mercoledì 31 marzo 2021

MERCOLEDI’ SANTO: I SEGNI DI UN TEMPO STRAORDINARIO

 VERONIQUE *

(Charles Peguy, 1873-1914)

 

Giotto, Ingresso a Gerusalemme 
"Per la prima volta, per la prima volta dopo Gesu, noi abbiamo visto, sotto i nostriocchi, noi stiamo per vedere un nuovo mondo sorgere, se non una citta; una societa nuova formarsi, se non una citta; la societa moderna, il mondo moderno; un mondo, una societa costituirsi, o almeno assemblarsi, (nascere e) ingrandirsi, dopo Gesu, senza Gesu. E cio che e piu tremendo, amico mio, non bisogna negarlo, e che ci sono riusciti.


Quello che da alla nostra generazione, amico mio, alla vostra generazione, e al tempo in cui noi viviamo una importanza capitale: e cio che pone voi ad una svolta unica nella storia del mondo, nel trascorrere della storia del mondo. E cio che vi pone in una situazione tragica, unica. Voi siete i primi.

Voi siete i primi dei moderni. Voi siete i primi di fronte ai quali, davanti a cui, sotto i cui occhi si sia fatto e che voi stessi avete fatto, questa singolare opera, questa instaurazione del mondo moderno e questo stabilirsi del governo del partito intellettuale nel mondo moderno".

* * Charles Peguy, “Dopo Gesu, senza Gesu”, da Véronique, in Lui è qui, BUR, Milano 1997.


Ci sono tantissime cose OGGI che sono segni di un tempo straordinario: la pandemia, le apparizioni mariane, l'arrivo dell'Anticristo, le divisioni nella Chiesa....

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ai punti 675-677, descrive bene tutto ciò che vediamo compiersi sotto i nostri occhi:

675 – Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti  credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il « mistero di iniquità » sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.

676 –  Questa impostura anticristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato « intrinsecamente perverso ».

677 – La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa.

 

 

martedì 30 marzo 2021

I VESCOVI AMERICANI SI INTERROGANO: CHE FARE CON IL CATTOLICO BIDEN?

 È LECITO PRESENTARSI ALLA COMUNIONE A CHI È A FAVORE DELL'ABORTO?

Un altro vescovo cattolico dice che Joe Biden non dovrebbe cercare il Santissimo Sacramento della Comunione perché sostiene e promuove l'uccisione di bambini durante gli aborti in contraddizione con gli insegnamenti biblici pro-vita.

Thomas Paprocki
Il vescovo Thomas Paprocki di Springfield, Illinois, ha detto questa settimana in una nuova intervista che le persone che cercano la comunione devono riflettere sulla propria coscienza e comportamento prima di riceverla.

"Penso che la prima questione sia che il comunicante stesso esamini la propria coscienza e se è cosciente di un peccato grave, non dovrebbe andare alla comunione", ha detto Paprocki alla Catholic News Agency. “Penso che sia qualcosa di cui ci siamo quasi dimenticati, e penso, per molte persone, che sia solo una sorta di automatico. Tutti si alzano e vanno alla comunione. È un po 'prevedibile, ma prima dovrebbe esserci quell'esame di coscienza. "

Il vescovo Paprocki ha chiarito alla CNA che ai cattolici che pubblicamente e ostinatamente difendono l'aborto, compresi i politici, può e deve essere negata la comunione secondo il diritto canonico.

 “Non sto parlando di giudicare la loro anima, sto parlando delle loro azioni esterne. Se vivono in un modo o occupano posizioni contrarie all'insegnamento della chiesa, il ministro della Comunione deve negare loro il sacramento ”, ha detto Paprocki.

Nel caso di Biden, “Il primo passo corretto è che non si presenti. Ciò precede la questione della negazione o dell'ammissione di qualcuno al sacramento ".

La mancata applicazione coerente del canone 915 causa confusione, ha detto Paprocki, e "dà luogo a scandalo, in quanto porta all'impressione che i peccati gravi potrebbero non essere così gravi, dopotutto, se non ci sono conseguenze per averli commessi".

“È importante ricordare che l'obiettivo finale è la conversione e la riammissione alla comunione, non l'esclusione e l'espulsione permanente dalla comunità di fede. Anche quando deve essere presa una decisione difficile di non ammettere qualcuno alla Santa Comunione fino a quando non ci sia stato pentimento e riconciliazione, tale disciplina non contraddice l'amore da cui è motivata ”, ha detto Paprocki.

L'arcivescovo cattolico Joseph Naumann ha parlato all'inizio di questo mese contro il presidente Joe Biden che riceve la comunione senza pentirsi delle sue azioni radicali a favore dell'aborto.

Naumann, che presiede il comitato pro-vita dei vescovi cattolici statunitensi, ha detto ad “Atlantic” che Biden non può affermare di essere un "cattolico devoto" mentre sostiene politiche che distruggono la vita di bambini non nati innocenti.

Biden "non crede a quello che crediamo sulla sacralità della vita umana", ha detto Naumann,  secondo il Daily Wire . E a meno che non si penta, non dovrebbe ricevere l'Eucaristia, ha continuato l'arcivescovo.

"Ovviamente, il presidente non crede a ciò che crediamo sulla sacralità della vita umana, altrimenti non intraprenderebbe le azioni che compie", ha detto Naumann. “Eppure continua a ricevere l'Eucaristia. Non possiamo giudicare il suo cuore. Ma consideriamo l'azione stessa un grave male morale ".

