INTERVISTA A LUCA RICOLFI
di ALESSANDRA rICCIARDI
Professore, dal vostro osservatorio
della Fondazione Hume continuate ad analizzare i dati sull’andamento
dell’epidemia. Come siamo messi a contagi rispetto a marzo scorso?
Il numero attuale di persone contagiose nessuno lo conosce, perché i casi
rilevati – oggi come ieri – sono solo la punta dell’iceberg. Io ritengo,
basandomi soprattutto sui dati dei ricoveri, che il numero di persone in grado
di infettare gli altri possa essere dell’ordine di 1/3 di allora.
Quanto al parametro più importante, la velocità di crescita dei contagi, quella
attuale è la stessa dei giorni intorno al 21 marzo, quando venne decretato il
vero lockdown, con la proibizione degli spostamenti fra comuni: i nuovi casi
raddoppiano ogni settimana. Evidentemente è questa la soglia che induce i
politici a risvegliarsi dal loro torpore.
Perché, dovrebbe essercene un’altra?
Certo, la soglia vera non è quando
l’epidemia va fuori controllo, ma quando si passa da una crescita lineare a una
crescita esponenziale.
E questa seconda soglia quando è stata
attraversata?
Dipende dallo strumento che si usa per accorgersi che l’epidemia sta rialzando
la testa. Se, come pare siano abituate a fare le autorità sanitarie, si usa il
numero di nuovi casi giornaliero, il campanello di allarme era già suonato
nell’ultima parte del mese di luglio. Se invece ci si basa su strumenti più
sofisticati, il punto di svolta si situa intorno a metà giugno. Come Fondazione
Hume abbiamo sollevato il problema precisamente allora (4 mesi fa!), con
un’intervista all’Huffington Post in cui notavo che, per salvare il turismo
estivo, il nostro governo stava lasciando ripartire l’epidemia.
E a tamponi come stiamo?
Sui tamponi ci sono state varie fasi, ognuna caratterizzata da un diverso tipo
di negazionismo.
Nelle prime settimane, il negazionismo
governativo era assoluto: i tamponi danneggiano il turismo,
facciamoli solo in casi estremi.
Poi, fino all’appello di Lettera 150 promosso da Giuseppe Valditara e Andrea
Crisanti (inizio maggio), è stato il tempo
del negazionismo relativo: i tamponi servono, e noi ne facciamo
più di ogni altro paese, Germania compresa (era falso, ma loro mostravano di
crederci).
Infine, dopo un breve periodo in cui anche le autorità sanitarie parevano
essersi convinte della giustezza dell’appello di Lettera 150, siamo passati al negazionismo di
fatto: sappiamo che dobbiamo fare molti più tamponi, ma di fatto ne
facciamo pochi. Giusto per darle un’idea: il numero medio di tamponi
settimanali di agosto era ancora ai livelli di maggio.
L’unico cambiamento significativo è intervenuto fra settembre e ottobre, quando
finalmente il numero di tamponi è aumentato sensibilmente (di circa il 40%
rispetto a fine agosto), se non altro per limitare i danni provocati dai
vacanzieri di ritorno. Ma siamo ancora lontanissimi dal livello suggerito da
Crisanti, che a fine agosto aveva chiesto di (almeno) triplicare il numero di
tamponi, con tanto di piano trasmesso la governo.
Ma non siamo tra quelli che fanno meglio
in Europa?
Questo è semplicemente un abbaglio
collettivo, qualcosa di cui come sociologo stento a darmi conto. Capisco
che chi ci governa non abbia il minimo rispetto per la pietrosa realtà dei
dati, e abbia voluto alimentare il mito
del “modello italiano” che tutti ci invidierebbero, ma trovo mortificante
che – fortunatamente con qualche eccezione – il sistema dei media per mesi
abbia accettato acriticamente questa narrazione.
E allora diciamoli questi dati…
Il primo dato, il dato di fondo, da cui qualsiasi analisi dovrebbe partire, è
il bilancio complessivo in termini di morti e di caduta del Pil. Ebbene, su 37
società avanzate (paesi Oecd e Unione Europea) solo quattro hanno avuto più
morti per abitante di noi. Si tratta di Spagna, Belgio, Regno Unito, Stati
Uniti. Quanto al Pil, le previsioni del Fondo Monetario
Internazionale uscite pochi giorni fa, ci dicono che quest’anno solo la Spagna
farà peggio di noi.
Ma non è tutto. Anche se guardiamo esclusivamente alla fase attuale, quella in
cui – secondo la narrazione dominante – l’Italia si starebbe comportando meglio
degli altri paesi, la realtà è che siamo a metà classifica, un po’ meglio di
Francia e Regno Unito, ma molto peggio della Germania. L’illusione di stare
molto meglio di Francia e Regno Unito si basa semplicemente su un errore, o
ingenuità, di tipo statistico.
Che tipo di errore?
L’errore di basarsi sui nuovi casi
giornalieri accertati, senza tener conto del fatto che la capacità
diagnostica dei vari paesi è molto diversa, perché diverso è il numero di
tamponi per abitante, e diversa è l’efficacia del tracciamento. Tutti i
maggiori paesi occidentali, compresa la Francia, da almeno due mesi fanno il
doppio o il triplo dei tamponi che facciamo noi, e questo finisce per gonfiare
il numero di nuovi casi diagnosticati, permettendo a noi – che di tamponi ne
facciamo molti di meno – di cullarci nell’illusione di stare meglio di altri.
Ma c’è un errore ancora più grande, che un po’ tutti hanno commesso.
Quale?
