La battaglia sul bilancio italiano è seria e grave perché apre per la prima volta in modo netto il conflitto
tra democrazia e alta burocrazia, tra volontà popolare e entità sovranazionali,
tra autonomia della politica di governo e mercati finanziari.
Sono i fondamenti
della civiltà liberale ad essere messi in gioco, non le percentuali del
rapporto tra deficit e pil.
L'EUROPA È AL
TRAMONTO. E NON È DETTO CHE UN DOMANI CI SIA
Il lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente della
Commissione europea, parla quasi con apparente tristezza alla conferenza stampa
programmata per il primo pomeriggio di ieri: "E' con molto dispiacere che
sono qui oggi per dire che per la prima volta la Commissione è costretta a chiedere
a uno Stato di rivedere il suo documento programmatico di bilancio. Ma non
vediamo alternative. Sfortunatamente i chiarimenti ricevuti non erano
convincenti". Poi si appella allo spirito di collaborazione e di
cooperazione. Peccato che non abbia parlato del surplus tedesco!
Dombrovkis
sta parlando in questo modo ieri a Borse ancora aperte (con la correttezza
degna di un vecchio mugik), della manovra italiana, che da settimane tutti
sanno che sarebbe stata bocciata.
E' il via ufficiale alla grande tragicommedia
finale dello scontro tra Unione Europea e Italia, con rischi per tutti e toni
che creano solo diffidenza da una parte e dall'altra, ma sopratutto tra i
cittadini europei.
Come
forse qualcuno ricorderà (non bisogna divulgare troppo queste pericolose notizie),
Dombrovkis è riuscito nella strategica Lettonia a perdere rovinosamente le
elezioni il 7 ottobre scorso con il suo partito "Vienotiba" e a far
vincere i filorussi di "Armonia". E' quindi un fenomeno
dell'anti-consenso e di conseguenza era stato cooptato, con il contrario della
lungimiranza, da quell'altro fenomeno di Jean-Claude Juncker, l'uomo del famoso
piano di rilancio economico da 300 miliardi di euro che non si trovano più.
Ma
alla conferenza stampa, sempre a Borse aperte naturalmente, non poteva mancare
uno dei maggiori affossatori del Partito socialista francese, il commissario
agli Affari economici dell'Ue, Pierre
Moscovici, quello che recentemente in un passaggio televisivo si è definito
un riformista keynesiano, provocando un terremoto nella zona dove ci sono i
resti di Sir John Maynard. Forse una coincidenza.
Moscovici è stato mellifluo come tutti i
grandi perdenti storici, che appaiono disinvolti e poi vanno a casa
a prendere a sberle moglie, figli e domestici. Il commissario agli Affari
economici ha detto: "Il ministro all'Economia Giovanni Tria è sempre
un interlocutore credibile e legittimo. Speriamo che sia capace di
convincere il governo italiano della necessità che la manovra italiana sia
compatibile con le regole dell'Ue e gli impegni comuni presi". In termini
più chiari, Moscovici, l'abile manovratore di un'Europa ormai sgangherata,
propone di zittire il trio Conte, Salvini e Di Maio o magari di fare un
rimpasto di governo.
Si
è pure aggiunta una nota un po' velenosa di Antonio Tajani, presidente del
Parlamento europeo, forzista che deve aver guardato i risultati del Trentino con
un po' di dispiacere.
Naturalmente
a queste note di insignificante autorevolezza, che non sono neppure entrate nel
merito della questione, è arrivata una
risposta sopra le righe da Matteo Salvini, spiegando che gli eurocrati sono
"contro i popoli".
Tutto questo è il regalo in Europa di
grevi interessi teutonici che porteranno l'Unione sull'orlo del fallimento ed è
il prodotto in Italia della famosa battaglia contro "la casta", della
primazia delle "regole" come hanno insegnato i "maestri del
diritto" del 1992, in primis il duo Davigo & Di Pietro, gli autentici
dioscuri dell'antipolitica militante in nome della lotta alla corruzione,
scoperta solo dal 1989, perché il resto era stato (ahimè) amnistiato nottetempo
e prima tollerato anche da rivoluzionari come Nilde Jotti e Pietro Ingrao,
firmando bilanci dei partiti tutti falsi.
Tutto
questo ovviamente è stato dimenticato, ma noi ci permettiamo di ricordarlo, per
rintracciare nella storia una spiegazione logica.
Così,
a nostro parere, in un'ipocrisia dallo spessore incredibile, c'è da un lato
l'Italia del 2,4 per cento di deficit e dall'altro una Commissione di
"austeri rimbambiti". L'apertura appunto della "grande
farsa" prima dello scontro politico ed elettorale che, alla fine, non avrà
vincitori, ma provocherà solo un grande caos e una marea di perdenti.
Era troppo difficile ragionare, prima di
questa sceneggiata, per trovare un compromesso politico accettabile? Viste le condizioni di
questa Unione Europea e il livello della politica italiana, forse non si
potevano nutrire altre conclusioni. A ben vedere le scelte di politica
economica sono quasi secondarie rispetto allo scontro politico, non ci si
illuda di alcuni toni concilianti e moderati usati dai commissari europei.
Se
il governo italiano è stonato per sua natura, scoordinato anche in quello che
vuole veramente raggiungere, l'Unione Europea è priva di qualsiasi
autorevolezza, ricca di piglio intimidatorio, come ai tempi della Grecia,
e nello stesso tempo disperata e preoccupata per il fallimento che vede ormai
all'orizzonte.
E' il suicidio del pareggio di bilancio
che viene a galla, quando ormai in tutto il mondo, con questo sistema
finanziario, la somma dei debiti degli Stati fa la piccola somma di 185mila
miliardi di dollari. Uno
scherzetto, che si tiene ovviamente nascosto, perché non sarà semplice
sistemarlo con i canoni neoliberisti.
Intanto,
domenica si vota in Assia e la signora Angela Merkel starà pregando come le ha
insegnato il padre, un pastore protestante di Lipsia. Ma non dovrebbe nutrire
molte speranze per i risultati. Perché lo capiscono anche i bambini che
in tutta Europa cresce uno spirito antieuropeista che è figlio proprio del
"rimbambimento" da austerity di questi anni e dell'antipolitica
dilagante.
E'
vero, non c'è e non c'è stata inflazione, i parametri sono stati
rispettati, anche se qualche volta violati. E a stampare, ci ha pensato
indirettamente Mario Draghi, comprando con la Bce titoli di Stato.
Ma la sostanza è che all'ombra di queste
regole e dello scontro politico c'è la realtà di un numero crescente di poveri,
di disoccupati, di precari e di concentrazioni di ricchezza spaventose con
differenze sociali che alcuni storici paragonano ai tempi feudali.
Quando
la politica economica si basa sui soli numeri, sul rating di
"sguerci" interessati (ci si ricordi di Lehman Brothers e della
famosa Moody's) e oltre a tutto si entra in crisi catastrofiche da cui non si
riesca a uscire, lo scontro politico si riduce a una farsa drammatica che
prepara tempi molto cupi nella realtà delle società.
GIANLUIGI DA ROLD
IL SUSSIDIARIO
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