mercoledì 31 ottobre 2018

PAKISTAN. DOPO 3.420 GIORNI DI CARCERE, ASIA BIBI È LIBERA



Leone Grotti 31 ottobre 2018

La madre cattolica di cinque figli dopo quasi 10 anni di prigione è stata finalmente assolta dalle false accuse di blasfemia. Lo ha annunciato stamattina il presidente della Corte suprema. Quando Asia Bibi disse a Tempi: «Credo che Gesù compirà il miracolo e mi darà libertà, proprio come ha fatto con Pietro»

Dopo 3.420 giorni di carcere ingiusto e ingiustificato, Asia Bibi è finalmente libera. La madre cattolica di cinque figli è stata definitivamente assolta dalla Corte Suprema, che stamattina ha comunicato pubblicamente il verdetto. Dopo essere stata condannata in primo e secondo grado per false accuse di blasfemia, l’8 ottobre si è tenuta a Islamabad l’udienza finale del processo, presieduta dal presidente della Corte suprema, Mian Saqib Nisar. In quell’occasione, i giudici hanno preso una decisione ma hanno tenuta segreta la sentenza, vietando ai media di parlare del caso a motivo della sua estrema delicatezza. Attualmente, 300 agenti sono stati schierati a guardia del tribunale.

IL CALVARIO DI ASIA BIBI
Oggi Asia Bibi è libera, ma il suo calvario è durato un tempo che pare infinito. Era il 14 giugno 2009 quando la donna cattolica bevve un bicchiere d’acqua per ristorarsi dal lavoro nei campi e fu accusata da due donne musulmane di avere infettato la fonte, in quanto infedele. Ai tentativi delle colleghe di convertirla all’islam, lei rispose: «Il mio Gesù è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità, Maometto cosa ha fatto per voi?». Asia Bibi venne insultata e picchiata da una folla di musulmani chiamati a raccolta dai muezzin delle moschee. Dopo 5 giorni, il 19 giugno 2009, il mullah musulmano Qari Muhammad Sallam, che non aveva assistito all’alterco, formalizzò l’accusa di blasfemia davanti alla polizia e la madre cattolica fu arrestata e portata via dalla sua casa del villaggio di Ittar Wali (Punjab).

CONDANNA A MORTE
Condannata a morte in primo grado in base all’articolo 295-C del codice penale l’11 novembre 2010, Asia Bibi è rimasta in isolamento da allora. Dopo aver passato un primo periodo nel carcere di Sheikhupura, è stata trasferita in quello di Multan. La donna ricorda così l’udienza:
«Piansi sola, con la testa tra le mani. Non posso più sopportare la vita di persone piene di odio, che applaudono per l’uccisione di una povera bracciante. Ora non li vedo più, ma li sento ancora, la folla che tributa il giudice con una standing ovation, gridando: “Uccidetela, uccidetela! Allahu Akbar. Vendetta per il santo profeta. Allah è grande!”».
LA PISTOLA ALLA TEMPIA IN TRIBUNALE
I giudici pakistani hanno usato il tempo come arma crudele contro Asia Bibi: il processo di appello infatti è stato rinviato senza motivo cinque volte in quattro anni. Il 16 ottobre 2014 la corte d’appello di Lahore ha confermato la condanna a morte. Nonostante le prove siano sempre state nulle e inattendibili nel caso di Asia Bibi, come confermato dalla Corte suprema, i giudici in primo e secondo grado hanno avallato la condanna a morte sia per inadeguatezza di alcuni avvocati difensori della donna sia per timore di essere uccisi dagli estremisti islamici. Per far capire il clima durante le udienze, Sardar Mushtaq Gill, attivista cristiano per i diritti umani costretto a fuggire dal Pakistan pochi anni fa, raccontò a Tempi: «Durante il primo grado di processo, il suo avvocato difensore è stato accolto in tribunale dal cancelliere, che gli ha puntato direttamente una pistola alla testa. È questo che intendo quando parlo di pressioni da parte degli estremisti islamici».