E’ quello di puntare sempre i riflettori su chi stava peggio di noi, anziché su
chi aveva fatto molto meglio, con un bilancio di morti (e di caduta del Pil)
enormemente più favorevole del nostro. Avremmo
dovuto studiare i paesi migliori per cercare di imitarli, anziché
auto-rassicurarci con i guai dei paesi che avevano sbagliato strategia.
La riapertura delle scuole, e il
successivo svolgimento delle elezioni, hanno avuto un peso sulla crescita dei
contagi? O stiamo pagando ancora le vacanze matte di agosto?
La scuola è semplicemente il luogo nel quale, a causa di un livello di attenzione
lodevolmente elevato (tamponi), si tocca con mano quanto folle sia stata la
nostra estate. Quanto alle elezioni sì, è possibile che, come temeva il prof.
Massimo Galli, decine di milioni di italiani alle urne abbiano accelerato la
circolazione del virus. Lo dico perché la serie dei decessi ha avuto un
repentino innalzamento dopo l’11 ottobre, giusto 20-25 giorni dopo la data del
voto, e giusto ieri un nuovo balzo (+83 morti, il doppio del giorno prima).
Ma quello che stiamo pagando davvero, in
questi giorni, sono i 5 peccati capitali dei nostri governanti:
·
pochi tamponi;
·
mancato rafforzamento del trasporto pubblico locale;
·
incredibili ritardi nel rafforzamento del servizio sanitario nazionale e
della medicina territoriale;
·
deliberata indulgenza su movida, discoteche, assembramenti;
·
nessun serio piano per ridurre il numero di alunni per classe.
E’ ipocrita, e anche un po’ vile, attribuire la responsabilità del dramma
attuale alla popolazione, quando si sono passati mesi ad adulare i cittadini
per il loro presunto senso di responsabilità, anziché denunciarne le follie
estive, e magari provare a far rispettare le regole.
La realtà è molto semplice e cruda: la frittata l’hanno fatta i governanti, e adesso tocca a noi toglier loro le castagne dal fuoco. Perché la strategia del governo è sempre quella, ieri come oggi: tergiversare finché i casi sembrano pochi; svegliarsi di colpo quando si profila il collasso del sistema sanitario; e a quel punto terrorizzare l’opinione pubblica perché accetti l’unica cosa che al governo riesce bene, ossia chiuderci tutti in casa.
Ma il dato più terribile è che, oggi come ieri, chi si ammala non riceve alcuna visita a casa, ed è abbandonato nei meandri della burocrazia sanitaria, digitalizzata e senza umanità (una realtà che il caso di Feruccio Sansa riassume fin troppo bene).
Il virologo Andrea Crisanti auspica un
nuovo lockdown a ridosso del Natale per frenare il diffondersi del contagio.
Cosa ne pensa?
Ho ascoltato l’intervista, ma non mi è sembrato un auspicio, semmai una previsione.
Secondo me il prof. Crisanti, per una volta, è fin troppo ottimista: se ci sarà un nuovo lockdown, sarà ben
prima di Natale. Il problema dei politici è che sanno benissimo che solo i
nostri sacrifici possono rallentare la circolazione del virus, ma non hanno
ancora trovato un modo di chiuderci senza dire che ci rinchiudono una seconda
volta.
Cosa manca secondo lei per gestire la
crisi sanitaria ed economica? Il governo invita tutti al senso della
responsabilità
Quel che manca lo sappiamo perfettamente:
è tutto quel che il governo avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Ora è
tardi, quasi tutto quel che andava fatto richiede mesi, e andrebbe attuato in
condizioni di quasi-normalità, in cui siamo stati per 4 mesi e ormai non siamo
più. Mentre ai primi di marzo, proprio in un’intervista a questo giornale, mi
ero permesso di fare un invito alla chiusura immediata, oggi ogni suggerimento
mi pare perfettamente inutile: i buoi
sono scappati, possiamo solo inseguirli più o meno affannosamente, e con
maggiore o minore cialtroneria.
Ma l’Italia si può permettere un nuovo
lockdown? Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le stime di
crescita del Pil rispetto a quanto fa il governo nei suoi documenti economici e
finanziari, non sarebbe un disastro?
Il disastro c’è già stato, purtroppo, e il neo-lockdown che verrà non potrà che
aggravarlo. Ma bisogna capire che l’alternativa non è fra salute ed economia.
Contrariamente a quel che il senso comune sembra suggerire, la relazione fra
salute ed economia è diretta, non inversa. Meno
ci si preoccupa della salute oggi, e più si danneggia l’economia domani. E’
da qualche mese che provo ad avanzare questo dubbio, ora uno studio del Fondo
Monetario Internazionale pare arrivare alle medesime conclusioni.
Se il Fondo Monetario ha ragione, i difensori estivi dell’economia sono stati i
suoi peggiori nemici, perché è precisamente la superficialità con cui si è
riaperto durante la stagione calda che sta per regalarci un nuovo lockdown, più
o meno mascherato, ora che inizia la stagione fredda.
Siamo a un passo dall’approvazione del
nostro piano di utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Che gliene pare? Nel
2021 quanta ricchezza recupereremo?
Le risorse del Recovery Fund arriveranno nella seconda metà del 2021, quindi il
loro effetto si farà sentire solo nel 2022. Per quanto riguarda il rimbalzo del
Pil italiano, sono pessimista: la
politica dei bonus e dei sussidi è la ricetta giusta per non far ripartire
l’economia.
Siamo avviati a diventare una
“società parassita di massa”, e in una società basata sull’invadenza dello
Stato e il soffocamento del settore privato il Pil non cresce.
Intervista di
Alessandra Ricciardi a Luca Ricolfi, ItaliaOggi, 16 ottobre 2020
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