al dialogo, è assolutamente necessario incon-trarsi: ci sono molte persone credenti con tendenze omosessuali che si radunano attorno a sacerdoti per pregare, interrogarsi e aiutarsi nella loro condizione di vita. Tutto ciò va accolto, senza creare ghetti ma integrando le persone nella vita ordinaria delle comunità.

TRATTO DA AVVENIRE

Sabato 24 ottobre

LO STATO DI DIRITTO È IL NUOVO CAVALLO DI TROIA DELL’UE

 STEFANO SPINELLI 25 OTTOBRE 2020 TEMPI

I paesi che insistono perché la Commissione dia le pagelle agli Stati non fanno che bloccare l’arrivo delle risorse del Recovery Fund e imporre una visione politica di parte.

Gli Stati sono alle prese con una grave crisi sanitaria ed economica e l’Europa ha promesso aiuti mediante lo strumento del Recovery Fund e ne sta ancora discutendo. Intanto il tempo passa e la pandemia chiede risposte. La domanda che si fanno tutti gli Stati, almeno quelli che hanno deciso di attivare la richiesta di fondi, come l’Italia, è questa: a quando le sovvenzioni?


Il recente vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue del 15 e 16 ottobre ha lasciato in sottofondo il delicato problema. Si è dunque persa un’occasione per accelerare l’attivazione del piano di aiuti agli Stati per 750 miliardi (parte in sovvenzioni e parte in prestiti), che sarebbero necessari adesso, per contrastare gli effetti della pandemia sanitaria. Invece, ben che vada, si parla comunque di fondi disponibili nel corso della seconda parte del 2021 (gli Stati dovrebbero presentare i relativi “piani per la ripresa e la resilienza” entro il 30 aprile; la Commissione dovrebbe valutarli entro due mesi, prima di essere approvati dal Consiglio). Il problema è che – per poter avviare la procedura – manca ancora un’intesa tra Parlamento e Consiglio.

COSA STA SUCCEDENDO?

L’Europa deve approvare il prossimo quadro finanziario pluriennale, cioè il budget a lungo termine dell’Ue a cui sono legate le risorse del Next generation Eu, e quindi anche l’operatività del Recovery Fund. Alcuni europarlamentari e alcuni Stati (i cosiddetti frugali del nord Europa, in particolare l’Olanda e il suo premier Rutte) vorrebbero condizionare l’ottenimento dei fondi di Bruxelles al rispetto del cosiddetto Stato di diritto. «Non ci sarà nessun Recovery Fund senza il meccanismo vincolante dello Stato di diritto», ha detto il leader dei Popolari, Weber (anche se gli stessi Popolari hanno posizioni diverse sia sulla condizionalità degli aiuti, sia sull’opportunità di comminare sanzioni a Ungheria e Polonia, i due paesi sinora sottoposti ad accertamento per violazioni).

Altri paesi del blocco di Visegard minacciano invece il veto se si dovesse rivedere l’accordo di luglio. In particolare, i primi ministri Orban e Morawiecki, hanno annunciato che lanceranno un istituto congiunto per valutare l’applicazione dello Stato di diritto in tutti gli Stati membri dell’Ue. Ritengono infatti che, nel valutare il rispetto delle regole democratiche, Bruxelles utilizzerebbe «due pesi e due misure». «Lo scopo di questo istituto di diritto comparato è quello di non farci prendere in giro», hanno spiegato. Il Consiglio Europeo cerca di mediare, al momento senza esito.

La questione non è di secondo piano e il dibattito sullo Stato di diritto, che si è aperto tra Parlamento europeo e Consiglio e tra singoli Stati membri, rischia di bloccare e sicuramente di allontanare gli aiuti europei ai paesi, ed evidenzia tutti i limiti di questa Europa.