"Uno dei problemi è la misura in cui sostiene l'aborto legalizzato, fino al punto di volere che tutti gli americani finanzino l'aborto", ha detto Naumann. "Ma il problema più grande, per noi ... è che lui fa queste cose, e poi, in risposta alle domande su di esse, lui o il suo addetto stampa dice:" Biden è un cattolico devoto ". Che lo voglia o no, in pratica sta dicendo alla gente: "Puoi essere un buon cattolico e fare cose simili" ".

Biden ha già fatto dell'aborto su richiesta una priorità nella sua amministrazione. Appena due giorni dopo essere entrato in carica,  ha celebrato l'anniversario di  Roe v. Wade , la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha portato all’aborto di oltre 62 milioni di bambini americani.

Giorni dopo, Biden  “si sbarazzò della politica di Città del Messico” (Accordo internazionale firmato negli anni 80 da Ronald Reagan a Città del Messico, che vieta i finanziamenti federali alle ONG che praticano l’aborto nel mondo) e ha finanziato con  500 milioni di dollari dei contribuenti la International Planned Parenthood Federation, che uccide i bambini non nati con aborti in tutto il mondo. E questo denaro verrà utilizzato anche per fare pressione sui paesi dell'Africa e del Sud America affinché introducano l'aborto nelle loro legislazioni.

Joe Biden ha anche firmato un disegno di legge di finanziamento che , per la prima volta in 40 anni, costringerà i contribuenti a pagare gli aborti sia negli Stati Uniti che nei paesi di tutto il mondo.

Naumann ha detto che Biden“Vuole rendere l'aborto disponibile e accessibile, promuoverlo, persino aiutare a pagarlo. Vuole costringere tutti gli altri a fare anche questo, anche se viola la loro coscienza ".

Sulla libertà religiosa e sulla famiglia, Biden sta anche intraprendendo azioni che si oppongono apertamente alla Chiesa cattolica. Una delle sue priorità principali è l'Equality Act, che  abolirebbe l’obiezione di coscienza.

Le scelte di Biden per la sua amministrazione sono ancora più dure, tanto per non lasciare dubbi sulle sue intenzioni. Il già procuratore generale della California Xavier Becerra, grande amico di Kamala Harris, anche lei già procuratrice della California, e ora ministro della salute e dei diritti umani, e ultra radicale contro l'aborto, ha combattuto in tribunale contro un ente di beneficenza di suore che serve i poveri e gli anziani (the Little Sisters of the Poor) per costringerle a rinunciare all'esenzione per gli istituti religiosiche non vogliono finanziare l’aborto. E sta  perseguendo i giornalisti sotto copertura che hanno denunciato il commercio di parti del corpo del bambino abortito di Planned Parenthood , diffondendo video reali di quanto sta accadendo. Becerra ha anche  citato in giudizio il governo federale nel 2017  perché il presidente Donald Trump ha istituito una regola pro-vita per proteggere i cristiani dal dover pagare per forme di contraccezione che possono causare aborti attraverso l'Obamacare. 

Per queste e altre ragioni, la presidenza di Biden ha causato crescenti polemiche nella Chiesa cattolica. I vescovi hanno discusso se Biden debba ricevere la comunione perché sfida apertamente la santità della vita umana e altri insegnamenti della chiesa. Alcuni vescovi hanno detto che  il presidente non dovrebbe partecipare al sacramento fino a quando non si pente , mentre  altri dicono che dovrebbe essere autorizzato a ricevere l'Eucaristia .

 

tratto da life news 26 MARZO 2021

https://www.lifenews.com/2021/03/26/catholic-bishop-joe-biden-should-not-present-himself-for-communion-because-hes-pro-abortion/

 

SPAGNA: QUESTA È L’ORA IN CUI RITORNANO I "BARBARI"

“SIAMO UNA CIVILTÀ NICHILISTA CHE VEDE NELLA MORTE UNA GRANDE VITTORIA”

Intervista al filosofo spagnolo Miguel Ángel Quintana Paz sulla nuova legge dell'eutanasia

 

Per il cardinale arcivescovo di Valencia, Antonio Cañizares, il 18 marzo 2021 sarà ricordato come un “giorno di lutto”. La ragione? L’approvazione al Congresso della legge sull’eutanasia. La Spagna è il quinto paese al mondo dove l’eutanasia è legalizzata pienamente ed esplicitamente, andando ad aggiungersi a Belgio, Olanda, Canada (dove nei giorni scorsi è stata ampliata la norma) e Lussemburgo.

i deputati in piedi applaudono

“Che delusione vedere deputati in piedi ad applaudire, una sconfitta per l’uomo!”, ha detto il cardinale Cañizares. “La Spagna ieri si è coperta di lutto e lacrime”. Il vescovo Juan Antonio Reig Pla è stato ancora più duro: “L’eutanasia mette fine a tutti i diritti. Non esiste più nulla di cui non possiamo disporre. Il passo successivo sono le leggi che propiziano il ‘transumanesimo’. Questa è l’ora in cui ritornano i ‘barbari’”. Reig Pla ha parlato di “un popolo anestetizzato dai media”.

Docente all’Università Cervantes di Valladolid, Miguel Ángel Quintana Paz è un filosofo raro in Spagna, è un accademico che scende sul ring, entra nei set televisivi e discute sui social. “L’eutanasia è la vittoria di una sconfitta”, dice al Foglio. “Stiamo parlando della vita e della morte. Stiamo parlando di quale significato diamo alla vita, di quale civiltà creiamo, che considera il fatto di morire una liberazione”.