L’APPELLO FINALE
Il 24 novembre 2014 la difesa di Asia Bibi ha presentato istanza di appello presso la Corte suprema. Da allora, l’udienza definitiva è stata rinviata per svariati motivi due volte nel 2015 e due volte nel 2016. L’ultima volta, il 13 ottobre 2016 perché uno dei tre giudici, Iqbal Hameedur Rehman, si rifiutò di giudicare il caso.

OMICIDI NEL NOME DI ALLAH
Negli anni in cui Asia Bibi viveva in isolamento, in una cella senza finestre, costretta a farsi da mangiare da sola per non essere avvelenata, tutte le più importanti cariche dello Stato che si sono azzardate a difenderla sono morte. Il 4 gennaio 2011 è stato assassinato il governatore musulmano del Punjab, Salman Taseer, che aveva definito quella sulla blasfemia una “legge nera” da cambiare. Il 2 marzo 2011 è stato invece crivellato di colpi il ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti, che si era detto disposto a morire pur di ottenere il rilascio di Asia Bibi e la modifica della legge sulla blasfemia.

IL MARTIRIO DI ASIA BIBI
Ora che Asia Bibi è libera e il suo martirio è finito, e nella speranza che i giudici abbiano atteso un mese a comunicare il verdetto per dare il tempo di predisporre tutto per la sua fuga dal Pakistan, dove non può più restare visto che sulla sua testa pende ancora una taglia da 500 mila rupie (10 mila dollari), non si può dimenticare che il martirio è stato consapevolmente scelto da Asia Bibi. Scrisse la donna in una lettera datata dicembre 2012:
“Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nel­la mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha of­ferto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta one­stà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musul­mana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui»”.
3.420 GIORNI, POI IL MIRACOLO
Asia Bibi è rimasta in carcere 3.420 giorni, quasi 10 anni nei quali non ha potuto vedere i suoi cinque figli Imran, Nasima, Isha, Sidra e Isham, e lo ha fatto per non rinnegare la sua fede in Gesù. Come ha dichiarato a Tempi nel 2014, «il mio più grande desiderio è di poter tornare a vivere con la mia famiglia e mio marito». Come dichiarato ancora a Tempi, non ha mai smesso di credere nella sua liberazione: «Io credo nel nome di Gesù che la potenza della Sua mano mi darà la libertà, proprio come ha fatto con Pietro. Quando si trovava in carcere, lo Spirito Santo è venuto e ha aperto la porta della sua cella. Io mi aspetto un miracolo come questo». Oggi il miracolo è finalmente accaduto.

Tratto da Tempi

martedì 30 ottobre 2018

ABITARE LA CITTÀ O CITTÀ DA CONQUISTARE? - Prof. Maria Antonietta Crippa

 
2° incontro de "IL PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA" (quarto anno) dal titolo: "ABITARE LA CITTÀ O CITTÀ DA CONQUISTARE?". Giovedì 11 ottobre 2018, Sala Cacciaguerra Cesena.

Interviene la Prof. Maria Antonietta Crippa: Professore ordinario di Storia Dell'Architettura al Politecnico di Milano.


lunedì 29 ottobre 2018

LE MOLTE NOVITÀ DEL SINODO DEI GIOVANI



di Bernardo Cervellera 
Asianews

Nel Documento finale del Sinodo c’è una più netta l’affermazione sull’annuncio di Gesù Cristo ai giovani. È ridotta l’ideologia del giovanilismo, che accontenta i giovani in tutto per asservirli. “Non si tratta… di creare una nuova Chiesa per i giovani, ma piuttosto di riscoprire con loro la giovinezza della Chiesa”. In Asia o in Africa, la Chiesa è il luogo dove i giovani si sentono più realizzati e aiutati. Sinodalità: giovani e adulti non sono due partiti uno di fronte all’altro, ma parte di uno stesso corpo. L’impegno socio-politico e la dottrina sociale della Chiesa.
Les jeunes africains (Afric Telegraph)