L’UE DÀ LE PAGELLE AGLI STATI

Ma cos’è precisamente questo Stato di diritto, questo rule of law di cui tanto oggi si parla? Dal punto di vista storico-giuridico, la nozione, a fondamento delle concezioni costituzionali europee, indica il primato della legge sulle amministrazioni, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la separazione dei poteri. Il principio è richiamato – ma non declinato – nell’art. 2 del Trattato Ue. In realtà, detto istituto viene oggi utilizzato per dare patenti di conformità ai valori democratici, con riguardo a una magistratura indipendente, alla lotta alla corruzione, al pluralismo dell’informazione, al bilanciamento dei poteri, e in generale alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

«Lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi – ha detto Ursula von der Leyen – sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei». E ha lanciato un nuovo meccanismo di prevenzione e di promozione della cultura dello Stato di diritto, che si propone di monitorare annualmente i singoli Stati, enucleando le criticità presenti all’interno di ciascuno di essi. Il 30 settembre la Commissione ha pubblicato il primo report.

È in questa ottica che è stata avanzata anche la proposta di collegare lo Stato di diritto all’uso dei fondi europei, consentendo all’Ue di sospendere, ridurre o limitare l’accesso ai suoi finanziamenti in caso di violazioni. Ma questa proposta pare problematica per tanti aspetti e rischia di dividere l’Europa. Al di là della bontà generale e astratta dei principi richiamati, questo meccanismo può facilmente trasformarsi in un’arma politica, per contrastare paesi nemici, o limitare la sovranità dei singoli Stati, in relazione a scelte concrete che potrebbero essere valutate non coerenti con certi contenuti valoriali. «Purtroppo – ha detto il popolare Bellamy – i dibattiti sullo Stato di diritto sono spesso utilizzati come opportunità per perseguire processi di parte, condannando alcuni duramente senza fatti concreti, pur rimanendo in silenzio contro altri governi che commettono difetti reali su questioni cruciali».

La maggiore o minore democraticità di uno Stato è un tema politico. Difficilmente può essere oggetto di valutazioni oggettive e paritetiche. C’è una gradualità di situazioni all’interno dei singoli Stati membri, che rende improbo individuare il grado di rottura dello Stato di diritto. C’è infine la domanda principe. A chi spetta dare le pagelle sulla salute democratica degli Stati membri?

LO SCAMBIO TRA SOVVENZIONI E “DIRITTI”


Un primo problema è quello relativo al contenuto valoriale “condiviso” che dovrebbe fungere da criterio obiettivo e imparziale per l’esame degli Stati membri. Nel report della Commissione, le critiche più dure sono quelle dedicate a Polonia e Ungheria, accusate di «crescente influenza del potere esecutivo e legislativo sul funzionamento della giustizia» e di «politiche repressive dei media». Ma lo spettro d’indagine è molto vasto e comprende anche la tutela di nuovi diritti civili. Così l’Ungheria è stata richiamata con riguardo al problema migratorio, per essersi sottratta alla ripartizione di quote previste dall’Ue. Alla Polonia è stato censurato l’operato nei confronti delle Ong e dei gruppi Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender).

Su questi punti la presidente della Commissione, nel suo discorso sullo stato dell’Ue al Parlamento europeo, ha annunciato il «superamento del Regolamento di Dublino» al fine di un riparto degli immigrati, per dare concretezza a un’accoglienza corresponsabile, ma è da molti anni che se ne parla senza alcun esito (e ciò evidenzia un’omissione di intervento che è propria delle stesse istituzioni europee e di pressoché tutti gli Stati membri, anche se solo alcuni subiscono richiami).

E ha parlato di una «Ue dell’uguaglianza», precisando che «la discriminazione basata sull’orientamento sessuale non ha assolutamente alcun posto nell’Ue. Per quanto sarà in mio potere, agirò contro ciò, inclusa la sospensione della distribuzione dei fondi». E sull’omogenitorialità: «Lavorerò per il riconoscimento reciproco delle relazioni familiari nell’Unione europea, perché se tu sei genitore in un Paese, lo sei in ogni Paese». Ci si chiede perché mai l’agenda Lgbt, che prevede anche l’ideologia gender e l’utero in affitto, debba considerarsi elemento caratterizzante lo Stato di diritto.

