Sulla vicenda della benedizione in chiesa alla coppia omosessuale di Budrio, a cui si è fatto cenno qui l’altro giorno (https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/06/16/si-rendono-conto-di-cio-che-fanno/), la diocesi di Bologna ha preso posizione con un breve comunicato ufficiale (https://www.chiesadibologna.it/sulla-messa-a-budrio-del-gruppo-in-cammino/), il cui senso pare che possa riassumrsi nell’immortale formula difensiva di ogni adultero colto in flagrante: “non è come sembra!”.
Budrio, Diocesi di Bologna
Una gentile lettrice di questo piccolo blog, Maria Cristina, lo aveva previsto con molta esattezza, in un commento al post di cui sopra che mi pare utile riportare.
Io mi ero chiesto come potrebbe la chiesa, qualora cambiasse radicalmente posizione su un punto importante della dottrina cristiana – riconoscendo con ciò implicitamente di avere in precedenza impartito un insegnamento erroneo! – continuare a rivendicare un’autorità riguardo a tutti gli altri punti, contro la ragionevole obiezione che se si è sbagliata su quello potrebbe essersi sbagliata anche sul resto.
La nostra acuta letterice, “di spirito
profetico dotata”, mi aveva risposto descrivendo in anticipo, sia pure usando
il condizionale al posto dell’indicativo futuro, ciò che si sarebbe di lì a
poco verificato nella diocesi del presidente della CEI:
«All’obiezione ragionevole risponderebbero gesuiticamente: “Ma noi non neghiamo la dottrina che rimane sempre la stessa, noi oggi abbiamo un diverso approccio pastorale. Noi, risponderebbero, vogliamo accogliere tutti, senza giudicare, perché chi siamo noi per giudicare? Allo stesso tempo non cambiamo la dottrina che rimane invariata, perché non ci si accusi di andare contro l’ ortodossia, e la nostra autorità rimane invariata. In poche parole risponderebbero che loro benedicono, accompagnano, integrano, sia i gay che si vogliono sposare, sia gli adulteri che vogliono fare la comunione, non li giudicano, li amano “così come sono”. Cioè mettono in pratica il Vangelo. Questi argomenti gesuitici erano già ben presenti ai tempi di Pascal e basta leggere le Provinciali, per capire che ogni obiezione razionale, logica, si infrange sul muro di gomma dell’ ”essere più misericordiosi e accogliere tutti”. […] La Chiesa odierna sta mettendo in atto quello che i gesuiti del ‘600 avevano iniziato: una morale lassa e accomodante, con la scusa della misericordia, perche’ bisogna essere vicini ai peccatori, e non allontanare dalla chiesa i fragili, senza però dare di petto decisamente contro la dottrina, che sarebbe troppo ardito … Per questo non cambieranno certo i documenti ufficiali e non diranno mai papale papale: gli atti sessuali omosessuali, le nozze fra gay, gli adulteri, i divorzi, sono giusti, non lo diranno mai francamente. Ma diranno che loro sono misericordiosi e aperti, accoglienti e veri seguici di Cristo, mentre gli altri, in particolare chi richiama le regole, i tradizionalisti, sono i rigidi e pelagiani, cioè chi richiama la dottrina diventa l’eretico».
Difficile darle torto. Ancor più
importante, però, a mio avviso è ciò che Maria Cristina ha scritto in un
secondo commento allo stesso post, rilevando «un’altra contraddizione fra il
comportamento di questi preti e vescovi e la dottrina che ancora si ribadisce,
nei documenti ufficiali, ma come se non avesse più alcuna importanza.Vincent Van Gogh,
Seminatore al tramonto
1888
È uscito in questi
giorni un documento sulla preparazione al matrimonio. In esso si ribadisce
l’insegnamento che la Chiesa ha sempre trasmesso: che la castità è un valore
cristiano e che fino al matrimonio i fidanzati dovrebbero praticare una
rispettosa attesa della celebrazione del sacramento per poi poter consumare
anche sessualmente la loro unione. Questo era ben presente alla mente dei
cattolici di ogni epoca, i quali non che fossero più casti di noi, soprattutto
i maschi, ma non obiettavano contro questa regola della castità imposta dalla
Chiesa» – qui devo correggerla: imposta da Cristo, non dalla chiesa – «Oggi
invece si sono avuti subito sarcasmi e proteste, accuse alla Chiesa di essere
fuori tempo, medioevale, irrealistica. In ogni caso queste regole sulla castità
prematrimoniale dovrebbero essere per tutti i fedeli. Gli
omosessuali non possono ricevere il sacramento del matrimonio, quindi non
possono che avviarsi sulla via della castità, come per esempio gli uomini e le
donne non sposate. Oppure loro ne sono esentati?».
Questo a me pare il punto
essenziale. Non esiste, nella morale cristiana, una “questione
omosessuale”, come a tutti i costi vogliono farci credere. Esiste una
“questione sessuale”, grande come una montagna, che riguarda tutti, nessuno
escluso, al di là degli orientamenti e delle preferenze erotiche di ciascuno. Tale
questione nasce dal fatto che Dio, a quanto pare, ha un’idea della
sessualità totalmente diversa dalla nostra (dico di noi poveri uomini
del XXI secolo, in questa parte del mondo).Vincent Van Gogh: Campo di grano con volo di corvi, 1890
Per Lui, a quanto pare, il sesso è una
misteriosa, altissima, “divina” partecipazione delle creature al mistero
d’amore della sua divina creazione. Per questo ha inscritto nella natura, come
un suo inconfondibile sigillo, il nesso tra sessualità e pro-creazione.
