Paolo Mieli | 30 settembre 2020/ Corriere della Sera
Ancora un giorno e il leader della Lega entrerà nell’albo d’oro dei leader politici italiani transitati per le aule giudiziarie. Come Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi
Ci siamo. Ancora un giorno e Matteo Salvini entrerà nell’albo d’oro dei leader politici italiani transitati per le aule giudiziarie. Come Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. Lui, a differenza dei predecessori, non ha neanche fatto una onorevole sosta a Palazzo Chigi. Senza esser stato presidente del Consiglio (ma esclusivamente vice, oltreché ministro dell’Interno), Salvini dovrà rispondere a Catania di aver sequestrato — da solo, presumiamo — 131 migranti in attesa di scendere a terra dalla motonave della Guardia costiera «Bruno Gregoretti».
I profughi
maschi, al termine di un viaggio infernale che durava da gennaio, dovettero
aspettare per cinque lunghissimi giorni, tra il 27 e il 31 luglio del 2019.
Donne e bambini per due. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva
chiesto l’archiviazione di questo caso Gregoretti-Salvini. Un altro magistrato,
parlandone con Luca Palamara (quando l’ex capo dell’Associazione nazionale
magistrati era ancora in auge) aveva espresso dubbi sull’iniziativa giudiziaria
antisalviniana. Ma il presidente dei giudici delle indagini preliminari, Nunzio
Sarpietro, è andato avanti con decisione: «A me Palamara non lo dice nessuno»,
ha dichiarato. E il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere contro l’ex
ministro per «sequestro di persona aggravato». Va riconosciuto che Giuseppe
Conte, il presidente del Consiglio — di allora e di adesso — è stato assai
fortunato.
Nessun giudice ha pensato di
coinvolgerlo, neanche marginalmente, nella decisione di trattenere quei
disgraziati a bordo della «Gregoretti» in quell’ormai lontano luglio del ‘19. E ugualmente baciati dalla fortuna
sono stati i colleghi di governo dell’ex ministro. C’è da aggiungere che anche
dovesse uscire indenne dalle forche catanesi, come già capitò ai succitati
predecessori, altri procedimenti si prospettano per Salvini. Sicché sabato 3
ottobre probabilmente inizierà per il leader leghista una vita nuova tra
tribunali e toghe che — presumiamo — non sarà ininfluente agli effetti della
prosecuzione dell’altra sua vita, quella politica.
Nel frattempo i migranti — ovemai a
qualcuno stesse tuttora a cuore il loro destino — hanno continuato ad essere
«trattenuti» sui ponti delle navi. L’Italia giallorossa sulla scia di quella
gialloverde ha poi stanziato dieci milioni per la guardia costiera libica.
Nicola Zingaretti il 18 luglio scorso ha annunciato l’intenzione di verificare
«con assoluta inflessibilità» che con tale impegno implicasse un «termine alla
condizione infernale nella quale sono costretti a vivere tanti migranti». Ma di
quella «inflessibile» verifica si è saputo poco. Diciamo meglio: niente.
Fortunatamente si batte per la causa dei
fuggiaschi dall’Africa un esperto di diritti umani, il greco Jason
Apostolopoulos, che (in compagnia del medico Fabrizio Gatti) avrebbe voluto
farle lui questo genere di verifiche imbarcandosi sul rimorchiatore Mare Jonio
della ong «Mediterranea».
Apostolopoulos è una figura quasi leggendaria da quando nell’ottobre 2015 ha
lasciato il lucroso mestiere di ingegnere per andare a Lesbo ad aiutare i
profughi provenienti dalla Turchia. Da allora si è occupato solo di loro, dei
migranti, in decine, centinaia di casi. Ma stavolta si è imbattuto in un
italiano d’acciaio, il comandante della Guardia costiera Donato Zito, che non
ha consentito né a lui né a Gatti di imbarcarsi: «trattasi di due profili che
non hanno alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dal
rimorchiatore», ha sentenziato. Il governo non ha sconfessato Zito. Anzi ha
avallato le sue motivazioni. Si sono levate soltanto le proteste dei radicali
Giulia Crivellini e Massimo Iervolino, più a sinistra di Rossella Muroni,
Nicola Fratoianni, Erasmo Palazzotto, Matteo Orfini e dell’ex M5S Gregorio de
Falco. Tutti concordi su un’unica cosa: dai tempi di Salvini, in Italia non è
cambiato niente. Solo che adesso nessuno o quasi ne parla più. Nel frattempo
Alarm Phone ha denunciato che tra il 14 e il 25 settembre, centonovanta persone
sono morte in sei naufragi davanti alla Libia. Cioè in dieci giorni: sei
naufragi e centonovanta morti. Qualcuno ne ha saputo qualcosa?
Secondo la portavoce di Sea-Watch Giorgia Linardi il silenzio che avvolge queste storie risponde ad una «strategia del governo italiano» in complicità con il resto d’Europa. Tra il governo Conte I e il governo Conte II, prosegue la Linardi, «sono cambiate le modalità e i toni ma non è cambiato l’obiettivo di cacciare le Ong dal Mediterraneo». Salvini a suo tempo voleva «porti chiusi»; il governo attuale, con il decreto del 7 aprile scorso, ha dichiarato i porti italiani «non sicuri». «Quasi peggio», sostiene Giorgia Linardi. Quanto al cambiamento dei decreti sicurezza, pare che tale modifica preveda la revisione delle sanzioni. Ma, secondo la portavoce di Sea-Watch, manterrebbe «l’approccio criminalizzante verso chi salva vite in mare». A parole, denuncia l’attivista umanitaria, «le nuove policy italiane ed europee menzionano il soccorso in mare, ma poi, a leggere bene, si coglie che l’unico cambio di passo è il rafforzamento di Frontex e dei respingimenti verso la Libia».
Le critiche mosse da radicali, da
sparuti elementi di sinistra varia e dalla rappresentante di Sea-Watch
all’attuale governo ci sembrano esagerate. Siamo persuasi che nel suo intimo il presidente del
Consiglio sia cambiato dall’agosto 2019 , che a lui sarebbe sufficiente qualche
sollecitazione per dar prova di quanto gli stia a cuore la causa dei migranti.
Allo stesso modo non può sfuggirci il più che evidente cambio di passo
dell’attuale titolare degli Interni: la Lamorgese lunedì scorso è stata persino
ricevuta dal Papa che ha dato evidenti segni d’assenso al monito della ministra
a «non dimenticare, in un frangente così gravido di domande, il dramma
dell’immigrazione».
Roberto Saviano
Quel che si è visto meno — ce ne siamo accorti da tempo — sono le manifestazioni di sostegno alla causa dei fuggiaschi da parte del mondo della cultura e delle arti. Pochi letterati, poche personalità dello spettacolo si sono prodigate, negli ultimi e penultimi tempi, per premere sul Parlamento a che vengano presi provvedimenti adeguati al dramma caliamesso in risalto dalla Lamorgese. Ancor meno sono gli scrittori che, sul modello di quel che loro stessi fecero nelle estati 2018 e 2019, abbiano preso la via del mare per portare un pur minimo sollievo ai disperati in fuga dalle coste africane (così da aver poi modo di scrivere libri su quelle loro sofferte esperienze). Per buona sorte ci è rimasto — assieme a un modesto numero di compatrioti — il greco Apostolopoulos che, dopo il cambio d’inquilino al Viminale, non ha modificato la propria sensibilità in materia di migranti. Peccato che Conte, Zingaretti e Grillo non lo abbiano preso a modello. |
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