L’ex premier socialista José Zapatero aveva iniziato a parlare di eutanasia già nel 2004. “Poi iniziarono a uscire dei film pro eutanasia. Il governo spagnolo è stato molto intelligente e perverso, ha introdotto una legge simile quando non poteva avere un’opposizione per le strade a causa della pandemia. Ha a che fare con il tema del nichilismo, dietro a tutto questo c’è l’idea che la vita non è un bene. Il bene oggi è la vita piacevole, divertente, utile, e se perde questa dimensione non c’è motivo di continuare tutto questo e l’eutanasia diventa un’attrattiva fatale. La libertà è il grande valore del nostro tempo, ma è una libertà per finirla con la libertà”.

E’ una battaglia persa secondo Miguel Ángel Quintana Paz, anche se un paio di vescovi continuano a denunciare. Lourdes Méndez Monasterio, di Vox, ha definito la giornata della votazione come segno di “ignominia, della cultura dello scarto e della morte…”. “Anche fra i Popolari, che hanno votato contro, molti deputati sono a favore”, dice Miguel Ángel Quintana Paz. “Non c’è nessuna opposizione dalla chiesa, dagli intellettuali, dalle figure morali. E’ una battaglia persa. L’idea che l’eutanasia sia popolare è perché non c’è alcuna opposizione culturale su queste tematiche.

Il cristianesimo stesso diventa fare qualcosa di buono e bello per gli altri, quindi se l’altro vuole morire diventa cristianamente perverso anche ucciderlo. Stiamo parlando, insomma, di un terreno deserto poiché tutti i nostri argomenti etici si basano su una cosa: evitare la sofferenza  nostra e degli altri, perché non sappiamo più dare un senso a nessuna sofferenza”.

Fra qualche anno non se ne parlerà neanche più. “Peggio, forse fra qualche anno parleremo dell’eutanasia come in Belgio e in Olanda, introducendo anche quella per i bambini, che sono i più deboli. Perché negare loro una via di uscita dalla sofferenza, si penserà? E’ irresistibile e ha molto a che vedere con l’attuale corso del progresso internazionale, in cui la Spagna è molto ‘avanzata’. Neanche i cattolici sono più impegnati contro l’eutanasia e altri fronti. Anzi, molti sono a favore. Tutto è decaduto in una benevolenza umanitaria e astratta. E’ una grande eresia cristiana”.

GIULIO MEOTTI

IL FOGLIO


sabato 27 marzo 2021

LA SCUOLA LA DAD E IL COMUNE

 A  CHI SERVE LA SCUOLA?

Una della novità più interessanti degli ultimi giorni, almeno da quanto appare dalle notizie che il sistema dell’informazione evidenzia o lascia passare, è sicuramente quella di una forte richiesta popolare di ritorno alla scuola in presenza.

L’emergenza ancora presente sul fronte Covid (l’andamento della campagna di vaccinazione, con tutti suoi imprevisti; il modificarsi dei dati dell’epidemia; la riffa quindicinale dei colori delle Regioni) riduce l’evidenza di questa richiesta, la rende in qualche modo inopportuna, come una sorta di lusso che non ci si può permettere, dati i possibili guai più grossi.

Ma la realtà è un’altra. Disturbi mentali tra giovani e giovanissimi in aumento: 500 ricoveri al “Bambino Gesù” di Roma entro la fine dell'anno per tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, disturbi alimentari. Denuncie di genitori impossibilitati a seguire i figli, e di altri che stanno riscontrando come il dramma dei loro figli non sia far frequentare la lezione davanti al computer o al tablet, ma convincerli di nuovo ad uscire di casa.

Perché la Dad, che pure l’anno scorso aveva fatto gridare al miracolo di una scuola reattiva, vicina e vitale, in una Italia tramortita dalla prima ondata di Covid, spaventata e depressa davanti al lockdown, oggi ci sembra la certificazione di una disfatta?

A cosa serve, o meglio ancora, a chi serve, la scuola di cui adesso avvertiamo così crudamente l’assenza? Cosa manca, quando diciamo che manca la scuola in presenza e con questo la presenza della scuola?

Manca la presenza di una istituzione sociale, alleata di madri, padri e figli. Di una istituzione che sia capace di tenere insieme un popolo, in un tempo, come l’attuale, in cui si avverte che la fragilità del singolo non è soccorsa ma sgretolata dalla presenza di un potere che parla per decreti e per piani. Abbiamo necessità di tenere conto dei nostri bisogni. Della solitudine, dell’incertezza, della depressione e della paura dei nostri figli. Delle nostre intenzioni. Un luogo in cui entrare in relazione che sia in grado di dare occasioni di risposta al bisogno educativo che le madri e i padri hanno per i loro figli e per se stessi.

Oggi tutti si dicono favorevoli alla riapertura delle scuole, ma nei fatti?

IL COMUNE E LE IDEOLOGIE

Prendiamo il caso del nostro Consiglio Comunale. Una mozione del gruppo “ Cambiamo”, che formulava proposte concrete, riguardava la messa in sicurezza delle aule mediante meccanismi di controllo dell'umidità dell'aria, in quanto le evidenze scientifiche riferiscono come, in un ambiente confinato e ad alto tasso di umidità, i virioni che sfuggono alle mascherine restano in circolazione per più tempo". In Italia un'azione similare è stata varata in modo strutturale solo dalla regione Marche. Il costo per dotare tutte le aule scolastiche italiane di filtri HEPA è dell’ordine di 300 milioni di euro, circa la metà della spesa per i favolosi banchi a rotelle, procacciati dall’impareggiabile governo Conte. Questa invece era un'iniziativa a portata dell'Ente e su cui si stanno muovendo anche comuni limitrofi, vedi l'annuncio del sindaco Zattini a Forlì di poche settimane fa".

