lunedì 27 giugno 2022

SE NON È ZUPPA, È PAN BAGNATO.

Sulla vicenda della benedizione in chiesa alla coppia omosessuale di Budrio, a cui si è fatto cenno qui l’altro giorno (https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/06/16/si-rendono-conto-di-cio-che-fanno/), la diocesi di Bologna ha preso posizione con un breve comunicato ufficiale (https://www.chiesadibologna.it/sulla-messa-a-budrio-del-gruppo-in-cammino/), il cui senso pare che possa riassumrsi nell’immortale formula difensiva di ogni adultero colto in flagrante: “non è come sembra!”.

 "In riferimento alla Messa celebrata lo scorso 11 giugno nella parrocchia di S. Lorenzo di Budrio, in Diocesi di Bologna, con la presenza di una coppia di persone dello stesso sesso, per non dare adito ad interpretazioni fuorvianti, si precisa che non vi è stata alcuna benedizione della coppia."

Budrio, Diocesi di Bologna

Una gentile lettrice di questo piccolo blog, Maria Cristina, lo aveva previsto con molta esattezza, in un commento al post di cui sopra che mi pare utile riportare.

Io mi ero chiesto come potrebbe la chiesa, qualora cambiasse radicalmente posizione su un punto importante della dottrina cristiana – riconoscendo con ciò implicitamente di avere in precedenza impartito un insegnamento erroneo! – continuare a rivendicare un’autorità riguardo a tutti gli altri punti, contro la ragionevole obiezione che se si è sbagliata su quello potrebbe essersi sbagliata anche sul resto.

La nostra acuta letterice, “di spirito profetico dotata”, mi aveva risposto descrivendo in anticipo, sia pure usando il condizionale al posto dell’indicativo futuro, ciò che si sarebbe di lì a poco verificato nella diocesi del presidente della CEI:

«All’obiezione ragionevole risponderebbero gesuiticamente: “Ma noi non neghiamo la dottrina che rimane sempre la stessa, noi oggi abbiamo un diverso approccio pastorale. Noi, risponderebbero, vogliamo accogliere tutti, senza giudicare, perché chi siamo noi per giudicare? Allo stesso tempo non cambiamo la dottrina che rimane invariata, perché non ci si accusi di andare contro l’ ortodossia, e la nostra autorità rimane invariata. In poche parole risponderebbero che loro benedicono, accompagnano, integrano, sia i gay che si vogliono sposare, sia gli adulteri che vogliono fare la comunione, non li giudicano, li amano “così come sono”. Cioè mettono in pratica il Vangelo. Questi argomenti gesuitici erano già ben presenti ai tempi di Pascal e basta leggere le Provinciali, per capire che ogni obiezione razionale, logica, si infrange sul muro di gomma dell’ ”essere più misericordiosi e accogliere tutti”. […] La Chiesa odierna sta mettendo in atto quello che i gesuiti del ‘600 avevano iniziato: una morale lassa e accomodante, con la scusa della misericordia, perche’ bisogna essere vicini ai peccatori, e non allontanare dalla chiesa i fragili, senza però dare di petto decisamente contro la dottrina, che sarebbe troppo ardito … Per questo non cambieranno certo i documenti ufficiali e non diranno mai papale papale: gli atti sessuali omosessuali, le nozze fra gay, gli adulteri, i divorzi, sono giusti, non lo diranno mai francamente. Ma diranno che loro sono misericordiosi e aperti, accoglienti e veri seguici di Cristo, mentre gli altri, in particolare chi richiama le regole, i tradizionalisti, sono i rigidi e pelagiani, cioè chi richiama la dottrina diventa l’eretico».


Difficile darle torto. Ancor più importante, però, a mio avviso è ciò che Maria Cristina ha scritto in un secondo commento allo stesso post, rilevando «un’altra contraddizione fra il comportamento di questi preti e vescovi e la dottrina che ancora si ribadisce, nei documenti ufficiali, ma come se non avesse più alcuna importanza.

Vincent Van Gogh,
Seminatore al tramonto
1888

È uscito in questi giorni un documento sulla preparazione al matrimonio. In esso si ribadisce l’insegnamento che la Chiesa ha sempre trasmesso: che la castità è un valore cristiano e che fino al matrimonio i fidanzati dovrebbero praticare una rispettosa attesa della celebrazione del sacramento per poi poter consumare anche sessualmente la loro unione. Questo era ben presente alla mente dei cattolici di ogni epoca, i quali non che fossero più casti di noi, soprattutto i maschi, ma non obiettavano contro questa regola della castità imposta dalla Chiesa» – qui devo correggerla: imposta da Cristo, non dalla chiesa – «Oggi invece si sono avuti subito sarcasmi e proteste, accuse alla Chiesa di essere fuori tempo, medioevale, irrealistica. In ogni caso queste regole sulla castità prematrimoniale dovrebbero essere per tutti i fedeli. Gli omosessuali non possono ricevere il sacramento del matrimonio, quindi non possono che avviarsi sulla via della castità, come per esempio gli uomini e le donne non sposate. Oppure loro ne sono esentati?».

Questo a me pare il punto essenziale. Non esiste, nella morale cristiana, una “questione omosessuale”, come a tutti i costi vogliono farci credere. Esiste una “questione sessuale”, grande come una montagna, che riguarda tutti, nessuno escluso, al di là degli orientamenti e delle preferenze erotiche di ciascuno. Tale questione nasce dal fatto che Dio, a quanto pare, ha un’idea della sessualità totalmente diversa dalla nostra (dico di noi poveri uomini del XXI secolo, in questa parte del mondo).