Nel report, anche l’Italia viene ammonita. «Le istituzioni nazionali per la difesa dei diritti dell’uomo giocano un ruolo importante come guardiani dello Stato di diritto». Si auspica quindi «l’approvazione di un progetto di legge per la creazione di un’Autorità nazionale indipendente dei diritti dell’uomo (Nhri)». Ci si chiede quali contenuti dovrebbe mai avere una tale istituzione per conformarsi ai valori europei.

sabato 24 ottobre 2020

LE NOTTI CHE PIÙ NON SAPEVAMO

 QUESTO MALE E LA MEMORIA DELL’ALTROIERI


Marina Corradi

In questo autunno che va sprofondando di nuovo nella paura penso spesso a mia nonna. Nata sull’Appennino parmense sul finire dell’Ottocento, tanti fratelli su una terra avara. Il gelo d’inverno, le malattie che falciavano i bambini e non lasciavano che gli adulti diventassero vecchi. Poi, a Parma, questa mia nonna diventa madre di mio padre e delle sue sorelle. Anni Venti: né vaccini, né antibiotici. Ogni volta che a un figlio saliva la febbre c’era da tremare: era cosa da poco o invece un’infezione maligna, quella che faceva scottare la fronte per giorni, e non se ne voleva andare? Penso alle notti, alle infinite notti di generazioni di madri chine su un figlio malato, che chissà se sarebbe guarito. E quante volte nei lunghi inverni, per malanni banali, nelle case moriva un bambino. Era dolorosamente 'normale', era, ancora o quasi, il destino degli uomini, nei secoli, da sempre. Poi, dopo la guerra, arrivarono gli antibiotici. Molte malattie guarivano in un batter d’occhio, con quella nuova straordinaria medicina.

Chissà, nei primi anni, lo stupore nel vedere certi febbroni possenti, di colpo, dissolversi e svanire. Curati, vaccinati, ben nutriti, i bambini del boom italiano smisero di morire. Già nella mia generazione era un evento eccezionale, che un bambino morisse di malattia. E quando madri e padri siamo diventati noi, era totalmente impensabile che un’influenza non si risolvesse in pochi giorni. Un caso di meningite, era un titolo sui giornali. Noi, venuti al mondo dopo l’avvento degli antibiotici, siamo la prima generazione che ritiene la salute una cosa, finché almeno si è giovani, garantita – tranne drammatiche, ma fortunatamente rare eccezioni.

E dunque mi chiedo come questa mia nonna starebbe, se fosse viva, di fronte al nuovo allargarsi del Covid. Forse, con un certo stupore. Donna di un altro evo, fin da piccola consapevole che è possibile ammalarsi e anche morire, non capirebbe tutto il nostro sconvolgimento. Noi, cresciuti nell’idea che la salute sia un 'diritto', di colpo ci troviamo disarcionati dalla sella, nello scoprire che per questo virus non c’è per ora cura, e può accadere perfino a un giovane di non farcela, e morire.

Sbalordimento: la morte si riaffaccia al nostro orizzonte. Puoi anche essere forte, e non temere per te; ma, e i figli? Le vocianti movide notturne, spensierate e quasi sfrontate. Come certi, a vent’anni, di essere immuni: e che comunque non è possibile che non esista un farmaco, che nel caso guarisca i corpi giovani e sani. Le madri dei ragazzi che si ammalano gravemente di Covid oggi tornano a essere, nell’animo, quelle di cento anni fa: sgomente, impotenti, tese al minimo segnale di miglioramento.

Con un intollerabile, indicibile pensiero in fondo al cuore. Perché non c’è più certezza, non c’è la 'garanzia' di guarire. Notti che somigliano a quelle di mia nonna e di milioni di donne, prima. Cerco di immaginarle: luci fioche in case immerse nel buio, le strade attorno deserte, solo la madre a vegliare.