Questa mozione è stata bocciata dal PD con motivazioni confuse e totalmente mancanti di fondamento, usando critiche del tutto prive di giustificazioni tecniche, formulate da persone che si dovranno prendere la responsabilità di non aver fatto nulla per contrastare la propagazione del virus in ambienti confinati, come l’aula di lezione. Ma evidentemente appellarsi alla scienza fa comodo solo a correnti alterne.

Cosa manca ora, che prima forse c’era?

Niente. Solo che ora sono finite le illusioni. E il desiderio del ritorno alla scuola in presenza rischia di essere il sogno di una Arcadia percepita come una normalità perduta. A meno che non diventi il sintomo doloroso che fa affrontare un nuovo percorso diagnostico e terapeutico.


 IL CROCEVIA

foto Ansa

giovedì 25 marzo 2021

BARI WEISS: «PERCHÉ HO LASCIATO IL NEW YORK TIMES E ORA COMBATTO LA CANCEL CULTURE»

Contro l’ortodossia illiberale della sinistra: nuovo j’accuse della giornalista che si è dimessa dal New York Times in polemica con il conformismo del giornale

Per gentile concessione di Deseret News pubblichiamo di seguito in una nostra traduzione un commento di Bari Weiss apparso nel numero di marzo 2021 dell’omonimo magazine statunitense. L’autrice si è trovata al centro delle cronache di mezzo mondo l’estate scorsa quando si è dimessa polemicamente dal New York Times, denunciando il settarismo e il «bullismo» ideologico del giornale di riferimento della sinistra americana in una dura lettera all’editore che i lettori di Tempi possono recuperare qui. Il testo originale in inglese dell’articolo scritto da Bari Weiss per Deseret è disponibile in questa pagina.


BARI WEISS è nata il 25 marzo del 1984 a Pittsburgh, Pennsylvania, di religione ebraica, ha studiato alla Columbia University . Giornalista, ha lavorato a The Wall Street Journal (2013-2017) e al The New York Times (2017-2020)


Sono nata nel 1984, il che mi situa nell’ultima generazione che ha visto la luce in America prima che esistesse l’espressione “cancel culture”. Il mondo in cui sono nata era liberale. Non nel senso fazioso del termine [liberal in inglese significa anche progressista, ndt], bensì nel senso classico e dunque più ampio del termine. C’era allora una diffusa visione liberale condivisa da liberal e conservatori, repubblicani e democratici.

Tale visione contava su alcune verità fondanti che parevano ovvie quanto l’azzurro del cielo: la convizione che tutti sono creati a immagine di Dio; la convinzione che tutti sono uguali per questo; la presunzione di innocenza; una repulsione verso la giustizia sommaria; l’impegno per il pluralismo e la libertà di espressione, e per la libertà di pensiero e di fede.

Come ho ricordato altrove, questa visione del mondo riconosceva che ci sono interi ambiti della vita umana collocati al di fuori della politica, come l’amicizia, l’arte, la musica, la famiglia e l’amore. Era possibile che i giudici della Corte suprema Antonin Scalia (conservatore) e Ruth Bader Ginsburg (progressista) coltivassero la migliore delle amicizie perché, come disse una volta lo stesso Scalia, certe cose sono più importanti dei voti.

Soprattutto, questa visione del mondo insisteva sul fatto che ciò che ci lega non è il sangue o la terra, ma la dedizione a un insieme condiviso di idee. Con tutti i suoi fallimenti, la cosa che rende grande l’America è che essa rappresenta il distacco dalla nozione, tuttora prevalente in tanti altri posti, per cui la biologia, il luogo di nascita, la classe sociale, il rango, il genere, la razza siano un destino. I nostri secondi padri fondatori, abolizionisti come Frederick Douglas, erano testimonianze viventi di questa verità.

Quella vecchia visione condivisa – ogni suo singolo aspetto – è stata travolta dalla nuova ortodossia liberale. Poiché questa ideologia si ammanta del linguaggio del progresso, tanti comprensibilmente si lasciano ingannare dal brand che si è auto-attribuito. Non fatelo. Essa promette giustizia rivoluzionaria, ma minaccia di trascinarci in un passato dove siamo tutti schierati uno contro l’altro secondo la tribù di appartenenza.


Il metodo principale di questo movimento ideologico non è costruire o rinnovare o riformare, ma abbattere. La persuasione è rimpiazzata dalla pubblica gogna. Il perdono è rimpiazzato dalla punizione. La pietà è rimpiazzata dalla vendetta. Il pluralismo dal conformismo; il dibattito dal de-platforming [divieto di fare intervenire in pubblico determinate personalità, ndt]; i fatti dai sentimenti; le idee dall’identità.

