La mamma: «Vi racconto il suo miracolo»
Oggi, ad Assisi, Carlo Acutis sarà proclamato beato. Il giovane milanese — che per molti è già «il patrono di internet» — era nato il 3 maggio 1991 a Londra, dove i genitori si trovavano per lavoro Il padre era un top manager della compagnia assicuratrice Vittoria). Morì il 12 ottobre 2006, a causa di una leucemia fulminante. È il primo «millennial» ad essere canonizzato: la sua salma è stata composta e poi esposta al pubblico in tuta da ginnastica e scarpe da ginnastica. Carlo è anche il primo beato ad aver avuto in vita sua un profilo social su Facebook, attraverso il quale ha dato testimonianza della sua profonda fede. Da lì raccontava di sentire la presenza di Gesù «come un amico e «una persona viva». la madre ha raccontato che il figlio adolescente andava a prestare conforto, nel tempo libero, ai senzatetto di Milano.
Già dichiarato venerabile nel luglio 2018 da papa Francesco, Acutis diviene oggi beato dopo che la Congregazione delle cause dei Santi ha esaminato un suo miracolo, avvenuto nell’ottobre 2010 nella chiesa di San Sebastiano a Campo Grande, in Brasile: dopo avere toccato una reliquia di Acutis un bambino che soffriva di una grave anomalia al pancreas è risultato completamente guarito. Qui sotto, ripubblichiamo l’intervista realizzata da Stefano Lorenzetto alla madre di Carlo, Antonia Salzano, e pubblicata dal Corriere alcune settimane fa.
****
Intercede. Salva. Guarisce. Converte. Appare. I devoti di quello che già viene
chiamato «il patrono di Internet», almeno 1 milione nei cinque
continenti, vedono
la sua presenza ovunque. L’ultimo segno, il 15 agosto. Scrivono i fan su Facebook: «Questa notte,
nella solennità della Santissima Vergine Maria Assunta, Carlo è venuto a
prendersi la sua cagnolina Briciola di quasi 17 anni. Ora corre e gioca anche
lei nei meravigliosi giardini del Paradiso assieme agli altri animali di Carlo
che l’hanno preceduta», i cani Poldo, Stellina e Chiara, i gatti Bambi e
Cleopatra. Non le pare eccessivo che associno l’Assunzione alla morte di una
bestiola? Sorride indulgente Antonia
Salzano, mamma di Carlo Acutis, stroncato a 15 anni da una leucemia fulminante
nel breve volgere di 72 ore.
«Prima che ci lasciasse, gli dissi: se in cielo troverai i nostri amici a
quattro zampe, compari con Billy, il cane della mia infanzia. Lui non lo
conosceva. Un giorno zia Gioia, ignara del nostro accordo, mi telefonò:
“Stanotte in sogno ho visto Carlo. Teneva fra le braccia Billy”».
Ma sono
ben altri i segni per cui lo studente milanese, già venerabile dal 2018, verrà
proclamato beato dalla Chiesa il 10 ottobre ad Assisi, ultima tappa prima di
diventare santo. Quando
il 23 gennaio 2019 si eseguì la ricognizione canonica sulle spoglie mortali del
giovanissimo servo di Dio, la sua salma fu trovata intatta. «Io stavo lì, mio
marito non volle vedere. Era ancora il nostro ragazzone, alto 1,82, solo la
pelle un po’ più scura, con tutti i suoi capelli neri e ricci. E lo stesso
peso, quello che si era predetto da solo».
Che intende dire?
«Pochi giorni dopo il funerale, all’alba fui svegliata da una voce: “Testamento”.
Frugai in camera sua, pensavo di trovarvi uno scritto. Nulla. Accesi il pc, lo
strumento che preferiva. Sul desktop c’era un filmato brevissimo che si era
girato da solo ad Assisi tre mesi prima: “Quando peserò 70 chili, sono
destinato a morire”. E guardava spensierato il cielo».