La febbre sale, la fronte brucia, il figlio mormora parole senza senso, poi come dalle viscere chiama: 'Mamma!' E loro lì a rinfrescare il viso con un fazzoletto bagnato, a porgere un bicchiere d’acqua. Aspettando l’alba, quando la febbre scema. Canta un gallo, il cielo si fa chiaro, un’altra lunga notte è passata. Milioni di notti di milioni di madri sono state così. Noi, madri di figli venuti su a omogenizzati e vitamine, regolarmente vaccinati, queste notti non le sapevamo. La pandemia è anche un salto indietro nel tempo. Ma come starebbe mia nonna, oggi? Forse ci osserverebbe un po’ stranita del nostro sbigottimento, del nostro scandalo, dell’ossessione che a volte si impadronisce di noi.

Ma non lo sapete, direbbe meravigliata, che nemmeno un giorno ci è garantito, e che la nostra vita non ci appartiene? Cos’è questo panico che vi paralizza, e vi rende diffidenti e egoisti? Sembrate quasi indignati, perché a questo male non c’è cura. Sembrate uomini cui non è stato insegnato a domandare, e a pregare.

E nelle sere in cui, chiuso l’ultimo tg, pensi ai figli con un’ansia nuova, vorresti avere qui la nonna Dina, con le sue mani ruvide e la sua faccia forte. Forte non di sé stessa, ma di una fiducia tramandata: che si vive e si muore, ma in Dio. Nel disegno di un Dio che vede e abbraccia ogni uomo. Vorresti essere come lei: una madre antica che regge il dolore, ma persevera nella speranza. In mille interminabili notti, e in mille albe: leonina ma quieta, e ostinata.

domenica 18 ottobre 2020 AVVENIRE

foto tratta da THE Atlantic

venerdì 23 ottobre 2020

IL PAPA MEDIATICO HA COLPITO ANCORA

E il caso della settimana, cioè le dichiarazioni del Papa sul diritto delle coppie omosessuali a stare in una famiglia.

  1. L'intervista è vecchia, realizzata nel maggio del 2019 dalla giornalista messicana Valentina Alazraki.
  2. Il regista del documentario "incriminato", Evgeny Afineevsky, è stato formidabile nel lavorare di taglio e cucito, montando un video in cui alcune frasi del Papa sono state estrapolate dal contesto originario.
  3. Ciò non toglie che il Papa abbia effettivamente parlato di "famiglia", anche se il riferimento primario era ai bambini.
  4. Sorprende, davanti alle incongruenze e manipolazioni, il silenzio del Vaticano. Non una parola davanti al caos che sta imperando.

Da Catholic world report


"Il papa benedice i matrimoni gay", dichiara il titolo di Metro , uno dei più grandi giornali britannici, sopra il sottotitolo, "Gli omosessuali sono figli di Dio ... Hanno diritto alle unioni civili". Vero? Accurato? Abbastanza vicino? Non proprio. In un certo senso? Può essere.

I commenti di Papa Francesco, che compaiono nel documentario “Francesco”, presentato oggi in anteprima a Roma, non sono stati così chiari come molti dei titoli indicano, anche se i commenti veri e propri hanno  attirato di più l'attenzione.

“Gli omosessuali hanno il diritto di far parte della famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere buttato fuori o essere infelice a causa di ciò ” , ha affermato Papa Francesco , aggiungendo in seguito:“ Quello che dobbiamo creare è una legge sull'unione civile. In questo modo sono legalmente coperti ... Ho difeso questo. "

Non conosco la domanda specifica posta a Francesco, ma la CNA riferisce che “il film racconta l'approccio di Papa Francesco a pressanti questioni sociali, e al ministero pastorale tra coloro che vivono, nelle parole del pontefice,“ sulle periferie esistenziali '". L'idea che gli omosessuali negli Stati Uniti siano confinati nelle" periferie esistenziali "è piuttosto divertente (anche se dirlo è, ne sono sicuro, considerato omofobo e intollerante.) È quasi impossibile uscire di casa, o accendere la TV o la radio, o leggere un giornale o una rivista e non essere bombardati dall'onnipresenza esistenziale dell'omosessualità. Inutile dire che l'omosessualità è sempre presentato come normale, eccezionale

La questione specifica potrebbe non essere chiara, ma il risultato finale di questo momento tipicamente “francesco” sembra abbastanza chiaro: più polemiche, più confusione, ulteriori critiche su ciò che la Chiesa insegna realmente. Ma  i commenti papali nei documentari dove dovrebbero essere collocati: nel regno delle dichiarazioni magistrali? come le interviste rilasciate a un giornalista italiano anziano e ateo? Fra le osservazioni improvvisate fatte durante il volo a 30.000 piedi? Vicino alle telefonate private fatte a questa madre o a quel vecchio amico?