Secondo il nuovo illiberalismo il passato non può essere compreso nei suoi termini propri, ma deve essere giudicato attraverso la morale e i costumi del presente. L’educazione, secondo questa ideologia, non è insegnare alle persone come pensare, bensì dire loro cosa pensare. Tutto quanto sopra è il motivo per cui William Peris, docente alla UCLA [University of California, Los Angeles, ndt] e veterano dell’aeronautica, è stato sottoposto a procedimento disciplinare per aver letto in aula ad alta voce la Lettera dal carcere di Birmingham di Martin Luther King Jr. O per cui un distretto scolastico della California ha vietato Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain e Uomini e topi di John Steinbeck. O per cui il comitato di gestione delle scuole di San Francisco ha votato a favore della rinominazione di 44 istituti, compresi quelli intitolati a George Washington, Paul Revere e Dianne Feinstein – avete letto bene – a causa di vari peccati.

In questa ideologia, se non twitti il giusto tweet o non condividi il giusto slogan o non posti il giusto motto e la giusta foto su Instagram, la tua vita intera può essere rovinata. Se pensate che io stia esagerando, date un’occhiata alla vicenda di Tiffany Riley, la preside di una scuola pubblica del Vermont licenziata questo autunno perché ha dichiarato di sostenere le vite dei neri ma non l’organizzazione Black Lives Matter.

In questa ideologia, le intenzioni non importano un fico secco. Chiedete a Greg Patton. In autunno il professore di comunicazione aziendale alla USC [University of Southern California, ndt] stava facendo lezione in aula sulle “parole superflue” – come “um” e “like” e così via – per il suo corso di master. In Cina, ha ossevato, «la classica parola superflua è “che che che”. In cinese sarebbe…», e ha pronunciato un termine cinese che suonava come un insulto razzista inglese.

Alcuni studenti si sono offesi e hanno scritto una lettera al decano della facoltà di economia accusando il loro professore di «negligenza e disprezzo». E hanno aggiunto: «Non dovremmo trovarci a combattere in aula per il nostro senso di pace e benessere mentale».

Invece di rispondere loro che le loro affermazioni erano follia, il decano si è arreso alla pazzia: «Per la facoltà è semplicemente inaccettabile l’utilizzo in aula di parole che possono emarginare, causare sofferenza e danneggiare la sicurezza psicologica dei nostri studenti». Patton è stato sospeso dall’insegnamento nel corso, e la sempre più elastica nozione di “sicurezza” è stata brandita, ancora una volta, come un’arma poderosa.

Il vittimismo, in questa ideologia, conferisce forza morale. «Penso, dunque sono» è sostituito da: «Sono, dunque so», e «so, dunque ho ragione».

In questa ideologia, tu sei colpevole dei peccati di tuo padre. In altri termini: tu non sei tu. Sei solo un mero avatar della tua razza o della tua religione. E il razzismo non riguarda più la discriminazione sulla base del colore della pelle di qualcuno. Il razzismo è qualunque sistema che consenta risultati diversi tra diversi gruppi razziali. Per questo le città di Seattle e San Francisco hanno rivisitato l’algebra perché razzista. Per questo, ancora, una Smithsonian Institution l’estate scorsa ha stabilito che il duro lavoro, l’individualismo e la famiglia sono caratteri “bianchi”.

In questa ideologia totalizzante, puoi essere colpevole per prossimità. Un imprenditore palestinese di Milwaukee, Majdi Wadi, è stato quasi ridotto sul lastrico quest’estate per i tweet razzisti e antisemiti scritti dalla figlia adolescente. Un calciatore professionista è stato licenziato a causa dei post di sua moglie. Ci sono centinaia di esempi simili. L’illuminismo, per dirla con il critico Ed Rothstein, è stato rimpiazzato dall’esorcismo.


Cosa forse più importante, in questa ideologia, la parola – il modo in cui si risolvono i conflitti nelle società civilizzate – può essere violenza, mentre la violenza, se esercitata dalle persone giuste perseguendo una giusta causa, non è affatto violenza.

È così che, in giugno, più di 800 miei ex colleghi del New York Times hanno dichiarato che un commento del senatore Tom Cotton li aveva messi in «pericolo», mentre la più celebrata giornalista della testata – ultima vincitrice del premio Pulitzer – ribadiva pubblicamente che saccheggi e rivolte sono «non violenza». Quella giornalista, creatrice del Progetto 1619 [colossale iniziativa editoriale del Nyt che mira a riscrivere la storia americana come storia di un impero fondato sullo schiavismo, ndt], continua a essere mitizzata. Intanto i redattori che avevano pubblicato il commento sono stati umiliati pubblicamente e allontanati dal giornale.

Si può dissentire dalla tesi esposta da Tom Cotton – il senatore invocava l’impiego della Guardia nazionale per mettere fine alle rivolte dell’estate – e insieme credere, come me, che non ci si può definire il quotidiano di riferimento e ignorare le opinioni di metà del paese.

Mi sono dimessa poche settimane dopo quell’episodio vergognoso, convinta che non ci fosse possibilità di rischiare intellettualmente in un giornale che si piega come una tenda davanti alla folla. Come ho scritto nella lettera di dimissioni, «sono tutti brutti segnali, specialmente per i giovani autori indipendenti e per i redattori particolarmente attenti a quello che devono fare per avanzare nella carriera. Regola uno: esprimi le tue idee a tuo rischio e pericolo. Regola due: non arrischiarti a commissionare un articolo che contraddica la narrazione. Regola tre: mai credere a un direttore o a un editore che ti invita ad andare controcorrente. Alla fine l’editore si piegherà al volere della folla, il direttore sarà licenziato o assegnato ad altra mansione e tu sarai abbandonato».

mercoledì 24 marzo 2021

VON GALEN, HITLER E L’EUTANASIA

 “Non esistono vite indegne!”.