Nesso che gli animali, «i sereni animali che avvicinano a Dio» – a cui il
Creatore ha fatto il dono di una sessualità semplice e perciò sempre “giusta”
in quanto non libera – non sanno e non vogliono sciogliere: fanno quello che
devono fare, quando e come lo devono fare, e tutto a maggior gloria di Dio. (Il
senso sacro di questa celebrazione cosmica della propagazione della vita
l’aveva intuito e celebrato, a suo modo e suo malgrado, anche il pagano
Lucrezio nel proemio del suo poema).
A noi uomini il Signore ha fatto invece
un altro dono, prezioso ma pesante, complicato e per noi quasi incomprensibile
(solo a noi lo ha fatto: agli angeli non risulta che abbia donato niente del
genere): una sessualità “libera” e problematica. Libera perché
svincolata da qualsiasi meccanismo predeterminato ed infallibile, e dunque
affidata alla nostra responsabilità (stiamo freschi!); problematica perché
carica di domande, di attese, di richieste di senso e di promesse di felicità
difficili da mantenere, irta di contraddizioni, piena di trappole … Una roba
talmente “superiore a noi stessi” che all’inizio (si fa per dire) anch’Egli
dovette farci degli sconti, «per la durezza del nostro cuore». Poi però, quando
fu la pienezza del tempo e venne tra noi il Figlio, gli sconti sono finiti.
Così alto e così esigente ha parlato, il Figlio, in materia di sesso, da farci
venire le vertigini. Come quando disse: «Avete inteso che fu detto: Non
commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per
desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5,
27-28). Può esserci una parola più esagerata, improbabile e improponibile di
questa? C’è qualcuno (qualcuno normale, si intende) che possa mai dirsi a
posto, di fronte a un precetto come questo? Eppure questa parola è di Cristo,
non una regola imposta dalla chiesa. Non è coi preti che bisogna prendersela,
se ci sta sul gozzo.
Il fatto è che Dio ha una certa idea del sesso perché ha una certa idea di
noi. Avendoci fatti a sua immagine e somiglianza, Egli ci considera molto più
di quanto ci consideriamo noi, e pensa che il dono della sessualità sia una
forma tra le più alte e impegnative della nostra partecipazione al mistero
della Sua creazione amorosa. Quaggiù invece, dalle nostre parti, si pratica per
lo più «una ginnastica coronata da un grugnito», come la definiva, con spietata
lucidità, Emil Cioran. La volgarità, così umana, del linguaggio di tutti i
giorni in materia sessuale (“scopare”, “trombare”, “fottere”, “chiavare”,
“ciulare” e via elencando), quello che gli uomini usano quando non devono
soppesare le parole per sembrare ciò che non sono, rivela la qualità del loro
(del nostro) pensiero, con un candore che forse intenerisce perfino o
addirittura diverte Colui che, dopotutto, ci ha fatti impastando del fango.
Diciamo le cose come
stanno: su questa fondamentale partita, davvero «Dio ha rinchiuso tutti nella
disobbedienza, per usare a tutti misericordia», come dice Paolo nella Lettera
ai Romani (11,32). Chiamati a quell’uso pienamente umano della sessualità, che
si chiama propriamente castità, tutti noi scopriamo di non essere
abbastanza uomini (e abbastanza donne, ça va sans dire). Il radicalismo
evangelico, in questa materia, è così esigente da far impallidire quello sulla
povertà o sulla mitezza. Solo che questi ultimi sono “di moda”, e a proclamarli
si fa solo bella figura (viverli, come sempre, è un altro paio di maniche). Il comando divino di essere casti, invece, è
considerato irricevibile da quasi tutti, oggigiorno, fuori e dentro la chiesa
oramai. Dunque a ripeterlo si va incontro a dei guai. Eppure è proprio
questo che i cristiani devono fare: almeno ripeterselo, quel divino precetto,
anche se non sono capaci di rispettarlo. Tenerlo
a mente come criterio di giudizio, proporselo come obiettivo, chiedere perdono
per il suo continuo tradimento, sforzarsi di raggiungerlo. Tutti peccatori,
chi per un verso chi per l’altro, chi di più e chi di meno; ma tutti alle prese
con un compito più grande di noi. Gli omosessuali in fila con gli altri, senza
alcun privilegio particolare, perché come dice giustamente Maria Cristina,
anche loro «non possono che avviarsi sulla via della castità, come per esempio
gli uomini e le donne non sposate. Oppure loro ne sono esentati?».
Misericordia per tutti, comprensione per tutti: ma giustificazioni per
nessuno. Quel che Dio dice che è male, resta male, e quel che dice che è bene
resta bene, anche se oggi quasi nessuno è più d’accordo con Dio. E chi fa il
male deve poterselo sentir dire dal fratello, il quale è peccatore quanto lui,
e dunque non può certo salire su alcuno scranno per impartirgli una lezione e
giudicarlo. Siamo tutti in una posizione scomoda, ma è bene che ci restiamo.
Questo è il punto. Il compito della chiesa non è certo quello di
“accomodare le cose” in modo che gli uomini smettano di sentirsi a disagio con
la parola del Signore. Non c’è tentazione più perversa di quella che spinge gli
uomini di chiesa a volersi mostrare “più buoni di Gesù”. Cambiare le parole,
edulcorare il linguaggio per non chiamare più le cose col loro nome, camuffare
i concetti per occultare o aggirare le contraddizioni, offrire scappatoie ed
eccezioni, sono tutti espedienti che non servono a niente. La sostanza delle cose non cambia: nel caso specifico, la benedizione
alla coppia omosessuale tale resta anche se la si presenta in altro modo.
Come diceva il popolino di una volta: se non è zuppa, è pan bagnato.
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