Ecco il punto: se le osservazioni di Francesco fossero fatte senza una prudente preoccupazione per come potrebbero essere accolte, sarebbero profondamente preoccupanti.  Se fossero realizzati con cura con un'attenzione specifica a come potrebbero essere ricevute, allora sono profondamente preoccupanti. O peggio. (…)

https://www.catholicworldreport.com/2020/10/21/the-deeply-flawed-opportunism-of-pope-francis/

UN INTERVENTO DI NICOLA BUX

https://lanuovabq.it/it/la-fraternita-cristiana-non-e-la-massoneria


mercoledì 21 ottobre 2020

PERCHE’ NEI SONDAGGI USA BIDEN E’ DAVANTI

 

«Rasmussen, l’istituto più preciso (o fortunato, se volete) nelle previsioni del voto del 2016, quando si chiede perché anche in questa tornata elettorale continua dare Trump su livelli più alti di tutti, replica: dipende da come si pone la domanda all’intervistato. E naturalmente dipende anche dalla risposta.»

sondaggi e risultati elezioni 2016

«Bloomberg l’altro ieri ha citato uno studio di Cloudresearch su questo punto delicato e ha scoperto forse l’acqua calda, ma vivendo in un ambiente dove tutti affermano che è fredda nonostante sia bollente, va ricordato l’esito: gli elettori di fronte alle domande dei sondaggisti qualche volta mentono.»

«Lo studio dice in sostanza che esistono “timidi elettori” che non dichiarano il proprio voto per Trump, restano nell’ombra dei sondaggi e poi emergono nel risultato finale.»

«Cloudresearch dà i numeri (nessuna ironia) del suo studio: l’11,7% dei repubblicani afferma di non voler dire la propria vera opinione sul candidato preferito attraverso un sondaggio telefonico. Solo il 5.4% dei democratici invece sarebbe riluttante a dire la verità. Eccole qua, ancora una volta, le due Americhe in rotta di collisione. E le Americhe in questo caso sono addirittura tre, perché anche tra gli elettori indipendenti serpeggia la diffidenza, la riservatezza: il 10.5% non si trova a suo agio e non dichiara il nome del candidato che voterà il 3 novembre. Sono numeri importanti, sono potenzialmente milioni di elettori che possono rendere un sondaggio inattendibile, parziale e dunque fuorviante.»

«il 10.1% dei supporter di Trump ammette di non raccontare la verità quando decide di rispondere, mentre per i sostenitori di Biden questo numero si abbassa al 5.1%»

«Per quale ragione un repubblicano, un potenziale elettore di Trump teme di dichiarare le proprie intenzioni? Cloudresearch cita un paio di risposte ricorrenti che colpiscono, dipingono un quadro istruttivo dell’immaginario americano e in particolare degli elettori conservatori: pensano che l’informazione non resti confidenziale; che la telefonata possa essere registrata e diventare pubblica; che esprimere idee che non coincidono con la visione liberal possa danneggiarli; che le opinioni politiche possano nuocere al lavoro e alla famiglia (e queste risposte sono significative sul clima generale nel paese, di profonda divisione)»

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La situazione è fluida, ed al momento il risultato elettorale sembrerebbe essere impredicibile.

Significativo è però il clima di odio viscerale introdotto dai liberal democratici in questo quadriennio di continua campagna elettorale.Larga quota degli intervistati nei sondaggi di propensione al voto mente e si dichiara democratica per evitare a sé ed ai propri familiari le inevitabili persecuzioni che scaturirebbero da questo clima avvelenato.

FONTE

https://senzanubi.wordpress.com/tag/cloudresearch/