di MARINO MENGOZZI
Il Vangelo, si sa, è la “buona notizia”: nessun tempo come il
nostro ha necessità di buone notizie, mai l’uomo è stato tanto assetato di
speranza. E la speranza arriva da una buona notizia. Le parole più audaci –
perché più vere – sono custodite proprio nel Libro della Parola, di quel logos
che sta all’origine di tutto, come enuncia solennemente il prologo del Vangelo
di Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Vervo
era Dio».
Il compito che si è assunto Franco Casadei con questa nuova raccolta – Nostro fratello Giuda. Il Vangelo in poesia, Borgomanero, Giuliano Ladolfi Editore, 2021 – è anche una sfida coraggiosa: portare all’uomo e alla sua odierna mendicanza i tesori dei Vangeli trasfigurati e semplificati nella forma del linguaggio poetico, che scarnifica il messaggio adornandolo di bellezza ordinata, misurata e gratuita.
Già il titolo intriga, soprattutto perché dissonante al primo
impatto: Giuda è il prototipo di traditore del Maestro e del suo Vangelo,
dunque come si legano e accostano i due soggetti? E perché mai l’autore
qualifica l’Iscariota “fratello” e gl’intesta l’intera silloge a partire
dall’onore della copertina?
Gli interrogativi erano già chiari al poeta, che opportunamente premette «Come è nato questo libro»: e da qui deve partire il lettore, non senza aver prima apprezzato quale lanterna necessaria e sicura l’autorevole Prefazione del vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca, che addita – con la consueta efficacia – la chiave di lettura del testo e dei suoi fattori primari: esperienza, dramma esistenziale, grido dell’uomo, ricerca del senso, ragioni della speranza.
Casadei parte dalle suggestioni di un incontro con madre Anna Maria Cànopi (1931-2019), carismatica monaca benedettina fondatrice dell’abbazia Mater Ecclesiae nell’isola di San Giulio sul lago d’Orta, e della lettura della celebre omelia del Servo di Dio don Primo Mazzolari (1890-1959) tenuta a Bozzolo il Giovedì Santo del 1958, incentrata proprio su «Giuda, fratello nostro». Non può non commuovere il pianto amaro – lo stesso, si badi, di Pietro! – di questo discepolo che arriva a vendere per trenta denari il suo Maestro, così come non può non coinvolgere ogni uomo quella sua scandalosa e orribile azione (chi infatti può dire di non aver mai tradito?).
Parte dunque dal tradimento il
viaggio poetico, scandito in tre tappe/sezioni: 1. «Ed io che sono?» (la più
affascinante delle domande di Giacomo Leopardi); 2. «Ciò che occorre è un Uomo»
(un famoso incipit di Carlo Betocchi); 3. «E duemila anni dopo?» (con
esergo da Thomas Stearns Eliot); tre fra i più amati ispiratori del cammino
poetico ed esistenziale dell’autore.
Nel percorso dei testi (57 in totale) s’innesta il Vangelo, “tradotto” da Casadei, cioè esposto e indagato per episodi e personaggi lungo la vicenda terrena di Gesù di Nazareth (dall’Annunciazione alla Pentecoste), ruminato e introiettato, antologizzando e suscitando questioni e domande che investono e interpellano la nostra vita, portandola – ecco la buona notizia! – dalla caduta al risollevamento, dalla disperazione alla speranza, dalle tenebre alla luce, dal tradimento alla misericordia e alla redenzione.
Il Vangelo della nostra
memoria ha grande familiarità con pagine, parabole e personaggi peculiari, con
episodi e figure da sempre transitati pure nel linguaggio figurativo (pensiamo
alla Biblia pauperum della straordinaria stagione medievale, dove le
pareti delle chiese si trasformavano in mirabili pagine illustrate): Casadei li
sceglie con destrezza e ne rinnova il racconto in forma asciutta e suadente,
efficace e autorevole.LORENZO LOTTO
Annunciazione di Recanati
Così L’Annunciazione: «Il momento decisivo / per il destino
del mondo / è avvolto dal silenzio»;
così L’anno zero: «Il vasaio si è fatto argilla, / è voluto
venire /inaugurando l’anno zero»; così I Re Magi: «per loro contava la
verità / – non l’opinione – / e la verità si incontra, / non si può inventare»;
così Il primo annuncio: «Dio non è oltre le stelle, / ma è
all’opera fra le colline e il lago / […] Ogni strada del mondo è Galilea»;
così Zaccheo: «Mi si aprì, senza volerlo, il cuore. / Non capii del tutto quel che mi accadeva, / ma Lui era lì / e questa impensata misericordia mi bastava»;
così Il figliol prodigo: «Dio non regge il dolore dei suoi
figli, / si arrende / e quando il mondo li considera perduti / Lui li abbraccia
come fossero rinati»; e via poetando.
Fra i vari tratti distintivi, merita segnalare l’esito felice
delle chiuse, come a ricapitolare il messaggio prima di premere il “tasto
invia”:
«Le bilance di Dio / non pesano il quanto, / ma il come»
(Il quanto e il come);
«L’ovile non sarà mai una prigione, / ma una soglia spalancata /
in transumanza verso il destino» (Il Buon Pastore);
«Tutti guariti, uno solo salvato. / Nella guarigione si chiudono
le piaghe, / nella salvezza rifiorisce la vita» (I dieci lebbrosi);
«La salvezza ha il colore del sangue, / estratte le spine, vola
felice / il pettirosso nella luce che si sgrana» (Il sepolcro vuoto);
«la Parola è di un Altro, / noi soltanto voce» (Non noi).
Questa è una raccolta lirico-narrativa (al limite di una nuova forma catechetica?) che manifesta mestiere e, di più, vocazione: il primo sa porgere con navigata politezza, la seconda àncora alla realtà il dato esperienziale; così l’io del poeta sollecita e accompagna il tu del lettore ed entrambi si avviano su un cammino in compagnia e amicizia.
L’amicizia speciale e sincera dei poeti: che può risultare sofferta là dove gli aneliti s’incontrano e sovrappongono, ma che infine denuda la zavorra, spariglia il superfluo e produce una sconosciuta, lucida serenità.
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