La vita di Carlo durò solo 5.641 giorni.
«In realtà 5.640. Entrò in coma alle 14 dell’11 ottobre 2006, con il
sorriso sulle labbra. Credevamo che si fosse addormentato. Alle 17 fu
dichiarata la morte cerebrale, la mattina del 12 quella legale. Avremmo voluto
donare i suoi organi, ma non fu possibile, ci dissero che erano compromessi
dalla malattia. Un bel paradosso, perché il cuore, perfetto, ora sarà esposto
in un ostensorio nella basilica papale di San Francesco ad Assisi».
Quand’è stato prelevato?
«Durante la ricognizione del 2019. Con atto notarile abbiamo voluto donare
il corpo al vescovo di Assisi. Era giusto che appartenesse alla Chiesa
universale».
In che modo Carlo scoprì la fede?
«Non certo per merito di noi genitori, lo scriva pure. In vita mia ero
stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando
conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non
è che la domenica andasse a messa».
Allora come spiega questa religiosità?
«Un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla. Ma
c’era in lui una predisposizione naturale al sacro. A 3 anni e mezzo mi
chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano
raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all’eucaristia a 7
anni, anziché a 10».
E voi come reagiste?
«Lo lasciammo libero. Ci pareva una cosa bella, perciò chiedemmo una
deroga. Per me fu una “Dio-incidenza”. Carlo mi salvò. Ero un’analfabeta della
fede. Mi riavvicinai grazie a padre Ilio Carrai, il padre Pio di Bologna,
altrimenti mi sarei sentita screditata nella mia autorità genitoriale. È un
percorso che dura tuttora. Spero almeno di finire in purgatorio».
Carlo fu precoce solo nella preghiera?
«In tutto. Era un mostro di bravura. A 6 anni già padroneggiava il
computer, girava per casa con il camice bianco e il badge “Scienziato
informatico”. A 9 scriveva programmi elettronici grazie ai testi acquistati
nella libreria del Politecnico».
Non era troppo piccolo per usare il pc?
«I promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità
la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza
riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti. Sognava di adoperare il
pc e il web per diffondere il Vangelo. Papa Francesco nella Christus vivit cita Carlo come esempio per i giovani.
“Sapeva molto bene”, spiega, “che questi meccanismi della comunicazione, della
pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare
soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e
bellezza”. Il suo sguardo spaziava ben oltre Internet».
Fino a dove?
«Alle mense dei poveri, quelle delle suore di Madre Teresa di Calcutta a
Baggio e dei cappuccini in viale Piave, dove prestava servizio come volontario.
La sera partiva da casa con recipienti pieni di cibo e bevande calde. Li
portava ai clochard sotto l’Arco della Pace, per i quali con i risparmi delle
sue mance comprava anche i sacchi a pelo. Lo accompagnava il nostro cameriere
Rajesh Mohur, un bramino della casta sacerdotale indù, che si convertì al
cattolicesimo vedendo come Carlo aiutava i diseredati».
Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe salito all’onore degli altari?
«Ero certa che fosse santo già in vita. Fece guarire una signora da un
tumore, supplicando la Madonna di Pompei».
Il miracolo riconosciuto dalla Chiesa?
«No, solo uno dei tanti che nemmeno sono entrati nel processo di
canonizzazione. Quello che lo farà proclamare beato accadde in Brasile nel
settimo anniversario della morte, il 12 ottobre 2013, a Campo Grande. Matheus,
6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti
solidi. Padre Marcelo Tenório invitò i parrocchiani a una novena e appoggiò un
pezzo di una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominciò a
mangiare. La Tac dimostrò che il suo pancreas era divenuto identico a quello
degli individui sani, senza che i chirurghi lo avessero operato. Una guarigione
istantanea, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali
conoscenze mediche».
Suo figlio come si ammalò?