Vincent Van Gogh: Campo di grano con volo di corvi, 1890

Per Lui, a quanto pare, il sesso è una misteriosa, altissima, “divina” partecipazione delle creature al mistero d’amore della sua divina creazione. Per questo ha inscritto nella natura, come un suo inconfondibile sigillo, il nesso tra sessualità e pro-creazione. Nesso che gli animali, «i sereni animali che avvicinano a Dio» – a cui il Creatore ha fatto il dono di una sessualità semplice e perciò sempre “giusta” in quanto non libera – non sanno e non vogliono sciogliere: fanno quello che devono fare, quando e come lo devono fare, e tutto a maggior gloria di Dio. (Il senso sacro di questa celebrazione cosmica della propagazione della vita l’aveva intuito e celebrato, a suo modo e suo malgrado, anche il pagano Lucrezio nel proemio del suo poema).

A noi uomini il Signore ha fatto invece un altro dono, prezioso ma pesante, complicato e per noi quasi incomprensibile (solo a noi lo ha fatto: agli angeli non risulta che abbia donato niente del genere): una sessualità “libera” e problematica. Libera perché svincolata da qualsiasi meccanismo predeterminato ed infallibile, e dunque affidata alla nostra responsabilità (stiamo freschi!); problematica perché carica di domande, di attese, di richieste di senso e di promesse di felicità difficili da mantenere, irta di contraddizioni, piena di trappole … Una roba talmente “superiore a noi stessi” che all’inizio (si fa per dire) anch’Egli dovette farci degli sconti, «per la durezza del nostro cuore». Poi però, quando fu la pienezza del tempo e venne tra noi il Figlio, gli sconti sono finiti. Così alto e così esigente ha parlato, il Figlio, in materia di sesso, da farci venire le vertigini. Come quando disse: «Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5, 27-28). Può esserci una parola più esagerata, improbabile e improponibile di questa? C’è qualcuno (qualcuno normale, si intende) che possa mai dirsi a posto, di fronte a un precetto come questo? Eppure questa parola è di Cristo, non una regola imposta dalla chiesa. Non è coi preti che bisogna prendersela, se ci sta sul gozzo.

 

Il fatto è che Dio ha una certa idea del sesso perché ha una certa idea di noi. Avendoci fatti a sua immagine e somiglianza, Egli ci considera molto più di quanto ci consideriamo noi, e pensa che il dono della sessualità sia una forma tra le più alte e impegnative della nostra partecipazione al mistero della Sua creazione amorosa. Quaggiù invece, dalle nostre parti, si pratica per lo più «una ginnastica coronata da un grugnito», come la definiva, con spietata lucidità, Emil Cioran. La volgarità, così umana, del linguaggio di tutti i giorni in materia sessuale (“scopare”, “trombare”, “fottere”, “chiavare”, “ciulare” e via elencando), quello che gli uomini usano quando non devono soppesare le parole per sembrare ciò che non sono, rivela la qualità del loro (del nostro) pensiero, con un candore che forse intenerisce perfino o addirittura diverte Colui che, dopotutto, ci ha fatti impastando del fango.

Diciamo le cose come stanno: su questa fondamentale partita, davvero «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia», come dice Paolo nella Lettera ai Romani (11,32). Chiamati a quell’uso pienamente umano della sessualità, che si chiama propriamente castità, tutti noi scopriamo di non essere abbastanza uomini (e abbastanza donne, ça va sans dire). Il radicalismo evangelico, in questa materia, è così esigente da far impallidire quello sulla povertà o sulla mitezza. Solo che questi ultimi sono “di moda”, e a proclamarli si fa solo bella figura (viverli, come sempre, è un altro paio di maniche). Il comando divino di essere casti, invece, è considerato irricevibile da quasi tutti, oggigiorno, fuori e dentro la chiesa oramai. Dunque a ripeterlo si va incontro a dei guai. Eppure è proprio questo che i cristiani devono fare: almeno ripeterselo, quel divino precetto, anche se non sono capaci di rispettarlo. Tenerlo a mente come criterio di giudizio, proporselo come obiettivo, chiedere perdono per il suo continuo tradimento, sforzarsi di raggiungerlo. Tutti peccatori, chi per un verso chi per l’altro, chi di più e chi di meno; ma tutti alle prese con un compito più grande di noi. Gli omosessuali in fila con gli altri, senza alcun privilegio particolare, perché come dice giustamente Maria Cristina, anche loro «non possono che avviarsi sulla via della castità, come per esempio gli uomini e le donne non sposate. Oppure loro ne sono esentati?».

Misericordia per tutti, comprensione per tutti: ma giustificazioni per nessuno. Quel che Dio dice che è male, resta male, e quel che dice che è bene resta bene, anche se oggi quasi nessuno è più d’accordo con Dio. E chi fa il male deve poterselo sentir dire dal fratello, il quale è peccatore quanto lui, e dunque non può certo salire su alcuno scranno per impartirgli una lezione e giudicarlo. Siamo tutti in una posizione scomoda, ma è bene che ci restiamo.

Questo è il punto. Il compito della chiesa non è certo quello di “accomodare le cose” in modo che gli uomini smettano di sentirsi a disagio con la parola del Signore. Non c’è tentazione più perversa di quella che spinge gli uomini di chiesa a volersi mostrare “più buoni di Gesù”. Cambiare le parole, edulcorare il linguaggio per non chiamare più le cose col loro nome, camuffare i concetti per occultare o aggirare le contraddizioni, offrire scappatoie ed eccezioni, sono tutti espedienti che non servono a niente. La sostanza delle cose non cambia: nel caso specifico, la benedizione alla coppia omosessuale tale resta anche se la si presenta in altro modo.

Come diceva il popolino di una volta: se non è zuppa, è pan bagnato.

 

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