Città del Vaticano (AsiaNews) - Ci vorrà molto tempo per assimilare tutta la ricchezza prodotta dal Sinodo dei giovani, conclusosi ieri con una messa solenne in san Pietro e con un Documento finale lungo e articolato di ben 60 pagine. Qui vogliamo sottolineare alcune novità presenti nel documento e nell’esperienza che abbiamo avuto del Sinodo.

C’è anzitutto una riduzione del giovanilismo, di quell’ideologia che esalta la gioventù per accontentarla in tutto e per asservirla al potere di turno. La condizione dei giovani è descritta con molto realismo, mostrando tutte le promesse e gli slanci, ma anche le storture e le superficialità. In particolare vi è il suggerimento a superare una visione della coscienza individuale solipsistica e assoluta, per aprirsi a una coscienza “del noi”, in cui il giovane si arricchisce dei legami con la propria storia e tradizione (n. 109). Sul versante cristiano è importante la proposta di vivere la liturgia con protagonismo, ma “tenendo vivo lo stupore per il Mistero”, perché “la liturgia non è puramente espressione di sé, ma azione di Cristo e della Chiesa” (n. 134).

Nel Documento vi è anche con chiarezza affermato che è Gesù Cristo, la sua verità e il suo amore, il vero compimento del giovane e che la Chiesa è desiderosa solo di testimoniarlo a loro e al mondo intero (n. 59). Per questo “non si tratta… di creare una nuova Chiesa per i giovani, ma piuttosto di riscoprire con loro la giovinezza della Chiesa”, capace – come già diceva il Concilio Vaticano II – di “rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste”.

Per testimoniare occorre anzitutto ascoltare e accompagnare, aiutando i giovani a maturare come persone che comprendono il loro valore e il senso del loro essere nel mondo. Questi due elementi sono importanti per due motivi. Anzitutto perché i giovani “sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale. In vari contesti si registra una scarsa attenzione al loro grido, in particolare a quello dei più poveri e sfruttati, e anche la mancanza di adulti disponibili e capaci di ascoltare” (n. 7). In secondo luogo, perché nella Chiesa – per presunzione, pigrizia, meschinità, clericalismo – “prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione” (n. 8).

Il Documento dedica oltre 10 pagine alla “sinodalità” della Chiesa che viene proposta come il metodo della vita e della missione della Chiesa (nn. 119-143). Sinodalità – letteralmente: cammino insieme – significa che giovani e adulti, giovani e Chiesa non sono due isole o due fronti, uno davanti all’altro, impenetrabili, ma vivono insieme e crescono insieme. E se talvolta nel mondo occidentale la Chiesa sembra lontana e assente dalla vita dei giovani, non bisogna dimenticare che nel resto del mondo – come in Asia o in Africa - la Chiesa è il luogo dove i giovani si sentono più realizzati e aiutati. Tale sinodalità mostra che i giovani fanno già parte del corpo ecclesiale e che anzi, valorizzando le loro intuizioni e presenze, si può trovare insieme modi, espressioni, strumenti per annunciare Gesù Cristo al mondo giovanile. È proprio la santità dei giovani che può risvegliare il mondo adulto a vivere con dedizione la missione: “Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportandoci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr. Ap 2,4)” (n. 167).

Infine, e anche questa è una novità, fra i campi di missione più “urgenti” (ambiente digitale, migranti, donne, sessualità, …) si cita l’impegno sociopolitico, l’economia, il lavoro, sottolineando molte volte l’importanza di assimilare la dottrina sociale della Chiesa. A giovani e adulti si chiede “il coraggio di farsi voce di chi non ha voce presso i leader mondiali, denunciando corruzione, guerre, commercio di armi, narcotraffico e sfruttamento delle risorse naturali e invitando alla conversione coloro che ne sono responsabili” (n. 151).