Il Leone che ruggiva in faccia a Hitler



A pochi giorni dalla legalizzazione dell’eutanasia da parte della Spagna, che così è diventato il settimo Paese al mondo a varare una legge sulla «dolce morte», il 22 marzo si è celebrata la memoria del beato Clemens August von Galen (1878–1946). Probabilmente trattasi solo di una coincidenza, tuttavia è senza dubbio una buona occasione per ricordare questo cardinale tedesco che proprio sull’eutanasia spese parole di straordinaria chiarezza e ancora assai attuali.

A questo, però, arriviamo tra poco. Intanto è bene sapere chi fosse von Galen, ossia il figlio di una nobile famiglia tedesca che terminati gli studi, nel 1904 fu ordinato sacerdote. Seguì una lunga carriera ecclesiastica che, se da un lato lo porterà fino alla porpora cardinalizia, dall’altro consentirà a questo pastore di imporsi come una figura di immenso carisma, totalmente fuori dal comune e soprattutto coraggiosa; al punto da passare alla storia come il «Leone di Münster».

In effetti, tutto si può dire di von Galen tranne che non avesse fegato per il modo diretto con cui, attraverso le sue omelie, si scagliava contro il regime nazista. Ma non, attenzione, a nazismo finito – come i simpaticoni odierni, coccolati antifascisti in assenza di fascismo -, bensì quando Hitler era ancora saldamente al potere. Tanto che nel giugno del 1943 sarà nientemeno che il New York Times a definire il vescovo di Münster «l’oppositore più ostinato del programma nazionalsocialista».

Da parte sua, sia chiaro, il regime non è che stesse a guardare. Tutt’altro: pur senza nominarlo in modo esplicito, a pronunciare minacciosi ammonimenti contro von Galen fu nientemeno che Goebbels in persona, e vi furono centinaia di arresti tra chi diffondeva i suoi sermoni. Ciò nonostante, il «Leone» non smise mai di ruggire, prendendosela in generale con l’ideologia nazista e, in particolare, con l’eutanasia che i seguaci di Hitler attuavano sui portatori di handicap. Memorabile, al riguardo, un’omelia di von Galen dell’agosto 1941.

«Se anche per un’unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli», tuonò, «allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi, e noi stessi, quando diventiamo vecchi. Chi potrà ancora avere fiducia nel suo medico? Potrà condannarlo a morte». Parole durissime, che di questi tempi genererebbero un certo imbarazzo financo in casa cattolica dove, specie sui temi etici, pare prevalere un approccio accomodante.

La sensazione, infatti, è che pur di non apparire «divisivi» – come se Gesù fosse un simpaticone che metteva tutti d’accordo – sulle questioni bioetiche abbia ultimamente la meglio una linea soft, ma così soft che sfiora l’irrilevanza. Ecco perché merita di essere riscoperta la figura del beato von Galen, uno che fuori dalla porta aveva Hitler in persona, non i radicali o qualche giornalista di Repubblica pronto a tendere un trappolone; eppure non si risparmiava nel proclamare, sull’uomo, la verità tutta intera. Avercene ancora, di «Leoni» così.

Fonte: giuliano guzzo.com

martedì 23 marzo 2021

ABORTO IN PILLOLE … OVVERO QUELLO CHE NESSUNO TI DICE SULLA “CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA”

 

ABORTO IN PILLOLE … OVVERO QUELLO CHE NESSUNO TI DICE SULLA “CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA” 

PRIMO ANNUNCIO

Lunedì 29 marzo alle ore 21.00 in videoconferenza 


Coordinate videoconferenza in collegamento tramite ZOOM: 
https://us02web.zoom.us/j/87489829211?pwd=TGpHNmw4Y3FzbFZUc0Fzc25HcjNmdz09  
Oppure: Meeting ID: 874 8982 9211; Passcode: 910938 

 


Ma è corretto parlare di "contraccezione d'emergenza" quando il loro effetto prevalente è di impedire l'annidamento di un embrione? Nel corso della serata si affronterà il tema della cosiddetta pillola del “giorno dopo" e "dei 5 giorni dopo", oggi disponibili in farmacia anche per le minorenni senza ricetta medica.

Sarà anche un discorso “tecnico”, ma l’obiettivo essenziale è conoscere ciò che accade e quindi di costruire una cultura e un giudizio utile per la vita.

Abbiamo invitato due esperti di fama internazionale per fare il punto tecnico e morale sull'uso di questi farmaci. Saranno con noi la prof. Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano, giurista e bioeticista presso la Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e il prof. Giuseppe Noia, ginecologo, professore associato di medicina prenatale presso la facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore

Evento promosso da
Family Day-Difendiamo i Nostri Figli (sezione di Cesena) - Il Crocevia - Movimento per la Vita (sezione di Cesena) - Osservatorio per l’Educazione (sezione di Cesena) - Unione Giuristi Cattolici Italiani (sezione di Forlì-Cesena) 

domenica 21 marzo 2021

EUTANASIA IN PORTOGALLO.

 IL VOLANTINO DI CL

In seguito all'approvazione della "Legge per la morte medicalmente assistita", la comunità locale del movimento ha scritto un documento: «Che coraggio è necessario per sostenere la nostra speranza»17.03.2021

L’attuale discussione sull’eutanasia è sintomatica di una perdita del desiderio di vivere, molto più diffusa di quanto vorremmo ammettere o affrontare. Un momento come questo ci ricorda quanto coraggio ci vuole per sostenere la nostra speranza e quella di chi ha gli occhi puntati su di noi. Di fronte alla sofferenza, le domande esplodono: «Perché io? Come è possibile sopportare questo? Se questa è la vita, vale ancora la pena viverla?».

