STRALCI DALL’INTERVENTO DI MONS. CREPALDI ALLA TERZA GIORNATA DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA 19 OTTOBRE 2020
(La
prima parte è stata pubblicata nel post precedente)
(…)
STATALISMO
E SOCIETÀ APERTA
Faccio queste osservazioni non per celebrare
l’esasperazione individualistica della proprietà privata, ma perché ho
l’impressione che l’attuale gestione ideologica della pandemia miri a
ridimensionare questo principio attraverso due strade apparentemente
contrapposte ma oggi combinate insieme. La
prima è la ripresa del centralismo statalistico. La debolezza della
popolazione, l’allarme sociale spesso indotto e l’isolamento alimentano un
bisogno di protezione che offre allo statalismo uno spazio inatteso. Lo Stato
centrale non sta dando grandi risposte alle problematiche sanitarie e a quelle
sociali che ne conseguono, eppure casi come l’Italia, oltre a tanti altri,
testimoniano questi processi di riaccentramento. L’altro percorso, apparentemente diverso, è l’impulso che la pandemia
ha dato alla cosiddetta “società aperta”. Con ciò si intende una maggiore
unificazione globale, la creazione di forti poteri sovranazionali, un
meticciato culturale post-religioso, una “obbedienza” universale nei nostri
stili di vita, l’accettazione di una gerarchia di valori artificialmente
prodotta.
IL NUOVO MONDIALISMO
Ho toccato il tema del nuovo mondialismo. La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre insegnato il principio dell’unità del genere umano. Una unità di origine e di destino. Questo principio però non deve essere confuso con le principali proposte mondialiste in scena oggi. Non dovremmo tollerare equivoci su questo tema. Se inseguiamo le ideologie oggi prevalenti, finiremo per dare il nostro contributo a soluzioni sbagliate e dolorose. Né possiamo accontentarci di sintonie nominalistiche con le proposte culturali di oggi. La parola fratellanza oggi assume molti significati alla cui diversità dobbiamo prestare molta attenzione. Per la Dottrina sociale della Chiesa la fraternità o fratellanza umana si fonda su due livelli. Il primo è di ordine naturale: siamo fratelli perché siamo tutti uomini, siamo uguali in dignità, calpestiamo lo stesso suolo, viviamo insieme non per motivi di fatto ma per vocazione. Questo piano naturale ci dà anche le regole della nostra fraternità, ossia il diritto naturale e la legge morale naturale, che permettono alla fratellanza ontologica di diventare anche fratellanza morale. Il Decalogo è una legge di fraternità e di fratellanza. Esso, infatti, è valido a tutte le latitudini. L’altro piano è quello soprannaturale: siamo fratelli perché figli di Dio, figli di un unico Padre. Quello naturale è il piano di una fratellanza civica ed etica, quello sopra-naturale è il piano di una fratellanza religiosa e salvifica. I due piani sono in continuità tra loro, perché la natura rimanda al Creatore e la sopra-natura al Salvatore, che sono lo stesso Dio. Non mi sembra che ci siano altri tipi di fratellanza degni di questo nome oltre a questi due.
Quando invece si deforma il concetto di
fratellanza per ragioni riconducibili all’economia, allora si deforma anche
l’economia. Mi sembra essere questa, a ben considerare le cose, la situazione
dell’Unione Europea, dove si aveva una certa idea di fratellanza che avrebbe
dovuto animare l’economia, ma alla fine è stata la nuova economia a chiedere e ottenere un nuovo concetto (sbagliato)
di fratellanza. Dal quadro culturale dell’Unione Europea sono spariti
infatti sia il fondamento naturale della fratellanza, dato che al diritto
naturale le Corti europee e il Parlamento europeo non accennano più, sia il
vero fondamento trascendente, che non è rimpiazzabile con un generico
rifermento alle religioni, qualsiasi esse siano.
L’ECOLOGISMO
(…) in Europa
sembrerebbe nata una nuova religione e, quindi, non sarebbe vero che l’Unione
abbia abbandonato la trascendenza. Questa nuova religione è la religione ecologista. Bisogna
riconoscere che da lì arrivano oggi molte suggestioni ideologiche che
riguardano anche l’economia. Ci dicono che le fonti non rinnovabili di energia
sarebbero lì per finire; ma ne siamo proprio sicuri? Ci dicono che le emissioni
umane, soprattutto di anidride carbonica, sono la principale causa del
riscaldamento globale. Ma ne siamo proprio sicuri? Ci dicono che gli impianti
delle energie rinnovabili sono ecologici. Ma ne siamo sicuri? Ci dicono che
la green economy sarà un’economia leggera, equa, sostenibile.