PAPA FRANCESCO: DUE COSINE CHE MI STANNO A CUORE


Discorso a braccio  che il Santo Padre Francesco ha pronunciato ieri nel corso della 22° e ultima Congregazione generale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema:
“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”:

Discorso del Santo Padre


Anch’io devo dire grazie, a tutti. Al Cardinale Baldisseri, a Mons. Fabene, ai Presidenti delegati, al Relatore, ai Segretari speciali – ho detto che avevano “lasciato la pelle” nel documento preparatorio; adesso credo che lascino a noi le ossa, perché hanno perso tutto! –; grazie agli esperti: abbiamo visto come si passa da un testo martire a una commissione martire, quella di redazione, che ha fatto questo con tanto sforzo e tanta penitenza.
Grazie. Grazie a tutti voi, agli uditori e fra gli uditori specialmente i giovani, che ci hanno portato la loro musica qui in Aula – “musica” è la parola diplomatica per dire chiasso, ma è così… Grazie.

Due cosine che mi stanno a cuore.

Primo: ribadire una volta in più che il Sinodo non è un Parlamento. È uno spazio protetto perché lo Spirito Santo possa agire. Per questo, le informazioni che si danno sono generali e non sono le cose più particolari, i nomi, il modo di dire le cose, con cui lo Spirito Santo lavora in noi. E questo è statouno spazio protetto. Non dimentichiamolo, questo: è stato lo Spirito a lavorare, qui.

Seconda cosa, che il risultato del Sinodo non è un documento, l’ho detto all’inizio. Siamo pieni di documenti. Io non so se questo documento al di fuori avrà qualche effetto, non lo so. Ma so di certo che deve averlo in noi, deve lavorare in noi. Noi abbiamo fatto il documento, la commissione; noi l’abbiamo studiato, l’abbiamo approvato. Adesso lo Spirito dà a noi il documento perché lavori nel nostro cuore. Siamo noi i destinatari del documento, non la gente di fuori.
Che questo documento lavori; e bisogna fare preghiera con il documento, studiarlo, chiedere luce… È per noi, il documento, principalmente. Sì, aiuterà tanti altri, ma i primi destinatari siamo noi: è lo Spirito che ha fatto tutto questo, e torna a noi. Non bisogna dimenticarlo, per favore.

E una terza cosa: penso a nostra Madre, la Santa Madre Chiesa. Gli ultimi tre numeri sulla santità
fanno vedere cosa è la Chiesa: la nostra Madre è Santa, ma noi figli siamo peccatori. Siamo peccatori tutti. Non dimentichiamo quell’espressione dei Padri, la “casta meretrix”, la Chiesa santa, la Madre santa con figli peccatori. E a causa dei nostri peccati, sempre il Grande Accusatore ne approfitta, come dice il primo capitolo di Giobbe: gira, gira per la Terra cercando chi accusare. In questo momento ci sta accusando fortemente, e questa accusa diventa anche persecuzione; può dirlo il Presidente di oggi [il Patriarca Sako]: il suo popolo [la Chiesa in Iraq] è perseguitato e così tanti altri dell’Oriente o di altre parti. E diventa anche un altro tipo di persecuzione: accuse continue per sporcare la Chiesa. Ma la Chiesa non va sporcata; i figli sì, siamo sporchi tutti, ma la Madre no. E per questo è il momento di difendere la Madre; e la Madre la si difende dal Grande Accusatore con la preghiera e la penitenza. 

Per questo ho chiesto, in questo mese che finisce tra pochi giorni, di pregare il Rosario, pregare San Michele Arcangelo, pregare la Madonna perché copra sempre la Madre Chiesa.