Abbiamo tutti queste domande che, in un certo senso, urlano, anche se spesso sembrano oscurate o anestetizzate, come se quello che fino a poco tempo fa era evidente non lo fosse più, sia nei giovani, spesso soffocati dal contesto in cui vivono, sia in chi, imprigionato in un letto e in un dolore per il quale non vede né fine né scopo, percepisce la realtà come un ostacolo al suo desiderio di felicità. Ma l’eutanasia non risolve questo dramma.

1.      Dice un medico malato di Sla

Lisbona, San Vincente de Fora
 (sclerosi laterale amiotrofica) in un’intervista: «Scusi, ma pensa che ci sia qualcuno che vorrebbe vivere così? Secondo lei, quando dieci anni fa sono entrato nelle stanze di terapia intensiva e ho visto persone intubate, che vivevano di tubi e in condizioni precarie, cosa crede che abbia detto e pensato? Non vorrei mai, mai vivere così. Piuttosto, lasciatemi morire». E aggiunge: «Eppure la malattia mi ha permesso di rendermi conto di quanto sia bello chiedere aiuto e, soprattutto, che se noi, i malati, siamo adeguatamente assistiti, non c'è malattia che impedisce alla vita di essere un diritto e di rimanere un dono in modo da essere vissuto sino alla fine».

2. Anche un'oncologa dice: «Quando arriva il cancro, quando arriva il dolore, è come se la vita fosse messa a nudo. Tutto si semplifica, nascono le vere domande. Ho scoperto che il cancro non sempre prende la vita, ma può darla. Perché l'uomo vivente è l'uomo che chiede».

3. Un’insegnante delle medie aggiunge: «Come insegnante, vedo che i più piccoli ci guardano e ci chiedono di aiutarli a mantenere viva la speranza che valga la pena nascere, che sia possibile essere felici. Sono in grado di bombardarci di domande esistenziali, domande sul significato della vita e della morte e della sofferenza». Per questa insegnante, il dramma che affronta ogni giorno quando entra in classe è quello di decidere di sostenere il desiderio infinito del cuore dei suoi studenti o di relativizzarlo.

4. All’inizio di questo secondo lockdown, la struttura di emergenza dell’ospedale di Lisbona ha lanciato un appello ai volontari per sostenere gli operatori sanitari nelle attività di assistenza ai pazienti e per un supporto amministrativo, richiedendo di avere più di 18 anni e di essere già stati infettati dal virus. Servivano 80 volontari. Ci sono state 845 iscrizioni.

In questa pandemia, abbiamo visto emergere tracce di speranza in tanti che non hanno mancato di affermarla, anche sacrificandosi: nei cappellani ospedalieri o in tanti giovani volontari ComVidas nelle case di cura in cui c’era il Covid (dove tutti sono fuggiti, loro sono entrati ); in medici e infermieri che lavorano senza rinunciare a rispondere ai loro pazienti; nella dedizione di tanti docenti nella proseguire il rapporto con i propri studenti, ora a distanza, perché è la modalità che la realtà permette; ancora, nella creatività di imprenditori e lavoratori che reinventano le loro aziende per non chiudere.

Una speranza che trova eco in quei tanti che si sono offerti volontari per aiutare in prima linea, anche con discrezione e in lavori semplici (dieci volte più del necessario, e in un contesto di estrema crisi e difficoltà), dimostrando come a spingerci sia la voglia di vivere e di non lasciar morire.

Questo stesso desiderio ha spinto alcuni a partecipare al dibattito pubblico, mossi dalla necessità di affermare e testimoniare che il problema posto meritava la ricerca di una vera risposta che non poteva esaurirsi solamente nel dibattito politico-partitico.

Le domande che la vita pone richiedono una risposta credibile, una risposta che può essere data solo da chi le ha incrociate, da chi non le ha cancellate, da chi vive la ragione come un’apertura, lasciandosi interrogare dalla vita, da chi non vive una ragione stentata, chiusa, che le cancella. Abbiamo bisogno di adulti che non abbiano paura delle domande della ragione. Soprattutto quelle che esplodono di fronte alla sofferenza: «Perché io? Come è possibile sopportare questo? Se questa è la vita, vale ancora la pena viverla?». Queste domande hanno dentro una strada di bene che può essere percorsa in compagnia di Cristo che è venuto da noi e che, per dare l'unica risposta totale, ha sofferto ed è morto come noi, ha attraversato la contraddizione di una vita che sembra perdere. E lo ha fatto vincendo la morte, rimanendo al nostro fianco, per sempre. Risponde alle nostre domande con la sua presenza, visibile oggi, accanto a chi soffre.

Per questo i nostri Vescovi ci ricordano con insistenza che tutta la vita umana ha valore e «ora più che mai rafforziamo il nostro intento di accompagnare con cura e amore tutti i malati, in tutte le fasi della loro vita terrena e, in modo particolare quella finale».

Guardare chi già lo fa sostiene la nostra speranza e apre la possibilità di un percorso che non vogliamo perdere, con tutti coloro che incontriamo.

