Di Francesco Giubilei
Stiamo già leggendo fiumi di parole per elogiare
Kamala Harris, giornalisti e commentatori che si sperticano nelle lodi del
nuovo vicepresidente degli Stati Uniti, articoli dai toni trionfali, titoli
elogiatovi. Quasi assenti le analisi sulle sue posizioni e il suo credo
politico, proviamo a farlo noi partendo dal presupposto che una persona
andrebbe valutata nei contenuti a prescindere dal suo sesso, dal colore della
pelle o dalla sua origine (solo così può esistere una vera parità tra uomo e
donna, tra bianchi e neri).
Il problema è che le posizioni di Kamala Harris sono preoccupanti. In un articolo intitolato “Kamala Harris, the cancel culture pop”, il “Washington Examiner” afferma che la sua “carriera politica e giudiziaria è stata costruita sulla punizione di coloro che trova deplorevoli” aggiungendo “non è una semplice demagoga. È una demagoga che userà il potere del governo federale per punire ‘l’altra parte’”.
E l’altra parte, neanche a dirlo, sono i conservatori
a cui spettano anni difficili in particolare
sui temi etici e il diritto alla vita. Kamala Harris ha dichiarato
pubblicamente che “il governo federale dovrebbe trattare i sostenitori pro-life
come i segregazionisti”, una frase inquietante.
Al tempo stesso ha etichettato alcune importanti organizzazioni cattoliche americane di solidarietà come “estremiste”.
“La campagna presidenziale di Harris si è concentrata
sulla divisione del paese” e i sostenitori della vita “avranno tutti motivo di
temere la persecuzione in un'amministrazione in cui Harris ha il potere”.
Un’opinione sostenuta da un’altra importante testata come “The American
Conservative” “sembra pensare che il suo lavoro come senatore sia quello di
tormentare i conservatori alle udienze con tutta la presunzione di colpevolezza
fino a prova contraria di un inquisitore”. Non
è un caso che Rod Dreher, voce di spicco del mondo conservatore americano,
scriva: “di tutte le persone che avrebbe potuto scegliere, penso che Kamala
Harris sia la più pericolosa, da un punto di vista sociale conservatore”.
Ci sono poi le posizioni della Harris sul tema dell’ambiente che rappresentano l’emblema dell’ambientalismo ideologizzato di stampo globalista rappresentato da Greta Thunberg. Una visione radicale e fanatica della battaglia ambientale che dimentica le esigenze delle comunità locali e il concetto di identità e tradizione.
Nonostante le sue posizioni in campo economico più vicine a un approccio socialista (pur riferito al contesto americano) che potrebbero portare a un aumento della pressione fiscale negli Stati Uniti, la Harris è tutt’altro che una donna del popolo avendo alle spalle il sostegno di una parte importante del mondo finanziario e dei big tech. Un esempio su tutti? Le parole riportate dal “New York Times”: “Wall Street è felice dei segnali che ha mandato”, la “Silicon Valley è felice di vedere una faccia famigliare”.
In Italia si è subito diffuso il mito di Kamala Harris
paladina dei democratici e del mondo afroamericano, la realtà è ben altra,
basti pensare che la sua candidatura alle primarie democratiche si è conclusa
con un nulla di fatto e un crollo di popolarità nei sondaggi in particolare nel
secondo dibattito tra i candidati (nel primo aveva attaccato duramente Biden
con una velata accusa di razzismo, per capire il grado di spregiudicatezza).
Nella
composizione della futura amministrazione Biden, preoccupa molto di più il
ruolo che assumerà la Harris rispetto a quello ricoperto dal Presidente, il
rischio è che possa influenzare la presidenza con una linea più radicale.
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