Oggi a Roma, viene presentato in Italia il “MANIFESTO PER L’EUROPA” un
anno dopo la prima presentazione a Parigi
Quadriga sulla porta di Brandeburgo (Berlino) |
«A Europe we can believe it»: si intitola così il manifesto-dichiarazione sull’Europa da riscoprire e rinnovare, firmato da un gruppo di intellettuali che alle soglie della crisi profonda in cui versa il nostro Continente ancora credono in una possibilità concreta di “nuovo inizio”. L’inglese Roger Scruton, il polacco ed ex responsabile culturale di Solidarnosc Ryszard Legutko, il francese Remi Brague, il tedesco Robert Spaemann e tanti altri ancora (spicca la mancanza di un italiano nel gruppo, ndr): si potrebbero chiamare i “nuovi” conservatori contro l’Europa dei progressisti che ha definitivamente fallito, ma sono ovviamente molto di più e offrono molti spunti interessanti per provare ad entrare per una volta nelle viscere della crisi e non limitarsi a dire, “siamo in crisi, ma con l’unione si andrà più lontano”.
DAL ’68 AL POPULISMO
Un’Europa senza anima e un’Europa da
comprendere prima di poterla riformare: il manifesto scritto dai “nuovi”
conservatori esprime tutta la critica per le debolezze insite in anni e anni di
storia europea, e individua nel 1968 un anno decisivo per le sorti dell’Europa
ancora contemporanea.
«Nel ’68 abbiamo assistito all’invasione dei barbari
nelle università diventate agenzie con lo scopo di cambiare il mondo. Prof e
studenti diventati attivisti politici per proclamare che è politicamente
ammissibile solo ciò che serve la causa del progresso», denuncia il polacco ex responsabile
culturale del sindacato cattolico. Il risultato di questo fattore decisivo del
’68, scritto all’interno del Manifesto, ha portato il moderno europeo ad essere
de-culturato e sempre più indottrinato, l’esatto contrario della liberazione
culturale e sociale.
«Il politically correct può esistere solo nelle
società che subiscono un processo di de-culturazione». Si sono confuse le
“libertà” umane e il risultato è stato che «la libertà di indulgere verso
qualunque brama, di appagare qualsiasi appetito, compreso ogni tipo di
esperimento sessuale, ogni droga, di sfidare ogni convenzione o autorità che
viene contestata e messa a tacere. Questo è successo», replica Scruton.
Conservatori che diventano populisti? L’accostamento viene “allontanato” dagli
intellettuali, che però riconoscono un fondamentale distinguo: «non so cosa significhi nel merito, so che
viene usato contro ogni persona, ogni movimento e ogni idea che si discosta dal
mainstream politico. Accadeva la stessa cosa durante il comunismo, quando
quelli che avevano una diversa opinione erano accusati di revisionismo e
denigrati senza possibilità di esporre le proprie ragioni».
L’UNITÀ DELLA FEDE CRISTIANA
Ma dunque cosa potrebbe “curare” questa
anima europea in profonda crisi? Secondo gli intellettuali intervistati, e come
si vede scritto nel lungo manifesto da poco pubblicato, va di nuovo immaginata
un’Europa con Stati Nazionali uniti in una Europa Cosmopolita tenuta insieme
dalla fede cristiana e dalle tradizione di lealtà civica. È una speranza,
quella espressa da Scruton, con un’analisi molto lucida: «magari fosse subito possibile, ma la fede cristiana si sta indebolendo
e non viene riconosciuta in nessuno dei pronunciamenti ufficiali della classe
dirigente europea. La visione del mondo dell’UE resta secolare e nega ogni
dimensione di tipo spirituale».
Come scrivono tutti gli intellettuali in
un passaggio della Dichiarazione d’Europa, «L’Europa
vera è stata segnata dal cristianesimo. L’impero spirituale universale della
Chiesa ha portato l’unità culturale all’Europa, ma lo ha fatto senza un impero
politico. Questo ha permesso che entro una cultura europea condivisa fiorissero
lealtà civiche particolari. L’autonomia di ciò che chiamiamo società civile è
dunque diventata una peculiarità della vita europea. Non è un caso che il
declino della fede cristiana in Europa sia stato accompagnato da sforzi sempre
maggiori per raggiugerne l’unità politica: ovvero l’impero monetario e
regolatorio, ammantato dai sentimenti di universalismo pseudoreligioso, che
l’Unione europea sta costruendo».
Un progetto culturale che fa fede ad una
esperienza bimillenaria sociale, politica e soprattuto religiosa: «Solo riscoprendo la vera Europa sarà
possibile sconfiggere un materialismo privo di obiettivi e incapace di motivare
gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie», spiega ancora il
Manifesto “contro le superstizioni del progresso”. Indicano la crisi demografica come una fonte di destabilizzazione interna
alla Ue: “Una società che non accoglie i
figli non ha futuro”. Denunciano (molti di loro sono cattolici) la “finta cristianità dei diritti umani
universali”, assieme alla “crociata utopico pseudo-religiosa per un mondo senza
confini”. E ricordano ai governanti che “la
dignità di ogni individuo, indipendentemente dal sesso o dalla razza deriva
dalle nostre radici cristiane” e che è necessario trarre “ispirazione dalla
tradizione classica, la letteratura dell’antica Grecia e di Roma”. Puntano il
dito contro un “edonismo libertino che porta alla noia e a un profondo senso di
inutilità”, così che “invece della libertà siamo condannati alla vuota
conformità della cultura guidata dai media”.
“La generazione del
Sessantotto ha distrutto ma non ha costruito”. Si parla anche di islam:
“Riecheggiando ironicamente l’antica idea imperialista, le classi dirigenti
dell’Europa ritengono che i musulmani diventeranno necessariamente come noi. Il
multiculturalismo ufficiale è stato dispiegato come uno strumento terapeutico
per la gestione delle tensioni culturali temporanee”. Ma “i discorsi sulla diversità, l’inclusione e il multiculturalismo sono
vuoti”. Tutti i firmatari vengono da prestigiose università e spiegano che
queste “una volta cercavano di
trasmettere ad ogni nuova generazione la saggezza delle epoche passate, mentre
oggi sono agenti della distruzione culturale”.
È il grande valore di questo manifesto,
indicare nel fronte interno culturale quello più esposto dell’Europa, la sua
“tirannia morbida” esercitata dagli “stregoni del progresso inevitabile”.
Ecco il testo completo
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