“Non esistono vite indegne!”.
Il Leone che
ruggiva in faccia a Hitler
A pochi giorni dalla legalizzazione dell’eutanasia da parte della Spagna, che così è diventato il settimo Paese al mondo a varare una legge sulla «dolce morte», il 22 marzo si è celebrata la memoria del beato Clemens August von Galen (1878–1946). Probabilmente trattasi solo di una coincidenza, tuttavia è senza dubbio una buona occasione per ricordare questo cardinale tedesco che proprio sull’eutanasia spese parole di straordinaria chiarezza e ancora assai attuali.
A questo, però,
arriviamo tra poco. Intanto è bene sapere chi fosse von Galen, ossia il figlio
di una nobile famiglia tedesca che terminati gli studi, nel 1904 fu ordinato
sacerdote. Seguì una lunga carriera ecclesiastica che, se da un lato lo porterà
fino alla porpora cardinalizia, dall’altro consentirà a questo pastore di
imporsi come una figura di immenso carisma, totalmente fuori dal comune e
soprattutto coraggiosa; al punto da passare alla storia come il «Leone di Münster».
In effetti, tutto si
può dire di von Galen tranne che non avesse fegato per il modo diretto con cui,
attraverso le sue omelie, si scagliava contro il regime nazista. Ma non,
attenzione, a nazismo finito – come i simpaticoni odierni, coccolati
antifascisti in assenza di fascismo -, bensì quando Hitler era ancora
saldamente al potere. Tanto che nel giugno del 1943 sarà nientemeno che
il New York Times a definire il
vescovo di Münster «l’oppositore più ostinato del programma
nazionalsocialista».
Da parte sua, sia
chiaro, il regime non è che stesse a guardare. Tutt’altro: pur senza nominarlo
in modo esplicito, a pronunciare minacciosi ammonimenti contro von Galen fu
nientemeno che Goebbels in persona, e vi furono centinaia di arresti tra chi
diffondeva i suoi sermoni. Ciò nonostante, il «Leone» non smise mai di ruggire,
prendendosela in generale con l’ideologia nazista e, in particolare, con l’eutanasia che i seguaci di Hitler
attuavano sui portatori di handicap. Memorabile, al riguardo, un’omelia di
von Galen dell’agosto 1941.
«Se anche per un’unica
volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli», tuonò,
«allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli
esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi,
e noi stessi, quando diventiamo vecchi. Chi potrà ancora avere fiducia nel suo
medico? Potrà condannarlo a morte». Parole durissime, che di questi tempi
genererebbero un certo imbarazzo financo in casa cattolica dove, specie sui
temi etici, pare prevalere un approccio accomodante.
La sensazione,
infatti, è che pur di non apparire «divisivi» – come se Gesù fosse un
simpaticone che metteva tutti d’accordo – sulle questioni bioetiche abbia
ultimamente la meglio una linea soft, ma così soft che sfiora l’irrilevanza.
Ecco perché merita di essere riscoperta la figura del beato von Galen, uno che
fuori dalla porta aveva Hitler in persona, non i radicali o qualche giornalista
di Repubblica pronto a tendere un trappolone; eppure non si risparmiava nel
proclamare, sull’uomo, la verità tutta intera. Avercene ancora, di «Leoni»
così.
Fonte: giuliano guzzo.com
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