Continuiamo a farlo. È un momento difficile, perché l’Accusatore attaccando noi attacca la Madre, ma la Madre non si tocca. Questo volevo dirlo di cuore alla fine del Sinodo.
E adesso, lo Spirito Santo regala questo documento a tutti noi, anche a me, per riflettere su ciò che vuole dire a noi. Grazie tante a tutti, grazie a tutti!
Domenica 28.10.2018


mercoledì 24 ottobre 2018

LA PAURA DELL’ALTRO CI AIUTA A SOPRAVVIVERE


di Claudio Risé, da “La Verità”, 21 ottobre 2018

Gli intellettuali raccontano un’Italia in preda all’odio e al razzismo. Non
capiscono che l’antipatia verso i migranti non è il frutto della politica, ma
nasce nei cuori. È l’emozione profonda di chi non ha intenzione di perdere la
propria terra e le proprie radici.


Ma come siamo delicati! A credere ai commenti, la società italiana sarebbe
attraversata dalla violenza, in preda alla paura, e posseduta dall'odio.

Queste tre parole (e altre sullo stesso registro) ricorrono costantemente per
descrivere il clima politico e culturale del nostro Paese, e vengono usate con
dovizia dai molti interessi ancora storditi dai risultati delle ultime elezioni.
Proviamo a osservare questa visione intimorita e un po' frignona con uno
sguardo più selvatico, nel senso leonardesco di più vicino alla selva e alla
natura umana che al birignao da salotto.

Il sospettato numero uno di questo mutamento da paese dell'amore e del
piacere a quello dell'odio e della paura è il cambiamento della politica italiana
(l'unico finora realizzato con chiarezza e successo) di fronte all'immigrazione
di massa e indiscriminata, che è stata fermata. Lo stop, avversato dai paesi
che finora avevano scaricato sull'Italia i migranti e i relativi problemi, è
considerato dalla maggioranza dei media e da molti operatori culturali come
espressione di un odio irrazionale, generato da paure infondate.

È davvero così? Gli italiani sono posseduti da paure ingiustificate e
irrazionali, che li rendono violenti e aggressivi? Innanzi tutto le emozioni di cui
si parla (come ogni emozione) non sono affatto irrazionali e rivelatrici di
incapacità di pensare. Come ogni psicologo sperimenta, e (tra gli altri) la
filosofa Hanna Arendt ha spiegato, è invece il rifiuto delle emozioni che
genera sviluppi irrazionali. "È l'ipocrisia e il far finta di niente che trasforma gli
"impegnati" in "arrabbiati"".

È allora che le istituzioni rischiano di essere viste dal popolo come un nemico
dal cui volto "strappare la maschera di ipocrisia", come racconta appunto la
Arendt nel suo libro Sulla violenza. A quel punto, per lui diventa "ragionevole"
ribellarsi, come è accaduto con il voto di marzo.
Hanna Arendt

È poi vero e possibile che l'altro vada sempre e comunque "amato", e
qualunque altro sentimento verso di lui vada rifiutato e condannato? Per
rispondere va valutato nella giusta importanza un fatto noto a chiunque abbia
contatti reali con la società, ma poco presentato dai media: l'opposizione
all'immigrazione indiscriminata non è stata suscitata da qualcuno, ma è nata
spontaneamente, nel cuore delle persone (non solo in Italia, ma in tutta
Europa), quando venivano a contatto con gli immigrati. Per quanto Matteo
Salvini sia un politico capace, non è stato lui a creare un fenomeno così
vasto, sviluppatosi in silenzio nel cuore delle persone. Poi, certo, ha capito in
fretta cosa stava accadendo e si è impegnato a rappresentarlo.

Si tratta del resto di uno dei fenomeni più noti e osservati in natura:
quando in uno stesso territorio vengono inseriti nuovi individui,
la reazione di quelli che c'erano prima varia a seconda dello spazio e delle risorse
a disposizione, e della compatibilità tra comportamenti e credenze fra i nuovi e gli autoctoni.