«Sembrava una banale influenza. Dopo alcuni giorni comparvero forte astenia
e sangue nelle urine. Lui se ne uscì con una delle sue frasi: “Offro queste
sofferenze per il Papa, per la Chiesa e per andare dritto in paradiso senza
passare dal purgatorio”, ma in famiglia non vi demmo troppo peso. Chiamai il
professor Vittorio Carnelli, che era stato il suo pediatra. Ci consigliò
l’immediato ricovero nella clinica De Marchi. E lì avemmo la diagnosi infausta:
leucemia mieloide acuta M3. Carlo ne fu informato dagli ematologi. Reagì con
dolcezza e commentò: “Il Signore mi ha dato una bella sveglia”. Fu trasferito
all’ospedale San Gerardo di Monza. Appena giuntovi, scosse la testa: “Da qui
non esco vivo”».
Lei invocò un miracolo per suo figlio?
«Sì, da Gesù, dalla Madonna e dal venerabile fra Cecilio Maria, al secolo
Pietro Cortinovis, il cappuccino fondatore dell’Opera San Francesco per i
poveri di Milano. Ma i piani di Dio erano altri».
Quali?
«Quelli che avevo proposto a Carlo prima che spirasse: chiedi al Signore di
manifestarci un segno della sua presenza».
E suo figlio che cosa le rispose?
«“Non preoccuparti, mamma. Ti darò molti segni”. Nove giorni dopo la sua
morte, a Tixtla, in Messico, un’ostia si arrossò di sangue. Una commissione
composta anche da scienziati non credenti accertò che era del gruppo AB, lo
stesso presente nella Sindone e nel miracolo di Lanciano, e che si trattava di
cellule del cuore. A distanza di quattro anni, negli strati sottostanti alla
coagulazione restava ancora presente del sangue fresco».
Suo figlio aveva allestito «Segni», una mostra sui miracoli eucaristici.
«Sì, sta girando tutti i santuari del mondo. Negli Stati Uniti l’hanno
ospitata 10.000 parrocchie. Sono eventi soprannaturali come quello accaduto il
12 ottobre 2008, nel secondo anniversario della sua morte, a Sokólka, in
Polonia. Un’ostia caduta a terra durante la comunione, e conservata in
cassaforte, una settimana dopo divenne un pezzo di carne di origine miocardica,
gruppo sanguigno AB».
Ha avuto solo questi, di segni?
«Anche altri. Carlo mi predisse che sarei diventata di nuovo madre, benché
stessi per compiere 40 anni. E nel 2010, quando già ne avevo 43, diedi alla
luce due gemelli, Michele e Francesca».
Perché fu sepolto ad Assisi?
«Abbiamo una casa in Umbria. Un cartello avvertiva che c’erano in vendita
nuovi loculi nel cimitero comunale. Chiesi a Carlo che cosa ne pensasse. “Sarei
felicissimo di finire qua”, rispose. Il suo corpo intatto è stato poi traslato
nel santuario della Spogliazione, dove ora i fedeli potranno venerarlo per
sempre».
Che cosa le manca di più di suo figlio?
«L’allegria. Appena morì, ricordo d’aver pensato: e ora chi mi farà ridere?
e chi mi aiuterà con il computer? Mi restano i suoi pensieri, detti e scritti:
“Non io, ma Dio!”. “Da qualunque punto di vista la si guardi, la vita è sempre
fantastica”. “Tutti nascono originali, ma molti muoiono come fotocopie”».
L’ultimo rende bene l’idea dei social.
«È così, gli uomini d’oggi sono ripiegati su sé stessi. La loro felicità è
fatta solo di like. Ma Carlo è l’influencer di Dio».
Non vorrebbe che fosse ancora qui con lei, anziché avere un santo in cielo?
«Ho fatto mia l’invocazione di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha
tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. I figli non ci appartengono, ci
sono affidati. Sento Carlo più presente di quando era in vita. Vedo il bene che
fa. Mi basta».
Nessun commento:
Posta un commento