mercoledì 24 ottobre 2018

UN’EUROPA MIOPE SEGNA LA SUA FINE



La battaglia sul bilancio italiano è seria e grave perché apre per la prima volta in modo netto il conflitto tra democrazia e alta burocrazia, tra volontà popolare e entità sovranazionali, tra autonomia della politica di governo e mercati finanziari. 
Sono i fondamenti della civiltà liberale ad essere messi in gioco, non le percentuali del rapporto tra deficit e pil. 

L'EUROPA È AL TRAMONTO. E NON È DETTO CHE UN DOMANI CI SIA
 
Foto La Presse
Il lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea, parla quasi con apparente tristezza alla conferenza stampa programmata per il primo pomeriggio di ieri: "E' con molto dispiacere che sono qui oggi per dire che per la prima volta la Commissione è costretta a chiedere a uno Stato di rivedere il suo documento programmatico di bilancio. Ma non vediamo alternative. Sfortunatamente i chiarimenti ricevuti non erano convincenti". Poi  si appella allo spirito di collaborazione e di cooperazione. Peccato che non abbia parlato del surplus tedesco!
Dombrovkis sta parlando in questo modo ieri a Borse ancora aperte (con la correttezza degna di un vecchio mugik), della manovra italiana, che da settimane tutti sanno che sarebbe stata bocciata.
E' il via ufficiale alla grande tragicommedia finale dello scontro tra Unione Europea e Italia, con rischi per tutti e toni che creano solo diffidenza da una parte e dall'altra, ma sopratutto tra i cittadini europei.
Come forse qualcuno ricorderà (non bisogna divulgare troppo queste pericolose notizie), Dombrovkis è riuscito nella strategica Lettonia a perdere rovinosamente le elezioni il 7 ottobre scorso con il suo partito "Vienotiba" e a far vincere i filorussi di "Armonia". E' quindi un fenomeno dell'anti-consenso e di conseguenza era stato cooptato, con il contrario della lungimiranza, da quell'altro fenomeno di Jean-Claude Juncker, l'uomo del famoso piano di rilancio economico da 300 miliardi di euro che non si trovano più.
Ma alla conferenza stampa, sempre a Borse aperte naturalmente, non poteva mancare uno dei maggiori affossatori del Partito socialista francese, il commissario agli Affari economici dell'Ue, Pierre Moscovici, quello che recentemente in un passaggio televisivo si è definito un riformista keynesiano, provocando un terremoto nella zona dove ci sono i resti di Sir John Maynard. Forse una coincidenza.
Moscovici è stato mellifluo come tutti i grandi  perdenti storici, che appaiono disinvolti e poi vanno a casa a prendere  a sberle moglie, figli e domestici. Il commissario agli Affari economici ha detto: "Il ministro all'Economia Giovanni Tria è  sempre un interlocutore credibile e legittimo. Speriamo che sia  capace di convincere il governo italiano della necessità che la manovra italiana sia compatibile con le regole dell'Ue e gli impegni comuni presi". In termini più chiari, Moscovici, l'abile manovratore di un'Europa ormai sgangherata, propone di zittire il trio Conte, Salvini e Di Maio o magari di fare un rimpasto di governo. 
Si è pure aggiunta una nota un po' velenosa di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, forzista che deve aver guardato i risultati del Trentino con un po' di dispiacere.
Naturalmente a queste note di insignificante autorevolezza, che non sono neppure entrate nel merito della questione, è arrivata una risposta sopra le righe da Matteo Salvini, spiegando che gli eurocrati sono "contro i popoli". 
Tutto questo è il regalo in Europa di grevi interessi teutonici che porteranno l'Unione sull'orlo del fallimento ed è il prodotto in Italia della famosa battaglia contro "la casta", della primazia delle "regole" come hanno insegnato i "maestri del diritto" del 1992, in primis il duo Davigo & Di Pietro, gli autentici dioscuri dell'antipolitica militante in nome della lotta alla corruzione, scoperta solo dal 1989, perché il resto era stato (ahimè) amnistiato nottetempo e prima tollerato anche da rivoluzionari come Nilde Jotti e Pietro Ingrao, firmando  bilanci dei partiti tutti falsi.
Tutto questo ovviamente è stato dimenticato, ma noi ci permettiamo di ricordarlo, per rintracciare nella storia una spiegazione logica.
Così, a nostro parere, in un'ipocrisia dallo spessore incredibile, c'è da un lato l'Italia del 2,4 per cento di deficit e dall'altro una Commissione di "austeri rimbambiti". L'apertura appunto della "grande farsa" prima dello scontro politico ed elettorale che, alla fine, non avrà vincitori, ma provocherà solo un grande caos e una marea di perdenti.
Era troppo difficile ragionare, prima di questa sceneggiata, per trovare un compromesso politico accettabile? Viste le condizioni di questa Unione Europea e il livello della politica italiana, forse  non si potevano nutrire altre conclusioni. A ben vedere le scelte di politica economica sono quasi secondarie rispetto allo scontro politico, non ci si illuda di alcuni toni concilianti e moderati usati dai commissari europei.
Se il governo italiano è stonato per sua natura, scoordinato anche in quello che vuole veramente raggiungere, l'Unione Europea è priva di qualsiasi autorevolezza, ricca di piglio intimidatorio, come ai tempi della Grecia,  e nello stesso tempo disperata e preoccupata per il fallimento che vede ormai all'orizzonte.
E' il suicidio del pareggio di bilancio che viene a galla, quando ormai in tutto il mondo, con questo sistema finanziario, la somma dei debiti degli Stati fa la piccola somma di 185mila miliardi di dollari. Uno scherzetto, che si tiene ovviamente nascosto, perché non sarà semplice sistemarlo con i canoni neoliberisti.
Intanto, domenica si vota in Assia e la signora Angela Merkel starà pregando come le ha insegnato il padre, un pastore protestante di Lipsia. Ma non dovrebbe nutrire molte speranze per i risultati. Perché lo capiscono anche i bambini che  in tutta Europa cresce uno spirito antieuropeista che è figlio proprio del "rimbambimento" da austerity di questi anni e dell'antipolitica dilagante.
E' vero, non c'è e non c'è stata  inflazione, i parametri sono stati rispettati, anche se qualche volta violati. E a stampare, ci ha pensato indirettamente Mario Draghi, comprando con la Bce titoli di Stato.
Ma la sostanza è che all'ombra di queste regole e dello scontro politico c'è la realtà di un numero crescente di poveri, di disoccupati, di precari e di concentrazioni di ricchezza spaventose con differenze  sociali che alcuni storici paragonano ai tempi feudali.
Quando la politica economica si basa sui soli numeri, sul rating di "sguerci" interessati (ci si ricordi di Lehman Brothers e della famosa Moody's) e oltre a tutto si entra in crisi catastrofiche da cui non si riesca a uscire, lo scontro politico si riduce a una farsa drammatica che prepara tempi molto cupi nella realtà delle società.
GIANLUIGI DA ROLD
IL SUSSIDIARIO

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