Comunione e Liberazione Portogallo

NOTA

 

Marcelo Rebelo de Sousa

A pochi giorni dall’approvazione definitiva della legge sull’eutanasia al Congresso dei deputati in Spagna, la Corte costituzionale in Portogallo ha cassato la normativa che depenalizza la morte medicalmente assistita. Con l’argomentazione che impiega concetti «eccessivamente indeterminati» nella definizione dei requisiti di accesso all’eutanasiaHa accolto così parzialmente le riserve espresse dal presidente della Repubblica, il conservatore Marcelo Rebelo de Sousa, che aveva rimesso la legge, approvata lo scorso 29 gennaio dal Parlamento, alla verifica di conformità costituzionale, facendo uso della prerogativa di veto del capo dello Sato.

sabato 20 marzo 2021

IL TESTAMENTO DI GIUSEPPE GRANDI

  UNA LEGGENDA DEGLI ALPINI

Un libro ricostruisce la «sovraumana maestà» del soldato celebrato da Corti nel Cavallo rosso.

Ritratto di un eroe della campagna di Russia

 

IL CAVALLO ROSSO fiorisce di pagine che rimangono ben impresse nei lettori. Una in particolare è memorabile, lungo il racconto del gelido inferno della ritirata di Russia. Mi riferisco alla morte di Giuseppe Grandi, capitano della 46ª compagnia del battaglione Tirano, l’alpino che nel romanzo di Eugenio Corti muore cantando e invitando i suoi uomini a cantare con lui. Trattasi di un momento apicale all’interno del romanzo, forse uno dei punti in cui il senso che Corti vuole trasmetterci brilla con più evidenza e forza: tanto più le tenebre del male paiono sovrastare la storia, quanto più la libertà, il coraggio e la fede degli uomini sono chiamati in causa per salvaguardare il pezzetto di mondo ad essi affidato. Dietro questa immortale pagina di letteratura c’è un soldato che, come molti di cui Corti racconta, ha calcato quelle assiderate steppe. 

Marco Dalla Torre ha di recente dato alle stampe la prima biografia di costui, dal titolo Il testamento del capitano Grandi, per i tipi di Edizioni Ares.. 

Dalla Torre maneggia con scrupolo da storico (e da alpino) tutte le fonti in nostro possesso sulla figura del capitano Grandi, intessendo un ordito narrativo e scorrevole, che con discrezione sa ritrarsi per lasciare emergere le voci del passato: su tutte, le testimonianze dei compagni di Grandi e le lettere del capitano alla sua famiglia. Viene alla luce il ritratto affascinante e provocatorio di una vera e propria leggenda degli alpini. È militare per necessità, ma sportivo per vocazione, fin da giovanissimo, tanto da festeggiare il diploma scendendo arditamente l’Arno in canoa. Si appassiona di arte rinascimentale e di lettere, e soprattutto di montagna: la nostalgia delle Alpi emerge prepotente nelle missive inviate alla volta di casa, mentre il treno lo conduce incontro al suo destino, nelle piatte lande dell’Europa dell’est. Ha un amore che non rivedrà più; la quale, per onorarne la memoria, non si sposerà mai.

La testimonianza che di lui offrono i suoi compagni è unanime nel ricordarlo come un valentissimo capitano. Sempre portato a diffondere buon umore, desideroso di conquistarsi i sottoposti con l’esempio e la compartecipazione e non con il vanto delle mostrine; un soldato estremamente valoroso, capace di affrontare scalate proibitive e campi minati, e di ricevere la ferita mortale in pieno petto, correndo incontro al nemico con una bomba a mano, durante la carneficina della battaglia di Arnautowo. Questo soldato è anche, e forse soprattutto, un uomo di fede, forse semplice, certo grande. Laggiù in riva al Don si adopera per cercare di costruire una piccola cappella; riceve coi suoi compagni la santa Comunione; muore essendosi confessato.


La pace costruita col sangue 

Non credo che il libro di Dalla Torre sia per i soli fan di Corti. È al contrario, grazie anche ad alcuni utili intermezzi di contestualizzazione storica, un volume pensato per una lettura agevole da parte di chiunque voglia conoscere meglio sia il mondo degli alpini sia la grandiosa – a suo modo – vicenda della ritirata di Russia. È vero, come dice Rigoni Stern, citato da Dalla Torre nell’introduzione, che «la storia piccola, qualche volta, sa spiegare meglio della storia grande». 

Aggiungo che la caratura morale e la simpatia del capitano Grandi sono affascinanti e fanno riflettere: è su questo sangue che si è edificata la pace di cui godiamo. Disse don Carlo Gnocchi: «Non è sovrumana maestà quella del capitano Grandi che, ferito a morte, vedendo intorno alla slitta il cerchio silenzioso dei suoi alpini: “Che cosa sono, gridò, questi musi duri? Su ragazzi, cantate con me: Il capitano si l’è ferito, si l’è ferito e sta per morir”. E allora, sulle desolate distese della steppa invernale, si levò un lesto e mesto corale di alpini…»

La definizione più bella e sintetica è forse quella di Eugenio Corti, quando fa dire al suo personaggio Luca questa definizione di Grandi:”un vero padre del senso alpino”.

Giuseppe morì che non aveva ancora 29 anni. Non si era ancora sposato e non aveva sperimentato la    gioia della paternità fisica. Forse un poco più grande dei suoi soldati, ma di una manciata d’anni, e loro ne parlano più che come di un amico e di un fratello che di un padre. Ma esiste la possibilità di vivere nelle relazioni umane un senso di paternità non fisico. E in effetti diversi indizi sembrano rivelarlo in Grandi. È questo che il genio di Corti ha saputo intuire.

Foto Ansa