Ma ne siamo proprio sicuri? (…)
L’ecologismo odierno, se applicato secondo le
ideologie che sembrano dominarlo, produce ingiustizie e colpisce i poveri. Si spendono più risorse per i cani che per i
bambini; per le ricerche sulla salubrità dell’aria che per difendere la vita;
per insegnare alle nuove generazioni a rispettare l’ambiente piuttosto che ad
avere figli. Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha messo
in evidenza con grande chiarezza questa stortura di fondo della nostra cultura,
che disorienta l’economia dai suoi veri obiettivi. Si spendono somme enormi per
difendere la natura più che per difendere l’uomo. (…) Opera
qui l’ideologia di una natura disumanizzata, che però a questo punto è solo
un mucchio di pietre. Si pensi per esempio alle ricorrenti previsioni
sull’esaurimento delle risorse energetiche. Esse prescindono dalla risorsa
uomo, come se tutto fosse in mano alla materia e niente in mano
all’intelligenza umana.
ANTIFAMILISMO E ANTINATALISMO
Il principale danno economico prodotto dall’ideologia
ambientalista consiste nell’indurre a ridurre la natalità. Se impostiamo l’economia sui consumi individuali e
prevalentemente voluttuari, una società senza figli, senza famiglia, fatta di
individui asessuati o dalla sessualità polivalente che lavorano per consumare e
consumano per lavorare è senz’altro attraente per gli operatori economici senza
scrupoli. Ma se guardiano all’economia vera, vediamo che se non c’è la famiglia
e se non si mettono al mondo figli il sistema in generale non regge.
L’ideologia antifamilista e antinatalista è oggi tra
le più perniciose. Giovanni Paolo II
aveva ben messo in evidenza la fondamentale importanza economica della famiglia
che è scuola di lavoro, motivo di risparmio, ammortizzatore sociale nelle
crisi, capitale sociale, educazione alle virtù civiche, trasmissione delle
conoscenze e delle competenze tra le generazioni. La carenza di nuovi nati
provoca mancanza di visione del futuro da parte di una società anziana, costi
improduttivi, dipendenza dalle istituzioni politiche, stagnazione della
creatività nel lavoro. L’ideologia antifamilista ed antinatalista vuole
cambiare l’economia ma lo scopo è quello di creare una società antifamilista e
antinatalista nei valori diffusi. Il suo
scopo è negare la famiglia e la vita. E, si badi bene, non solo per negare
la famiglia e la via naturali, ma per negare la Sacra Famiglia e la vita
soprannaturale. (…)
Pensiamo che la
questione di Dio non c’entri e invece è proprio quella centrale. Del resto è
per questo che la Dottrina sociale della Chiesa se ne interessa. Se la
questione di Dio fosse accessoria e marginale e se le cose potessero andar bene
anche senza di lui, la Dottrina sociale della Chiesa sarebbe utile ma non
indispensabile, come invece noi pensiamo che sia. Uno sguardo ideologico sulla
vita, sulla famiglia, sulla natura, sull’economia non è neutro da conseguenze
di tipo religioso. L’ideologia ecologista è collegata con l’ideologia
antinatalista, dato che avere più di un figlio è considerato oggi una minaccia
per l’ambiente. La politica del figlio unico è presente anche nelle nostre
società occidentali.
LA DECRESCITA ECONOMICA: NON È LA POVERTÀ A PRODURRE
IMMORALITÀ MA L’IMMORALITÀ A PRODURRE POVERTÀ.
Tutto questo sta alla
base di un’altra ideologia oggi diffusa, l’ideologia della decrescita
economica. Essa non significa la semplice
prudenza economica, ma indica un blocco del progresso e della produzione di ricchezza,
come se l’essere tutti più poveri fosse di per sé garanzia di giustizia e pace.
Intesa in questo senso, la decrescita ha tutte le caratteristiche
dell’utopia, oltre che quelle dell’ideologia. I vari millenarismi e pauperismi eretici che abbiamo conosciuto nel
corso della storia esprimevano lo stesso concetto. La Chiesa però li ha sempre
contestati e l’operosità dei monaci ha sempre pensato di umanizzare la natura
più che di naturalizzare l’uomo. A fare ciò essi sono stati spinti non solo
dall’amore per la natura, non solo dall’amore per l’uomo, ma soprattutto
dall’amore per Dio.
Le utopie hanno sempre procurato grandi dolori all’umanità. L’utopia della decrescita fa propria l’utopia egualitarista, che intende la comune dignità degli uomini come una identità esistenziale. Che tutti gli uomini siano uguali per dignità essenziale è vero. Ciò però non significa che siano uguali per dignità morale, né che siano uguali per condizioni di vita. Quando le diversità non sono causate da ingiustizie, rappresentano un valore per la società intera perché non tutti gli uomini hanno gli stessi talenti e non tutti sono capaci dello stesso impegno. Quando prevale il centralismo sia politico che economico si corre il rischio di intendere l’uguaglianza come appiattimento garantito dal sistema. Più o meno tutte le forme di welfare statalistico che abbiamo vissuto negli ultimi decenni hanno fatto questo errore. L’ideologia egualitarista fa poi un altro errore di impostazione: pensa che le disuguaglianze sociali provochino le disuguaglianze morali, mentre è vero il contrario. Non è la povertà a produrre immoralità ma l’immoralità a produrre povertà.
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