Perché dico che si tratta di un fenomeno che nasce nel cuore delle persone?
Perché è un'emozione profonda, di tipo affettivo, solo secondariamente
legata all'interesse e alla convenienza.

In prima istanza lo straniero è l'"altro", la realtà più importante dopo l'Io,
quello che trovo quando esco di casa, che sta vicino a me, nel mio territorio,
nei miei lavori.
È la versione socializzata dell'estraneo verso il quale il bambino prova
a partire dall'ottavo mese di vita una naturale avversione.
Si tratta dell'esperienza vitale su cui poi poggeranno
tutti i successivi vissuti di aggressività verso gli altri, che riproducono
l'angoscia di venire separati dagli affetti primari: la terra e la madre. Insomma
mentre i politici, gli intellettuali, molti operatori economici e tanti altri
vedevano gli immigrati come cose, oggetti delle loro decisioni, futuri elettori,
della cui esistenza personale importava meno di zero, gli altri hanno visto gli
immigrati come esseri umani, l'altro della porta accanto, il vicino di casa. E
non l'hanno amato.

Il fatto è che l'emozione affettiva non è sempre "empatia";
c'è anche l'"antipatia".
Non l'hanno amato non perché siano razzisti ma perché avrebbe potuto
ottenere la casa prima di loro, perché aveva principi e comportamenti diversi,
perché avrebbe offerto il suo lavoro a un prezzo inferiore, o perché avrebbe
venduto ai suoi figli le canne (quelle celebrate con pagine osannanti sui
giornaloni antiproibizionisti da intellettuali alla moda), come altri immigrati già
facevano. E per tante altre ragioni che avrebbero inciso direttamente sulla
sua esistenza.

Nessuna centrale dell'odio gliel'aveva detto, l'aveva scoperto
lui da solo guardando la città, il quartiere, la campagna attorno e chi ci
lavorava. Quell'immigrato era un altro che avrebbe potuto cambiare la sua
vita, in un senso che lui non voleva.

Un sentimento per nulla innaturale. C'è un'emozione personale (non
un'indifferenza o un ammaestramento propagandistico) che si conclude qui
con un rifiuto, motivato dalle scelte di fondo dell'individuo, dai progetti di vita,
dal Sé personale. Che di solito è più saldo di molti comportamenti ideologici,
perché è nato nel cuore di tante e diverse persone, che poi l'organizzano e
traducono con la propria testa in comportamenti, come il voto.

I narratori di un'Italia conquistata dalla sindrome "irrazionale" dell'odio lo
fanno, oltre perché gradito al padrone, perché non hanno mai visto da vicino
né gli sbarcati, né il popolo che non li ama.
Però sbagliano a tenersene lontani, perché rischiano di non capire
più nulla di quanto sta accadendo non solo in Italia, ma nel mondo
Che invece è molto appassionante e istruttivo,
perché produce, ovunque nel mondo, la fine degli universalismi astratti e
cattivi imposti dall'Illuminismo in poi, e il ritorno delle persone fisiche, con le
loro emozioni e i loro personali valori. Tutt'altro che aridi o malvagi anche se
molto diversi dall'accoglienza obbligatoria e stereotipata, promossa dalle
scrivanie di tecnocrati oggi alla frutta. Almeno sul piano umano, è il bosco che
si riprende il deserto.


L'accusa all'Italia di oggi di essere posseduta dalla paura ha sempre la
stessa origine: la non conoscenza del popolo, e il tenersene a distanza.
Certo: il popolo ha vivo il ricordo (spesso ancora attuale) del bisogno, e teme
di non potervi fare fronte. Anche perché a differenza del "single benestante",
di solito il popolo ha famiglia. È spesso di origine meridionale anche quando
è oggi al nord (dove giunse nel dopoguerra alla ricerca di lavoro) ed ha
ancora la particolare dignità del povero, che spesso il borghese ha perduto:
ciò lo carica di ulteriori responsabilità, che suscitano nuovi timori. Si può dire
che il povero conserva ancora (almeno in parte): il "timore di Dio", la
consapevolezza di non essere onnipotente.

Grazie ad essa, il popolo mantiene parte di quella compostezza conservatrice
che caratterizzò a lungo il partito comunista nel dopoguerra,
e che naufragò un po' ridicolmente nella pretenziosità banale di Capalbio.
Oggi, quel che rimane del popolo, ha ancora le sue paure, e le onora, anche quando vota.
 A me sembra un dignitoso tratto di saggezza. Ma forse ad altri "fa paura".

UN’EUROPA MIOPE SEGNA LA SUA FINE



La battaglia sul bilancio italiano è seria e grave perché apre per la prima volta in modo netto il conflitto tra democrazia e alta burocrazia, tra volontà popolare e entità sovranazionali, tra autonomia della politica di governo e mercati finanziari. 
Sono i fondamenti della civiltà liberale ad essere messi in gioco, non le percentuali del rapporto tra deficit e pil. 

L'EUROPA È AL TRAMONTO. E NON È DETTO CHE UN DOMANI CI SIA
 
Foto La Presse
Il lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea, parla quasi con apparente tristezza alla conferenza stampa programmata per il primo pomeriggio di ieri: "E' con molto dispiacere che sono qui oggi per dire che per la prima volta la Commissione è costretta a chiedere a uno Stato di rivedere il suo documento programmatico di bilancio. Ma non vediamo alternative. Sfortunatamente i chiarimenti ricevuti non erano convincenti". Poi  si appella allo spirito di collaborazione e di cooperazione. Peccato che non abbia parlato del surplus tedesco!
Dombrovkis sta parlando in questo modo ieri a Borse ancora aperte (con la correttezza degna di un vecchio mugik), della manovra italiana, che da settimane tutti sanno che sarebbe stata bocciata.
E' il via ufficiale alla grande tragicommedia finale dello scontro tra Unione Europea e Italia, con rischi per tutti e toni che creano solo diffidenza da una parte e dall'altra, ma sopratutto tra i cittadini europei.
Come forse qualcuno ricorderà (non bisogna divulgare troppo queste pericolose notizie), Dombrovkis è riuscito nella strategica Lettonia a perdere rovinosamente le elezioni il 7 ottobre scorso con il suo partito "Vienotiba" e a far vincere i filorussi di "Armonia". E' quindi un fenomeno dell'anti-consenso e di conseguenza era stato cooptato, con il contrario della lungimiranza, da quell'altro fenomeno di Jean-Claude Juncker, l'uomo del famoso piano di rilancio economico da 300 miliardi di euro che non si trovano più.
Ma alla conferenza stampa, sempre a Borse aperte naturalmente, non poteva mancare uno dei maggiori affossatori del Partito socialista francese, il commissario agli Affari economici dell'Ue, Pierre Moscovici, quello che recentemente in un passaggio televisivo si è definito un riformista keynesiano, provocando un terremoto nella zona dove ci sono i resti di Sir John Maynard. Forse una coincidenza.
Moscovici è stato mellifluo come tutti i grandi  perdenti storici, che appaiono disinvolti e poi vanno a casa a prendere  a sberle moglie, figli e domestici. Il commissario agli Affari economici ha detto: "Il ministro all'Economia Giovanni Tria è  sempre un interlocutore credibile e legittimo. Speriamo che sia  capace di convincere il governo italiano della necessità che la manovra italiana sia compatibile con le regole dell'Ue e gli impegni comuni presi". In termini più chiari, Moscovici, l'abile manovratore di un'Europa ormai sgangherata, propone di zittire il trio Conte, Salvini e Di Maio o magari di fare un rimpasto di governo. 
Si è pure aggiunta una nota un po' velenosa di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, forzista che deve aver guardato i risultati del Trentino con un po' di dispiacere.
Naturalmente a queste note di insignificante autorevolezza, che non sono neppure entrate nel merito della questione, è arrivata una risposta sopra le righe da Matteo Salvini, spiegando che gli eurocrati sono "contro i popoli". 
Tutto questo è il regalo in Europa di grevi interessi teutonici che porteranno l'Unione sull'orlo del fallimento ed è il prodotto in Italia della famosa battaglia contro "la casta", della primazia delle "regole" come hanno insegnato i "maestri del diritto" del 1992, in primis il duo Davigo & Di Pietro, gli autentici dioscuri dell'antipolitica militante in nome della lotta alla corruzione, scoperta solo dal 1989, perché il resto era stato (ahimè) amnistiato nottetempo e prima tollerato anche da rivoluzionari come Nilde Jotti e Pietro Ingrao, firmando  bilanci dei partiti tutti falsi.
Tutto questo ovviamente è stato dimenticato, ma noi ci permettiamo di ricordarlo, per rintracciare nella storia una spiegazione logica.
Così, a nostro parere, in un'ipocrisia dallo spessore incredibile, c'è da un lato l'Italia del 2,4 per cento di deficit e dall'altro una Commissione di "austeri rimbambiti". L'apertura appunto della "grande farsa" prima dello scontro politico ed elettorale che, alla fine, non avrà vincitori, ma provocherà solo un grande caos e una marea di perdenti.
Era troppo difficile ragionare, prima di questa sceneggiata, per trovare un compromesso politico accettabile? Viste le condizioni di questa Unione Europea e il livello della politica italiana, forse  non si potevano nutrire altre conclusioni. A ben vedere le scelte di politica economica sono quasi secondarie rispetto allo scontro politico, non ci si illuda di alcuni toni concilianti e moderati usati dai commissari europei.
Se il governo italiano è stonato per sua natura, scoordinato anche in quello che vuole veramente raggiungere, l'Unione Europea è priva di qualsiasi autorevolezza, ricca di piglio intimidatorio, come ai tempi della Grecia,  e nello stesso tempo disperata e preoccupata per il fallimento che vede ormai all'orizzonte.
E' il suicidio del pareggio di bilancio che viene a galla, quando ormai in tutto il mondo, con questo sistema finanziario, la somma dei debiti degli Stati fa la piccola somma di 185mila miliardi di dollari. Uno scherzetto, che si tiene ovviamente nascosto, perché non sarà semplice sistemarlo con i canoni neoliberisti.
Intanto, domenica si vota in Assia e la signora Angela Merkel starà pregando come le ha insegnato il padre, un pastore protestante di Lipsia. Ma non dovrebbe nutrire molte speranze per i risultati. Perché lo capiscono anche i bambini che  in tutta Europa cresce uno spirito antieuropeista che è figlio proprio del "rimbambimento" da austerity di questi anni e dell'antipolitica dilagante.
E' vero, non c'è e non c'è stata  inflazione, i parametri sono stati rispettati, anche se qualche volta violati. E a stampare, ci ha pensato indirettamente Mario Draghi, comprando con la Bce titoli di Stato.
Ma la sostanza è che all'ombra di queste regole e dello scontro politico c'è la realtà di un numero crescente di poveri, di disoccupati, di precari e di concentrazioni di ricchezza spaventose con differenze  sociali che alcuni storici paragonano ai tempi feudali.
Quando la politica economica si basa sui soli numeri, sul rating di "sguerci" interessati (ci si ricordi di Lehman Brothers e della famosa Moody's) e oltre a tutto si entra in crisi catastrofiche da cui non si riesca a uscire, lo scontro politico si riduce a una farsa drammatica che prepara tempi molto cupi nella realtà delle società.
GIANLUIGI DA ROLD
IL SUSSIDIARIO